sabato 3 dicembre 2016

Camorra. Condannato il boss Mimì 'o sfregiato, sorpresa per i suoi luogotenenti

NAPOLI. Come è noto, negli anni scorsi la Autorità giudiziaria napoletana aveva affermato la esistenza di una pericolosa organizzazione camorristica nel quartiere di Fuorigrotta della città partenopea, capeggiata da Domenico D’ausilio, soprannominato “Mimi ‘o sfregiato”. I giudizi di merito avevano affermato la esistenza del clan, con decisione di primo grado emessa in data 18.07.14 dal Tribunale di Napoli - I sezione -, confermata quasi integralmente in data 26.01.15 dalla Corte di appello di Napoli - VI sezione -. Numerosi erano i reati contestati: associazione a delinquere di stampo mafioso, due ipotesi di tentato omicidio, estorsioni, rapine, droga ed armi. In appello la più forte riduzione della pena la ottenne Tripodi che passò da anni 29 ad anni 23 di reclusione a fronte della esistenza di ben dieci reati a suo carico, tutti di matrice mafiosa. L’epilogo del processo in cassazione è stato per alcuni aspetti sorprendente . La Corte Suprema di Cassazione - V sezione – ha confermato la sentenza di condanna di anni 26 di reclusione nei confronti del capo clan Domenico D’Ausilio, difeso dagli avvocati Krogh ed Aricò, confermando in toto quella resa dalla Corte . I giudici di legittimità hanno ridotto la pena di mesi sei nei confronti di Scarpa Luca, difeso dall’avv. Francesco Liguori, la cui pena passa da anni tredici di reclusione ad anni dodici e mesi sei. 

Ma la parte più significativa della decisione assunta dal massimo consesso riguarda i luogotenenti del boss, Tripodi e Marigliano, nell’interesse dei quali ha preso la parola in cassazione l’avvocato Dario Vannetiello del foro di Napoli il quale, cavalcando i ben diciassette motivi di ricorso da lui redatti nonché quelli a firma degli avvocati Mauro Valentino e Riccardo Ferone (che avevano anche difeso i predetti nei giudizi svolti innanzi alla A.G. napoletana) ha indubbiamente inciso sulle gravi accuse ed obiettivamente portato significativi benefici agli accusati.
Infatti, per Tripodi è stata esclusa la pesante aggravante dell’ essere uno dei capi del clan, nonché è stato assolto sia dal reato di rapina presso una gioielleria della città sia dal reato di detenzione di sostanza stupefacente. Conseguentemente, dovrà svolgersi un nuovo giudizio in sede di rinvio innanzi alla Corte di appello di Napoli per la individuazione della pena che dovrà essere sicuramente più ridotta, nuovo giudizio ove dovranno essere valutati gli scritti difensivi degli avvocati Mauro Valentino e Riccardo Ferone. Annullata anche la sentenza di condanna ad anni 23 nei confronti di Marigliano Gennaro, ritenuto il killer del gruppo; anche per lui la sentenza di condanna non è divenuta definitiva e dovrà essere svolto un nuovo giudizio per individuare la pena che merita Marigliano per aver partecipato alla associazione nonché per aver partecipato alla associazione a delinquere di stampo mafioso.
Questa è la seconda volta in soli tre mesi che Marigliano e Tripodi all’esito del giudizio della cassazione, grazie al sapiente lavoro dell’avvocato Dario Vannetiello, in accoglimento delle tesi giuridiche devolute con gli articolati ed approfonditi ricorsi, ottengono l’annullamento della condanna all’ergastolo la prima, l’annullamento della condanna ad anni ventitrè la seconda ed ultima volta. Infatti, il recente annullamento disposto dalla quinta sezione penale della Suprema Corte segue un altro annullamento disposto nel mese di settembre dalla prima sezione della Suprema Corte afferente ad una sentenza di condanna all’ergastolo per plurimi casi di omicidio commessi da Tripodi e da Marigliano nell’interesse del clan, per i quali dovrà parimenti svolgersi un nuovo giudizio per la rideterminazione della pena . Quindi, la parola fine sui processi ai luogotenenti di D’Ausilio, Tripodi e Marigliano, miracolati dai due annullamenti decisi a Roma, ancora non è stata scritta. Occorre attendere il deposito della motivazione delle due sentenze della cassazione, e, ancora di più, attendere l’esito dei due distinti giudizi di rinvio che si dovranno tenere, l’uno presso la Corte di assise di appello, l’altro presso la Corte di appello.

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La guerra del pane tra Giugliano e Napoli: pestaggi e faida sfiorata tra le fazioni del clan Mallardo

di Antonio Mangione

GIUGLIANO. E' ritenuto il dominus del business dell'imposizione del pane, un affare che ha consentito al clan Mallardo di guadagnare fior di milioni e riciclare anche i soldi. Un'attività criminale per la quale valeva anche la pena 'fare la guerra' con quelli che dovrebbe essere alleati e che invece erano diventati diretti concorrenti sul mercato. Parliamo di Salvatore Lucente, genero del boss Francesco Mallardo e Anna Aieta, avendo sposato la figlia Rosa. All'imprenditore, finito in manette nell'operazione eseguita congiuntamente da Finanza, Polizia e Dia, è contestata tra l'altro l'imposizione del pane nelle attività commerciali di Giugliano. Gli inquirenti hanno posto sotto sequestro alcune attività commerciali facenti capo a Lucente, tra cui il Panificio Campano Srl a Casoria e l'Antico Panificio di Varcaturo. 
Della guerra scatenatasi per il controllo del mercato del pane nell'hinterland ne hanno parlato diversi collaboratori di giustizia tra cui Vincenzo De Feo, Tommaso Froncillo e Giuliano Pirozzi. Proprio quest'ultimo ha raccontato come 'l'affare pane' fosse inizialmente sotto il controllo esclusivamente di Giuliano Pianese, detto Giulianello 'o sicc, titolare de 'La Panificazione', il quale era legato a sua volta al clan Mallardo attraverso Feliciano. Quando Ciccio e' Carlantonio decise di entrare nel business affidò al genero Lucente il compito occuparsene. La scelta provocò non pochi malumori in Pianese, tant'è che quest'ultimo chiese a Feliciano di intervenire per risolvere la questione. 
A fare da intermediari tra i due - secondo il pentito Pirozzi - sarebbero stati Armando Palma, detto Armanduccio 29, arrestato qualche settimana fa per l'estorsione al cantiere Piu Europa, Francesco Napolitano, Peppe dell'Aquila ed il boss di Villaricca Mimì Ferrara. L'accordo fu trovato tra non poche difficoltà ed inizialmente prevedeva che uno avrebbe distribuito solo i panini, l'altro invece i pezzi di pane. Poi si decise di dividere le zone. Lucente avrebbe dovuto operare solo a Napoli, mentre Pianese a Giugliano. Lucente, però, non rispettò le disposizioni sconfinando anche nel Giuglianese e ciò scatenò la dura reazione della fazione opposta, la quale iniziò a fare spedizioni punitive ai corrieri che trasportavano il pane senza autorizzazione a Giugliano per conto di Lucente. La situazione 'si risolse' dopo l'operazione giudiziaria ai danni di Pianese, che portò il genero di Ciccio Mallaro a prendere il predominio sul territorio. 
Il colletto bianco del clan, inoltre, ha riferito del ruolo svolto nell'affare della panificazione dai fratelli Ciro e Giovanni Nadi De Fortis, soci di Lucente, dotati di competenze nel settore, tanto da estendersi fino a Latina. Secondo il collaboratore Teodoro De Rosa anche Anna Aieta avrebbe spinto Lucente ad avviare l'attività nel settore della panificazione, facendo pressioni affinchè le attività del genero fossero favorite rispetto a quelle di Pianese. Lucente e De Fortis sono stati intercettati mentre, discutendo dei problemi provocati da Pianese, discutono del da farsi. "...ma che dobbiamo fare...dobbiamo scendere in campo noi??!!", mostrando unità d'intenti del gruppo di Ciccio Mallardo. Il pane veniva imposto non solo nei piccoli negozi, ma anche in grandi supermercati con un tentativo anche nella catena della grande distribuzione.

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