martedì 27 settembre 2016

Camorra. 'Paranza dei Bimbi': «Lo sanno pure le guardie, fìnché ci uccidiamo tra immondizia e immondizia se ne fottono…»

NAPOLI. “Lo sanno pure le guardie…fìnché ci uccidiamo tra immondizia e immondizia… se ne fottono…ma quando poi si comincia a toccare la gente innocente… ti saltano addosso…”. Con queste parole due esponenti della “Paranza dei bimbi” di Forcella commentavano l’omicidio di Massimiliano Di Franco, colpito a morte il pomeriggio del 26 febbraio 2014 in piazza San Gaetano e poi deceduto il giorno dopo in ospedale. 

Per quell’omicidio, xome riporta il sito cronachedellacampania.com, è stato condannato all’ergastolo Alessandro Riccio uno dei killer della “Paranza”. La frase è contenuta nelle motivazioni della sentenza in cui i giudici elogiano anche il coraggio della moglie della vittima che nonostante le minacce e le pressioni subite, in aula non ha esitato a raccontare quanto accaduto e ad indicare il nome e il volto dell’assassino del marito. Dalle motivazioni emerge comunque, nonostante la protervia del clan, la preoccupazione degli affiliati che al telefono dicono tra di loro: “Mannaggia ad Alessandro… magari se uno pensa che…”. Alessandro aveva causato un problema: aveva ucciso uno di loro. Massimiliano Di Franco aveva detto basta. Era andato a lavorare al Nord come muratore. Era tornato perché la moglie era in attesa del loro terzo figlio. Lo avevano avvicinato di nuovo: ma lui aveva detto di nuovo no. E questo affronto fu pagato con la morte.

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Vendevano droga nelle palazzine, condannati in quattro : tra di loro anche una donna


melito droga palazzineMELITO – Spaccio, in quattro condannati. E’ quanto ha disposto l’altra mattina il gip del tribunale di Napoli Nord Fabrizio Finamore nei confronti di tre uomini ed una donna: inflitti oltre 15 anni di reclusione. Gennaro Finizio, 43enne di Melito, Ciro Caputo, 34enne di Melilo e Salvatore Martinelli, 50enne di Castelvolturno, rimediano 3 anni e 8 mesi a testa oltre ad 1 Inula e 600 euro di multa ciascuno. Italia Lovisi, 30enne di Melito, ‘prende” 3 anni, 6 mesi e 20 giorni oltre a 15mila euro di multa. Sono stati giudicati con il rito abbreviato.


Il quartetto venne arrestato lo scorso marzo al termine di un’operazione messa a segno dai carabinieri della Compagnia di Giugliano, diretti dal capitano Antonio De Lise, nelle palazzine popolari di Melito. I militari, infatti, effettuarono un servizio ad “Alto Impatto” insieme ai colleghi del Reggimento Campania finalizzato al contrasto dei fenomeni di illegalità diffusa ed in quella zona, nello specifico, di lotta allo spaccio.

I quattro furono sorpresi dagli uomini della Benemerita in un servizio di osservazione su via Lussemburgo, dove avevano dato vita ad un’attività di spaccio ripartendosi a rotazione i compiti di spacciatore e di vedetta. A seguito di perquisizione personale e successiva perquisizione domiciliare vennero rinvenute 22 stecche di hashish dal peso di 65 grammi e mezzo, 2 dosi di cocaina (in totale un grammo), 4 dosi di crack (5 grammi), oltre alla somma di 890 euro in denaro contante.

Un blitz nelle palazzine popolari a ridosso del quartiere napoletano di Scampia, dunque, portò al rinvenimento di dosi di droga: una zona piuttosto “calda” dove non sono mancati gli screzi tra diverse fazioni dei clan della zona per accaparrarsi la gestione del business dello spaccio. Fiumi di droga che scorrono ogni giorno e che arricchiscono i cartelli criminali attivi nell’area a nord. Nonostante la frequenza dei controlli di polizia e carabinieri, la vendita al dettaglio prosegue senza sosta, con i pusher che trovano sempre nuove tecniche di smercio per eludere gli accertamenti delle forze dell’ordine. iL caso dei tré uomini e della ragazza dimostra come ci fosse un’organizzazione capillare interna per scambiarsi i ruoli di’sentinella’ e ‘venditore dal dettaglio” nel corso della giornata di lavoro

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Clan Verde, storico boss ucciso da un male incurabile

Sant'Antimo. Il boss è morto nella sua abitazione. Stroncato da un male incurabile. Un evento raro per un pezzo da novanta quale era Antonio Verde, 56 anni, di Sant'Antimo, che con il fratello Francesco, detto «o negus», e Mario, soprannominato «capa liscia» componeva la trimurti del vertice del clan Verde, una delle cosche che ha attraversato mezzo secolo di sangue e morti ammazzati, dallo scontro tra cutoliani e Nuova Famiglia all'impero dell'era dei casalesi e fino alla faida di Scampia e alla camorra 3.0, quella dei baby boss.
Antonio Verde, proprio a causa delle sue precarie condizioni di salute, era stato rimesso in libertà lo scorso mese di aprile, con l'obbligo di risiedere presso il suo domicilio di via Martiri d'Ungheria a Sant'Antimo dove si è spento ieri mattina. Si chiude così un altro capitolo della saga criminale del clan Verde, che per oltre quarant'anni ha controllato in modo asfissiante tutte le attività produttive di Sant'Antimo, Casandrino e Grumo Nevano, nonostante le faide con il clan Puca, retto da Pasquale Puca detto «'o minorenne» e le sanguinose schermaglie con i Ranucci e i Petito, clan quest'ultimi, praticamente azzerati da lupare e ed ergastoli.

Dopo lo spettacolare omicidio del fratello Francesco, detto «o negus» (come l'imperatore di Etiopia) per la sua ieraticità e per il rimanere al comando da boss per decenni - ucciso il 29 dicembre del 2007, in pieno centro a Casandrino, mentre tornava nel suo bunker dopo aver firmato in commissariato - il comando era passato ad Antonio e al terzo fratello, Mario, coadiuvati da una pletora di generi e nipoti che posero un argine allo strapotere criminale di Pasquale Puca, detto «'o minorenne», un boss astuto e con il fiuto degli affari, a ben vedere una maxiconfisca di beni per circa 150 milioni di euro. Con la scomparsa di Antonio Verde, e la concomitante detenzione del fratello e di alcuni nipoti, il clan Verde, dopo oltre 40 anni di permanenza nel ristretto gotha criminale, rischia davvero una totale estinzione.

m.d.c.

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giovedì 15 settembre 2016

Marano, il superboss latitante tradito dalle nozze del figlio: deve scontare 30 anni di carcere

MARANO. I carabinieri del Nucleo Investigativo di Napoli erano sulle sue tracce da molto tempo e Giuseppe Ruggiero, 53 anni, ritenuto esponente di spicco del clan Polverino, ricercato dal 2011, era sempre stato molto accorto nella gestione della sua latitanza. Ma un “lieto evento” in famiglia gli ha fatto compiere alcuni passi falsi che, alla fine, gli sono costati cari. E’ stato il matrimonio del figlio, celebrato qualche giorno fa, nella sua Marano, a dare gli indizi giusti ai militari che lo hanno preso, stamattina, con Carlo Nappi, considerato un altro elemento di spicco dello stesso clan, anch’egli latitante dal 2011.

I militari li hanno scovati in una villetta di Pomezia. Entrambi avevano documenti falsi, che hanno mostrato ai carabinieri i quali, però, conoscevano benissimo la loro identità. Ruggiero, inoltre, risulta essere tra i 100 latitanti più pericolosi d’Italia.

I militari del Nucleo Investigativo di Napoli, con la collaborazione dei colleghi di Roma, avevano stretto il cerchio intorno a Ruggiero da circa un mese, soprattutto tenendo sotto controllo i parenti e tutti le persone che potevano favorire la sua latitanza - si legge su Cronache della Campania - Rapporti che si sono infittiti con l’approssimarsi delle nozze del figlio e che hanno consentito agli investigatori di scoprire quale fosse il suo nascondiglio.

I due nel pomeriggio sono stati portati nel carcere romano di Rebibbia. Entrambi erano ricercati dal 2011 e sfuggivano all’esecuzione di due ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal gip di Napoli su richiesta della direzione distrettuale antimafia partenopea per associazione di tipo mafioso, estorsione, associazione finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti e per traffico e spaccio di droga. Per questi reati, nel maggio del 2015 Carlo Nappi è stato condannato a 30 anni di carcere, mentre Ruggiero ne deve scontare 26 e otto mesi.

Il clan Polverino è un gruppo di camorra operante nella zona a nord di Napoli principalmente nel Comune di Marano di Napoli. Ha il monopolio, con il clan Nuvoletta, della gestione dei traffici di droga leggera in buona parte della provincia partenopea. Il clan oltre a gestire il traffico dall’estero, e lo spaccio degli stupefacenti, reimpiega il denaro in attività commerciali ed edilizie.

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giovedì 8 settembre 2016

Camorra. Dietro lo sterminio dei Vastarella, la vendetta degli Esposito-Spina

SANITA'. Tra le incognite, nei vari scenari possibili che gli investigatori ipotizzano nel cercare la chiave dell’omicidio Vastarello, c’è il posizionamento sul territorio del gruppo Spina, i “Barbudos”. Un gruppo assurto agli onori della cronaca nel 2015, quando i carabinieri intercettarono le conversazioni degli affiliati mentre organizzavano la vendetta per l’agguato mortale a Ciro Esposito (ucciso il 7 gennaio 2015).Dalle intercettazioni emergeva che i giovani leoni di camorra attribuivano l’assassinio dell’amico, nonché parente, a Emanuele Sibillo e perciò lo cercavano per ammazzarlo. Non furono poi loro a farlo, ma quelle frasi captate dalla microspia sono importanti perché testimoniano lo stretto legame tra i clan anche in funzione anti Vastarella. Gli investigatori non dimenticano infatti, che il ras Pietro Esposito detto “Pierino”(padre di Ciro) è morto per essersi opposto al tentativo dei Lo Russo, spalleggiati dai Vastarella secondo le forze dell’ordine, di introdursi nuovamente alla grande nel rione Sanità per la vendita di droga. Dunque, le indagini della polizia per risalire agli autori dell’omicidio di Vittorio Vastarello partono da basi concrete e non escludono gruppi e personaggi che,anche se cacciati dal clan Vastarella l’anno scorso dalla Sanità, hanno ancora un legame con il quartiere. 

E oltre agli spina, che non si vedono in giro, l’attenzione è puntata anche sui Mallo. Il ras Walter, ora in carcere,molto legato a Pietro Esposito, fu costretto a trasferirsi a Miano, dove si è scontrato con i Lo Russo. Mail gruppo è ancora attivo secondo gli inquirenti nonostante lui e i fedeli luogotenenti siano finiti dietro le sbarre. In tutto ciò nessuno dimentica che la strage delle Fontanelle (due morti e tre feriti nelle file dei Vastarella)e la morte violenta di Vittorio Vastarello ha comunque indebolito il clan numericamente nonostante sia in libertà il ras di maggior spessore: Patrizio Vastarella. Gli investigatori non escludono che fosse lui il principale obiettivo dei sicari del gruppo Genidoni-Esposito entrati in azione il 22 aprile scorso nel circoletto in cui i nemici di camorra giocavano a carte. L’irruzione e la sparatoria erano state ben studiate a tavolino ed è certo che qualcuno fece la spiata dando la conferma della presenza degli obiettivi all’interno. Ma Patrizio e il nipote Vittorio non c’erano quella sera; per quest’ultimo però il 31 agosto non c’è statoscampo. 

IL ROMA

martedì 6 settembre 2016

Camorra. Parlano i pentiti: «Al Rione Traiano comandano loro»

NAPOLI. “Nel Rione Traiano comandano loro”: questa la dichiarazione unanime rilasciata davanti ai giudici da Emilio Quindici, Maurizio Ferraiuolo, Davide Leone, Alfredo Sartore e Antonio Ricciardi, pentiti che a vario titolo hanno indicato nel clan Puccinelli la cupola che controlla gli affari illeciti nella zona. 

Dalle piazze di spaccio al racket, dalle sale da gioco al contrabbando, nel rione non si muoverebbe foglia - come riporta il Roma - che il clan non voglia. Un esercito di affiliati e fiancheggiatori al soldo dei Puccinelli che starebbero potenziando i gruppi di fuoco con elementi poco più che adolescenti ma di particolarmente inclini a “premere il grilletto”. Proprio sulle figure degli insospettabili pusher del clan, si parlerebbe di massaie, anziani e persino disabili; gli investigatori starebbero indagando a fondo onde risalire alle modalità comportamentali di un sistema che muove cifre da capogiro. Sui giovanissimi del posto questi signori godrebbero di forte ascendete: l’idea di essere rispettati, di possedere auto e moto sportive, di potersi permettere abiti griffati spingerebbe giovani esistenze nelle ciniche grinfia della camorra. Tutto falso, effimero e forviante: il cammino intrapreso da chi vive di camorra, oltre a disonorare la persona, conduce inesorabilmente al carcere o alla tomba.

Ci chiediamo allora perché lo Stato in certe realtà non promuova campagne di sensibilizzazione nelle scuole, nelle parrocchie e in tutti i centri di aggregazione giovanile al fine di mostrare l’epilogo drammatico di scelte infelici. I potenti, lo ribadiremo sempre, massoni, cattivi politici, imprenditori collusi si ingrassano come scrofe sull’ignoranza e sullo sbandamento sociale delle fasce più esposte della comunità. Nel torbido si pesca meglio: allora perché incivilire servi sciocchi, portatori d’acqua in periodo elettorale, persone che vendono la propria esistenza per poche centinai di euro rinnegando anche i più elementari principi morali. 

Questo il quadro avvilente in cui le nuove leve partenopee crescono: senza adeguata scolarizzazione, occupazione e sana aggregazione il match con la camorra è perso in partenza. Non ci stancheremo mai di ripetere questo concetto nel rispetto dei tanti onesti cittadini che vorrebbero vivere Napoli in sicurezza e dare un futuro accettabile ai propri figli. In sintesi: a Napoli vige ancora la miserabile regola imposta tacitamente da alcuni amministratori e politici che recita: “fate quello che dico io… ma non quello che faccio”

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Napoli, il racconto di Valentino «Io, 19enne sopravvissuto alle stese»

«Quella mattina dovevo andare al mare, aspettavo gli amici per trascorrere la prima giornata di svago, magari in vista di una breve vacanza che avrei dovuto trascorrere in Spagna. Un sogno atteso da mesi, dopo un anno di lavoro, avevo messo da parte qualche risparmio. Un sogno che si è infranto in una manciata di secondi». È il dieci agosto scorso, sono da poco trascorse le tredici in via Marco Aurelio, quando al rione Traiano scoppia l'inferno. È così che l'estate di un ragazzo di 19 anni, si chiama Valentino Esposito, cambia all'improvviso: si ritrova al centro di quelle che oggi vengono chiamate «stese» - agguati plateali per rimarcare il proprio dominio del territorio -, viene ferito gravemente all'altezza dello stomaco. Non morirà. Un miracolo, il suo. Meno di un mese dopo, ripercorre la sua estate in ospedale con il Mattino: «Non riuscivo a capire cosa fosse accaduto - dice oggi il 19enne ripensando a quella mattinata del giorno di San Lorenzo - so solo che mi portarono qui in ospedale, dove sono stato operato da medici in gamba, dove sono stato salvato e da dove spero di uscire presto in buone condizioni di salute».

Valentino Esposito è ancora in ospedale, al San Paolo, accudito dai genitori, amici e parenti. Un miracolato - insistono i medici - mentre si attende l'esito dell'ultima radiografia, in vista del possibile via libera per il ritorno a casa: diaframma, fegato e polmone colpiti dalle schegge del colpo esploso quella mattina, sarebbero bastati pochi millimetri ad uccidere un ragazzo estraneo al crimine, raggiunto per errore nel corso di un agguato camorristico.
Da allora indagini della Mobile del primo dirigente Fausto Lamparelli, che hanno escluso ogni coinvolgimento del ragazzo in dinamiche criminali, ma anche della donna che stava affacciata al balcone, lì a pochi passi da Valentino Esposito. Ma chi è il 19enne ferito? «Lavoro, vivo qui al rione Traiano, non chiedo di lasciare Napoli, ma di vivere in una società migliore, magari con una massiccia presenza di forze dell'ordine. Mio padre è un lavoratore, è impiegato in un'agenzia nautica, ma è stato anche nel corpo dei vigili del fuoco; mio nonno è cavaliere della Repubblica, dopo una vita con i vigili del fuoco, insomma in famiglia siamo tutti per la legalità. È trascorso quasi un mese, ma davvero non riesco a capire chi e perché mi ha provocato queste ferite. Mi stavano ammazzando senza un motivo».

Un inferno, quel dieci agosto scorso, in periferia: alle sei del mattino vennero esplosi otto colpi in zona rione Traiano, tanto che qualcuno pensò ad una festa all'alba per San Lorenzo, in attesa della notte per le stelle cadenti; poi alle tredici la probabile risposta, ancora un agguato nel corso del quale vengono feriti Valentino Esposito e una donna colpita mentre stendeva i panni da asciugare al balcone del primo piano; poi, in serata nuovi spari in zona Loggetta. Ma è il padre di Valentino, Ugo Esposito a prendere la parola: «Abbiamo ricevuto vicinanza e solidarietà da parte di gente comune, di persone che ci conoscono, dagli stessi agenti della polizia che sono venuti a fare un sopralluogo a casa nostra. Credevano di trovare qualcosa di compromettente per motivare un possibile coinvolgimento del ragazzo con l'ennesimo episodio di far west cittadino, ma si sono ricreduti subito. Hanno fatto il loro lavoro e la loro presenza ci ha confortato».

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giovedì 1 settembre 2016

Camorra a Caivano. La guerra tra i clan La Montagna e Castaldo si sposta in tribunale

CAIVANO. Duplice delitto di camorra a Caivano, sei imputati, di cui cinque condannati all'ergastolo lo scorso anno con il rito abbreviato, hanno fatto ricorso in Appello. Fissata l'udienza in Corte d'Assise di Appello di Napoli per la fine del prossimo mese di novembre. Il massacro avvenne il 3 settembre del 2004 nel Parco Verde di Caivano, fiorente piazza di spaccio; vittime furono Giuseppe Angelino e Sandro Chiocciariello, elementi di spicco del clan Castaldo, acerrimo nemico dei La Montagna. Il primo luglio dello scorso anno la sentenza di primo grado. A presentare ricorso in Appello sono stati Raffaele Bidognetti, Mario Cavaliere e Alessandro Cirillo, di Casal di Principe, Domenico La Montagna, Andrea Petillo e Roberto Fermo, di Caivano. In primo grado Bidognetti, Cavaliere, Cirillo, La Montagna e Petillo sono stati condannati all'ergastolo nonostante avessero scelto di essere condannati con rito abbreviato. Dodici anni la pena comminata a Fermo, collaboratore di giustizia.
Il processo in Appello scaturisce dall'inchiesta che due anni fa portò agli arresti eseguiti dai carabinieri di Castello di Cisterna. Come riferito dai pentiti, l'azione fu decisa dal boss La Montagna per mettere fine allo scontro con i rivali del clan Castaldo compiendo ai loro danni un'azione eclatante. Il disegno di La Montagna infatti era di colpire tutti colori i quali al momento dell'agguato si fossero trovati in compagnia di Angelino, vero obiettivo dei killer. Il coinvolgimento di Bidognetti di Francesco Di Maio e di Cavaliere, secondo la Procura, risaliva ad alcune settimane prima. La Montagna infatti aveva saputo che Angelino stava trascorrendo qualche giorno di vacanza a Pescopagano, zona sotto il controllo dei Bidognetti, per questo aveva chiesto il loro aiuto per portare a termine l'agguato. Non a caso furono i Casalesi a fornire le armi. Bidognetti e i suoi parteciparono, secondo la Procura, anche materialmente all'agguato insieme a Petrillo mentre La Montagna e Fermo erano incaricati di guidare le auto che avrebbero dovuto portare i sicari fuori dal parco Verde. Qualcosa però non andò secondo i piani. In base alla ricostruzione degli inquirenti, Chiocciariello morì sul colpo, Angelino, invece, dopo essere stato ferito ad un braccio da Di Maio, riuscì a darsi alla fuga nelle campagne. Raggiunta la vittima, Di Maio lo finì a colpi di mitra.

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Camorra. L'agguato a Vittorio Vastarella studiato dai nemici in vacanza: la pista è quella degli Esposito-Genidoni

NAPOLI. La tregua estiva negli ambienti di malavita è finita anche alla Sanità, dove ieri mattina due sicari hanno sparato contro Vittorio Vastarella. Il fratello del ras è in fin di vita C’è mancato poco che gli assassini ci riuscissero perché l’unico colpo a segno ha reciso l’arteria femorale e i medici del Pellegrini hanno dichiarato il paziente clinicamente morto. Le piste battute sono due: la ripresa della faida con i Genidoni-Esposito-Spina o un affare di droga per il quale c’era un conto in sospeso con qualche ras, dello stesso rione o addirittura di un’altra zona. L’allarme in via San Vincenzo è scattato alle 12 e 30. Vittorio Vastarella, che abitava nei dintorni, stava camminando quando sono entrati in azione i sicari, due in sella a una motocicletta. 

È partito il primo proiettile e il 43enne ha capito subito che aveva una sola possibilità di salvezza: infilarsi nel cortile del palazzo al civico 37, a due passi da lui. Così ha fatto, ma è stato inseguito e contro di lui sono stati esplosi altri cinque colpi di pistola calibro 9x21. Uno solo l’ha centrato alla gamba destra, che rischia di essergli fatale perché ha reciso l’arteria femorale. Proprio il troppo sangue perduto è alla base del coma in cui è precipitato il fratello di Giuseppe (ucciso il 22 aprile scorso alle Fontanelle) nonché figlio di Raffaele detto “Auciello” (detenuto) e nipote del ras Patrizio. A trasportare il ferito all’ospedale dei Pellegrini è stato un automobilista di passaggio, che l’ha caricato in macchina dopo i primi soccorsi di alcuni passanti. Le indagini sono condotte dai poliziotti della squadra mobile della questura e dai colleghi del commissariato San Carlo Arena. Investigatori esperti, che ben conoscono il territorio e hanno imboccato con decisione due piste, escludendo subito l’ipotesi di un’epurazione interna al clan. 

IL PROFILO CRIMINALE 

Ha terminato tre mesi fa gli arresti domiciliari per l’unico reato commesso in 43 anni, la droga. Ma Vittorio Vastarella è un simbolo in quanto appartiene alla famiglia ritenuta al momento la più potente negli ambienti di mala della Sanità. Un clan entrato in rotta di collisione con i Genidoni-Esposito- Spina, appoggiati dai Mallo di Miano, più per vicende di camorra di quartiere e mancato “rispetto” che per i traffici di droga, il business principale in zona. Ecco perché la pista più battuta, da un punto di vista logico non potrebbe essere altrimenti, conduce alla ripresa della guerra. Vincenzo Vastarello è il fratello di Giuseppe, ucciso il 22 aprile scorso nel circoletto alle Fontanelle in cui perse la vita anche il cognato Salvatore Vigna e furono feriti in maniera lieve altri tre appartenenti al gruppo. Quella sera però, sono sicuri gli investigatori, il 43enne ferito gravemente non c’era nei locali assaliti dai sicari del clan nemico. Né lui fino a ieri mattina era salito alla ribalta della cronaca, se non in occasione dell’arresto per droga. 
Molto più conosciuti dalle forze dell’ordine sono il padre, Raffaele detto “Auciello”, e lo zio Patrizio, libero da tempo e considerato il personaggio di maggiore spessore della famiglia. In particolare, il primo fu arrestato due anni e mezzo fa dai poliziotti del commissariato San Carlo nel corso di quelle che, alla luce degli eventi successivi, può essere definita la prima “stesa” a Napoli. Infatti gli investigatori si appostarono, in borghese naturalmente e con auto-civetta, nella zona delle Fontanelle, dove i Vastarella avevano stabilito il loro quartier generale. Così un gruppo di motociclisti in assetto da guerra fu fermato e il controllo permise di trovare e sequestrare una pistola addosso al ras 60enne. Tutti furono arrestati, ma solo lui restò dietro le sbarre. Il clan Vastarella è stato protagonista di varie guerre di camorra. Negli anni ottanta e novanta con i Misso, che a un certo punto ebbero la meglio e costrinsero gli attuali ras ad andare via dalla Sanità insieme con i Tolomelli. 

fonte: IL ROMA

Ai Vastarella la Sanità stava stretta. Un clan del centro storico dietro l'agguato al fratello del boss

di Sabrina Della Corte

CENTRO STORICO. Hanno ripreso il controllo del quartiere dopo anni di ridimensionamenti ed esìli, hanno riaperto case chiuse da tempo e cacciato via i nemici. Non vi sono dubbi sull'individuazione dei vincitori dell'ultima sanguinosa guerra di camorra alla Sanità, i Vastarella hanno battuto ed abbattuto gli Esposito-Genidoni proprio nel momento in cui sembravano dovessero soccombere definitivamente. Era il 22 aprile quando un commando armato fece fuoco all'impazzata all'interno del circolo Maria Santissima dell'Arco ammazzando il boss Giuseppe Vastarella e suo cognato Salvatore Vigna e ferendo Antonio e Dario Vastarella e Alfredo Ciotola. Sembrava il colpo di grazia per il clan, 'catapultato' dieci anni prima a Melito, ma invece i Vastarella riuscirono a reagire annientando, secondo gli inquirenti, gli esecutori dell'agguato: gli Esposito-Genidoni. 

Lo fecero attraverso una vendetta trasversale che sconvolse la comunità di Marano, con gli omicidi di Giuseppe e Filippo Esposito, colpevoli di essere, rispettivamente, padre e fratello di Emanuele Esposito, ritenuto dalle forze dell'ordine l'esecutore materiale della strage delle Fontanelle. Strage studiata nei minimi particolari da Antonio Genidoni, figliastro di Pierino Esposito, in compagnia di sua madre Addolorata Spina e della sua compagna Vincenza Esposito. I tre furono successivamente arrestati, insieme con Emanuele Esposito, pochi giorni più tardi. La polizia arrivò prima dei killer dei Vastarella che volevano definitivamente chiudere la partita che invece nella giornata di oggi si è improvvidamente riaperta. Resta difficile pensare che dietro l'agguato di via San Vincenzo alla Sanità, che è costato la vita (il 42enne è clinicamente morto) a Vittorio Vastarella, fratello del defunto boss Giuseppe, possano esserci gli Esposito-Genidoni. Ma allora se non sono stati gli 'eredi' di Pierino Esposito, chi ha sfidato i Vastarella? Non è escluso che dietro l'agguato di questa mattina possa esserci un tentativo di allargarsi oltre la Sanità da parte dei Vastarella che ha scatenato la reazione di qualche clan che non ha alcuna voglia di concedere una parte del territorio controllato.

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Sant'Antimo. Rischio sismico, solo una scuola in città è a norma

SANT'ANTIMO. Gli edifici scolastici cittadini sono tutti collaudati e provvisti di certificazione antisismica? A porre l’interrogativo è il Pd locale, che alla luce di quanto è avvenuto nel Reatino, vuole accendere i riflettori sul rischio terremoto. A dare voce alla minoranza è Aurelio Russo, già primo cittadino di Sant’Antimo, e primo candidato sindaco alle comunali del 2017 per il Pd. Russo segnala che solo un edificio scolastico, il “Pietro Cammisa“, dispone delle necessarie autorizzazioni antisismiche. 

L’amministrazione decise, con le somme limitate, a disposizione, di verificare lo stato di salute dei due edifici più vecchi di costruzione: il plesso della scuola Giovanni XXIII e quello in via Enrico Fermi, mentre per la Pietro Cammisa «i lavori di consolida-mento erano già in fase di completamento». Nel 2014 il Comune ha chiesto alla Regione, a seguito dei sondaggi, i fondiper realizzare gli interventi di consolida-mento. “Purtroppo, non avendo previstoalcun costo a spese del bilancio comunale, la regione ha comunicato lo stanzia-mento di fondi (circa 400mila euro per ognuno degli interventi) solo a partire dal 2017” commenta Russo che chiede di sa-pere se anche «i plessi di più recente costruzione (quello di via Piave e quello del-la Nicola Romeo) possono, ai fini certificativi, ritenersi in regola con le nuove nor-me antisismiche». Per l’ex sindaco è chiaro che bisogna attivarsi subito perché sirischia di perdere «anche il treno dei finanziamenti preannunciati dal Governo,per mettere in sicurezza le scuole dei no-stri figli». Ed in tema di rischi, conclude l’esponente democrat sollecita l’approvazione in consiglio del piano di protezione civile, pronto dal dicembre 2015 «questa mancata approvazione impedisce l'acquisizione delle strutture e delle tecnologie necessarie in caso di calamità. A luglio,pur essendone stata programmata la discussione, è stato depennato, all'ultimo momento: una follia». 

di Antonella Del Prete, Il Roma