mercoledì 28 ottobre 2015

Clan Mallardo senza testa, ora è caccia a fiancheggiatori ed insospettabili

di Antonio Mangione

GIUGLIANO. Un clan senza testa ed un esercito di soldati senza comando. Due facce della stessa medaglia che sta mandando in crisi il ‘sistema’. La decapitazione dei vertici del clan Mallardo, operata da magistratura e forze dell’ordine in questi anni, ha dato sicuramente una spallata ad una delle organizzazioni criminali più potenti d’Italia. La cosca, però, è ferita ma non è morta. Gli stessi magistrati della DDA, durante la conferenza stampa dell’ultima operazione che ha smantellato il controllo del mercato della frutta a Giugliano, dichiararono che la cosca giuglianese resta, nonostante la raffica di arresti, una delle più forti e potenti d'Italia. Con i boss ed i reggenti in cella, adesso l’attenzione delle forze dell’ordine si è spostata su tre fronti: evitare che le nuove leve prendano il sopravvento nel comando del territorio, intercettare i fiancheggiatori e rompere i rapporti economici per togliere ossigeno alla cosca. 

Il pentito Massimo Amatrudi ha spiegato in passato ai magistrati come quella dei Mallardo sia un’organizzazione criminale ancora legata ai vecchi valori e metodi. Un sistema a numero chiuso – ha raccontato il collaboratore di giustizia - che può vantare al suo soldo un esercito di circa trecento persone, in gran parte giovani. “Per diventare affiliato non è prevista nessuna cerimonia di iniziazione, ma basta percepire solo lo stipendio”, ha rivelato Amatrudi. E proprio le difficoltà a pagare 'le mesate' agli affiliati potrebbero aver indotto alcuni di questi a camminare autonomamente. 

FIATO SUL COLLO DI FIANCHEGGIATORI ED INSOSPETTABILI 

Discorso diverso va fatto per i fiancheggiatori e per coloro che si mettono a disposizione dell'organizzazione criminale. Ed è proprio su questa scia che si stanno muovendo i controlli effettuati su larga scala da parte del Commissariato di Giugliano e dei militari dell’Arma non solo nelle palazzine di Giugliano, teatro dell’agguato ai danni del figlio di Michele di Biase, ma in diversi quartieri della città. L’obiettivo degli investigatori è quello di spegnere sul nascere l’‘alzata di testa’ di piccoli gruppi criminali che si stanno muovendo in autonomia rispetto al clan Mallardo. La polizia ed i carabinieri stanno setacciando ogni angolo della città e perquisendo appartamenti, box auto e circoli frequentati da pregiudicati per trovare indizi utili alle indagini. Le case ed i locali di ‘insospettabili’ sono sempre stati covi per nascondere armi e droga, e lo sono ancor di più nei momenti di difficoltà delle organizzazioni criminali come lo sta attraversando il clan Mallardo che sa di essere ancor più attenzionato dalle forze dell’ordine e si muove dunque con maggiore cautela. Le precedenti indagini hanno già dimostrato come la cosca si servisse di persone per lo più incensurate a cui vengono dati in gestione in maniera fittizia società nei diversi settori. Nel commercio così come nell’edilizia. Società che servono per ripulire e giustificare i soldi derivanti dai traffici illeciti. Ma non solo. La speranza degli investigatori è anche quella di trovare indizi utili su Michele Di Biase, scomparso nel nulla circa un mese fa. Gli agenti cercano fogli, documenti, pizzini, indumenti che possano portare all'individuazione di Paparella.

BOSS E REGGENTI IN CARCERE E LE NUOVE LEVE 

I capi sono braccati. Giuseppe Mallardo è stato condannato all’ergastolo, mentre il fratello Francesco è in libertà vigilata in casa lavoro dopo aver scontato la sua pena. Molti dei reggenti e luogotenenti sono in carcere, alcuni dei quali al 41 bis. Qualche mese fa è defunto Feliciano Mallardo, poi ci sono Francesco Napolitano, Giuseppe Dell’Aquila, Patrizio Picardi, Giuliano Amicone, Biagio Micillo, Raffaele Mallardo e Michele Di Nardo. Sono loro ad aver comandato, chi in un modo chi in un altro, negli ultimi 20 anni gli affari illeciti del clan Mallardo attraverso i quattro gruppi di cui è composto: Rione San Nicola, via Cumana, Selcione e Licola-Varcaturo-Lago Patria. 

I NUOVI ASSETTI 

Ma come ogni sodalizio criminale, anche il clan Mallardo è pronto a cambiare faccia, ad assumere un nuovo assetto per continuare a svolgere i traffici illeciti, non solo nell’hinterland napoletano ma in tutta Italia. I magistrati hanno sequestrato nel corso degli ultimi 10 anni un patrimonio che si aggira sul miliardo di euro, una somma incredibile che comunque sembra essere una goccia nell’oceano visto che secondo le informative degli inquirenti il ‘tesoro’ dei Mallardo ammonterebbe ad almeno il triplo. Patrimonio ora gestito dalle nuove leve della cosca, i luogotenenti che hanno fatto carriera in questi anni che però – secondo il racconto dei pentiti – prendono sempre ordini dai boss rinchiusi in carcere. Sono loro a continuare a comandare, a tenere in mano le redini dell’organizzazione criminale. Ma non tutto sembra filare liscio. Gli agguati e i ferimenti degli ultimi mesi verificatisi a Giugliano, come non accadeva da anni, fanno pensare a una lotta intestina su chi debba gestire l’ingente flusso di denaro. Non una faida interna né tantomeno una spaccatura, sia chiaro. Perché a comandare è sempre il clan Mallardo. Ma piccole frizioni tra i sottogruppi in cui è diviso il clan che potrebbero mutare il suo assetto organizzativo e mettere in pericolo l’equilibrio criminale raggiunto dal clan Mallardo nel corso degli ultimi 20 anni.
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I Casalesi spacciavano a Giugliano e dintorni. Smantellato nuovo gruppo criminale

HINTERLAND – Una vasta operazione è stata eseguita stamani a seguito di una complessa indagine svolta dai Carabinieri di Grazzanise e dalla Polizia di Caserta (coordinati dalla DDA di Napoli) e relativa ad attività estorsive ai danni di commercianti attraverso attraverso l’imposizione di gadget pubblicitari. L’attività investigativa, condotta dal novembre 2013 ad oggi, ha permesso di ricostruire l’organigramma di un nuovo gruppo operativo-criminale riconducibile al clan dei Casalesi. 19 indagati sono finiti in manette.

Esistevano due nuclei ben organizzati: uno diretto da Luigi Alamaro (in foto), alias “Salvatore”, operante sulla piazza di spaccio di Napoli e dintorni, e l’altro facente capo a Ettore Pacifico e Vincenzo Chiarolanza, operante a Casal di Principe e Villa Literno.

Il gruppo di Alamaro si occupava della distribuzione di droga, sopratutto cocaina, ed aveva delle basi a Napoli, Giugliano, Sant’Antimo, Melito, Aversa e comuni limitrofi. Nel traffico illecito erano coinvolte diverse persone che si occupavano della distribuzione sul territorio.

Il gruppo Pacifico-Chiarolanza si rivolgeva invece ad Almaro per acquistare la droga da smerciare nella zona di Casal di Principe, Villa Literno, Grazzanise e Bellona, anche qui attraverso una fitta rete di pushers.

Gli investigatori hanno scoperto anche diversi legami di parentela con i clan camorristici di riferimento, ovvero i Casalesi ed i “girati” del gruppo Leonardi della Vannella Grassi, dove gli emissari dei Casalesi acquistavano la droga.

Vengono contestati complessivamente 700 episodi di spaccio. Tra gli arrestati 15 sono finiti in carcere ed altri 4 ai domiciliari. Le accuse sono di associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti e detenzione e spaccio al dettaglio di droga.

I NOMI DEGLI ARRESTATI: 

In carcere: Alamaro Luigi; Baazaoui Abdelmonam; Chiarolanza Vincenzo; De Vivo Marco; Del Sole Carmela; Del Sole Rosa; Della Corte Domenico; Frascogna Guido; Gravante Cristina; Imbriani Rosaraia; Necci Franco; Orefice Addolorata; Pacifico Ettore; Pacifico Giuseppe; Russo Domenico

Ai domiciliari: Attianese Ciro; Bencivenga Fabio; Della Cioppa Michele; Della Volpe Luisana.

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lunedì 19 ottobre 2015

Camorra, preso un fedelissimo di Zagaria. “Le famiglie dei carcerati hanno fame”

martino-zagariaNella giornata di ieri, in S. Cipriano d’Aversa (CE), la Polizia di Stato di Caserta ha eseguito un Decreto di Fermo emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, nei confronti del pregiudicato, affiliato al clan dei Casalesi – fazione ZAGARIA, MARTINO Francesco, alias Ciccio o’ Pecoraro, nato a Villa Literno (CE) il 05.07.1959, residente a S. Cipriano d’Aversa (CE), in quanto gravemente indiziato di estorsione continuata, aggravata dalla metodologia mafiosa.

LE ESTORSIONI. In particolare, le incalzanti indagini della Squadra Mobile di Caserta appuravano il coinvolgimento del citato MARTINO Francesco in una serie di condotte estorsive, poste in essere tra maggio e luglio 2015, in danno di imprenditori agricoli del comprensorio di Cancello Arnone (CE), area storicamente assoggettata al controllo criminale della citata consorteria camorristica.

“LA GUARDIANIA” DELLE AZIENDE. Secondo le emergenze investigative, il pregiudicato si era rivolto ad alcuni imprenditori agricoli pretendendo il pagamento di una somma di 250 euro per assicurare la “guardiania” alle loro aziende. Gli imprenditori, per la notoria fama di affiliato ai casalesi di MARTINO Francesco, non avevano esitato a corrispondergli il “pizzo”, la cui richiesta avveniva secondo una metodologia tipicamente mafiosa, infatti, il pregiudicato aveva ammonito le vittime che “…le famiglie dei carcerati erano senza soldi…s’ moron e famm’…”, e che, pur essendo stato scarcerato da poco, era di nuovo in zona e, quindi, per ogni problematica, come ad esesempio qualora avessero subito danneggiamenti, furti di attrezzi o mezzi agricoli, dovevano rivolgersi a lui.

DA POCO SCARCERATO. Martino Francesco, era stato arrestato nel dicembre 2011, ad epilogo di un’operazione congiunta delle Squadre Mobili di Napoli e Caserta, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dall’Ufficio del G.I.P. presso il Tribunale di Napoli su richiesta della Procura Antimafia partenopea, unitamente ad altri esponenti di spicco del gruppo ZAGARIA, a vario titolo indagati per associazione mafiosa ed estorsione aggravata; scarcerato nel marzo 2015, aveva ripreso immediatamente le attività estorsive per conto dell’organizzazione criminale.

Peraltro, l’arrestato è legato da vincoli di parentela ad affiliati di rilievo del clan dei Casalesi, quali CACCIAPUOTI Alfonso – capozona della fazione SCHIAVONE nel comprensorio di Grazzanise, S. Maria la Fossa, e Capua – e NOBIS Raffaele – uomo di fiducia del boss ZAGARIA Michele -, unitamente al quale era stato in precedenza arrestato.

Dopo le formalità di rito, MARTINO Francesco è stato associato alla Casa Circondariale di S. Maria Capua Vetere, a disposizione dell’Autorità giudiziaria.
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mercoledì 14 ottobre 2015

Napoli, l'altra metà del crimine: camorra al femminile, quando le dark ladies decidono omicidi

di Viviana Lanza

Per anni sono state le custodi della casa e dei segreti di figli e mariti, di padri e fratelli. Presenze discrete nella vita di uomini impegnati a fare guerre e affari sporchi. Portavano il peso di verità che non potevano essere rivelate e di lutti che regole non scritte imponevano di accettare. «Sorelle d'omertà» secondo la tradizione ‘ndraghetista che le relegava a ruoli di mera assistenza. Oggi non è più così. Oggi che le regole non sono più regole, l'immunità non segue più le differenze di genere.

Se si esclude la strage di Quindici, nell'ambito della faida tra i Cava e i Graziano, che fece cinque vittime tra donne e fu ordita da donne, quella di ieri è la prima esecuzione di una donna. In passato le donne sono state vittime di errori o vendette trasversali, mai di raid mirati. È il segnale di una nuova scalata al potere, della nuova identità delle donne nella camorra. Sempre meno invisibili e sempre più autoritarie, le donne non sono più solo quelle che accorrono per prime sul luogo di un agguato, che si vestono di nero e al collo portano camei con la foto dei morti che si piangono. Non sono solo le ambasciatrici dal carcere ai covi, le presenze fisse alle udienze dei processi o la spola tra penitenziari e studi legali. No. Si sono evolute. Molte di quelle che di un boss erano parenti, mogli o sorelle, sono arrivate a prendere in mano le redini del clan, a disporre di uomini e mezzi, a gestire non più soltanto i conti della casa ma anche le casse dell'organizzazione. E quando è accaduto hanno dato prova di grande determinazione. «Guagliù questa occasione ce la manda il Padreterno» dice Emilia Sibillo (solo omonima dei Sibillo dei Tribunali), l'unica donna assieme ad Assunta Buonerba ad essere tra gli undici arrestati mercoledì scorso nell'ambito dell'inchiesta della Dda sul clan Buonerba del centro storico. La si ascolta incoraggiare i killer a entrare in azione per uccidere Salvatore D'Alpino quando, nel tardo pomeriggio del 30 luglio scorso, gli arriva la notizia che l'uomo è davanti a una pizzeria in piazza Mancini. «Bravo eh, ma senza fare bordello...non cominciate a fare bordello, ja' che questa occasione è buona».

Negli anni Cinquanta fu Pupetta Maresca a salire alla cronache, accusata di aver vendicato chi credeva responsabile dell'omicidio del marito. Sempre lei, negli anni Ottanta, sfidò Raffaele Cutolo, il temuto capo della Nuova camorra organizzata, e il suo nome negli anni è stato associato a intricati casi di cronaca nera e intrighi di Stato tanto da diventare fonte di ispirazione per fiction e romanzi. Meno leggendarie e più crude sono le storie delle donne di camorra dei tempi moderni. Nel 2001, nella lista dei trenta criminali più ricercati d'Italia, c'era anche il nome di una donna. Era una 50enne della Masseria Cardone, quartiere Secondigliano quanto la periferia nord di Napoli era il più grande mercato della droga all'aperto, i clan esportavano merce contraffatta grazie ai magliari e per ordine dei boss il potere criminale non si ostentava. Maria Licciardi, il suo nome. Sorella di Gennaro Licciardi, considerato il fondatore della Cupola di Secondigliano e morto in carcere alla fine degli anni Novanta, e del fratello Vincenzo che ne avevano raccolto l'eredità, fu arrestata il 15 giugno di quattordici anni fa da latitante. I collaboratori di giustizia la accusavano, a dispetto del soprannome - 'a piccerella - di aver avuto un ruolo da reggente all'interno dell'organizzazione che al tempo era il clan di camorra più potente della città e monopolizzava anche affari a livello internazionale. «Le donne di Secondigliano costituiscono la spina dorsale dell'Alleanza» sosteneva un ex affiliato diventato pentito.

A Forcella, invece, c'erano i Giuliano a fare il brutto e il cattivo tempo fino alla fine degli anni Novanta e nella casbah, lo raccontano le inchieste dell'Antimafia del tempo, anche le donne avevano un ruolo. Erminia Giuliano detta Celeste era la sorella di Logino e dei fratelli oggi tutti collaboratori di giustizia: con quegli occhi di ghiaccio si diceva che fosse «un vero uomo d'onore». Anche Carmela Marzano, moglie di Luigi ‘o re, conobbe il carcere e le accuse di essere al centro di alcuni affari della famiglia di Forcella prima di seguire il marito nella scelta di collaborare con la giustizia e uscire dalla scena criminale napoletana. A Pianura c'era Teresa De Luca, compagna di Giuseppe Marfella, vecchio boss della camorra di Pianura. La definirono «lady camorra»: suo figlio è Antonio De Luca Bossa, quello che a Ponticelli negli anni Novanta sfidò i Sarno con l'autobomba imbottita di tritolo fatta esplodere in via Argine il 25 aprile del 1998.

«È la vera anima del gruppo, donna di camorra per discendenza genetica. Una regina», così, in occasione del suo arresto nel 2009, il gip definì Luisa Terracciano, esponente della camorra influente tra Ponticelli e l'hinterland vesuviano. Mentre è di pochi giorni fa l'arresto di Gesualda Zagaria, sorella dello storico capo dei Casalesi Michele Zagaria: nubile e senza figli è accusata di essere la contabile del clan, con la passione per le griffe.

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donne di camorra

di Alessandro Chetta (ha collaborato Antonio Scolamiero)

Pupetta Maresca

Assunta Maresca detta Pupetta è la più famosa e «letteraria» donna di camorra. Moglie di Pascalone ‘e Nola, uccise, incinta, il presunto mandante dell’omicidio del marito. Era il 10 agosto 1955. Lo stesso anno Pupetta, classe ‘35, fu arrestata e portata a Poggioreale per scontare 13 anni di galera (ma dopo circa un decennio fu graziata). Ebbe anche un’esperienza come attrice nel ‘67. Il suo romanzo nero prosegue negli anni Ottanta quando venne accusata di essere mandante di un altro omicidio ma venne scagionata. Copione che si ripeterà ancora diverse volte sulla base di accuse di omicidio, traffico di droga e estorsione. La sua storia ha ispirato numerosi film, tra cui «Il caso Pupetta Maresca» di Marisa Malfatti e Riccardo Tortora. Nel 2013 fu invece Manuela Arcuri ad interpretarla sul piccolo schermo per la fiction «Pupetta - il coraggio e la passione»


Rosetta Cutolo

Classe ‘37, è stata sempre considerata la luogotenente dei traffici criminali del fratello, Raffaele Cutolo, in carcere da quasi 40 anni. Tale ruolo apicale le venne confermato anche nella finzione cinematografica col film cult di Tornatore «Il camorrista» (1986) in cui sarà l’attrice Laura Del Sol a prestare il volto a Rosetta, spietato «braccio secolare» della Nco (Nuova camorra organizzata) che aveva base a Ottaviano.

Antonella Madonna, ‘a zia

Soprannominata ‘a zia, moglie di un capoclan del consesso Ascione-Papale di Ercolano, Antonella Madonna era considerata «specializzata» nell’usura, praticata soprattutto nei confronti delle donne soggiogate dalle sale Bingo. Al di là del prestito a strozzo dirigeva le attività del potente clan vesuviano, secondo le risultanze delle indagini e le dichiarazioni dei pentiti.

Annamaria Carotenuto

Annamaria Carotenuto, moglie del boss Giuseppe Falanga detto ‘o struscio, prima dell’arresto era diventata punto di riferimento del «sistema» di Torre del Greco, provincia di Napoli. Secondo gli inquirenti curava tutto: estorsioni e cassa.

Celeste Giuliano

Erminia Giuliano detta Celeste per il colore dei capelli fu reggente dei Forcella dopo l’arresto dei 5 fratelli, tra cui Luigi «Lovigino», godfather del rione. Raccontò il Corriere della Sera che quella notte di dicembre del 2000, quando i carabinieri l’hanno tirata fuori dalla botola dove si nascondeva, Celeste ha pregato i militari di far salire la sua estetista personale. «Fatemi aggiustare i capelli, fatemi almeno pettinare».

Teresa De Luca Bossa

Teresa De Luca Bossa, 64 anni, la «signora di Ponticelli»

Anna Terracciano

Detta ‘o masculone anche perché partecipava direttamente ai raid punitivi del clan. Sorella di Salvatore Terracciano, venne arrestata nel corso di una maxi-retata ai Quartieri spagnoli nell’aprile 2006

Lena e le sue «sorelle»

Droga e traffici illegali, furti e rapine. Giuseppina, Lena (in foto) e Patrizia Aprea controllavano «scrupolosamente», dice la Procura di Napoli, tutte le entrate del clan Aprea e ne gestivano anche le uscite. Sono state arrestate nell’ottobre 2010.

corrieredelmezzogiorno.corriere.it

venerdì 9 ottobre 2015

Smantellata piazza di spaccio nel fortino della camorra: arresti e sequestri

di Matteo Giuliani

Nella foto Vincenzo Morra, Giuseppe Esposito e Ciro GrandiosoNAPOLI. I carabinieri della Compagnia di Poggioreale hanno effettuato un servizio ad Alto Impatto nei quartieri di Ponticelli e San Giovanni a Teduccio. Subito dopo l’irruzione in zona i militari dell’Arma hanno proceduto a effettuare posti di controllo, perquisizioni domiciliari e ispezioni a parti comuni di immobili, procedendo a verifiche su pregiudicati e personaggi d’interesse operativo. Nell’ambito operativo sono state tratte in arresto 4 persone (tra le quali un elemento di vertice e due affiliati del clan camorristico dei Reale che si erano organizzati una “piazza di spaccio con tanto di telecamere) nonché denunciate 7 persone per reati che vanno dalla coltivazione di cannabis al furto di energia elettrica, dal possesso di arnesi da scasso al contrabbando di sigarette. Su via Comunale Ottaviano è stata smantellata una vera e propria “piazza di spaccio” e sono stati arrestati per detenzione a fini di spaccio di stupefacenti Grandioso Ciro, 49 anni, Esposito Giuseppe, 38 anni, e Morra Vincenzo, 36 anni, rispettivamente ritenuti esponente di vertice e affiliati al clan camorristico dei Reale. 

I 3 sono stati sorpresi nell’abitazione in uso a Grandioso in possesso di 42 dosi di eroina (41 grammi), 17 dosi di cocaina (6 grammi) e della somma di 650 euro in denaro contante (ritenuta provento di attività illecita). La droga era nascosta nel vuoto dietro il bidet destinato al passaggio dei collegamenti per la rete idrica. Nel salore campeggiava un grosso televisore lcd sul quale erano proiettate le immagini provenienti da 3 telecamere installate di nascosto in cassette di derivazione dell’energia elettrica (un sistema di videosorveglianza creato per sorvegliare l’ingresso che una volta scoperto è stato smantellato e sequestrato). Con esse i soggetti riuscivano a monitorare i movimenti sul posto, una “piazza di spaccio” che è stata disarticolata. Gli arrestati sono stati tradotti a poggioreale. 

Per detenzione di droga a fini di spaccio è stato arrestato anche Orofino Stefano, 19 anni, residente nel quartiere di San Giovanni, sorpreso all’interno della sua abitazione in possesso di un frammento di cocaina del peso di 13 grammi e di 175 euro in denaro contante ritenuti provento di attività illecita. Adesso è ai domiciliari. Nel Parco Conocal dove gli affari illeciti sono sotto il controllo del clan D'Amico”, è stata rinvenuta e sequestrata una pistola scenica calibro 8 modificata che ignoti tenevano nascosta nel vano contatori di uno stabile.
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sabato 3 ottobre 2015

Sant'Antimo. Hashish, marijuana e pugnali in casa, coppia nei guai

SANT'ANTIMO. Arrestato dai carabinieri di Giugliano per detenzione di stupefacenti a fini di spaccio Giuseppe d’Isidoro, 48 anni, già, sorvegliato speciale e Carmela Verde, 32 anni, incensurata, entrambi residenti a Sant’Antimo. I due sono stati trovati in possesso nella loro abitazione in via Germania di 12 stecchette di hashish, del peso complessivo di 23,5 grammi, 3 confezioni di marijuana, del peso complessivo di 5 grammi, 3 buste contenente, rispettivamente, 25, 45 e 50 grammi di marijuana, divisa in confezioni, 2 pugnali lunghi 26 e 39 cm e 110 euro in denaro contante, ritenuti provento d’illecita attività. D’Isidoro è in carcere, mentre Verde ai domiciliari.
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Arrestata la sorella di Zagaria. Gesualda, il «contabile» che veste griffato

La penultima sorella del boss, nubile e senza figli. Non si è mai sposata e, come in tutte le famiglie, a lei provvedevano i suoi fratelli. Michele, Antonio, Carmine e Pasquale Zagaria.

Quei soldi però, scrive il gip Egle Pilla, non erano un normale aiuto economico alla sorella single, ma il reimpiego delle rendite del clan di Casapesenna. E lei, Gesualda, aveva esigenze particolari, amava il lusso e i capi griffati. E, per poter mantenere quel tenore di vita, la quarantanovenne che non aveva entrate ufficiali né un uomo accanto che provvedesse ai suoi bisogni, percepiva uno stipendio di duemila euro. Ma non è tutto. Secondo la Dda, Gesualda era il contabile del clan, la persona alla quale il boss affidava il denaro col quale pagare gli stipendi ad alcuni affiliati. La figura di Gesualda si affaccia solo ora, alla soglia dei cinquant’anni, sullo scenario criminale casalese. Per la Dda, la scelta di darle un ruolo si è resa necessaria solo dopo la cattura della metà dei fratelli del boss e della sorella Elvira. Insomma, prima di ieri, quel cognome pesante, diventato sinonimo di camorra, per lei sembrava non essere stato obbligo a delinquere. Incensurata, nella sua fedina penale c’è un’unica macchia, e si tratta di una denuncia per ricettazione di beni archeologici. In casa sua, quando ancora viveva in via Fontana a Casapesenna, furono ritrovati, in bella mostra in una credenza a vetrate, reperti di interesse storico-artistico: gli imprenditori edili impegnati negli scavi dell’Antica Cales, a Calvi Risorta, anziché consegnare alla Soprintendenza i reperti che venivano ritrovati di volta in volta dalle ruspe, si presentavano dalla sorella del boss e omaggiavano Gesualda con prezioso vasellame romano. Regali degni di una regina.

Durante una perquisizione, quei reperti furono ritrovati e sequestrati. La sorella del boss, denunciata in stato di libertà. Da quel momento, però, il suo nome non è più entrato nelle cronache, men che meno nelle inchieste della Dda che hanno smantellato pezzo per pezzo il clan Zagaria. Fino a ieri, quando, nero su bianco, il gip Egle Pilla l’ha definita una sorta di contabile del clan. Secondo l’accusa, Gesualda andava regolarmente a far visita al fratello nel carcere di massima sicurezza di Milano-Opera, dove è detenuto al 41 bis, e in quei frangenti, benché i dialoghi fossero intercettati, percepiva da lui delle direttive sulla gestione del denaro. Ipotesi che è lo scheletro stesso del quadro indiziario tratteggiato dalla procura che infatti alla donna non contesta l’associazione per delinquere di stampo mafioso. Solo dopo l’arresto del fratello, dunque, la donna avrebbe assunto un suo ruolo all’interno della cosca.

Viveva, attualmente, in una villa a Castel Volturno, in località Ischitella, affidata al nipote Filippo Capaldo, che l’aveva però ceduta alla zia e ai nonni. Quella villa, però, è sotto sequestro sin dal 2011 perché è abusiva. Ciononostante, il Comune di Castel Volturno, che avrebbe dovuto acquisirla al proprio patrimonio già da tempo, non ha mai provveduto a prenderne possesso. Le ragioni della scelta dell’Ente locale sono, al momento, sconosciute. Si sa, invece, che Gesualda accudiva lì gli anziani genitori, un compito che, secondo la Dda, gli era stato affidato dalla «famiglia», assieme al ruolo di contabile.

Su quest’ultimo aspetto si soffermano diversi pentiti, tra i quali Massimiliano Caterino, e lo provano - secondo gli inquirenti - i trasferimenti di denaro a Daniela Inquieto, figlia di Vincenzo e di Rosaria Massa, i coniugi proprietari della villa di Casapesenna sotto il cui pavimento fu stanato Zagaria il 7 dicembre del 2011. Un racconto corale, dunque, fatto di racconti di collaboratori di giustizia, di riepiloghi di spostamenti bancari e di intercettazioni.

Di Gesualda, Michele Zagaria si fida pienamente e a lei affida la linfa vitale del clan, i soldi. Lei, a sua volta, ha una sorta di adorazione per quel fratello. Tanto che, al primo Natale che passano separati, scoppia in lacrime - assieme agli altri parenti - perché, riunita al tavolo, la famiglia legge una lettera di auguri che Michele le ha affidato in carcere.

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Colpo al clan Polverino, arrestato latitante ricercato da due anni: si nascondeva ad Aversa

Camorra, colpo al clan Polverino. I carabinieri del nucleo investigativo di Napoli hanno arrestato Ciro Manco, affiliato alla fazione criminale guidata da Giuseppe Polverino, alias 'o barone. L'uomo, ricercato da due anni, si nascondeva in un'abitazione di Aversa. Manco, che è ritenuto un elemento di spicco del clan egemone a Marano, Quarto e in altri comuni dell'hinterland partenopeo, deve rispondere dei reati di associazione a delinquere di stampo mafioso e spaccio internazionale di stupefacenti. L'uomo, già condannato in primo grado a 30 anni di carcere, non aveva alcun documento al momento dell'arresto. Si nascondeva in una villetta della città casertana e conduceva una vita apparentemente anonima.

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“Diciamo no alla camorra”, domenica Napoli scende in piazza

NAPOLI - Dopo gli ultimi episodi di cronaca i napoletani hanno deciso di scendere in piazza per protestare contro i soprusi della criminalità organizzata. “Diciamo no alla camorra” sarà infatti il nome del flash-mob che si terrà domenica prossima, a partire dalle ore 11, in piazza del Plebiscito.

La manifestazione è stata organizzata per dire “basta” all’ennesima faida tra clan che sta insanguinando le strade e soprattutto dopo il ferimento dell’agente della Squadra Mobile di Napoli Nicola Barbato, rimasto gravemente ferito durante un’operazione anti-estorsioni nel quartiere Fuorigrotta. Il poliziotto, a quanto pare, sta meglio ma resta ancora ricoverato in ospedale dove nei giorni scorsi si sono recati anche il Presidente Della Repubblica Mattarella ed il Ministro dell’Interno Alfano.

“Sarà il momento per scegliere da che parte stare, lanciando un messaggio. – spiegano gli organizzatori – Se siete da parte della legalità venite a piazza del Plebiscito e ognuno di voi riceverà un palloncino sul quale scriverà un messaggio contro la camorra. Alla fine tutti insieme faremo volare i palloncini affinché rappresentino un rinnovato impegno di noi cittadini verso la nostra Napoli”.

L’evento su Facebook vanta già oltre mille partecipanti e si prevede dunque una massiccia presenza.

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