mercoledì 27 dicembre 2017

«Uomo di fiducia di Amicone e Picardi, tutti gli affari di Agostino d'Alterio». Il racconto del pentito Giuliano Pirozzi

GIUGLIANO. La figura di Agostino d'Alterio, nei cui confronti oggi è stata eseguita una nuova ordinanza in carcere, è nota alle forze dell'ordine. Di lui parla in alcuni verbali anche Giuliano Pirozzi, gola profonda del clan Mallardo. In particolare il collaboratore di giustizia ricostruisce il suo profilo criminale e gli interessa che aveva nell'affare del Mog. "D'Alterio Agostino era il più stretto collaboratore della famiglia Picardi e di Patrizio Picardi, con lui si dedicava oltre alla attività del mercato era lui che gli faceva da collante per tutti gli appuntamenti la mattina organizzavano anche truffe assicurative tra di loro, dove i soldi venivano versati sul conto di ... alla filiale del Banco di Napoli di Corso Campano zona Selcione e non venivano controllati perché c’era un cassiere infedele che si chiamava un certo ...., loro avevano numerosi interessi in comune tra di loro. D'Alterio Agostino prima di collegarmi a Picardi era l'uomo di fiducia di Giuliano Amicone, tanto è vero che con lui aveva anche una società di colorificio in Corso Campano se non erro si chiamava ....., che successivamente loro intestarono a ..... Quindi è sempre stato in affari con il clan Mallardo. Nel 2012 da quando Patrizio aveva preso la reggenza era diventato il suo uomo di fiducia e si faceva aiutare soprattutto dal figlio Antonio Picardi perché Patrizio Picardi psicologicamente si era creato una latitanza preventiva, visto che stavano succedendo tutti questi arresti preventivamente lui viveva da latitante e D’Alterio Agostino era sempre pronto a prendergli gli appuntamenti anche telefonici e quando si doveva fare qualche appuntamento lui diceva: Ti cerca l’Avvocato, ti cerca l’architetto, ti cerca Maria per fare capire... noi sapevamo in codice che era Patrizio Picardi". Secondo Pirozzi le mire di Agostino D'Alterio erano sul mercato della frutta di Giugliano e di Fondi.

di Antonio Mangione

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sabato 9 dicembre 2017

Napoli, il racconto del killer pentito: «Ho riempito Napoli di coca. ​Ecco il sistema delle puntate»

di Leandro Del Gaudio

Quando ripensa alle «puntate» di cocaina sui carichi provenienti dall'Olanda o dal Sudamerica, non ha dubbi: «Abbiamo riempito Napoli di droga», grazie a un sistema di approvvigionamento simile che ha lo stesso ritmo della borsa. Parla delle «puntate», un modo per scommettere a distanza di migliaia di chilometri sulla capacità di un carico di droga - la cocaina viene misurata in chili - di passare di mano in mano, di varcare la frontiera, di resistere alle maglie della giustizia, quasi sempre attraverso pacchi nascosti in vetture e autocisterne che dal Sudamerica arrivano nei Paesi bassi, prima di finire a Napoli. E una volta da queste parti, quei chili di cocaina su cui i nostri scommettitori hanno puntato mettendoci moneta sonante, si trasformano in oro e morte: soldi per chi ci ha creduto, per chi ha la forza di tagliare quel prodotto grezzo, ma anche morte per quelli che vanno ad acquistare la roba dai pusher e nelle piazze di spaccio locali.

Eccolo Mariano Torre, uno che prima di fare il pentito, è stato killer scelto del gruppo di morte che ha seminato terrore a Napoli per conto di Carlo Lo Russo, ma prima ancora faceva il cassiere della potente cosca che ha governato Napoli almeno fino al 2011. Ed è nella sua nuova vita di pentito, che Mariano Torre ricostruisce il sistema delle puntate, firmando accuse contro i grandi broker della cocaina, quelli che portano lo stupefacente a Napoli, per passare poi ai quadri intermedi e ai pusher che operano nelle singole piazze. Uno spaccato economico che resta vivo, quasi a dispetto della mole di arresti e sequestri consumati in questi anni sotto il coordinamento della Dda di Napoli. Si parte da un dato numerico quasi inamovibile, quello legato al prezzo di un chilo di cocaina che si attesta a quota 32mila euro, non un centesimo in meno: soldi che servono a sbloccare un chilo di cocaina purissima, che entra a Napoli per essere trattata e che rende in modo esponenziale, se si pensa che una dose oggi costa in media trenta euro. Hanno riempito Napoli di coca, ha spiegato Mariano Torre, anche se la svolta della sua vita non è riconducibile al suo ruolo di cassiere o di organizzatore di puntate sui mercati olandesi o sudamericani, ma ai momenti in cui ha deciso di premere il grilletto. Ha ucciso Genny Cesarano, Mariano Torre. È tra i quattro condannati all'ergastolo, secondo la sentenza firmata dal giudice Vecchione (gli altri sono Antonio Buono, Ciro Perfetto, Luigi Cutarelli, Mariano Torre (mentre sedici anni sono stati inflitti al boss pentito Carlo Lo Russo), ma nella sua carriera non c'è solo il 17enne colpito per errore durante un'azione dimostrativa alla Sanità. Ci sono anche altri omicidi che ha confessato sin dalle prime battute della sua collaborazione con la giustizia, in uno scenario scandito da «stese» (plateali caroselli di spari contro palazzi o finestre di edifici), di appostamenti, morti ammazzati. Ha spiegato Mariano Torre: «Prima che uscisse Carlo non avevo mai ucciso nessuno, per questo dico che i Lo Russo mi hanno rovinato la vita e Carlo Lo Russo in particolare. Prima della sua scarcerazione facevo già parte del clan, mi occupavo di droga ed estorsioni ma non avevo mai ucciso nessuno, ho solo partecipato all'agguato a Francesco Sabatino, nel periodo in cui Salvatore Scognamiglio aveva fatto la scissione, o meglio, aveva tentato di estromettere Antonio Lo Russo dal comando del clan».

Seguono pagine di «omissis», al termine del primo interrogatorio reso dinanzi al pm Enrica Parascandolo, magistrato in forza al pool anticamorra del procuratore aggiunto Filippo Beatrice. Droga, affari e omicidi, dunque. Il killer pentito va avanti: «Mi viene chiesto se abbia avuto rapporti con Ettore Bosti di Nunzio, cugino di Ettore Bosti, genero di Mario Lo Russo e dico che lo conosco bene, perché è il cognato di Luciano Pompeo: Ettore faceva le puntate di droga dall'Olanda, erba e cocaina, insieme ad un altro ragazzo che ci ha detto essere suo cugino; Ettore faceva puntate di droga assieme a Vincenzo Lo Russo e a Marco Corona».

Ma non si parla solo di droga e di morti ammazzati, nel racconto di Mariano Torre. Ci sono anche investimenti sospetti fatti a Roma o appartamenti comprati nel centro di Napoli, nel costante tentativo da parte del clan di ripulire i proventi di racket e narcotraffico. Non mancano riferimenti a strategie processuali, come la storia delle confessioni-dissociazioni che avvengono nelle aule, in vista di una probabile condanna. Anche Mariano Torre insiste sul concetto della «mano alzata in aula», con il tentativo di confessare le accuse mosse dalla Dda: senza accusare altri componenti del commando, una sorta di invocazione al perdono, nel tentativo di eludere l'ergastolo.

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venerdì 1 dicembre 2017

Nuove alleanze, intimidazioni e minacce: la strategia di morte dei Mazzarella per prendersi tutta Napoli


di Stefano Di Bitonto


NAPOLI. Che il clima fosse cambiato lo si percepiva da tempo. Da San Giovanni a Teduccio al Mercato passando per i Quartieri spagnoli: è un Risiko ad ampio raggio quello che sta spingendo i Mazzarella di nuovo, e prepotentemente, sulla scena criminale. Una 'restaurazione' di quel potere che all'inizio degli anni Duemila era secondo solo a quello dell'Alleanza di Secondigliano forte (allora) dei legami con i Misso, i Di Biase, gli Elia del Pallonetto. Altri anni, altre storie, adesso ci sono nuove alleanze e soprattutto nuovi 'modelli di governance'. Criminale, s'intende. 

Il primo fronte degli eredi di Michele 'o pazz è naturalmente il Mercato dove da mesi è in atto la guerra contro i Rinaldi delle Case Nuove: una guerra combattuta non soltanto a colpi di pistola ma anche con minacce e provocazioni. L'ultima, dieci giorni fa, quando alcuni giovani legati a quello che viene indicato come il ras emergente della cosca, hanno 'sfilato' con le loro moto sotto casa di un pregiudicato dei Rinaldi 'invitandolo' a scendere. In ballo c'è il fiorente mercato delle sostanze stupefacenti del centro storico e della zona di via Marina che in questi anni è stato dominato dagli uomini del boss Ciro Rinaldi detto 'My way'. Altra 'zona calda' sono i Quartieri spagnoli: qui l'alleanza è con la cosca emergente dei Masiello, un patto che dipinge uno scenario a tinte fosche. Dall'altra parte i Ricci-Saltalamacchia con l'appendice dei Ferrigno: da queste famiglie, secondo le ultime informative, sarebbe partita la spedizione armata di via Figurelle a Montecalvario, cui è seguita nella notte la riposta in via Speranzella da parte di un gruppo misto in cui ci sarebbero stati alcuni sicari provenienti da San Giovanni a Teduccio e dal famigerato Rione Luzzatti.

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lunedì 27 novembre 2017

Ricordate Danielino di Gomorra? Dall'arresto alla foto con lo spinello, da stella a meteora in pochi mesi

gomorra danielinoNAPOLI. Ricordate Danielino? Non è passato poi tanto tempo dalla primavera del 2014 quando il giovanissimo Vincenzo Sacchettino diventò famoso interpretando un ragazzetto di Scampia pronto a tutto per fare carriera.
Eppure in tre anni la vita di Sacchettino ha attraversato alti e bassi da paura, dalla notorietà di qualche estate fa, all'anonimato dei giorni nostri.
Si era ritrovato attore quasi per gioco, assoldato per interpretare sul piccolo schermo quella che è la realtà vissuta in prima persona. Viveva a ridosso delle Vele con il fratello e quando Gomorra lo prese non riuscì più a uscirne. Decise di lasciare la scuola, neanche la comprensione degli insegnanti lo spinge a riprendere il percorso didattico. Eppure qualche anno prima aveva idee completamente diverse, nel libro di Paolo Chiariello 'I sogni son desideri', pubblicato nel 2011, erano stati raccolti una serie di temi, tra cui quello di Vincenzo. Danielino voleva riabbracciare i genitori, all'epoca in galera, ed andare a vivere con loro lontano da Napoli. «Io ho più di un sogno — scriveva Sacchettino — da grande vorrei rimanere a vivere con mio padre e mia madre visto che l'infanzia non la sto passando con loro. Sogno che quando usciranno dal carcere andremo a vivere tutti insieme, lontano da Napoli. Quando sarò grande non farò mai l'errore di mio padre. Non vale la pena di buttare via la vita in una cella o peggio in una bara per i soldi». 
Nonostante ciò Vincenzo in cella ci è finito ugualmente. Non una cella convenzionale ma in una stanza del centro di accoglienza dei Colli Aminei. Una volta finite le riprese, il ragazzino è dovuto tornare tristemente alla realtà, senza più film da girare. Aveva sperato di diventare attore professionista, si aspettava di essere tenuto in considerazione dalla produzione della seri Tv ed invece nulla.
Nonostante i professori lo avessero ammesso all’esame finale a scuola, Danielino non solo non si presentò ma si rese protagonista di una rissa avvenuta alla stazione conclusasi con una coltellata che lo portò a ritrovarsi, ancora minorenne, già nei guai con la giustizia. 
Da quel momento, passato il clamore di Gomorra, è ricominciata la solita vita per Sacchettino, lontano dallo schermo che conta e sempre più vicino alla realtà periferica dell'area a nord di Napoli.
Le ultime notizie su di lui non sono recenti ma di certo l'adolescente di Gomorra non c'è più. L'adolescente ha fatto spazio ad un giovane perso tra i vizi come le droghe leggere, come dimostra una foto pubblicata dallo stesso Sacchettino un'estate fa dove posa con uno spinello in bocca poggiato ad un tavolo con cartine ed una bustina di erba.

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Camorra nel Napoletano: “stesa” a Forcella, tre raid in stile “Gomorra” a Pozzuoli

Colpi d’arma da fuoco esplosi nel rione Forcella di Napoli. Gli agenti della polizia hanno ritrovato, tra Vico Zuroli e Via Vecchia Vicaria, due bossoli ma al momento non risultano persone coinvolte. L’area di Forcella si trova nel cuore della città e, da ormai due anni, è protagonista di una faida tra il gruppo dei Giuliano, eredi dei boss che negli anni Novanta gestivano buona parte dei traffici illeciti di Napoli, e i Mazzarella, che dalla zona del Mercato hanno sempre avuto spinte verso il centro di Napoli, per conquistare i traffici di droga.

A pochi passi dalla scuola e dalla biblioteca dedicati ad Annalisa Durante, una ragazzina di appena 14 anni che il 27 marzo 2004 morì colpita per sbaglio da un proiettile perché il vero obiettivo di quello scontro a fuoco era Salvatore Giuliano, detto “‘o russo”. Proprio lì si è tornato a sparare. Sul posto sono accorse le volanti della polizia per ricostruire l’accaduto, a seguito di una segnalazione di esplosioni d’arma da fuoco. A sparare sarebbero state due persone a bordo di un scooter. Non risultano feriti ma non ci sono altre certezze. Gli investigatori stanno tentando di ricostruire la dinamica.

A Pozzuoli tre intimidazioni in stile “Gomorra” – Tre Raid in stile “Gomorra”, invece, a Pozzuoli, in località Monteruscello, due persone in sella ad una moto – il guidatore a volto coperto ed il passeggero armato di mitragliatrice – in via Pierpaolo Pasolini hanno sparato nove colpi di pistola contro un furgone di un commerciante, in sosta sotto la sua abitazione. Poi lo hanno cosparso di benzina, ma senza appiccare il fuoco. In seguito, in via Umberto Saba, hanno esploso dieci colpi d’arma da fuoco contro un 55enne ritenuto affiliato al locale clan camorristico dei Longobardi-Beneduce mentre si trovava fuori da un bar. L’uomo è rimasto illeso. In via de Curtis, poi, hanno avvicinato un 40enne titolare di un bar al quale hanno mostrato la mitragliatrice e gli hanno intimato di riferire, verosimilmente agli appartenenti al clan, che li avrebbero uccisi tutti. I carabinieri di Pozzuoli hanno trovato 15 bossoli, ogive e una bottiglia per il trasporto della benzina. Secondo i militari, responsabili dei raid sono verosimilmente sempre le stesse persone.

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mercoledì 22 novembre 2017

No al pizzo e all'usura: passeggiata antiracket nelle vie dello shopping

PORTICI. Una passeggiata per le vie dello shopping, uniti per dire no al pizzo e all’usura. Domani mattina la 6° edizione della «Passeggiata antiracket» organizzata dall’«Associazione Antiracket Fai Portici Giovanni Panunzio», presidente Ciro Maglioli con il patrocinio morale della Città di Portici. Associati, religiosi, forze dell’ordine tra carabinieri, polizia e guardia di finanza, cammineranno per le strade principali della città per far sentire la presenza della legalità sul territorio e per comunicare ai commercianti, anche a coloro che ancora non hanno denunciato i proprio estorsori, che «facendo rete» è possibile contrastare le sopraffazioni.

«Entreremo in una cinquantina di negozi – ha detto padre Giorgio Pisani, parroco della chiesa Sacro Cuore di Gesù e assistente spirituale dell’Associazione Antiracket – e faremo capire a tutti i commercianti, anche i più reticenti che noi, come le forze dell’ordine, non li lasciamo soli. Bisogna essere cittadini consapevoli, denunciare ogni forma di ingiustizia, seminare legalità per una città da amare e custodire».

L’associazione «Giovanni Panunzio» è nata nel 2013 in onore dell’omonimo imprenditore foggiano che fu ucciso dalla malavita perché non volle sottostare ai soprusi e non accettò di pagare il pizzo. Il messaggio che cerca di portare avanti è quello del «consumo critico», con il motto «Pago chi non paga» e ciò col tentativo di orientare i cittadini ad acquistare negli esercizi commerciali in cui si denuncia il pizzo, così da inculcare una mentalità incentrata sulla giustizia e sulla ribellione alle angherie.

La passeggiata partirà alle ore 9.30 di domani dalla Chiesa della Salute in Via Verdi e procederà per: via Verdi, piazza Poli, via Gravina, via Malta. Parteciperanno le forze dell’ordine del territorio, il presidente Fai Antiracket Tano Grasso, Luigi Ferrucci presidente Fai del Coordinamento Campano Antiracket, il giornalista Sandro Ruotolo, Associazione AntiUsura Don Pino Puglisi, Comitato Beni Comuni, Gas Mether Ghe, Centro Giovani Agorà, Comunità Scout Portici IV., altre associazioni, comunità religiose e tutti i cittadini che intendono accodarsi. 
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venerdì 10 novembre 2017

Vittima innocente di camorra, giustizia per Genny. I camorristi chiedono perdono: «Siamo stati noi»

NAPOLI. Hanno chiesto perdono. Hanno ammesso la colpa. Hanno sparato anche loro a Genny Cesarano, il ragazzino al quale la Sanità ha dedicato un monumento nella piazza principale, morto il 6 settembre 2015, vittima innocente della camorra che fa fuoco e uccide anche chi non c'entra. "Ero venuto al processo per giocarmela - ha detto l'imputato Mariano Torre nella sua appassionata dichiarazione resa dopo la requisitoria del pm - ma di fronte al padre di quel ragazzo presente in aula non me la sento di negare che c'ero anche io quella sera, nel gruppo che ha sparato". 
Questo potrebbe trasformare l'ergastolo chiesto per loro dal pm in una condanna con attenuanti generiche. Nel corso di un'udienza alla quale, come per tutte le altre, era presente in aula il padre di Genny, Antonio, i due alla sbarra, Mariano Torre - assistito dall'avvocato Sergio Morra - e Luigi Cutarelli, hanno chiesto scusa alla famiglia della vittima. Con Ciro Perfetto e Antonio Buono attenderanno la sentenza annunciata per il 6 dicembre. 
In parte prevedibile, l'ammissione degli addebiti e la richiesta di perdono dei due imputati sotto esame ieri, dopo quella già fatta da Perfetto, prima della requisitoria del pm della Procura di Napoli Enrica Parascandolo. La ricostruzione dell'omicidio non cambia, è la stessa che conosciamo. Il raid armato fu ordinato da Carlo Lo Russo, ex boss del quartiere di Miano, ora collaboratore di giustizia, che in una delle sue prime confessioni aveva raccontato di aver chiesto ai suoi ragazzi "una stesa per punire l'offesa del capoclan avversario, Pietro Esposito ", che venne ucciso l'anno dopo, responsabile a sua volta di una "stesa" dimostrativa al rione don Guanella, sempre a Miano, la zona dove pure risiedono i "Capitoni" Lo Russo. 
Cutarelli, che ha vent'anni e ha già un ergastolo a suo carico, e Torre - stessa pena - ieri mattina, prima delle discussioni dei difensori, hanno ammesso di aver partecipato all'omicidio. È stata anche data parziale lettura in aula di una lettera inviata ai giudici da Lo Russo, che, dopo aver detto di essere stato il mandante della sparatoria, aveva sostenuto che "pur di portare il risultato a casa, i ragazzi avevano sparato all'impazzata in quella che doveva essere una stesa", colpendo così a morte il diciassettenne mentre tentava di mettersi in salvo fuggendo - riporta Repubblica - Nella lettera di ieri il collaboratore di giustizia, che aveva anch'egli chiesto scusa alla famiglia di Genny, ha sottolineato stavolta che "teme per la propria incolumità". All'esame dei giudici è ancora tutto da decifrare il comportamento processuale dell'ex boss. Il quarto imputato, Antonio Buono, al momento resta fermo nel proposito di non confessare. Ma c'è l'ultima udienza, prima della sentenza, il 6 dicembre. 
In aula anche il presidente della Municipalità San Carlo Arena, Ivo Poggiani. "Oggi questi ragazzi chiedono perdono - ha scritto in un post sul suo profilo Facebook - alcuni di loro seppur ancora giovanissimi hanno già altri ergastoli sulle spalle, ma che sia vero o no il loro pentimento, passeranno tutta la vita in galera. È un fatto". Non si è risparmiato quest'altro dolore il padre di Genny, Antonio Cesarano: "Perdono? Non ho tempo, non faccio altro che pensare a Genny e preparo l'associazione intitolata a lui per sottrarre i ragazzi alla camorra".

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«Maximall Pompeii», 150 milioni di investimento e 1500 nuovi posti di lavoro nel primo anno

Un investimento di 150 milioni di euro con la nascita di 1500 nuovi posti di lavoro. I numeri del progetto Maximall Pompeii, che sarà presentato al Mapic di Cannes il 15 novembre, definiscono le dimensioni e le caratteristiche del centro commerciale polifunzionale che sarà realizzato da IrgenRe Group, una delle più importanti aziende italiane attive nel mercato dello Sviluppo e della Gestione Immobiliare per il settore commerciale. Con una vocazione ultramoderna, immaginato e progettato dal pluripremiato studio Design International, sorgerà nei pressi dagli scavi archeologici più famosi del mondo.
Il mega centro commerciale polifunzionale, che sarà realizzato entro il 2019, si sviluppa su un’area di 200mila metri quadrati, nella quale sorgerà anche un hotel 4 stelle con 120 camere doppie, un cinema di 3mila metri quadrati con 8 sale proiezione, 24 ristoranti distribuiti su 4mila metri quadrati. Ancora, una piazza-anfiteatro per eventi di 5.500 metri quadrati e una piazza multimediale di 2mila metri quadrati, con un parcheggio nel quale potranno trovare posto 4mila auto. Intorno al Maximall Pompeii, si svilupperà un’area di 27mila metri quadrati di verde pubblico con 15mila metri quadrati di parco. «La scelta del sito – spiega Paolo Negri, amministratore e titolare di IrgenRe Group - è stata confortata dallo studio che abbiamo commissionato a CACI che riconosce all’intervento Maximall Pompeii la possibilità di realizzare numeri entusiasmanti, ovvero circa 12milioni di visitatori già dal primo anno e oltre 350milioni di fatturato». Ma anche una fontana danzante all’interno della Piazza Food le cui dimensioni si estenderanno per circa 110m in termini di larghezza e circa 75m in termini di lunghezza, richiamando il design della vicina e famosa Piazza del Plebiscito.

Sulla copertura del centro prenderà vita un vero e proprio parco urbano, sul quale sarà possibile fare jogging e godersi momenti di relax. Il Maximall Pompeii si svilupperà su due livelli, che ospiteranno oltre 200 negozi con le più importanti griffes internazionali e nazionali, il tutto abbinato alle eccellenze della sartoria campana, garantendo e ampliando l'offerta del “lusso accessibile”. Il vero elemento di novità, fortemente identitario, sarà costituito dall'area food che darà vita a un nuovo concept in grado di offrire ai consumatori l'opportunità di una piacevole pausa dopo lo shopping nonché di pranzare o prendere un aperitivo dopo il lavoro.

«Noi vogliamo dare luogo ad un punto di incontro con una formula nuova dettata dalla presenza anche di chef stellati che possano offrire all’interno di Maximall Pompeii alcune loro specialità a un prezzo accessibile. Una sorta di food low cost - non a discapito della qualità - in grado di regalare momenti di felice seduzione a quanti potranno godere dell’opportunità di vivere quella che noi ci auguriamo possa diventare un’imperdibile esperienza», continua Paolo Negri. I lavori, partiti lo scorso mese di ottobre con la posa della prima pietra, si concluderanno entro il 2019. «Maximall Pompeii sarà food, eccellenze territoriali, brand Internazionali, l’orgoglio della moda Italiana, un vero e proprio centro di attrazione per la Regione Campania – spiega Francesco Furino, Managing Director della Irgen Retail Management, la società di gestione e commercializzazione facente capo a IrgenRE Group che annovera a sé i centri a brand Maximall e il Cilento Outlet - il tutto guidato da un team di specialisti del settore, dal Turismo al Retail, che garantirà un’esperienza unica e imperdibile, in una logica di Shopping Life Experience».

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venerdì 20 ottobre 2017

Ucciso per un'amicizia scissionista. Il pentito: «Gli ha sparato in testa il figlio di Ciruzzo il Milionario»

NAPOLI. Compare anche il nome di un Di Lauro tra l'elenco dei killer che nei mesi della prima faida di Scampia coprirono di sangue i quartieri di Secondigliano, Scampia ed i comuni dell'area a nord di Napoli. 
Secondo quanto riferito dai due super pentiti Gennaro Notturno, alias o' sarracino, e Pasquale Riccio, l'unico 'milionario' a sparare durante lo scontro tra Di Lauro e Scissionisti sarebbe stato Nunzio, figlio di Paolo e fratello del pericolosissimo latitante Marco. 
A cadere sotto i colpi del figlio di Ciruzzo sarebbe stato Emanuele Leone, freddato il 27 dicembre del 2004 nei pressi del rione Berlingieri, a Secondigliano. Leone aveva 21 anni e fu eliminato a causa della vicinanza a Carmine Pagano, nipote di Cesarino, capo del clan degli Scissionisti. 
«La vittima era un amico di Carmine Pagano, detto “Angioletto” - ha riferito uno dei due collaboratori di giustizia agli inquirenti - Si diceva che l’autore fu Nunzio Di Lauro che è l’unico dei figli di Di Lauro che hanno sparato. Gli altri mai». L'omicidio fu messo a segno in via Monte Nevoso, una traversa di Via dello Stelvio, a pochi metri da una chiesa. 
Il giovane non aveva grossi precedenti penali, l'unica macchia un arresto per furto avvenuto in età adolescenziale. Quando fu raggiunto dai sicari, Leone era in sella a una moto Honda di proprietà di un suo amico. I sicari gli spararono diversi colpi di pistola ravvicinati, alcuni dei quali alla testa che non gli lasciarono scampo.

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Clan Gionta, mamma sputò sui sicari del figlio e fu uccisa: ergastolo al killer

Torre Annunziata. Il clan Gionta le aveva ucciso il figlio, la mamma coraggio affrontò con disprezzo quegli assassini, ma poco tempo dopo fu ammazzata lei stessa da altri sicari dei «valentini». Ieri, per il killer 45enne Umberto Onda è arrivato l'ergastolo perché ritenuto l'esecutore materiale dell'efferato omicidio di Anna Barbera, 63 anni, punita per l'affronto al clan. Stessa condanna anche per Alfonso Agnello, il 52enne soprannominato «chiò chiò», il primo accusato (poi subito scagionato) dell'omicidio di Giancarlo Siani, il cronista del Mattino ucciso nel 1985: lui è stato condannato perché ritenuto tra i responsabili dell'omicidio di Vincenzo Amoretti, alias «banana», 25enne affiliato al clan Gallo-Cavalieri, ucciso nel sonno il 24 aprile 2007 dal commando di finti poliziotti. La sentenza di primo grado è stata emessa ieri dalla Corte d'Assise di Napoli presidente Alfonso Barbarano che ha accolto le richieste dell'Antimafia, condannando entrambi i killer del clan Gionta al «fine pena mai».
Per Onda, ex primula rossa dei valentini e a lungo reggente del clan, è l'ennesimo ergastolo. Sta già scontando il carcere a vita ad Opera (Milano) perché accusato di altri omicidi durante la lunga faida con i Gallo-Cavalieri, che tra il 2006 e il 2009 ha segnato una lunghissima scia di sangue a Torre Annunziata. Già accusato di essere l'esecutore materiale di diversi agguati di camorra, stavolta Onda è stato incastrato dai racconti di alcuni collaboratori di giustizia, tra cui Michele Palumbo «munnezza», il suo ex braccio destro, che lo ha accusato di essere l'autore materiale dell'omicidio di Anna Barbera. La donna, con piccoli precedenti, era la madre di Umberto Ippolito, ammazzato il 22 febbraio 1994 proprio sotto casa della madre: pochi giorni dopo, avrebbe dovuto testimoniare in un processo a carico di Luigi Limelli, boss del clan di Boscotrecase. Ad autoaccusarsi di questo delitto fu Salvatore Barbuto, altro pentito del clan Gionta. Lei, una volta conosciuti gli assassini di suo figlio, li affrontò in aula, sputando verso di loro ed insultandoli. Un disprezzo pagato con la vita, qualche settimana dopo, il 12 marzo 2004. Aniello Nasto, alias «quarto piano», anche lui pentito e già condannato in abbreviato a 10 anni di reclusione per lo stesso omicidio, guidava lo scooter Honda SH 150 blu che affiancò la Fiat Cinquecento rossa della donna in via Vesuvio, tra Torre Annunziata a Trecase. A sparare, questa è la tesi, fu proprio «Umbertino» Onda che esplose gli ultimi due colpi alla tempia con una pistola calibro 9 luger.

Tredici anni dopo l'omicidio della donna che si era ribellata al clan Gionta, arriva la condanna di primo grado per chi avrebbe premuto il grilletto senza pietà, ammazzandola solo perché aveva avuto il coraggio di rinfacciare agli ex «amici» del figlio (ritenuto proprio un uomo della droga dei valentini) quel tradimento. Nell'ambito dello stesso processo, è stato condannato all'ergastolo l'altro killer che si era finto poliziotto per ammazzare nel sonno il rivale dei Gallo-Cavalieri. Agnello, infatti, avrebbe preso parte a quella spedizione di morte: i killer svegliarono la moglie di Amoretti nel cuore della notte e si fecero portare in camera da letto, fingendosi poliziotti in un blitz. Poi lo ammazzarono in quella stanza. Anche in questo caso, preziosa è stata la collaborazione del pentito Palumbo.

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sabato 14 ottobre 2017

Uccisi e sciolti nell'acido, chiesti sei ergastoli per boss e killer di due clan

di Viviana Lanza

Attirati in una trappola con un appuntamento nella sala biliardo, uccisi, seppelliti in un terreno alle spalle delle palazzine di via Janfolla a Miano e tre anni dopo fatti sparire per sempre nell’acido. È una ricostruzione da brividi quella del duplice omicidio di Massimo Frascogna e Ruggiero Lazzaro, affiliati al clan Amato-Pagano scomparsi dieci anni fa. Il pubblico ministero della Dda Enrica Parascandolo l’ha ripercorsa in aula, concludendo la sua requisitoria con una richiesta di ergastolo per i sei imputati a processo. Il massimo della pena è stato chiesto per Cesare Pagano, capo degli scissionisti, per Oscar Pecorelli e Raffaele Perfetto, Rito Calzone, Giuseppe Gallo e Mario dell’Aquila. Venti anni di reclusione è la condanna chiesta invece per i collaboratori di giustizia Antonio Lo Russo e Biagio Esposito. Il processo si svolge con rito abbreviato davanti al giudice Luisa Toscano. La parola ora passa alla difesa, tra gli altri i difensori gli avvocati Domenico Dello Iacono, Annalisa Senese, Luigi Senese. E per fine mese è attesa la sentenza.
Delle due vittime si persero le tracce la sera del 26 luglio 2007. Le indagini ipotizzarono la matrice camorristica ma è stato con il pentimento di un ex uomo degli scissionisti e del giovane ex boss di Miano che è stato possibile chiudere il cerchio. Nella ricostruzione che è stata fatta, Frascogna e Lazzaro erano due sentinelle impegnate nelle piazze di spaccio gestite dagli Amato-Pagano. Erano sospettati di aver picchiato un ragazzo senza motivo e per questo il boss decise di eliminarli. Epurazione interna, dunque. A quel tempo gli scissionisti avevano un accordo con i Lo Russo in base al quale potevano scambiarsi i killer per le loro azioni di sangue. Fu così che Lo Russo accettò di far uccidere le due sentinelle per conto di Pagano. E’ questa l’accusa.

Per attirare i due giovani nella trappola si pensò di far credere loro che Cesarino era disposto a chiudere un occhio su quel pestaggio. Frascogna e Lazzaro uscirono di casa in moto. Si recarono all’appuntamento sereni ma appena misero piede nel locale, uno dopo l’altro, furono uccisi a colpi di pistola. Il loro sangue macchiò solo il grande tappeto che il commando aveva usato per coprire il pavimento della sala e fare più presto a eliminare tracce.
 cadaveri furono seppelliti in un terreno dietro le case popolari di via Janfolla. Quando tre anni dopo, a novembre 2010, il capo della camorra di Miano Salvatore Lo Russo, padre di Antonio, iniziò a collaborare con la giustizia si ebbe il timore che qualcun altro potesse pentirsi e indicare il nascondiglio dei due cadaveri. Antonio Lo Russo ha spiegato da pentito questa fase del piano criminale: «Ero latitante, mi trovavo in Polonia e ordinai di spostare i corpi e di scioglierli nell’acido - ha ricordato - Per farmi sapere che il servizio era stato fatto doveva scrivermi “abbiamo trovato mia cugina Rosa”». Andò tutto secondo i piani. E con una mail il capo fu avvisato della definitiva distruzione dei due corpi.

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I SUPER BOSS DEL WEB: I veri camorristi sono 36: da Lello Amato a Paolo Di Lauro, ci sono anche 3 donne nella lista stilata da Wikipedia

INTERNAPOLI. Da Lello Amato a Paolo Di Lauro, passando per Bidognetti, Schiavone, Iovine e Zagaria. E' il territorio compreso tra l'area nord di Napoli e L'Agro Aversano a farla da padrona su Wikipedia. L'enciclopedia virtuale sotto la voce 'camorristi' annovera soltanto 36 superboss, di cui tre donne. Ci sono anche i casalesi Giuseppe Setola, Domenico e Francesco Bidognetti, Antonio Iovine, Francesco Schiavone e Michele Zagaria, ma non solo. 

Di seguito riportato l'elenco completo visibile su Wikipedia: Carmine Alfieri, Raffaele Amato, Umberto Ammaturo, Antonio Bardellino, Alberto Beneduce, Domenico Bidognetti, Francesco Bidognetti, Pasquale Barra, Rosetta Cutolo, Vincenzo Casillo, Mario Caterino, Edoardo Contini, Mario Cuomo, Raffaele Cutolo, Marco Di Lauro, Paolo Di Lauro, Pasquale Galasso, Guglielmo Giuliano, Luigi Giuliano, Salvatore Giuliano, Antonio Iovine, Gennaro Licciardi, Alfredo Maisto, Assunta Maresca, Anna Mazza, Vittorio Nappi, Giuseppe Puca, Pasquale Russo, Carmine Schiavone, Francesco Schiavone, Pasquale Scotti, Giuseppe Setola, Pasquale Simonetti, Antonio Spavone, Michele Zagaria e Michele Zaza.

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giovedì 12 ottobre 2017

Paranza dei bambini a Forcella, pentito accusa anche suo figlio

Accessori e abiti di false griffe e buste, quelle bianche in plastica comunemente usate come shopper usa e getta, imposte agli ambulanti. Era questo il tesoro a cui puntavano i babyboss del centro storico, la cosiddetta «paranza dei bimbi», che tre anni fa decisero di imporsi con stese e omicidi per lanciarsi alla conquista di Forcella e dintorni. Non c’era solo il controllo delle piazze di spaccio nei vicoli nei loro progetti. Per diventare ricchi e fare i camorristi, quei giovani avevano pensato di mettere le mani anche sul grande business dei falsi alla Maddalena.
«Rendeva 14mila euro a settimana» ha raccontato Vincenzo Amirante, un tempo camorrista e oggi collaboratore di giustizia. Da pentito ha puntato l’indice anche contro il figlio: «Ho fatto parte del gruppo criminale inizialmente costituito dai Sibillo, dai Giuliano e da mio figlio Salvatore». E sull’omicidio di Maurizio Lutricuso, ucciso per una sigaretta negata nel 2014 davanti a una discoteca a Pozzuoli, ha raccontato: «Fu commesso da Vincenzo Costagliola per futili motivi mentre a vantarsene era il ragazzo che stava con lui e che è stato condannato».

Per questo delitto Costagliola è stato condannato a sedici anni in primo grado come istigatore e il sedicenne che era con lui a 23 anni di carcere come esecutore. Ora le dichiarazioni del neo collaboratore di giustizia sono entrate nel processo d’appello al gruppo Sibillo-Giuliano-Amirante-Brunetti, la «paranza dei bimbi». 

Il gruppo è stato protagonista di una feroce stagione di sangue e terrore tra i vicoli del centro storico. Progettava di riportare Forcella ai fasti criminali degli anni Ottanta e raccoglieva affiliati tra ragazzi adolescenti o poco più, affascinandoli con lo slogan «Forcella ai forcellani» e motivarli alla guerra contro i Mazzarella e contro chi, per conto della storica cosca, gestiva il malaffare tra i vicoli.

L’inchiesta condotta dai pm antimafia Francesco De Falco e Henry John Woodcock ha portato in primo grado alla condanna di capi e gregari della «paranza». E ora che è in corso il processo d’appello, il fascicolo si arricchisce delle dichiarazioni di Vincenzo Amirante, padre di quel Salvatore che viene indicato come uno dei protagonisti del cartello di giovani criminali. Ai pm della Dda Amirante senior ha descritto i ruoli all’interno del clan inizialmente formato dai Sibillo e dai rampolli della famiglia Giuliano.

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martedì 10 ottobre 2017

L'Europa dichiara guerra a Marco Di Lauro, l'appello: «Aiutateci a trovare il superlatitante»


NAPOLI. «Aiutateci a trovare il latitante», è l'appello della rete europea ENFAST (European Network Fugitive Active Search Team): network delle forze di polizia europee costituito per agevolare lo scambio di informazioni volte al rintraccio di latitanti. 

L’iniziativa, denominata “Summer campaign 2017”, consiste nell’invio di una cartolina postale al latitante individuato dallo Stato che, attraverso il seguente link www.eumostwanted.eu/summercampaign, conduce alla citata pagina web.

Il progetto si prefigge lo scopo di ripetere i successi ottenuti nel dicembre 2016, quando 3 latitanti di altri Stati esteri sono stati arrestati grazie ad informazioni anonime che singoli utenti del web hanno inviato alla forza di Polizia che aveva segnalato il fuggitivo. Dalla nascita del sito sono stati localizzati e arrestati 14 latitanti, tutti assicurati alla giustizia grazie a soffiate anonime. Attualmente, i latitanti italiani presenti nel sito sono: Matteo Messina Denaro; Giovanni Motisi; Marco Di Lauro – quest’ultimo oggetto dell’iniziativa in parola. 
L’unità nazionale FAST Italia è ubicata all’interno della Divisione S.I.Re.N.E. del Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia ed ha provveduto ad arrestare nel corso dell’anno 2017 già 4 latitanti a seguito dello sviluppo delle informazioni giunte dagli omologhi gruppi investigativi esteri, mentre ha assicurato alla giustizia italiana 8 latitanti ricercati dall’Italia e localizzati all’estero. 
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Piazze di spaccio degli Scissionisti, condanne ed assoluzioni per boss ed affiliati degli Amato-Pagano


di Antonio Mangione

MARANO-MELITO. Stangata per il gruppo degli Scissionisti maranesi legati al boss Mariano Riccio, genero di Cesare Pagano. Alla sbarra c'erano 33 imputati accusati di avere avuto un ruolo nel traffico di stupefacenti, così come scaturito dall’attività di indagine dei carabinieri di Marcianise sviluppatasi tra il 2012 ed il 2014 e che aveva colpito esponenti a vari titolo del clan degli scissionisti, egemone a Melito, Mugnano ed all'epoca dei fatti molto attivo anche a Marano. 
Il capo Mariano Riccio è stato condannato a 18 anni di reclusione con rito Abbreviato per traffico di droga. La richiesta del pm della DDA di Napoli Landolfi per il leader degli scissionisti di Marano era di 20 anni. 

Il gruppo gestiva per conto degli Scissionisti gestiva le piazze di spaccio della zona a Nord di Napoli e controllava le piazze di spaccio insediate a Melito nei rioni 219 e Parco Monaco. I militari individuarono il gruppo melitese perché riforniva anche un’altra organizzazione di Caivano. Gli inquirenti hanno accertato che Mario Iadonisi era il custode di ingenti quantità di droga che venivano smistate da Carmelo Borrello. Mariano Riccio, insieme ai maranesi Armando Di Somma, Castrese Ruggiero (difeso dall'avvocato Nunzio Mallardo) e Antonio Ruggiero rappresentavano il direttivo dell’organizzazione dedita al traffico di crack. 
Assolti Raffaele Frascogna e Michele Messina (entrambi difesi dall'avvocato Carlo Carandente Giarrusso) per i quali erano stati chiesti dal Pm rispettivamente 12 e 14 anni di reclusione. 

Ecco di seguito le decisioni del giudice 

Mariano Riccio 18 anni 
Giuseppe Aiello 10 anni e un mese 
Vincenzo Aletto 20 anni 
Massimiliano Aricò anni 20
Giovanni Ascione anni 8 e 8 mesi
Carmelo Borrello anni 12
Giuseppe Busiello anni 18
Antonio Caputo anni 7 anni e 4 mesi
Vittorio Crisonti anni 12
Vincenzo Esposito 6 anni e 4 mesi
Mario Iadonisi anni 20
Gaetano Milone anni 9 anni
Natale Perone anni 12
Riccio Mario anni 18
Ruggiero Castrese anni 18
Salvatore Stabile anni 18
Armando di Somma 20 anni


ASSOLTI 

Antonio Parolisi
Giuseppe Pezzella
Giuseppe Sica
Giuseppe Siviero
Raffaele Tessitore
Luigi Tufino 
Raffaele Frascogna (difeso dall'avvocato Carlo Carandente Giarrusso)
Raffaele Mauriello (difeso dall'avvocato Carlo Carandente Giarrusso) 
Armando De Simone
Raffaele Tufino
Saverio Panico
Alfonso Riccio (fratello di Mariano)
Ciro Cerqua
Giuseppe De Martino
Diego Ferrara
Giuseppe Colucci (difeso dall'avvocato Nunzio Mallardo)

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martedì 3 ottobre 2017

«Nun si nisciuno». Ucciso per aver offeso il figlio di Paolo Di Lauro: particolare choc sull'assassinio

NAPOLI. Voleva soddisfazione Pasquale Salomone e per farlo non aveva esitato a scomodare nientemeno che Cosimo Di Lauro. 
Il ras dei Licciardi quando si presentò mmiezz all'Arco non immaginava minimamente di poter essere freddato dalla risposta di Cosimino. 
Salomone era lì per chiedere l'autorizzazione a 'fare il morto'. Voleva vendicare l'uccisione di suo genero con l'eliminazione del colpevole: uno uomo dei Di Lauro. Uno degli infiniti uomini all'epoca al servizio di Ciruzzo il Milionario, ma ad ammazzare l'aspirante genero di Salomone, Domenico Fulchignoni , non era stato uno qualunque in quel caldo 28 luglio 2003.
Cosimo Di Lauro non esitò a svelare il nome del killer e lo fece con la sicurezza e la spavalderia che ha contraddistinto la sua storia criminale. "Vuoi ammazzare il killer di tuo genero? - riferì Di Lauro a Salomone - Vai, sta giù al portone. Lo trovi là, ad ammazzare Fulchignoni è stato mio fratello Nunzio. 
A riferirlo è il pentito Gennaro Notturno, che ha inoltre aggiunto che Salomone dovette così mandare giù la pillola e far ritorno a casa. 
Perché fu ammazzato? Stando a quanto riferito da alcuni collaboratori di giustizia a Fulchignoni costò cara una frase rivolta nei confronti di Nunzio Di Lauro. "Nun si nisciuno" - avrebbe urlato Fulchignoni nel corso di un accesa discussione all'indirizzo del figlio di Ciruzzo il Milionario, ancora minorenne all'epoca dei fatti. Un'offesa ricambiata con il sangue e mai vendicata dal papà della futura moglie.

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Un murale di 250 metri per Massimo Troisi

massimo troisi murale circumvesuviana
SAN GIORGIO A CREMANO – Il presidente della Regione Vincenzo De Luca, il sindaco Giorgio Zinno, il presidente Eav, Umberto De Gregorio, consiglieri regionali, amministratori locali ma soprattutto cittadini e appassionati di Massimo Troisi e Alighiero Noschese hanno preso parte all’inaugurazione del murale di 250 metri realizzato nella stazione Circum di Piazza Trieste e Trento.


Un evento che è stato più della presentazione di un’opera di street art alla città. Si è trattato, infatti, della celebrazione di due grandi artisti, la conferma della sinergia tra Eav e amministrazione comunale e, soprattutto, la tappa di un percorso che, nel nome di Massimo Troisi, sta coinvolgendo tutta la città restituendo dignità e bellezza a ad alcuni luoghi del territorio.


Gli artisti che hanno realizzato il capolavoro sono Rosk&Loste, della scuderia di Inward, Osservatorio sulla creatività urbana, gli stessi che hanno firmato i ritratti di Falcone e Borsellino a Palermo. L’opera è finanziata da Eav, su proposta del Primo Cittadino.


“Stiamo facendo un lavoro complessivo in tutta la città al fine di valorizzare il territorio e il patrimonio artistico. Partendo da Massimo Troisi  ed ora, allargando la visuale ad Alighiero Noschese, stiamo creando punti di interesse accessibili a tutti che ci rendano orgogliosi di essere sangiorgesi e diffondano il senso di appartenenza ad un territorio che produce arte e bellezza”, le parole del sindaco di San Giorgio a Cremano, Giorgio Zinno.

“Abbiamo riqualificato 12 stazioni negli ultimi 12 mesi e siamo in procinto di recuperarne altre 8 più degradate dell’hinterland napoletano – le parole di Umberto De Gregorio, Presidente Eav – L’inaugurazione di oggi fa parte di un progetto ambizioso grazie a cui, di concerto con la Regione Campania, recupereremo e ristruttureremo in maniera capillare circa 40 stazioni dell’EAV”.

“Massimo Troisi ha lasciato un profumo, una scia – dichiara il Direttore Artistico del Premio Troisi, Paolo Caiazzo – molte persone hanno inseguito il percorso artistico nel suo nome. In questo raggio che disegna una circonferenza attorno a San Giorgio a Cremano, si mettono in risalto tutte le persone del mondo dello spettacolo e del mondo tecnico che risiedono o hanno a che fare col territorio di San Giorgio a Cremano”.


“Si tratta di un appuntamento con la memoria, grazie all’accostamento opportuno a Troisi, leader della memoria di San Giorgio, con quella di Noschese, più antica poco lustrata rispetto al grande artista. E’ un invito a ricominciare da questa stazione che adesso ha del bello e non più soltanto vandalismo grafico. La memoria vive anche nelle cerniere che l’amministrazione istituisce con la comunità residente, cioè la toponomastica. In questo caso, speriamo che questa illustrazione dei loro volti favorisca ed accompagni le soste dei viaggiatori della Circumvesuviana” il commento di Luca Borriello, Direttore ricerca Inword, Osservatorio Nazionale Creatività Urbana che si è occupato della realizzazione grafica dei due murales.


Gli appuntamenti. A partire da Venerdì 6 Ottobre infatti, a Villa Vannucchi, vi sarà Eduardo Tartaglia (cui è stato anche affidata la direzione del laboratorio teatrale ad indirizzo comico cui parteciperanno giovani del territorio) che presenta il debutto nazionale del suo spettacolo teatrale.​ Sabato 7 Ottobre è la volta di Federico Salvatore che presenta lo spettacolo “Napocalisse”. Domenica 8 Ottobre, invece, Ciro Ceruti presenta la Cab-Commedia “I Nuovi Poveri”.

Da Venerdì 13 Ottobre via alla competizione: si terrà in quella data la prima semifinale che vedrà la partecipazione di sei attori comici. Durante la serata si esibiranno anche artisti già affermati quali Peppe Iodice, Marco Cristi, Enzo Fischetti e Sex & Sud, vincitrici dell’ultima edizione del Premio Troisi.

Sabato 14 Ottobre seconda semifinale con la partecipazione di altri sei comici: durante la serata previsti gli interventi di Paolo Caiazzo, Nando Timoteo, Peppe Laurato, Rosaria Miele, Mino Abbacuccio.​ Le due serate saranno condotte da Francesco Mastandrea e Mariasilvia Malvone

Domenica 15 Ottobre finalissima per individuare il vincitore del Premio Troisi tra i sei finalisti scelti dalla giuria: a condurre la serata Gianni Simioli (anche curatore della sezione Canzone Comica), con la partecipazione di Maria Bolignano, Ciro Giustiniani, Enzo & Sal e con gli interventi musicali di Andrea Sannino e Claudia Paganelli. Sul palco vi sarà anche l’intervento di un ospite nazionale: Angelo Pintus.

La giuria, che individuerà il miglior attore comico, sarà presieduta da Enzo De Caro (storico componente de La Smorfia) affiancato da Anna Pavignano, scrittrice e coautrice di Massimo Troisi. La giuria si completa con Gianni Parisi, Peppe Borrelli e Niko Mucci. Durante la serata finale gli artisti Ficarra e Picone ritireranno il Premio Massimo Troisi per il miglior film.

Tre le categorie che saranno premiate: Premio miglior attore comico, Premio migliore scrittura comica e il Premio Cortometraggio al miglior “WebFilm”. Di quest’ultima categoria, i presidenti di giuria saranno i The Jackal.​ Come responsabile della sezione Migliore Scrittura Comica è stato individuato lo scrittore campanoPino Imperatore, il cui ultimo romanzo “Allah, san Gennaro e i tre kamikaze” è stato pubblicato da Mondadori.

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giovedì 21 settembre 2017

Napoli, faida di camorra a Scampia: ucciso il figlio del boss Notturno

Agguato la scorsa notte a Napoli, nel quartiere Scampia: ucciso con una decina di colpi di arma da fuoco il 21enne Nicola Notturno, figlio del boss Raffaele Notturno, dell’omonimo gruppo del clan degli Scissionisti. Il giovane, colpito in via Ghisleri, è morto mentre il servizio di emergenza 118 lo stava trasportando all’ospedale ‘San Giovanni’. Indagano gli agenti del commissariato Scampia e della squadra mobile.

Il padre della vittima, Raffaele Notturno (fratello di Vincenzo, capo dell’omonimo clan) era ricercato da gennaio dopo un ordine di carcerazione a 2 anni e 11 mesi di reclusione che gli era stato inflitto per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. I carabinieri del comando provinciale di Napoli, il 17 dicembre del 2012, lo individuarono e bloccarono mentre si trovava in un appartamentino del lotto TB di Scampia, protetto da telecamere e cancello blindato.

Raffaele Notturno rra considerato il reggente dell’omonimo clan camorristico, alleato con il gruppo Abete-Abbinante, uno dei cartelli criminali in lotta nella faida per il  controllo delle piazze di spaccio, da tempo in guerra per il controllo delle piazze di spaccio di Napoli con il gruppo Vanella Grassi e quel che resta del clan Di Lauro.

Il giovane ucciso è anche nipote di Gennaro Notturno, detto “’o Sarracino”, che da qualche settimana sta collaborando con i magistrati. Gli inquirenti non escludono che l’omicidio possa anche essere una vendetta trasversale legata alle rivelazioni del pentito.

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lunedì 11 settembre 2017

Napoli, agguato nel centro storico: due morti

Due morti in un agguato compiuto oggi pomeriggio a Napoli, nel quartiere Vicaria, in vico Pergola all’Avvocata. Le vittime sono Edoardo Amoruso e Salvatore Dragonetti.

Paura tra residenti e persone che si trovavano in zona durante la sparatoria. Ad agire, secondo una prima ricostruzione, diversi sicari che hanno esploso numerosi colpi di pistola. Sul posto le forze dell’ordine che hanno avviato le indagini.

Sia Dragonetti che Amoroso abitavano nel vicolo dove è scattato il raid. I due sono ritenuti appartenenti al clan dei Mazzarella e questo duplice omicidio potrebbe essere riconducibile allo scontro con i clan rivali dei Contini e Licciardi. Non si esclude anche la pista della faida interna.

Dragonetti era imparentato ai fratelli Giuliano, ex boss del Rione Forcella, avendo sposato una nipote. Dragonetti aveva precedenti per lesioni e associazione a delinquere per contrabbando di sigarette. Più pesanti i precedenti di Amoroso, che era sottoposto a un obbligo di soggiorno ai sensi della legge antimafia; aveva anche precedenti per reati legati all’uso delle armi, allo spaccio di droga, evasione e rapina.

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domenica 6 agosto 2017

Come in Gomorra, la camorra parla tedesco: ecco i clan che hanno investito in Germania

Quelle in Spagna non sono le uniche infiltrazioni dei clan napoletani all’estero. Sempre dalla relazione del ministero dell’Interno sulle attività e risultati della Direziona Investigativa antimafia vengono segnalati altri paesi in cui i clan stanno facendo affari. È il caso della Germania dove oltre ai clan di Napoli hanno diversi interessi anche i Casalesi. Le azioni delle cosche napoletane e casertane in Germania mirano in particolare a creare ulteriori canali per il reimpiego e riciclaggio dei proventi illeciti. A ciò sono affiancate attività delittuose perpetrate direttamente e che spaziano dalla distribuzione di abbigliamento contraffatto, quasi sempre con marchi del Made in Italy, alla messa in circolazione di monete false, fino al traffico di veicoli rubati. Nello specifico le attività investigative condotte in Germania hanno accertato, fin dagli anni ’80 la disponibilità di riferimenti stabili sul territorio in particolare in alcune regioni quali Assia, Renania Settentrionale-Vestafalia,Baden-Wurttemberg e Baviera dei clan Licciardi, Moccia, Cava e Ascione. Interessi delle cosche napoletane anche nella Repubblica di San Marino. Qui è stata, in passato, accertata l’operatività del clan dei Casalesi, attivi nel reinvestire i capitali illeciti. Altri gruppi campani tracciati nel tempo nel piccolo Stato di San Marino sono: Vallefuoco, Marinello, Stolder,Sacco-Bocchetti-Cesarano, Schiavone, Di Lauro, Mazzarella e Zaza. 

Nel descrivere le proiezioni delle organizzazioni criminali napoletane in Spagna si è fatto più volte riferimento al ruolo logisticamente strategico nel traffico internazionale degli stupefacenti, ricoperto dai Paesi del Nord Africa, con un esplicito rimando al Marocco. Le indagini raccolte nel semestre del 2015 rilevano come le stesse basi logistiche, in particolare quelle tunisine, siano diventate strumentali anche per il contrabbando internazionale di tabacchi lavorati esteri organizzato da elementi del clan Aquino-Annunziata di Boscoreale. 
Nella relazione, infine, si fa cenno a come la camorra si stata ricompresa, a seguito di una direttiva del Presidente Barack Obama, nella black list delle associazioni di criminalità organizzata più pericolose degli Stati Uniti d’America. Attualmente l’Fbi segnala che la camorra, negli Usa può contare sulla presenza di circa 200 affiliati molti dei quali migrati durante le guerre di camorra.

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giovedì 27 luglio 2017

Bastone l'Escobar dell'area nord, da Mugnano alla Colombia: ecco come aveva allacciato contatti con i narcos sudamericani


di Stefano Di Bitonto



MUGNANO. Antonio Bastone è un nome molto conosciuto nel panorama criminale dell'area nord. L'uomo, 37enne, appartenente all'omonimo gruppo gravitante nella galassia scissionista per gli inquirenti è il simbolo del cosiddetto 'salto di qualità' che tutti gli affiliati ai clan sognano: Bastone negli scorsi anni era infatti riuscito ad allacciare rapporti diretti, in Colombia, e in particolare con il narcotrafficante Ramos Lujan Leonello David. Quest'ultimo si è rivelato essere il referente dell'organizzazione sudamericana operante nella regione di Medellin, in Colombia, struttura criminale riconducibile al capo paramilitare Jiemenez Naranjo Carlos Mario, posto al vertice del «Bloque Central Bolivar» delle a.u.c. (autodefensas unidas de colombia), attualmente detenuto negli Stati Uniti per terrorismo e narcotraffico, considerato uno dei massimi gruppi del narcotraffico a livello mondiale.

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Camorra, 625 anni di carcere per gli affiliati al clan D’Amico


NAPOLI – Sessantasette imputati condannati e  nove assolti. Questa la sentenza di ieri prt gli esponenti della camorra del rione Conocal di Napoli: 625 anni di carcere complessivi per capi, gregari e spacciatori del clan D’Amico di Ponticelli. È il giudice Alessandra Ferrigno a leggere il dispositivo in un’aula silenziosa. Elenca i nomi degli imputati uno alla volta, indica le singole condanne che tengono conto della diminuente prevista dal rito abbreviato, e per qualcuno della continuazione con precedenti sentenze. La condanna più severa- come riporta ilmattino.it- è per i capi della famiglia: 20 anni di carcere a D’Amico Antonio, Carla, Carmela, Giacomo, Giuseppe. Nel clan le donne avevano lo stesso potere degli uomini. E quando fratelli e mariti erano in carcere erano loro a gestire affiliati, soldi e affari illeciti.

«Ora la camorra la facciamo noi… ora è peggio: ci stanno le donne» si ascolta in una delle intercettazioni al centro delle accuse. «Esternamente sono femmina ma dentro mi sento un uomo. Non sono la guagliona di nessuno, non ho mai fatto la guagliona di nessuno» diceva Nunzia D’Amico, detta la pasilona, uccisa in un agguato a ottobre 2015, alcuni mesi prima che scattassero le manette per gli esponenti della sua famiglia e del suo clan. A sedici anni di reclusione è stata condannata Anna Scarallo, moglie del boss D’Amico, e un’altra ventina di imputate sono state condannate a pene che variano dai 12 ai tre anni di reclusione.

Per il rampollo Christian Marfella il giudice ha stabilito la condanna a dieci anni e otto mesi di carcere. Per tutti gli altri imputati le condanne oscillano tra i 17 e i due anni e mezzo di reclusione. Al collaboratore di giustizia Raffaele Stefanelli sono stati irrogati otto anni di cella, concedendo le attenuanti della collaborazione.

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Colpo al clan dei “paparella”, preso Nello Di Biase


By Daniele Bahri



GIUGLIANO – I carabinieri della compagnia di Giugliano questo pomeriggio hanno messo a segno un importante colpo ai danni della criminalità organizzata giuglianese: dopo un blitz nelle palazzine è stato infatti preso Aniello Di Biase detto Nello, figlio del boss scomparso “Paparella” e reggente della fazione omonima che si oppone ai Mallardo.

Con lui presi anche Domenico Smarrazzo detto ‘sce sce’ e un’altra persona. I tre sono al momento presso la caserma dei carabinieri di Giugliano.

Fermo della Direzione Distrettuale Antimafia firmato da Borrelli. Le accuse vanno dalla estorsione ad altri gravi capi di imputazione.

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martedì 18 luglio 2017

Camorra, arrestati a Napoli quattro scissionisti del clan Mazzarella

Un’ordinanza applicativa della custodia in carcere, emessa dal Tribunale di Napoli, su richiesta della Dda, è stata eseguita dalla squadra mobile a carico di quattro uomini del clan Mazzarella, raggiunti da gravi indizi di colpevolezza per i delitti di associazione per delinquere di stampo mafioso, omicidio e tentato omicidio. In manette sono finiti Salvatore Maggio, Raffaele Micillo e Domenico Perna, tutti di 38 anni, e Gennaro Catapano, di 37.

Dalla scissione dal clan Mazzarella era nata secondo le indagini, una “pericolosa organizzazione camorristica” che si è rapidamente radicata nell’area delle cosiddette Case Nuove, zona popolare del quartiere Mercato a Napoli. Il nuovo gruppo è stato sgominato grazie alle indagini della Squadra Mobile di Napoli e coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, svolte anche attraverso intercettazioni telefoniche e dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia, che hanno permesso di accertare la genesi della nuova organizzazione camorristica nata dalla scissione dal clan Mazzarella, delineando compiti e ruoli di vertice ricoperti dai destinatari dell’ordinanza cautelare e individuando le principali fonti di illecito sostentamento del gruppo, ma anche ricostruendo le fasi della violenta contrapposizione con il clan Mazzarella.

Gli investigatori hanno ricostruito il tentato omicidio di Giuseppe Persico, avvenuto il 25 giugno 2013, in quanto considerato referente del clan Mazzarella nel quartiere Mercato, proprio allo scopo di affermare la supremazia territoriale del neo costituito gruppo criminale.

L’ordinanza individua inoltre le cause e gli autori dell’omicidio di Pasquale Grimaldi, ucciso nel Rione Traiano il 19 giugno 2006, consentendo di inquadrare l’evento nell’ambito del contrasto tra i clan Puccineli e Grimaldi per il predominio sul territorio del Rione Traiano.

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Camorra, scacco ai clan Orlando e Nuvoletta: 11 arresti

I carabinieri del nucleo investigativo di Castello di Cisterna hanno dato esecuzione a 11 ordinanze di custodia cautelare nei comuni dell’hinterland a nord di Napoli nei confronti di persone ritenute legate ai clan camorristici degli “Orlando” e “Nuvoletta-Lubrano”. Le accuse, a vario titolo, sono di associazione di tipo mafioso e di estorsione aggravata da finalità mafiose.

L’indagine è il proseguimento delle attività, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia partenopea, che lo scorso 18 aprile portò a 33 provvedimenti cautelari e a fine di giugno a un sequestro di beni per circa 10 milioni di euro. Ieri, invece, è stato scoperto un arsenale con quattro kalashnikov, una mitragliatrice, un fucile, 3 semiautomatiche e circa 600 cartucce trovati nel garage di un incensurato 22enne.

Degli undici indagati, sette erano liberi, quattro già in carcere. Si tratta di Raffaele Orlando (63 anni), Angelo Orlando (38), Castrese Carbone (37 anni), Raffaele Veccia (40 anni), Mario Sarappo (48 anni), Giuseppe Assenzo (48 anni), Salvatore Trinchillo (56 anni), Cristoforo Chianese (46 anni), Chiara Catuogno (38 anni), Vittorio Felaco (25 anni), Crescenzo Muoio (54 anni).

L’indagine – sottolinea in una nota il procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli – costituisce la naturale prosecuzione invetsigativa delle attività che lo scorso 18 aprile hanno portato all’esecuzione di 32 ordinanze di custodia cautelare in carcere a carico di affiliati ai sodalizi criminali del clan Orlano (attivo a Marano di Napoli, Calvizzano, Quarto e comuni limitrofi) e del clan Nuvoletta-Lubrano (operante a Marano di Napoli, nella provincia di Caserta e nei comuni limitrofi), nonché al sequestro preventivo di beni riconducibili alla consorteria camorristica per un valore di oltre 7 milioni di euro.

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«Chi va all'inferno, va a Napoli: è tra le città più pericolose al mondo»

Napoli è tra le città più pericolose del mondo: lo dice The Sun. ll famoso giornale inglese osserva i pericoli che devastano le aree urbane del pianeta, va dalle strade piene di narcotici dell'America Latina alla capitale assassina del Califfato, analizza ogni area del globo e crea la mappa degli «angoli più pericolosi della terra».



Ad avere il primato in America sono città come Caracas, San Pedro Sula, St Louis. E poi Kiev in Ucraina, Gozny in Russia, Raqqa in Siria, Mogadishu in Africa, Karachi in India, Manila nelle Filippine, Perth in Australia. In Europa occidentale, al primo posto c'è Napoli. «Città italiana famosa per i suoi legami con la criminalità organizzata», si legge nell'articolo. 

Accanto alla descrizione di città come San Pedro Sula, dove c'è il tasso di omicidi più alto al mondo, vi è, dunque, Napoli con la Camorra, definita come sistema in cui gruppi rivali si scontrano soprattutto per il predominio del traffico di stupefacenti. The Sun parla delle bande di bambini under 12, che hanno il compito di mantenere le divisioni dei territori, «posseduti» dai capi più anziani e conclude con l'accostamento dell'espressione «va all'inferno» con «va a Napoli».

Omicidi, presenza di bande criminali, droga, rivolte, terrorismo, violazioni dei diritti umani. Questi i parametri usati per stilare la classifica mondiale delle città pericolose dove Napoli, secondo il giornale britannico, è tra i primi posti per criminalità organizzata, traffico di sostanze stupefacenti e assassini. 

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lunedì 12 giugno 2017

«Parrucca e abiti da donna» Così si nasconde il boss di Gomorra

di Fabio Postiglione

Una donna innamorata, tre boss cognati tra loro «affamati» di droga di alta qualità, una villa nel Vesuviano per potersi rifugiare e incontrare persone, quattro auto «pulite» intestate a prestanome stipendiati e molte parrucche, anche da donna. Bonifiche per le microspie con strumenti da 150mila euro, «pizzini» bruciati e frasi in codice. Sembra un rebus ma sono invece le tracce, molto magmatiche, che si spera possano portare alla cattura di uno tra i cinque latitanti più pericolosi d’Italia, «re» delle piazze di spaccio a Secondigliano, stratega della faida di «Gomorra» con «almeno sessanta uomini a sua completa disposizione», come ribadisce in ogni interrogatorio Biagio Esposito, killer di «professione» ora pentito.
Il fantasma
Marco Di Lauro fra dieci giorni festeggerà il suo trentasettesimo compleannoe il 12 marzo è stato l’anniversario del suo dodicesimo anno di latitanza. È diventato un fantasma con i milioni di euro del clan, investiti solo per la sua protezione: «Quelli oramai non pagano più a nessuno», dice in una intercettazione Giovanni Cortese, suo braccio destro. Gli danno la caccia i carabinieri, la polizia, la guardia di finanza, i reparti speciali e anche l’interpol dopo che nel novembre del 2006 la sua foto è stata diramata in tutto il mondo. Ma dai racconti dei suoi ex affiliati che nei mesi passati si sono pentiti, Marco Di Lauro potrebbe essere a Secondigliano e come nelle più recenti storie di catture di capiclan, anche lui avrebbe deciso di non lasciare il suo rione. I tre collaboratori di giustizia Rosario Guarino «Joe Banana», Antonio Accurso «Totonno» e Mario Pacciarelli «’o mostro» hanno confermato di aver incontrato Di Lauro nell’aprile del 2011 e nel 2014. Hanno raccontato che usa spostarsi cambiando più volte auto, nascondendosi dietro al cofano con un impianto di areazione o seduto al posto di dietro con avanti due donne e «con una parrucca in testa», rivela Rosario Guarino. È stato lui ad aver incontrato per ultimo Marco Di Lauro, in un momento molto delicato nella storia della cosca guidata fino al 2004 dal patriarca Paolo detto «Ciruzzo ’o milionario».
La faida
I «padroni» di Scampia hanno perso la guerra contro gli Amato-Pagano nel 2005. I nuovi ribelli della Vanella Grassi nel 2007 si affiancano agli scissionisti per uccidere gli ultimi dei Di Lauro. Così schiacciati e relegati alla sola gestione del Rione dei Fiori «con 100mila euro di guadagni al mese», come ricorda Esposito. Ma qualcosa sta cambiando. Nel 2011 la Vanella Grassi rompe gli indugi e tenta la conquista di Secondigliano, ma per farlo deve annientare gli Abete-Abbinante. Ed è qui che si inserisce lo stratega Marco Di Lauro. È stato lui a presenziare ad un summit con i boss della Vanella che «risparmiarono la vita al fratello Raffaele Di Lauro che poteva essere ucciso da Fabio Magnetti» e che invece per «sfogare uccisero Antonello Faiello». Ed è lì, nel 2011 prima e nel 2014 dopo, che Di Lauro si fa vedere dai capiclan nemici con i quali poi stringe accordi per cacciare da Secondigliano «quelli del Lotto T/B». La traccia di quell’accordo militare è la triste storia dei morti che via via, nell’arco di un anno e mezzo, sono saliti a quota 25. Adesso Di Lauro potrebbe avvalersi della complicità di una donna, la compagna con la quale è in contatto da tempo: si chiama Cira. Ha degli alleati nel clan Tamarisco di Torre Annunziata che per anni «hanno avuto droga a 40mila euro al chilo anziché a 42», e ville nel Vesuviano. Vive di accordi strategici con il clan Contini dell’Arenaccia, «maestri» nella protezione dei latitanti (Eduardo Contini, Giuseppe Ammendola, Patrizio Bosti, solo per citarne alcuni) e gode di una «rete» in grado di garantirgli sicurezza assoluta. «A busta paga dei Di Lauro ci sono persone che si attribuiscono fittiziamente la proprietà di mezzi di locomozione e li cedono al clan», scrive il gip Laura De Stefano che due giorni fa ha firmato l’ordinanza che ha portato a 27 arresti.
L’evoluzione della cosca
Una cosca che si è evoluta in stile mafioso: «Comunica con pizzini» accuratamente bruciati. Con frasi in codice: «motore, chitarra, puledro, cavalluccio, coriandoli». Come cercare un ago in un pagliaio. Ma nel frattempo non si sta con le mani nella mani. La sezione omicidi della squadra Mobile di Napoli ha arrestato gli autori di un brutale omicidio commesso in un centro scommesse a Miano il 5 agosto del 2015. Sette secondi per assassinare Salvatore Scogamiglio e Salvatore Paolillo colpevoli di aver contrastato il boss Antonio Lo Russo, ora pentito. È stato lui a fare i nomi di Vincenzo Bonavolta e Luciano Pompeo, arrestati ieri mattina.

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