lunedì 12 giugno 2017

«Parrucca e abiti da donna» Così si nasconde il boss di Gomorra

di Fabio Postiglione

Una donna innamorata, tre boss cognati tra loro «affamati» di droga di alta qualità, una villa nel Vesuviano per potersi rifugiare e incontrare persone, quattro auto «pulite» intestate a prestanome stipendiati e molte parrucche, anche da donna. Bonifiche per le microspie con strumenti da 150mila euro, «pizzini» bruciati e frasi in codice. Sembra un rebus ma sono invece le tracce, molto magmatiche, che si spera possano portare alla cattura di uno tra i cinque latitanti più pericolosi d’Italia, «re» delle piazze di spaccio a Secondigliano, stratega della faida di «Gomorra» con «almeno sessanta uomini a sua completa disposizione», come ribadisce in ogni interrogatorio Biagio Esposito, killer di «professione» ora pentito.
Il fantasma
Marco Di Lauro fra dieci giorni festeggerà il suo trentasettesimo compleannoe il 12 marzo è stato l’anniversario del suo dodicesimo anno di latitanza. È diventato un fantasma con i milioni di euro del clan, investiti solo per la sua protezione: «Quelli oramai non pagano più a nessuno», dice in una intercettazione Giovanni Cortese, suo braccio destro. Gli danno la caccia i carabinieri, la polizia, la guardia di finanza, i reparti speciali e anche l’interpol dopo che nel novembre del 2006 la sua foto è stata diramata in tutto il mondo. Ma dai racconti dei suoi ex affiliati che nei mesi passati si sono pentiti, Marco Di Lauro potrebbe essere a Secondigliano e come nelle più recenti storie di catture di capiclan, anche lui avrebbe deciso di non lasciare il suo rione. I tre collaboratori di giustizia Rosario Guarino «Joe Banana», Antonio Accurso «Totonno» e Mario Pacciarelli «’o mostro» hanno confermato di aver incontrato Di Lauro nell’aprile del 2011 e nel 2014. Hanno raccontato che usa spostarsi cambiando più volte auto, nascondendosi dietro al cofano con un impianto di areazione o seduto al posto di dietro con avanti due donne e «con una parrucca in testa», rivela Rosario Guarino. È stato lui ad aver incontrato per ultimo Marco Di Lauro, in un momento molto delicato nella storia della cosca guidata fino al 2004 dal patriarca Paolo detto «Ciruzzo ’o milionario».
La faida
I «padroni» di Scampia hanno perso la guerra contro gli Amato-Pagano nel 2005. I nuovi ribelli della Vanella Grassi nel 2007 si affiancano agli scissionisti per uccidere gli ultimi dei Di Lauro. Così schiacciati e relegati alla sola gestione del Rione dei Fiori «con 100mila euro di guadagni al mese», come ricorda Esposito. Ma qualcosa sta cambiando. Nel 2011 la Vanella Grassi rompe gli indugi e tenta la conquista di Secondigliano, ma per farlo deve annientare gli Abete-Abbinante. Ed è qui che si inserisce lo stratega Marco Di Lauro. È stato lui a presenziare ad un summit con i boss della Vanella che «risparmiarono la vita al fratello Raffaele Di Lauro che poteva essere ucciso da Fabio Magnetti» e che invece per «sfogare uccisero Antonello Faiello». Ed è lì, nel 2011 prima e nel 2014 dopo, che Di Lauro si fa vedere dai capiclan nemici con i quali poi stringe accordi per cacciare da Secondigliano «quelli del Lotto T/B». La traccia di quell’accordo militare è la triste storia dei morti che via via, nell’arco di un anno e mezzo, sono saliti a quota 25. Adesso Di Lauro potrebbe avvalersi della complicità di una donna, la compagna con la quale è in contatto da tempo: si chiama Cira. Ha degli alleati nel clan Tamarisco di Torre Annunziata che per anni «hanno avuto droga a 40mila euro al chilo anziché a 42», e ville nel Vesuviano. Vive di accordi strategici con il clan Contini dell’Arenaccia, «maestri» nella protezione dei latitanti (Eduardo Contini, Giuseppe Ammendola, Patrizio Bosti, solo per citarne alcuni) e gode di una «rete» in grado di garantirgli sicurezza assoluta. «A busta paga dei Di Lauro ci sono persone che si attribuiscono fittiziamente la proprietà di mezzi di locomozione e li cedono al clan», scrive il gip Laura De Stefano che due giorni fa ha firmato l’ordinanza che ha portato a 27 arresti.
L’evoluzione della cosca
Una cosca che si è evoluta in stile mafioso: «Comunica con pizzini» accuratamente bruciati. Con frasi in codice: «motore, chitarra, puledro, cavalluccio, coriandoli». Come cercare un ago in un pagliaio. Ma nel frattempo non si sta con le mani nella mani. La sezione omicidi della squadra Mobile di Napoli ha arrestato gli autori di un brutale omicidio commesso in un centro scommesse a Miano il 5 agosto del 2015. Sette secondi per assassinare Salvatore Scogamiglio e Salvatore Paolillo colpevoli di aver contrastato il boss Antonio Lo Russo, ora pentito. È stato lui a fare i nomi di Vincenzo Bonavolta e Luciano Pompeo, arrestati ieri mattina.

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