giovedì 25 maggio 2017

«Dieci mila euro da Cesaro per truccare le elezioni a S. Antimo», il pentito del clan Puca mette nei guai il deputato

MARANO. «Nel 2011/2012 fui convocato a casa di Luigi Cesaro che mi chiese, ovviamente come esponente del clan Puca, di appoggiare la campagna elettorale di una persona che loro portavano come sindaco, tale Cristoforo. Luigi Cesaro in quell'occasione mi diede 10 mila euro e mi disse specificatamente come dovevo fare per manipolare la campagna elettorale». È quanto afferma a proposito dei presunti rapporti con il deputato di FI Luigi Cesaro, in un verbale di interrogatorio - riportato nell'ordinanza di custodia emessa ieri nell'ambito dell'inchiesta su infiltrazioni camorristiche a Marano - il pentito di camorra Ferdinando Puca, esponente del clan attivo a Sant'Antimo, in provincia di Napoli. 
«Preciso - afferma il collaboratore di giustizia - che già nel 2003/2004 avevo fatto la stessa cosa per mio cugino Pasquale Puca (nella foto a sinistra). Nel 2011, Luigi Cesaro mi disse che dovevo comprare le schede elettorali». Puca racconta di aver ricevuto 10mila euro per acquistare «le schede elettorali» e di aver ricevuto il compito di verificare il giorno delle elezioni che «la corrispondenza tra i votanti da noi pagati (50 euro a testa più 10 per i galoppini, riferisce, ndr) ed i voti effettivamente presi». Questo ha aggiunto Puca «facevano anche i Cesaro in quanto avevano persone loro direttamente nei seggi». 
Il pentito afferma che tali modalità erano state concordate con Luigi Cesaro: «Le dico che assolutamente sì - risponde alla domanda del pm - in quanto è proprio questo il motivo per il quale i politici si rivolgono alla camorra. Siccome la campagna elettorale andò bene in quanto il soggetto fu eletto, Antimo e Luigi Cesaro mi ricompensarono dandomi 35 mila euro che io divisi con Pasquale Verde, 'o cecato. Per altro i Cesaro sempre in forza dello stretto legame camorristico ed imprenditoriale che hanno con il clan Puca versano a Teresa Puca, figlia di Pasquale, 10 mila euro al mese».

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mercoledì 24 maggio 2017

A 15 anni organizza ed esegue l’omicidio di due affiliati: preso

NAPOLI - A soli 15 anni organizza ed esegue l’omicidio di due affiliati del clan «per dare l’esempio», per punire iniziative che erano state considerate troppo autonome. Un rampollo del clan Amato-Pagano che a Melito di Napoli è stato arrestato dai carabinieri.

La «punizione»
È lui, hanno accertato i carabinieri, il mandante e autore del duplice omicidio di Alessandro Laperuta e Mohamed Nuvo consumato in un appartamento al quarto piano di Melito il 20 giugno 2016 per «punire» iniziative delle vittime non in linea con la strategia del gruppo camorristico.

Indagini
A scoprirlo le indagini dei militari del Nucleo investigativo di Castello di Cisterna e della tenenza di Melito. Oggi, mercoledì, i carabinieri hanno dato esecuzione a un’ordinanza emessa dal gip presso il tribunale per i minorenni di Napoli, su richiesta della locale Procura, con le accuse di omicidio aggravato da finalità mafiose e di detenzione e porto illegale di armi da guerra a carico del ragazzo di Melito, ora 16enne, ritenuto un elemento di spicco del clan camorristico degli «Amato-Pagano», operante a Melito e nei comuni vicini.

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martedì 2 maggio 2017

Operazione «Bad brothers: confisca beni per 38 milioni a clan Mallardo

Beni mobili, immobili ed aziende, per un valore complessivo di oltre 38 milioni di euro, sono stati confiscati dai Finanzieri del Comando Provinciale di Roma ai fratelli Domenico e Giovanni Dell'Aquila, intranei al noto clan camorrista «Mallardo», e a Vittorio Emanuele Dell'Aquila e Salvatore Cicatelli, rispettivamente figlio e fiduciario di Giovanni Dell'Aquila, per conto del quale avevano costituito una cellula economica, operante, prevalentemente, nel territorio del basso Lazio.

La confisca di secondo grado, sancita dalla Corte di Appello di Roma -Sezione Quarta Penale, costituisce l'ultimo capitolo, salvo ricorsi in Cassazione, in alcuni casi già proposti, di un percorso giudiziario che ha visto il Tribunale di Latina - Sezione Penale disporre, nel giugno 2013, il sequestro di prevenzione e, nel giugno 2014, la confisca di primo grado, sui medesimi beni, ritenendo fondato il quadro accusatorio formulato dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, sulla base delle evidenze investigative fornite dal G.I.C.O. (Gruppo Investigazione Criminalità Organizzata) del Nucleo PT di Roma.

Le complesse indagini di polizia economico-finanziaria, avviate nel 2012, hanno consentito di accertare la costante ed inarrestabile ascesa, nella Provincia di Latina, nella Provincia di Napoli ed in parte in Emilia Romagna, dei fratelli Giovanni, noti imprenditori campani, attraverso rapporti dai reciproci vantaggi con esponenti di spicco del noto clan di camorra Mallardo. In particolare, la feroce operatività criminale del clan è stata nel tempo orientata, oltre che al finanziamento del traffico di sostanze stupefacenti, prevalentemente al controllo - realizzato con la partecipazione finanziaria o con la riscossione di quote estorsive - delle attività economiche di rilievo (attività edilizia, appalti pubblici, forniture pubbliche, commercio all'ingrosso). In tal senso, emblematica è la definizione accademica del'«impresa camorrista», resa da un noto pentito di camorra rispetto al modo di fare impresa del clan Mallardo: non impone il pizzo estorsivo, ma gli esponenti di rilievo di tale organizzazione camorristica entrano «di fatto» in società con gli imprenditori, di modo che questi ultimi diano una parvenza di liceità all'attività economica, mentre i camorristi partecipano direttamente ai guadagni, riuscendo, contestualmente, a reimpiegare i proventi derivanti da altre attività delittuose.

Il provvedimento della Corte di Appello di Roma - Sezione Quarta Penale n.40/2017 M.P., datato 20.02.2017 ribadisce, pertanto, la solidità dell'impianto accusatorio formulato dalla D.D.A. di Roma, sia per quanto concerne la pericolosità sociale di Domenico Dell'Aquila, Giovanni Dell'Aquila e Vittorio Emanuele Dell'Aquila , ai quali è stata confermata la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, con obbligo di soggiorno nel Comune di loro residenza - con la riduzione della durata da 5 ad 1 anno, in favore del solo Vittorio Emanuele - sia in ordine alla manifesta sproporzione tra il patrimonio mobiliare, immobiliare e societario ai medesimi riconducibile e la rispettiva situazione reddituale, ordinando la confisca di tutti i beni individuati: - patrimonio aziendale e relativi beni di n. 11 società, con sede nella provincia di Latina, Napoli, Caserta e Bologna, di cui n. 3 operanti nel settore delle costruzioni di edifici, n. 1 nel commercio di porcellana, n. 2 nel commercio di autoveicoli, n. 2 nel settore dell'intermediazione immobiliare e n. 3 nel settore alberghiero e della ristorazione; - quote societarie di ulteriori n. 2 società, con sede nella provincia di Napoli e Bologna, operanti nel settore della costruzione di edifici; - n. 68 unità immobiliari (site nella provincia di Latina, Napoli, Caserta, Ferrara e Bologna); - n. 19 auto/motoveicoli; - n. 15 rapporti bancari/postali/assicurativi/azioni; per un valore complessivo di stima dei beni sottoposti a confisca pari a 38.183.094 euro.

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