sabato 31 gennaio 2015

Esecuzione di camorra, ucciso e abbandonato nel boschi di Mugnano


di Bianca Bianco


Il sangue si staglia evidente nella neve. È quello di Attilio Di Grezia, 30enne di Mercogliano e presunto affiliato al clan Cava, trovato cadavere a Campo di Spina. Lì, a 975 metri, tra la neve caduta in questi giorni e davanti il rifugio bivacco dedicato agli escursionisti che vogliono raggiungere Montevergine, i killer hanno abbandonato il suo corpo privo di vita.

Gli hanno sparato quattro volte con una pistola: tre volte all'addome, una volta alla nuca. Un'esecuzione di camorra, compiuta altrove, terminata lassù, tra i faggi del bosco del Cupone, in pieno Parco del Partenio, al centro di un sentiero imbiancato. Il cadavere di Di Grezia era riverso supino a due passi dalla segnaletica della Comunità Montana, proprio al centro del bivio tra Vallifredda e Montevergine, poco lontano dalle tabelle che spiegano che un tempo in questi luoghi esistevano le neviere, antica fonte di sostentamento del Baianese.

Ad imbattersi nel corpo quasi congelato del giovane è stato, intorno alle 9,30 di ieri mattina, un cercatore di tartufi di Mugnano; la zona ne è ricca, l'escursionista era uno dei tanti che battono quei sentieri ricchi di tuberi. L'uomo si è accorto del fagotto al centro della strada, è sceso dall'auto e quando si è reso conto che si trattava di un morto ha chiamato i vigili urbani del Comando di Mugnano.
I caschi bianchi hanno raggiunto l'area insieme ai carabinieri sfidando i tornanti ghiacciati ed arrivando alla rada circondata dal faggeto subito circoscritta dal nastro bianco e rosso della Scientifica. Il cadavere di Di Grezia era cristallizzato nella posizione di chi è stato colto di sorpresa: le braccia in alto, le gambe scomposte, gli occhi aperti, una maglietta bianca alzata sul torace completamente intrisa di sangue. Indosso aveva anche un giubbotto nero, un paio di jeans e scarpe da ginnastica poco adatte al clima rigido di quelle altitudini.

Particolari che, insieme all'esame della salma effettuato dal medico legale Carmen Sementa, avrebbero confermato che il trentenne è stato picchiato selvaggiamente, ucciso probabilmente altrove almeno ventiquattro ore prima del ritrovamento e poi trasportato a Campo di Spina e abbandonato come la carcassa di un animale. I primi rilievi, coordinati dal sostituto procuratore della Procura della Repubblica di Avellino Maria Teresa Venezia sono stati accompagnati da operazioni lunghe, rese difficili anche dal ghiaccio.

Solo in serata l'identità dell'uomo è stata resa nota, e con quella anche l'ipotesi che si sia trattato di un regolamento di conti interno al clan Cava. Il nome di Di Grezia spunta infatti tra i fascicoli dell'Operazione «Scacco agli estorsori», costola dell'operazione «Tempesta» con cui fu decapitato, nel 2008, il clan Cava, egemone nel Vallo di Lauro e con diramazioni anche nel capoluogo ed a Mercogliano. L'allora 24enne Di Grezia fu arrestato in quella occasione insieme a Bernardo Cava e Santolo Fabi per una serie di episodi estorsivi compiuti nei confronti di imprenditori dell'Avellinese. Poi un nuovo arresto nel 2009, con le stesse accuse, una condanna in primo grado e la scarcerazione nel duemiladodici. Un curriculum che pesa e lascia ipotizzare che Di Grezia sia stato vittima di un regolamento di conti.
Ora è caccia agli assassini che hanno giustiziato e abbandonato il 30enne. Si stanno mettendo a setaccio gli ambienti malavitosi della fascia del Partenio. Già ieri mattina a circa cinquecento metri dal cadavere è stato avvistato un furgone carico di legna forse rubata.

Il mezzo è stato poi trovato a Quadrelle, in località Morricone dagli agenti del Corpo forestale dello Stato, mentre due persone sono state ascoltate dai carabinieri. Secondo quanto emerso, non ci sarebbe collegamento con l'omicidio ma si tratterebbe di due persone scappate alla vista dei militari a Campo di Spina perché avevano caricato legname tagliato senza autorizzazione. Un giallo nel giallo.
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venerdì 30 gennaio 2015

La classifica di Trivago: Sorrento terza città al mondo per qualità hotel

NAPOLI. Torna nuovamente la tradizionale classifica di trivago, il motore di ricerca hotel più grande al mondo, che premia le 100 città del globo i cui hotel si sono distinti nel corso dell’anno passato per l’ottima reputazione online espressa dai clienti che vi hanno soggiornato. Trionfa nuovamente l’Italia con Sorrento, che scende di 2 posizioni nella classifica mondiale ma tiene forte il primato europeo ed è, ovviamente, la prima in Italia.

Dopo un anno torna il trivago Online Reputation Ranking*, una speciale classifica delle 100 città al mondo con gli hotel meglio valutati online, che prende in considerazione le destinazioni con un minimo di 130 strutture e almeno 60 recensioni per singola struttura. Vincitrice assoluta per il 2014, Sorrento mantiene saldo il podio mondiale con una valutazione di 84,70 su 100, anche se si classifica terza dopo Sanya in Cina e Hanoi in Vietnam, entrambe new entry con una reputazione rispettivamente di 86,94 e 84,76.

“Questa particolare classifica nasce lo scorso anno con lo scopo di decretare e premiare le destinazioni turistiche mondiali che si sono distinte per l’altissima qualità delle proprie strutture ricettive, valutate non da esperti del settore ma da chi fa la differenza, ovvero i clienti. – commenta Giulia Eremita, Marketing Manager di trivago Italia - Sorrento ha saputo mantenere alta l’asticella della qualità per il secondo anno consecutivo, facendosi nuovamente portavoce dell’eccellenza italiana nel mondo.”

“Merito degli sforzi costanti ed ingenti degli albergatori del territorio”, ha commentato il presidente della Federalberghi campana e sorrentina Costanzo Iaccarino, secondo cui “è evidente come sia innanzitutto la cultura dell’accoglienza che contraddistingue gli imprenditori del posto a far sì che si mantenga sempre alto il livello della qualità delle strutture. Sorrento del resto – ha concluso Iaccarino – è una meta turistica in cui si è trovato un perfetto equilibrio tra qualità dei servizi offerti e prezzo proposto, quest’ultimo peraltro sempre concorrenziale rispetto al mercato turistico internazionale”.


TOP 10 - La top 10 del trivago Online Reputation Index è molto variegata quest’anno, spazia infatti dalla Cina in prima posizione, al Vietnam in seconda, Italia terza, Marocco con Fès in quarta (84,64), ancora Cina con Suzhou (84,54), città patrimonio dell’UNESCO per i suoi giardini è chiamata anche la “Venezia dell’Est” a chiudere la top 5. Si prosegue in sesta posizione con la peruviana Cusco (84,43), nota come la Capitale dell’Impero Inca, per passare a Sedona (84,39) nello stato dell’Arizona e tornare in Europa con le città di Cracovia (84,23), Dresda (84,20) e Dubrovnik (84,17).

ITALIA - Non dista molto dalle prime 10 un’altra italiana, Lucca, che con un indice di reputazione dell’84,06 si posiziona al 12° posto, subito dopo Budapest e superando nomi noti come Belgrado, Spalato, Marrakech, Porto o Lisbona. La presenza del tricolore è forte in tutta la top 40, infatti dopo Lucca si posiziona 24a Verona (82,90) e 40a Bologna (81,91) che supera addirittura Berlino al 42° posto.
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martedì 27 gennaio 2015

Preso pericoloso latitante: Si nascondeva a Villaricca in casa di insospettabili

Arresto Latitante
di Matteo Giuliani


VILLARICCA. Lui muratore, lei casalinga, tre figli. Una famiglia di insospettabili denunciata per favoreggiamento dai carabinieri della compagnia di Bagnoli, perchè ospitava in casa Luigi Messuri, un 43enne casertano ritenuto affiliato al clan camorristico dei “Ligato-Lubrano”, cartello attivo a Pignataro Maggiore (Ce) e legato comunque alla criminalita’ organizzata dell’Agro Caleno.
Messuri era ricercato dall’agosto scorso, quando si era sottratto alla cattura perchè colpito da un ordine di carcerazione. emessa dal Tribunale di Napoli in quanto presunto responsabile di estorsione aggravata dalle finalita’ mafiose.
Gli operanti si sono messi sulle tracce del ricercato avendo recepito dal territorio la voce di una famiglia i cui componenti erano “improvvisamente aumentati”.
All’alba di oggi i militari hanno bussato alla porta di A.N., 50enne di Villaricca, il capo famiglia (trovandolo pronto per uscire e andare a lavoro). I carabinieri gli hanno domandato chi ci fosse in casa e lui, impacciato, ha farfugliato sulla presenza di un parente, poi di un amico molto stretto, poi restando in silenzio quando i militari hanno salutato Messuri vedendolo uscire in pigiama dalla stanza degli ospiti. Il latitante si e’ arreso senza profferire parola.
Nel corso dell’operazione i carabinieri hanno riscontrato la complicità di tutti i componenti della famiglia e la “normalita’ ” domestica verso l’ospite, arrestando per favoreggiamento A.N., il capo famiglia, e denunciando a piede libero la moglie e i figli (tutti incensurati) per lo stesso reato.
Sia messuri che A.N. dopo le formalita’ di rito sono stati accompagnati presso il penitenziario di Napoli Secondigliano.

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mercoledì 21 gennaio 2015

Alto impatto: 4 arresti tra Giugliano, Marano, Mugnano e Sant'Antimo

Gli arrestati: Salvatore Sequino, Fioravante Fabozzo e Giovanni Liccardodi Matteo Giuliani
GIUGLIANO. I Carabinieri della compagnia di Giugliano hanno effettuato un servizio ad alto impatto a Giugliano, Sant’Antimo, Marano e Mugnano, con il supporto di un elicottero dell’elinucleo di Pontecagnano. Nel corso delle varie perquisioni eseguite a carico di soggetti d’interesse operativo della zona e’ stato tratto in arresto per detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente amicone Emanuele Ioime , 26enne, residente a Giugliano al vico Nilo, già noto alle forze dell'ordine, trovato in possesso nella sua casa di 29 confezioni di marijuana (circa 30 grammi) rinvenuti all’interno di un mobile della cucina. 

Sono stati inoltre eseguiti 3 provvedimenti restrittivi emessi dalla magistratura, con l’arresto di Fioravante Fabozzo , 23 anni, residente a Sant’Antimo in Piazza della Repubblica, già noto alle anche lui noto alle forze dell'ordine e giudicabile per reati inerenti agli stupefacenti, raggiunto da misura di aggravamento emessa dalla corte di appello di Napoli che ha disposto la sua custodia ai domiciliari dopo violazioni all'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria; 

Giovanni Liccardo, 50 anni, residente a Marano in via San Rocco, già noto alle forze dell'ordine, raggiunto da un ordine di carcerazione emesso dalla procura della Repubblica di Napoli per l’espiazione di 2 anni, 2 mesi e 10 giorni di reclusione per furto, danneggiamento e resistenza a pubblico ufficiale commessi a Marano il 13.05.2011. 

Salvatore Sequino, 25 anni, residente a Mugnano in via Cesare Battisti, già noto alle forze dell'ordine, raggiunto da un ordine di carcerazione emesso dalla procura di Napoli per l’espiazione di 4 anni di reclusione per detenzione e spaccio di stupefacenti commessi a Napoli il 18.09.2011. Durante i servizi su strada eseguiti contestualmente sono state denunciate 3 persone per detenzione e vendita di tabacchi di contrabbando, con il sequestro di circa 4 kg di “bionde” e segnalate al prefetto 8 persone trovate in possesso di modiche quantità di sostanze stupefacenti detenute per uso personale. Dopo le formalità di rito Amicone e’ ai domiciliari in attesa di rito direttissimo, Fabozzo e’ stato tradotto ai domiciliari, Liccardo e Sequino sono stati tradotti nella casa circondariale di Poggioreale.
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Trenta arresti tra il clan Moccia, tra loro affiliati di Qualiano, Mugnano e Melito

Gli arrestati: Pasquale Allotta, Giuseppe Iodice e Luigi Di Vaiodi Matteo Giuliani
QUALIANO - MUGNANO - MELITO. Nel blitz dei carabinieri di Casoria, contro i fiancheggiatori del clan Moccia di Afragola e dei gruppi a loro collegati, sono stati arrestati anche tre persone dell'hinterland: Giuseppe Iodice di Qualiano, Pasquale Allotta di Mugnano e Luigi Di Vaio di Melito. I tre sono finiti in manette, insieme altri 27 affiliati, perchè facenti parte di un'associazione per delinquere finalizzata al racket e all'usura nei comuni di Casoria, Frattamaggiore, Frattaminore fino ad espandersi verso Orta d'Atella nel basso casertano. Il clan estorceva denaro a qualsiasi ditta edile che operava nei suddetti comuni, fino a bloccare i lavori al primo circolo didattico di Casoria e a minacciare gli operai che vi lavoravano alla ristrutturazione. Una parte fondamentale dei loro traffici illeciti era costituito dall'usura con tassi d'interesse arrivati anche al 3000%. Pressati dai "cravattari" del clan anche casalinghe, operai, piccoli imprenditori che si vedevano costretti a pagare cifre esorbitanti per piccoli prestiti. Il "cambio" che pretendeva il clan era pari a 30 euro per ogni singolo euro prestato. Come detto tra gli affiliati era assurto agli onori dell cronaca anche il qualianese Giuseppe Iodice, che nel 2010 a seguito di un alterco con un altro degli arrestati, Federico Maldarelli suo sodale nel clan, venne ferito a colpi di pistola. I due erano venuti alle mani e Maldarelli aveva avuto la peggio, poi si cercò una riappacificazione tra i due, ma non essendo avvenuto ciò, Maldarelli sparò per vendetta a Iodice alla caviglia e al braccio sinistro, mandandolo al pronto soccorso. Iodice, portato poi al San Giovanni Bosco, dichiarò ai carabinieri di essere stato rapinato e perciò ferito.
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Camorra. ​Nel garage la «camera di tortura» per chi diceva no agli estorsori

Casoria. Lo scacco alla nuova camorra. È stato difficile e più complicato delle altre indagini sulla criminalità organizzata, perché questa volta i gruppi di Afragola e Casoria si erano spariti il territorio e le competenze criminali, ma solo geograficamente. Perché la cassa era in comune e, come hanno accertato i magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia, si era radicato tra gli affiliati un inaspettato senso della solidarietà, sia con la disponibilità totale offerta, nei momenti di difficoltà per i singoli appartenenti, dagli altri sodali nell'assicurarsi vicendevolmente il necessario soccorso, come di evince dalle intercettazioni ambientali dei fratelli Cervi, detenuti che parlano con la mamma sulla puntualità del loro stipendio e delle parcelle pagate agli avvocati dal clan.

Una tabella stipendiale che prevedeva per i cosiddetti senatori del clan, Angelino Giuseppe, Francesco Favella, Michele Puzio, Antonio Cennamo – detto Tanuccio ‘o malommo” - uno stipendio che oscillava tra i cinquemila e i seimila euro al mese, mentre per tutti gli altri affiliati il compenso mensile variava tra i 1.500 e i 2.000 euro, a seconda dell'anzianità di affiliazione. Proprio come gli scatti di anzianità, per un lavoro normale, che lo stato non corrisponde più ma la camorra si. Ma questa sorta di welfare criminale, non terminava qui. C'era lo stipendio per i detenuti e i loro familiari e il pagamento delle spese legali. A occhio e croce, insomma chi era sulla piazza doveva fare fronte a qualcosa come centomila euro al mese, solo per le «spese per i dipendenti».

L'ordinanza che ha portato in cella questi trenta affialiati dei gruppi criminali che compongono quella che è oramai la «galassia dei Moccia», riporta almeno quindici estorsioni portate a segno sotto il loro nome. Anche se una sentenza dell'ottobre del 2013, non ha solo assolto Antonio Moccia dall'accusa di essere il capo del clan, ma ha ribadito che la cosca non esiste più. Per intimorire le vittime, gli indagati hanno utilizzato una «comunicazione» diversa, senza mai pronunciare il clan ma un generico «Mettetevi a posto con gli amici di Casoria». Come hanno poi dovuto testimoniare ben quindici impreditori, caduti nella rete degli estorsori e intercettati dai carabinieri.

Per realizzare i centomila e più euro al mese per pagare i «dipendenti» del clan, soprattutto i detenuti per reati più gravi con pene lunghe da scontare e sempre a rischio per il clan di diventare collaboratori di giustizia, i due gruppi di Casoria e Afragola, aveva formato più di una squadra di malavitosi dai modi bruschi e «molto noti» per l'appartenenza mai sconfessata al clan di Afragola. Per questo quando si presentavano nei cantieri, oltre al «mettetevi a posto con gli amici di Casoria», seguiva anche l'ordine perentorio di bloccare all'istante i lavori per evitare di essere uccisi a colpi di pistola. Qualche imprenditore ha pure resistito.

E allora è intervenuta la «squadra della morte», che letteralmente prendeva di peso la vittima e la portava in un garage di Casoria, dove chi aveva detto no, oltre ad accettare l'imposizione del pizzo (rate tra i cinquemila e settemila euro) doveva sborsare anche qualche centinaio di euro in più come tassa per il rifiuto. E chi non ce la faceva a pagare, veniva portato dagli amici usurai con il portafoglio pieno, che piazzavano un euro di prestito a trenta per la restituzione. E quei centomila euro al mese erano già in cassa dopo i primi dieci giorni.

Perché nulla sfuggiva agli esattori del clan : dai lavori pubblici o privati che fossero, alle aziende che facevano manutenzione stradale e nei cimiteri, fino ai venditori ambulanti di frittelle e crocché che pagavano una tassa alla camorra di cento euro a settimana. Persino i contrabbandieri di sigarette agli angoli delle strade, erano costretti all'obolo tra i cinque e i dieci euro la giorno per «gli amici di Casoria».

m.d.c.
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Camorra, sanità e appalti in Campania: ecco i nomi degli arrestati

Ventiquattro persone sono state arrestate in un'operazione della Dia di Napoli nell'ambito di un'inchiesta su appalti truccati delle Asl di Caserta aggiudicati a imprese del clan dei Casalesi, con l'appoggio di politici e amministratori pubblici. In corso anche numerosi sequestri di società e di beni.

Ecco i nomi degli arrestati in carcere

- Remo D'Amico
- Elvira Zagaria
- Antonio Magliulo (consigliere provinciale di Forza Italia)
- Raffaele Donciglio
- Bartolomeo Festa (dirigente unità operativa complessa di ingegneria ospedaliera)
- Vincenzo Cangiano
- Orlando Cesarini
- Domenico Ferraiuolo
- Gabriele D'Antonio
- Luigi Iannone 

I nomi degli indagati agli arresti domiciliari

- Francesco Alfonso Bottino (direttore generale azienda ospedaliera S'Anna e San Sebastiano)
- Salvatore Cioffi
- Antonio Della Mura
- Roberto Franchini
- Nicola Frese (dipendente unità operativa complessa di ingegneria)
- Giuseppe Gasparin (Direttore asl caserta ed ex sindaco caserta)
- Antonio Maddaloni (dipendente unità operativa complessa di ingegneria)
- Paolo Martino (dipendente unità operativa complessa di ingegneria)
- Mario Palombi
- Angelo Polverino ex consigliere regionale Pdl
- Giuseppe Porpora
- Rocco Ranfone
- Giuseppe Raucci (dipendente unità operativa complessa di ingegneria)
- Umberto Signoriello (dipendente unità operativa complessa di ingegneria)
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martedì 20 gennaio 2015

Sant'Antimo. Arrestato per spaccio: la moglie lo copre di insulti per la scelta del complice

SANT'ANTIMO. I poliziotti del commissariato di Frattamaggiore nel corso di un'operazione per arginare lo spaccio di droga a S.Antimo, si sono imbattuti in una scena alquanto originale: la moglie dell'arrestato che lo insulta davanti agli agenti perchè, a suo dire, si era scelto il socio sbagliato per i suoi "affari". I poliziotti hanno messo le manette a M. C., 41 anni, (l’uomo insultato dalla moglie) e il suo complice, M. F., 23 anni, entrambi di Sant’Antimo, sopresi in via Principessa Margherita, a Sant’Antimo, mentre spacciavano hashish. Gli agenti si sono accorti dei due spacciatori mentre erano su di un'auto civetta per perlustrare il territorio. Alla vista dello scambio dosi-denaro, sono intervenuti bloccando i pusher. Nella perquisizione che ne è seguita gli arrestati sono stati trovati in possesso di dieci stecche di "fumo" e cento euro, profitto della vendita illegale.

Il grosso della droga, circa 200 grammi divisi in due panetti, è stato ritrovato in casa del 41enne e quando la moglie ha visto arrivare gli agenti, non ci ha visto più dalla rabbia ed ha riempito di pesanti insulti ed improperi il marito, ricordandogli che quando "operava" da solo non aveva mai avuto guai con la polizia, mentre attualmente si era scelto un complice inaffidabile. I due pusher sono stati rinchiusi nel carcere di Poggioreale, in attesa dell’udienza di convalida del gip.
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Sant'Antimo. Operazione contro il clan Puca: sequestrati 700mila euro di beni


di Ivan Marino

SANT'ANTIMO. Nel corso di un'intensa operazione di polizia, questa mattina sono finiti sotto sequestro i beni del boss Pasquale Puca, detto 'o minorenne, capo dell'omonimo clan operante a Sant'Antimo e zone limitrofe. L'operazione è scattata questa mattina all'alba. Gli agenti di polizia hanno dato esecuzione ad un decreto di sequestro ai danni di un'azienda per il commercio all’ingrosso di alimentari, con sede a Sant’Antimo, oltre ad un appartamento ed un box, anch’essi dislocati nella cittadina a nord del capoluogo partenopeo. Secondo gli inquirenti, il valore dei beni finiti sotto chiave, si aggira intorno ai 700mila euro. Pasquale Puca finì in manette nel 2009, con l'accusa di aver partecipato al delitto di Francesco Verde e nel tentato omicidio di Mario Verde, rivali nella guerra per il controllo del territorio, venendo poi condannato all'ergastolo, pena che sta scontando presso la casa circondariale de L'Aquila. Quello di stamane, è solo l'ultimo sequestro in ordine di tempo. A Puca infatti, complessivamente sono stati sequestrati beni per oltre 140 milioni di euro.
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Sequestro da 700mila euro per Puca alias ‘o minorenne

Sequestrati beni per 700mila euro al boss Pasquale Puca, detto ‘o minorenne, leader dell’omonimo clan di Sant’Antimo e hinterland. Il provvedimento è stato eseguito dalla divisione polizia anticrimine della Questura di Napoli in esecuzione di un provvedimento della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Napoli. I beni sequestrati sono un’impresa individuale nel settore degli alimentari, un appartamento ed un box a Sant’Antimo.


ERGASTOLANO – Già nell’aprile del 2012 Pasquale Puca fu colpito da un sequestro record, del valore complessivo di 140 milioni di euro. Attualmente detenuto nel carcere di L’Aquila, il boss 50enne è stato arrestato nel 2009 e condannato all’ergastolo per l’omicidio di Francesco Verde, alias ‘o negus, e il tentato omicidio del fratello Mario Verde, due esponenti di un clan antagonista.
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mercoledì 14 gennaio 2015

Da Ginevra a Londra: la Mozzarella in giro per l’Europa

Mozzarella di bufala campana, pasta di Gragnano, i grandi pomodori della Campania e la pizza napoletana: il distretto gastronomico più conosciuto al mondo in tour tra le grandi capitali europee. Dopo Parigi ed il Carrousel du Louvre, le Strade della Mozzarella faranno tappa a Ginevra e Londra per degli appuntamenti in cui gli ospiti avranno la possibilità di degustare prodotti di grande qualità, abbinati a vini e birre artigianali, proposti da chef che apriranno uno squarcio sulla cucina italiana moderna. Gli approfondimenti verranno introdotti da tecnici del settore come Luigi Cremona, Guido Barendson, Teresa Cremona, Luciano Pignataro e Luciana Squadrilli.

GINEVRA – Il 17 febbraio la città svizzera ospiterà la tappa delle Strade della Mozzarella all’interno delle imponenti sale del Four Seasons Hotel des Bergues per un evento dal taglio esclusivo organizzato in collaborazione con l’Italian Trade Agency di Berna e che vedrà protagonisti gli chef Saverio Sbaragli, Ilario Vinciguerra e Peppe Guida. L’evento proseguirà con una serata dedicata alla pizza napoletana. Sarà il nuovissimo ristorante italiano Kytaly, dall’ambiente di design tutto made in Italy, a presentare al pubblico della città elvetica i maestri pizzaioli Franco Pepe, Gino Sorbillo e Giuseppe Giordano.

LONDRA – Il 23 febbraio l’appuntamento si sposterà al Baglioni Hotel, nel cuore della city inglese: lo storico avamposto di stile ed ospitalità italiana, di fronte a Hyde Park, accoglierà gli interventi degli chef Andrea Aprea e Michele Deleo, oltre ad una lezione sul gelato di Simone Bonini e ad un laboratorio di Francesco e Salvatore Salvo per raccontare la pizza napoletana. Chiusura festiva con il ragù partenopeo di Giorgio Scarselli e la panzanella cilentana di Maria Rina. 

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Clan Gionta, raid e minacce contro lo sgombero del bunker

di Giovanna Sorrentino
Torre Annunziata. Via allo sgombero di Palazzo Fienga: le 55 famiglie residenti nella roccaforte del clan Gionta, entro le 10 di questa mattina dovranno abbandonare la loro casa. Torre Annunziata è una città blindata in cui regna il caos: Palazzo Criscuolo non ha un piano a lungo termine per sistemare gli sfollati, che per ora verranno collocati nei garage di via Tagliamonte e nella scuola elementare di via Isonzo. Ma i lavori non sono ancora stati ultimati e nelle stanze non ci sono ancora luce e acqua.
Durante la notte in città si sono verificati ben tre episodi vandalici. Un gruppo di cittadini ha tentato di entrare nella Basilica della Madonna della Neve e a Palazzo Criscuolo, la sede del Municipio. Sono stati però bloccati dai carabinieri e dalla polizia. Poche ore dopo l’auto del consigliere comunale Raffaele Ricciardi, capogruppo del Pd, partito di maggioranza, è stata presa di mira: i vandali hanno rotto un finestrino e lo sportello del lato guidatore. Sul posto, la polizia scientifica è intervenuta per effettuare i rilievi. 
di Giovanna Sorrentino

martedì 13 gennaio 2015

Liberi i figli del boss, Saviano: «Come li avrà accolti Napoli?»


Scrive su Facebook lo scrittore Roberto Saviano. E lo fa all'indomani della scarcerazione dei fratelli Di Lauro, Ciro e Vincenzo, figli di Paolo Di Lauro, soprannominato «Ciruzzo 'o milionario». I due pregiudicati, sono stati liberati tra Natale e i primi giorni del nuovo anno, dopo aver scontato la loro pena per associazione per delinquere di stampo mafioso e sono tornati in libertà.


Ecco cosa scrive Saviano: «Mi domando come Napoli li avrà accolti. Qualcuno avrà tappezzato la città di manifesti come quelli che circolavano quando andò in onda Gomorra La Serie?

A Scampia ci saranno state riunioni e manifesti come quelli che furono fatti contro di me? Qualcuno avrà scritto "SCAMPIAmoci dai Di Lauro"? Si tratta di uomini che hanno partecipato attivamente alla struttura del clan, che hanno scontato la loro pena, una pena pesantissima. C'è stata qualche fiaccolata contro il loro potere?

Mi farebbe piacere se ci fossero testimonianze di questo tipo, testimonianze che la stampa non ha riportato.

Da anni subisco l'orrida accusa di diffamare Napoli, di aver fatto soldi diffamando Napoli. Ma guadagnare dal proprio lavoro non è un crimine. Spacciare, uccidere, arruolare ragazzi, condizionare la vita di interi quartieri, avvelenare l'esistenza della maggioranza delle persone - persone per bene - invece lo è. È un crimine.

Spero di essere smentito. Spero che presto mi arrivino fotografie di manifesti contro il clan Di Lauro, spero che mi arrivi voce che a Scampia ci si riunisce non solo per "scamparsi" da Saviano, ma anche per capire come affrontare l'emergenza, molto più grave, di un clan che si sta lentamente ricomponendo».

Pisani. «Saviano dice di sperare di esser smentito, io lo accontento e se una volta tanto accetta il mio invito ad un confronto pubblico e leale, smentisco io e spiego a Saviano anche altro». Lo afferma in una nota Angelo Pisani, presidente della municipalicità di Scampia. «Il Twitter e post dell'autore di Gomorra sono solo un grande spot ed opera di palese travisamento della realtà e di attacco gratuito e strumentale non alla camorra, ma a chi cerca ogni giorno e per strada di evidenziare anche il bene e le potenzialità di una area sfruttata sempre solo in negativo. Nessuno ha mai attaccato la denuncia vera di Saviano ma solo il "marketing" dannoso per chiedere uno sguardo a 360 gradi della realtà».

«Oggi non più solo Scampia, ma tutta la città di Napoli può ringraziare Saviano per essere diventata famosa nel mondo solo con la sua "etichetta di camorra e degrado sociale" che resterà indelebile...dimenticando tutto il resto» conclude Pisani.
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Colpo al Clan di Giugliano: in manette Vincenzo D'Alterio detto «'o malato»

Giugliano, l'operazione della Guardia di Finanza. Nel riquadro il dirigente Asl Gennaro Perrino
di Matteo Giuliani

GIUGLIANO. Preso il boss Vincenzo D'Alterio anche detto 'o malato. Stamane, poco prima dell'alba, i finanzieri della capitale hanno fatto scattare un'operazione contro affiliati al clan Mallardo di Giugliano, arrestando 12 persone nell'ambito di un'inchiesta scaturita dalle dichiarazioni del pentito Giuliano Pirozzi. Sono tutti accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso ed estorsione aggravata dall'articolo 7. Tra i fermati, c'è anche il responsabile del Dipartimento di Salute Mentale dell'Asl Napoli 2 Nord Gennaro Perrino (nella foto), già assessore al comune di Giugliano e una guardia penitenziaria di Mugnano. I finanzieri hanno effettuando anche dei sequestri preventivi. A lungo gli elicotteri delle forze dell'ordine hanno sorvolato diverse zone della città, mentre a terra, i militari delle fiamme gialle eseguivano le ordinanze di custodia cautelare. Tra gli arrestati troviamo: il 64enne Vincenzo D’Alterio, il 61enne Giuseppe Ciccarelli residente a Lago Patria, il 61enne Giuliano Pianese residente a Lago Patria, il 41enne Giuseppe D’Alterio, il 41enne Giuliano Di Lorenzo, la 60enne Teresa Felace, il 33enne Carrella Marco, il 71enne Gennaro Perrino di Vico Equense. SOno finiti ai domiciliari invece: il 48enne Davide Barbato, il 49enne Felice Granata, il 40enne Gaetano Cecere di Mugnano (guardia penitenziaria), il 38enne Antonio Pianese di Villaricca. Altre 8 perosne risultano indagate nello stesso filone d'inchiesta, sempre ai danni del clan giuglianese, anche nei loro confronti l'accusa è di associazione a delinquere. . 

La posizione di Perrino. Secondo gli inquirenti, il responsabile del Dipartimento di Salute Mentale dell'Asl Napoli 2 Nord, emetteva false attestazioni nei confronti del boss Vincenzo D'Alterio "propedeutiche - si legge nell'ordinanza di custodia cautelare - al riconoscimento della infermità mentale, che gli hanno consentito l’ottenimento non solo dei benefici carcerari ma anche di specifici emolumenti previdenziali. Al riguardo, gli investigatori del GICO di Roma, hanno documentato come in realtà il D’Alterio avesse, sistematicamente e per l’intera durata delle indagini, assunto comportamenti certamente non indicativi di deficit psichiatrici, soprattutto se coniugati alla sua capacità di impartire direttive ai propri sodali».
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Sant'Antimo. La comunità islamica locale contro le stragi di Parigi

Sant'Antimo. La manifestazione di domenica scorsa
SANT'ANTIMO. «L'Islam professa la pace. Siamo mussulmani ma non siamo Isis e talebani. Noi crediamo l'Islam per la pace». Il servizio andato in onda domenica scorsa durante il TG3 Campania, ha dato risalto alla manifestazione, organizzata dall'Associazione “3 Febbraio” insieme comunità islamica locale, per dire «No al terrorismo. Si alla convivenza pacifica tra etnie e religioni». Sono tanti a Sant'Antimo gli immigrati mussulmani che lavorano prevalentemente nelle fabbriche di scarpe e abbigliamento della zona. I rapporti con i cittadini sono sempre stati buoni, ma dopo quanto accaduto a Parigi, c'è chi teme risentimento e odio verso i mussulmani. Da qui l'iniziativa dell'Associazione “3 Febbraio” da sempre impegnata in un percorso di integrazione, per lanciare un messaggio di pace: «Contro il terrorismo difendiamo la nostra umanità». Un documento è stato diffuso durante la manifestazione, nel qual si legge tra l'altro che «... per un'associazione come la nostra che s'impegna e costruisce ogni giorno, incontro e solidarietà tra le genti di diversi credi e nazionalità questi sono fatti gravissimi – in riferimento ai fatti di Parigi - è in nome di questi valori che condanniamo queste stragi e che ci sentiamo vicini ai popoli e ai famigliari che hanno perso in questi attentati i loro cari». 

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Clan Mallardo, falsa infermità mentale per il boss: 12 arresti, c'è un dirigente Asl

di Mariano Fellico

GIUGLIANO - Operazione della Guardia di Finanza di Roma dalle prime ore del mattino sul territorio. In manette sono finite 12 persone ritenute affiliate al clan Mallardo di Giugliano. Sono accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso ad estorsione agravata dall'articolo 7.

In manette anche il responsabile del Dipartimento di Salute Mentale dell'Asl Napoli 2 Nord Gennaro Perrino (ex assessore alle politiche giovanili del comune di Giugnano nei primi anni 2000). Tra i fermati anche Vincenzo D'Alterio detto 'o malato ritenuto dagli inquirenti come elemento di spicco della cosca giuglianese. Indagata anche una guardia penitenziaria in servizio al carcere di Poggioreale che veicolava notizie riservate di interesse tra detenuti e affiliati non detenuti dell’organizzazione. I finanzieri stanno anche effettuando dei sequestri preventivi.

Le indagini sono partite dopo le dichiarazioni del pentito Giuliano Pirozzi. A lungo gli elicotteri delle forze dell'ordine sono stati uditi dalla popolazione residente in zona. In carcere sono finiti Giuseppe Ciccarelli, Giuliano Pianese, Giuseppe D’Alterio, Giuliano Di Lorenzo, Teresa Felace, Marco Carrella Marco. Ai domiciliari Davide Barbato, Felice Granata, Gaetano Cecere (la guardia penitenziaria) e Antonio Pianese. Indagate a piede libero otto persone.

Il dirigente medico dell'Asl, secondo le indagini della Finanza, emetteva false attestazioni nei confronti di Vincenzo D'Alterio "propedeutiche - scrivono nel provvedimento - al riconoscimento della infermità mentale, che gli hanno consentito l’ottenimento non solo dei benefici carcerari ma anche di specifici emolumenti previdenziali. Al riguardo, gli investigatori del GICO di Roma, hanno documentato come in realtà il D’Alterio avesse, sistematicamente e per l’intera durata delle indagini, assunto comportamenti certamente non indicativi di deficit psichiatrici, soprattutto se coniugati alla sua capacità di impartire direttive ai propri sodali".

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domenica 11 gennaio 2015

Napoli, liberi due figli del boss Di Lauro: a casa i rampolli di Ciruzzo ’o milionario

di Giuseppe Crimaldi

Hanno scontato il loro debito con la giustizia italiana. Bastano poco meno di nove anni per pagare il conto con la legge, e poco importa se quella era una condanna pesante, condanna di camorra nera, resa ancor più lugubre per il nome che l'accompagna. Di Lauro. 

Ed eccoli liberi come farfalle, due dei rampolli della famiglia di delinquenti che hanno impresso il sigillo di droga e di morte su Secondigliano e Scampia, contribuendo a creare le leve criminali che si sarebbero poi opposte al sangue del loro sangue con le faide che si sarebbero avvicendate nel tempo: Ciro e Vincenzo Di Lauro sono tornati in libertà, nel giro di dieci giorni.

Ciro, che era detenuto in Sardegna, è uscito dal carcere a Natale. Ieri è toccato a suo fratello Vincenzo, più piccolo di un anno e mezzo di Cosimo, l’uomo che scatenò orrori e morte per rispondere all’offensiva degli scissionisti durante la prima guerra di camorra che seminò decine di morti nell'area nord di Napoli. 

Tutti figli di Paolo Di Lauro, che l’epica camorrista disegna come «Ciruzzo 'o milionario», uomo astuto al punto da riuscire ad eludere i rigorri della legge per decenni, figurando ufficialmente come comerciante in pellami, mentre in realtà era un narcotrafficante che inondava il territorio di cocaina e altri veleni, forgiando anticipatamente gli epigoni di Gomorra. Oggi per la legge Ciro e Vincenzo sono due uomini liberi. Hanno pagato il prezzo, hanno scontato la loro pena per associazione per delinquere di stampo mafioso.

E, chissà, domani si ricomincia. Speriamo non sia così, ma i segnali indicano che le cose - mai come in questo momento complicatissime in tutta la città di Napoli, nell’area nord di Napoli potrebbero subìre un’accelerazione criminale inattesa. Anche perché resta ancora una primula rossa il fratello minore dei due, Marco. E Marco, stando alle indagini della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, resta saldamente da circa dieci anni dalla guida del clan. 
Fu lui ad assumere le redini della cosca proprio all’indomani dell’arresto del fratello Vincenzo, arrestato dopo Cosimo e Ciro, i primi due figli di Paolo (che ha dieci eredi maschi). Fino a qualche giorno fa tutti, tranne il più piccolo, Giuseppe, erano in galera o latitanti. 

Le indagini di polizia e carabinieri hanno accertato che il clan in questi anni ha continuato a gestire la vendita degli stupefacenti all’interno del Rione dei Fiori, ribattezzato «rione Terzo Mondo». Le bustine si smerciavano in via Barbiere di Siviglia, in via Miracoli a Miano (piazza di spaccio destinata alla vendita di cocaina) ed in via Praga Magica (piazza di spaccio deputata alla vendita di hashish e marjuana). Il «sistema» architettato dalla famiglia Di Lauro è quello di una grande impresa e prevede l’alternarsi di vere e proprie «squadrette» di spacciatori, in grado di assicurare la vendita anche per 24 ore consecutive.

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mercoledì 7 gennaio 2015

Sant'Antimo. Gambizzato nel corso di una rapina: 33enne in ospedale

di Matteo Giuliani

SANT'ANTIMO. Un 33enne del luogo è stato gambizzato nel primo pomeriggio di ieri, in Via Nobel ad Aversa, nel corso di una rapina. L'uomo, Saverio Pirozzi, è stato trasportato all'ospedale San Giuseppe Moscati di Aversa, dove i sanitari lo hanno medicato per una ferita alla gamba: il proiettile per fortuna è entrato ed uscito dall'arto senza provocare lesioni, ma ora gli agenti di polizia intendono fare chiarezza su quanto accaduto. Secondo una prima ricostruzione fatta in base delle dichiarazioni rilasciate dal ferito, l'uomo sarebbe stata avvicinata nei pressi di Via Nobel, al confine tra Cesa ed Aversa, quando da pochi minuti erano passate le due del pomeriggio. Pirozzi era rimasto in panne con l'auto, e si era fermato ai margini della strada, quando dopo essere sceso per tentare di far ripartire il veicolo sarebbe stato avvicinato da due giovani in sella ad uno scooter. Uno dei due estrae una pistola e gli ordina di consegnare gli oggetti di valore, ma la vittima a quel punto accenna ad una reazione. Il malvivente preme il grilletto e lo ferisce ad una gamba, per poi darsi alla fuga, ma non prima di averlo completamente ripulito. Pirozzi ancora sanguinante, viene soccorso da un automobilista di passaggio e trasportato al nosocomio della città normanna. Lì viene medicato e dimesso. Poco dopo viene ascoltato dagli agenti del posto di polizia dell'ospedale, dove fornisce una versione dei fatti, spiegando che ad agire sarebbero stati due giovani che parlavano un accento campano molto spiccato. Gli inquirenti stanno vagliando con attenzione tutti gli indizi per identificare gli autori del raid.

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Sant’Antimo. Rapinano un negozio di parrucchieri, ma finiscono in manette

di Matteo Giuliani

SANT'ANTIMO. Ieri sera, in tre, poco prima dell’orario di chiusura, hanno tentato di rapinare l’incasso di un negozio di parrucchiere di Sant’Antimo, si tratta di: Luigi Cesaro 26enne di Mugnano e Roberto Pagano 25enne di Sant’Antimo, entrambi già noti alle forze dell'ordine, arrestati in flagranza e di F. F. 23enne di Sant’Antimo, già noto anch'esso, riuscito a dileguarsi in un primo momento ma, riconosciuto dai militari, è stato poi rintracciato e sottoposto a fermo di indiziato di delitto, tutti ritenuti responsabili di rapina aggravata in concorso.
In pratica i tre, probabilmente volendo approfittare del giorno, il sabato, notoriamente di maggiore affluenza di donne nei parrucchieri, poco prima dell’orario di chiusura (quindi a negozio quasi vuoto) si sono fermati a bordo di una Ford Ka all’esterno dell’esercizio. Dopodiché uno ha fatto irruzione impugnando una pistola e chiedendo l’incasso al titolare e gli altri due sono rimasti nell’auto con porta aperta e motore acceso pronti a fuggire.
Vedendo giungere una pattuglia di carabinieri i complici dall’esterno hanno richiamato il rapinatore armato che, uscito rapidamente, ha raggiunto gli altri due nella Ford partita a gomme stridenti con i tre a bordo. Notando l'accaduto, la pattuglia ha attivato lampeggianti e sirene e ha inseguito l’auto dei malviventi per le vie di Sant’Antimo. La corsa è durata solo qualche centinaio di metri, fino a quando i fuggitivi, braccati, hanno fermato l'auto nel tentativo di scappare a piedi. I militari hanno bloccato subito Cesaro e Pagano, mentre il terzo complice, riuscito momentaneamente a scappare correndo nei vicoli, è stato comunque riconosciuto in viso dai militari. Dopo qualche ora di ricerche i militari sono riusciti a rintracciare e sottoporre a fermo di indiziato di delitto anche il terzo. L’arma utilizzata per il tentativo di rapina, recuperata dai carabinieri, è risultata essere la replica di una pistola semiautomatica privata del tappo rosso. Dopo le formalità di rito i tre sono stati accompagnati al carcere di Poggioreale a disposizione dell’autorità giudiziaria.

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