domenica 24 luglio 2016

Nomi e ruoli degli affiliati, così il boss fa tremare tutti. «Era ricca ma piangeva sempre miseria»

NAPOLI. Il neo superpentito di camorra Carlo Lo Russo rivela nomi e ruoli dei componenti del clan, ecco le descrizioni fatte dinanzi ai magistrati dal collaboratore di giustizia.

Carmine Danese «nato a Napoli il 7 luglio del 1978 Non lo conosco, ho letto il suo nome sulle carte ma non l’ho mai visto».

Francesco Danese, «nato 25 dicembre del 1981 alias “bei capelli”. Ho già parlato di lui, ribadisco che stava con Gaetano Cifrone e si occupava delle estorsioni ai cantieri. Quando sono stato in carcere a Secondigliano ho saputo da Oscar Pecorelli che “ bei capelli “ si riforniva di cocaina da omissis e la rivendeva a me anche Oscar. Anche lui Gaetano Cifrone guada-gnava sulle estorsioni a percentuale sugli incassi, circa il 20% ma non era una quota fissa. Ovviamente facevano le estorsioni a nome mio ma me ne nascondevano molte».

Carmine De Angioletti, «nato a Napoli il 29 novembre del 1993. È figlio di Giulio. Mi ha accompagnato qualche volta a casa del padre di Antonella, sta vicino al padre ma non so dirvi di preciso di cosa si occupa veramente».

Giulio De Angioletti. «Ho già parlato di lui. È parte della famiglia Lo Russo da 30 anni, prima stava appresso a mio fratello Mimmo,poi vicino a mio fratello Peppe, gli faceva tutti i servizi. Come ho già detto Giulio si occupava in particolare delle estorsioni, dei recuperi, del settore degli ospedali. Ha fatto anche da intermediario con mio figlio Enzo e con Mariano per uno scambio di droga con una Signora che in cambio di erba diede cocaina. In seguito al fatto di cui ho parlato prima relativo ai soldi della estorsione a Mario Cerrone, lo volevo morto e dico anzi che è vivo per miracolo, solo perché mio figlio Enzo mi ha fatto riflettere».

Gerardo De Leo. «Non lo conosco di persona ma dico che “bei capelli “ e Cifrone mi dicevano che si avvalevano di un ragazzo per andare a bloccare i cantieri e mi hanno fatto questo nome, mi hann0 cioè parlato di un Gerardo senza dirmi il cognome».

Anna Gargano. «È la moglie di mio nipote Tonino, l’ho conosciuta quando sono stato scarcerato è venuta subito a trovarmi e siamo andati a mare insieme anche con il figlio Salvatore. Le ho dato anche in un paio di occasioni 1.000 euro ma a titolo di regalo perché non aveva certo bisogno di soldi visto che gestisce tutti i soldi del marito, ha tutto in mano lei anche se piange sempre miseria. So per certo che ha in mano i soldi del marito e di tanto ne ho parlato con le mie nipoti, le sorelle di Tonino perché non mi fidavo ed avrei preferito che i soldi di Tonino li avessero le sorelle. Temevo cioè che lei non potesse non aspettare in eterno il marito e quindi avrei preferito che i soldi di Tonino li avessero le sorelle. Quando ho tolto la mesata a Titina ,la moglie di mio fratello Salvatore, Annalisa è venuta a lamentarsi da me. Fino a Natale circa ho dato 1000 euro a Titina poi ho deciso di toglierla perché dopo aver letto le dichiarazioni di mio fratello Salvatore ho capito che mia cognata Titina sapeva da tempo che il marito era un confidente del dottor Pisani e non aveva detto niente. Questo è il motivo per cui le ho tolto la mesata non per il pentimento di mio fratello ma per il fatto che lei sapeva che il marito era confidente di Pisani, e nei colloqui parlavano di lui chiamandolo avvocato. Mio fratello Salvatore bugie non ne dice quindi se ha detto che la moglie sapeva del suo rapporto con Pisani è vero. Del resto io ho chiesto spiegazioni a mia cognata Titina a mezzo lettera e lei non mi ha risposto. In particolare ho chiesto a Titina di spiegarmi quale avvocato poteva mai averle detto di dire a Salvatore di “non fare colpi di testa “, ben sapendo che nessun avvocato difensore di mio fratello poteva avere detto una cosa del genere e lei non mi ha risposto.Ho quindi avuto conferma che il termine avvocato era riferito .. omissis...Tornando ad Annalisa, quando ho tolto la mesata alla suocera lei è venuta a lamentarsi ma io le ho spiegato perché lo avevo fatto e lei ha capito anche se cercava di insistere dicendo che era la madre di Tonino. Annalisa come ho già detto ha il panificio “Oro Bianco “ insieme a Peppe lovende usando il nome di famiglia . Con lei come con gli altri panifici sono dovuto intervenire per raggiungere il nuovo accordo ed ottenere la parte che mi spettava visto che imponevamo il pane utilizzando il nome dei Lo Russo. Ci siamo accordati come vi ho già spiegato con la somma mensile di 1500 euro da Annalisa e Peppe che gestisce il forno di Annalisa,1500 Gaetano Milano, 1000 Lombardi e 1000 Enzo “facciaverde" . Aggiungo che da ultimo stavo ai domiciliari per la resistenza che avevo fatto ai poliziotti, Annalisa venne a trovarmi sempre per la vicenda del pane a proposito del comportamento di mio nipote Enzo “faccia verde “. In particolare Annalisa mi chiese di intervenire con mio nipote perché stava proponendo il suo pane al posto di Annalisa, insomma si venne a lamentare che per colpa di Enzo i negozi stavano prendendo meno pane da lei. Poi mi avete arrestato quindi non ho fatto in tempo ad intervenire».

Giuseppe Loffredo. «È Peppe del forno di cui ho parlato, gestisce il panificio di Annalisa e Tonino, con lui mi sono incontrato diverse volte a casa di mia sorella Dora ed a casa del padre di Cutarelli. Alla fine ci siamo accordati per la somma di 1500 euro al mese tramite Giulio».

Antonio Lombardi. «Anche con lui mi sono incontrato sia da mia sorella Dora sia dal Padre di Cutarelli per la vicenda del pane. È il fratellastro di Marco Corona, non so se da parte di madre o di padre. Il figlio di Lombardi è stato sparato dalle guardie durante una rapina.

Vincenzo Lo Russo di Domenico. «È mio nipote di cui ho parlato a proposito del pane, imponeva il pane da tutte le parti. È un ragazzo che considero cattivo come il padre, ho parlato con la madre Giulia avete sentito la conversazione ed ho chiarito con lei che il figlio doveva darmi quello che mi spettava. Poi lui ha parlato con Giulio e si sono accordati per la somma di 1000 euro al mese».

Domenico Rusciano, «alias“Giarettella “ Non lo conosco»

Gaetano Milano «È il figlio di Totore Milano, socio mio nella droga attualmente detenuto. Il figlio invece con me non ha fatto droga ma gestiva il panificio a Marianella insieme alla moglie ed imponeva il pane. Avevo fiducia di lui perché me lo sono cresciuto e quindi volevo fare gestire a lui e Giulio questo discorso pane».

Ciro Perfetto. «Ne ho già parlato anche a proposito degli omicidi. È un killer e si occupa anche di droga».

Gennaro Ruocco. «Non ha fatto omicidi ma ha partecipato ad azioni dimostrative nel don Guanella, a varie sparatorie stava nel gruppo di Ciro. Gli facevo qualche regalo ogni tanto ma lui dipendeva da Ciro che lo manteneva. Ho già riferito poi dell’incidente in cui ha perso la vita quella donna per come mi ha raccontato Luigi Cutarelli».

Mariano Torre «È un killer, si occupava anche di droga ed ha trattato l’estorsione del parco Janfolla di cui ho parlato. Dopo questo sequestro delle armi che abbiamo perso non mi fidavo più di Luigi e quindi le armi che avevo acquistato in seguito le ho affidato a lui. Non le avete trovate, le aveva Mariano non so appoggiate dove».

FONTE: IL ROMA

«Ecco chi faceva parte del gruppo di fuoco». Il pentito fa i nomi dei killer: prendevano 5mila euro

NAPOLI. Il terremoto giudiziario che sta per scatenarsi dai racconti del boss neo pentito Carlo Lo Russo è appena agli inizi. L’ultimo della famiglia degli storici “Capitoni” di Miano in ordine di tempo a passare dalla parte dello Stato, dopo i fratelli Salvatore e Mario, ha raccontato agli investigatori tutto quello che è accaduto negli ultimi due anni nella geografia criminale non solo nell’area a Nord di Napoli, ma anche tutti i rapporti con gli altri clan della provincia e della città.

Ha fatto i nomi degli insospettabili, dei killer, di tutti quelli che erano sulla “busta paga” del clan ogni mese. Un fiume in piena insomma. Carlo Lo Russo ha spiegato alla Dda come funzionava la sua “holding criminale” da oltre 100mila euro al mese di spese. In primo luogo circa 40 detenuti da mantenere a 1500 euro al mese. Solo Antonio Tipaldi e Antonio Lo Russo, figlio del fratello Giuseppe, prendevano 2mila euro a testa perché accusati del duplice omicidio Manzo e D’Amico. Poi c’erano le vedove come quella di Domenico Raffone (il genero ucciso da Fabio Cardillo) alla quale andavano 2mila euro al mese. Agli affiliati invece toccavo lo stipendio di 1500 euro al mese anche se come ben sapeva il boss in molti “arrotondavano con i fuori mano” sulla vendita di droga. E poi c’era la batteria di killer. E a tale proposito ecco cosa dice su Luigi Cutarelli in carcere da tre mesi per essere l’esecutore materiale dell’omicidio di Pasquale Izzi.

Ecco il racconto del boss: “…Luigi Cutarelli, ne ho già parlato, è un mio affiliato, è un killer ed inoltre preposto alle piazze di droga del Don Guanella. Prendeva più degli altri. All’inizio 500 o 600 euro a settimana. Mangiava quasi tutte le sere a casa mia, stava sempre con me, lo tenevo in considerazione perché avevo saputo da Lellé omissis omis- sis. Capì subito che era un ragazzo valido e me lo misi subito al mio fianco. È uno che spara. Sotto la mia direzione ha fatto diversi omicidi di cui ho già parlato in altro verbale…”. Ai killer spettava la “mesata” di cinquemila euro al mese. E in fine ci sono i guadagni del boss, di suo figlio Vincenzo e del nipote, ora latitante, Vincenzo Lo Russo ‘o signor.

FONTE: IL ROMA

Vanella Grassi, incubo della faida interna al clan. Ecco chi è il nuovo boss

SECONDIGLIANO. Gli investigatori stanno cercando di capire cosa si muove all’interno del mondo criminale della zona di Napoli Nord dopo gli scossoni dei mesi di maggio e giugno culminati con l’arresto del boss fantasma Umberto Accurso della Vanella Grassi e dopo i recenti fatti di sangue con “stese” nella zona di Secongliano ma anche il clamoroso ferimento del giovane “erede al trono degli scissionisti” avvenuto a Melito in cui persero la vita due suoi affiliati. Il pentimento di Carlo Lo Russo sta contribuendo a fare luce sulle nuove alleanze criminali nella zona a Nord di Napoli con la famiglia Licciardi della Masseria Cardone guidata da Maria e dal nipote Pierino e poi i “Girati” o ex della Vanella Grassi e gli Amato-Pagano confinati a Melito. Se da un lato i Licciardi e gli “spagnoli” non sembrano avere problemi di leadership il problema esiste eccome nel tormentato gruppo della Vanella. Senza più un leader il gruppo, che negli ultimi anni dal centro di Secondigliano (via Dante, corso Italia e vico Lungo Ponte) si è allargata al Lotto G di Scampia e nei vicini comuni di Casavatore e Qualiano, è alle prese con un vivace nuovo ricambio generazionale. Il ceppo principale nato in mano al boss Salvatore Petriccione ( totor ‘o marenar) e poi ai suoi nipoti (Antonio Mennetta, Rosario Guarino, ora pentito, Fabio Magnetti, Antonio Accurso, anch'egli pentito e per ultimo Umberto Accurso), ora sarebbe nelle mani di un noto pregiudicato del rione Berlingieri, parente di Carmine Grimladi ‘o bombolone, ucciso nel 2007 a San Pietro a Patierno. Questa riorganizzazione però non è piaciuta alla base tanto che nelle scorse settimane un gruppetto della zona del Perrone avrebbe reclamato più spazio e autonomia e dando vita alle due “stese” costate il ferimento della ragazza affacciata al balcone di casa al Corso Secondigliano e quella del miracoloso mancato ferimento di una mamma e della sua piccola che erano in auto in piazza Di Vittorio. E poi ci sono stati gli spari contro l’auto di Mariano Aporta, fratello di Domenico ucciso nello scorso ottobre a San Pietro a Patierno in un agguato nel corso del quale lo stesso Mariano riuscì miracolosamente a salvarsi. Ora un nuovo segnale contro di lui con gli spari nella sua auto in via Cupa Santa Cesarea alla Mianella. 

METROPOLIS

sabato 2 luglio 2016

Droga nel basso Lazio, sgominata gang legata al clan Licciardi di Secondigliano. NOMI E FOTO


NAPOLI. Alle prime ore dell’alba gli Agenti della Squadra Mobile di Latina – IV Sez. Antidroga congiuntamente ai colleghi del Commissariato di P.S di Terracina portavano a termine un’operazione di Polizia Giudiziaria dando esecuzione a dieci Ordinanze di Misure cautelari personali emesse dal GIP del Tribunale di Latina Pierpaolo Bortone su richiesta del sostituto procuratore della Repubblica Marco Giancristofaro. I provvedimenti notificati hanno natura restrittiva per 6 soggetti di cui, nello specifico, quattro in carcere e due agli arresti domiciliari, mentre altri quattro indagati sono destinatari di misure di natura coercitiva qual’ è l’obbligo di firma presso la polizia giudiziaria.



Alla complessa operazione di polizia giudiziaria è stato dato il nome di “Terminal” in ragione del fatto che gli indagati, per non essere intercettati dalle forze di polizia ed eludere le investigazioni, utilizzavano svariati mezzi di trasporto pubblico che cambiavano frequentemente limitando al massimo l’eventualità di essere seguiti. Non a caso le indagini hanno impegnato gli Agenti in lunghi pedinamenti tra le provincie di Roma e Napoli ove avvenivano gli approvvigionamenti di sostanze stupefacenti destinate al mercato di Latina e di Terracina. 

INTIMIDAZIONI E LEGAMI CON “IL CLAN LICCIARDI” – I responsabili di tali illecite attività si sono distinti altresì per l’efferatezza dimostrata più volte in occasione delle mancate riscossioni di crediti. Gli stessi infatti, non solo davano prova di essere in possesso di armi da sparo che esibivano per affermare la propria leadership criminale ma, come appurato dagli inquirenti, più volte le utilizzavano esplodendo colpi d’arma da fuoco a scopo intimidatorio. La ricostruzione di tali fatti, verificatisi anche in luoghi pubblici di Terracina e S. Felice Circeo, è stata difficoltosa per gli investigatori anche a causa delle poca collaborazione delle persone presenti ai fatti. Non a caso il calibro criminale, dato dai precedenti penali di alcuni degli indagati e la diretta discendenza di Gennaro Marano, 20 anni domiciliato a Castelvolturno, con uno dei più temuti clan camorristici campani “ il Clan Licciardi”, contribuiva ad elevare la caratura criminale degli stessi alimentando il timore di intimidazioni e rappresaglie. 

In carcere sono finiti MARANO Gennaro (detto Genny) di anni 19, alias “il Campano”, perchè domiciliato a Castelvolturno in provincia di Caserta, MENICHINI SANTOS Bruno (detto il brasiliano) di anni 26, CASCARINI Alessandro (detto il Giaguaro) di anni 31. agli arresti domiciliari: MAUTI Marco (detto Morfeo) di anni 20, DAL RE Giorgia (detta Ursula) di anni 24. Obblighi di firma per: MATTEI Emilio di anni 25, GALLINARO Marco di anni 20, DI MAURO Vanessa di anni 23, CALANDRINI Christian (detto GAS) di anni 37.

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Pistole puntate in faccia ai bambini. La guerra di Camorra a Napoli non risparmia nessuno

NAPOLI. Quattro scorribande armate nel cuore del Rione Traiano contro le abitazioni di due affiliati al clan Tommaselli in libertà, ieri la sentenza di primo grado nei confronti di Alfredo Sarianiello, 47 anni, Cesare Mautone di 25 anni, Vincenzo Mennone, 26 anni e Antonio Marra. I quattro erano accusati di concorso in minacce armate con l’aggravante mafiosa. Ieri con la decisione del giudice si è chiusa la prima fase del processo che ha visto Alfredo Sorianiello condannato a 5 anni, e tre anni e dieci mesi nei confronti di Mautone, Mennone e Marra. Il blitz scatto il 17 dicembre scorso quando Alfredo Sorianiello, reggente del clan Grimaldi di Soccavo fu bloccato in una comunità a Montenero di Bisaccia in provincia di Campobasso. Con lui furono arrestati il nipote Cesare Mautone e Vincenzo Mennone. Quest’ultimo, inizialmente sfuggito alle manette, fu rintracciato il giorno dopo. A dicembre riuscì a farla franca Antonio Marra, arrestato poi l’11 febbraio scorso a Trentola Ducenta là dove si nascondeva da circa due mesi. Le scorribande armate sono avvenute il 28 febbraio 2015 e a seguire, il 7 marzo, il 7 giugno e il 17 novembre. Nel mirino c’era soprattutto Francesco Minichini, fratello di Maurizio, ma entrambi non hanno avuto alcun ruolo nell’omicidio di Fortunato Sorianiello, il 13 febbraio 2014. A contribuire alle indagini la denuncia di una donna imparentata con gli obiettivi dei raid. In un’occasione ai due bambini, figli della donna che ha dato la svolta alle indagini, sono state mostrate e puntate le pistole in via Catone da uomini in sella a ben sei motociclette. Secondo l’accusa il ras Alfredo Sorianiello voleva vendicarsi, prendendosela con gli unici due affiliati al clan Tommaselli in libertà, del figlio Fortunato. E così insieme con i suoi accoliti aveva preso di mira l’intera famiglia. L’inchiesta si è avvalsa pure della collaborazione di un neo pentito, Emilio Quindici, il quale ha puntato il dito contro il boss detenuto Carlo Tommaselli per l’agguato nel salone di barbiere in cui perse la vita il primogenito di “’o nir nir”. Le indagini sulle scorribande armate, con tanto di minacce alla donna e ai figli minorenni, furono condotte dai poliziotti di San Paolo in pochi mesi.

FONTE: IL ROMA

Smantellata piazza di spaccio dei Girati

blitz girati
Di Dario Moio


NAPOLI – I carabinieri della compagnia Stella hanno eseguito cinque ordinanze di custodia cautelare con l’accusa di spaccio di sostanze stupefacenti in concorso tra loro.


Si tratta di Pietropaolo Nitrone, 30enne di Piscinola; Mario Orsi, 55enne di Scampia; Rosario Rumieri, 30enne di Scampia; Antonio Amato, 22enne di Secondigliano e Salvatore Ruggiero, 26enne, anch’egli di Scampia, Quest’ultimo è l’unico che era già detenuto e il provvedimento restrittivo gli è stato notificato a Poggioreale. I militari hanno scoperto una fiorente attività di spaccio all’interno del lotto P di Scampia in maniera “scientifica”.

Ognuno aveva una specifica mansione: vedetta, spacciatore, custode dei soldi della vendita. La “piazza” funzionava da mattina a sera, ma non di notte non essendo sufficiente il numero di addetti per una copertura 24 ore su 24. Gli arrestati sono stati tutti portati al carcere di Poggioreale, tranne Antonio Amato che è stato riaccompagnato a casa per gli arresti domiciliari

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Parla Rosa, la ragazza colpita per sbaglio dalla camorra: “Voglio andare via da qui”

rosaDi Gianluca Russo

NAPOLI – “Me ne voglio andare via da qui, basta”. Queste parole piene di rabbia e di tristezza, e prive di speranza, sono state pronunciate da Rosa, 20 anni, ferita qualche settimana fa da uno dei colpi di pistola sparati in aria in una delle cosiddette “stese” di camorra e che casualmente l’hanno sorpresa mentre era affacciata al balcone di casa a Napoli, in Corso Secondigliano, nei pressi della rotonda di Piazza Capodichino. “Mi sono trovata – racconta la ragazza intervistata dal programma di Raiuno ‘La vita in diretta’ – con una pallottola che mi è entrata nell’addome da un lato ed è uscita dall’altro. Fortunatamente non sono stata colpita in organi vitali e non so nemmeno io come non sia rimasta almeno paralizzata”.

La camorra, quella che spara senza guardare in faccia a nessuno, ha ancora una volta rischiato di provocare morte innocente, come nel caso, soltanto l’ultimo, di Ciro Colonna, 19 anni, ucciso per sbaglio a Ponticelli. “Qui non c’è futuro, non è giusto quello che accade, voglio andarmene”- conclude l’intervista in lacrime Rosa, passandosi una mano sugli occhi bagnati.

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