martedì 22 dicembre 2015

Camorra, arrenditi: ti abbiamo fatto un pacco

Simmaco Perillo guida la cooperativa sociale Al di là dei sogni di Sessa Aurunca (Caserta)Di Nicola Savino. 
D’ora in poi, quando si digiterà su Google la sigla Nco, non apparirà più (o non solo) la storia di don Raffaele Cutolo e della Nuova camorra organizzata. Appariranno altre organizzazioni: Nuova cooperazione organizzata, Nuova cucina organizzata, Nuovo commercio organizzato. Decisamente più nobili e meno sanguinarie di quel gruppo di delinquenti che mise a ferro e fuoco terre splendide, controllando attività illecite (spaccio, racket, gioco d’azzardo), ma anche quelle che dovrebbero essere lecite e aperte a tutti, a cominciare dagli appalti pubblici. Fanno parte, quelle nuove Nco, di un apparato assai più vasto che si raggruppa sotto un’altra sigla: Rete di economia sociale. “Noi siamo l’altra Italia”, scandisce Simmaco Perillo, presidente della cooperativa sociale Al di là dei sogni. Quella che non si arrende, quelle che lotta e non china la testa, quella che si ribella al contropotere delle camorrre, delle mafie, delle ‘ndranghete, delle sacrecoroneunite: criminalità che, in diversi casi, si è letteralmente sostituita allo Stato.

Le Nco hanno ottenuto dallo Stato, per il tramite dei Comuni, i terreni e i beni confiscati alle organizzazioni criminali. E per farci che? Innanzitutto, non è una procedura semplice perché si vanno a toccare e a ledere gli interessi dei criminali: “I camorristi – spiega in un appassionato intervento Perillo – lo mettono in conto di finire in carcere. Diciamo che fa parte dei rischi del mestiere… Non sopportano, però, che qualcun altro possa godere delle loro terre, delle loro case, delle loro proprietà. E siccome i tentacoli delle mafie sono assai lunghi ed arrivano spesso nel cuore delle burocrazie della pubblica amministrazione, ecco che spesso riescono a mettere i bastoni fra le ruote…”. Come che sia Simmaco, che nella vita fa l’assistente sociale, ci è riuscito ed ha ottenuto dal Comune di Sessa Aurunca (in provincia di Caserta) un possedimento di 17 ettari con tanto di casale, appartenente al clan locale. E’ la terra dei fuochi, dei rifiuti, di Gomorra… “No – interviene – sono semplicemente le Terre di don Peppe Diana”. Proprio lui, il parroco di Casal di Principe ucciso mentre si apprestava a celebrare messa. Sempre Perillo: “Era un prete che amava stare con i giovani, che parlava ai giovani, che voleva strapparli al destino di finire in un’organizzazione camorristica. Sì, perché il reclutamento avviene soprattutto fra i giovanissimi: nei nostri cimiteri in Campania è altissima la percentuale di ragazzi morti presto, troppo presto. In trent’anni abbiamo contato 1347 morti ammazzati e fra loro sono tanti gli innocenti, quelli che non c’entrano nulla… Una guerra, un’autentica guerra”.

Superando mille problemi, dormendo per mesi nel sacco a pelo, Simmaco Perillo prende possesso di quell’immobile e di quella terra: vuole creare una cooperativa sociale per persone svantaggiate. Lo rimettono a posto e a norma e finalmente il 21 marzo di 5 anni fa nasce Al di là dei sogni: ci fanno le mozzarelle. Ma la terra è tanta, ci si può allargare, si possono coltivare ortaggi e altre cosette. “Il passo successivo – continua – è stato mettere insieme realtà diverse che operano in zone vicine e che fanno più o meno le stesse cose. E’ così che nasce Res. Devo dire grazie a don Ciotti e all’associazione Libera che ci ha dato consigli, che ci ha indirizzato, che ci ha spronato nei (tanti) momenti difficili”.

“E mo’ che facciamo?” si sono chiesti decine di volte. E’ nata così l’idea di una scatola natalizia con i prodotti di quelle terre confiscate. E come la chiamiamo? Nasce così “Facciamo un pacco alla camorra”. Che prende in giro i boss perché il “pacco” non è solo la confezione, ma anche la fregatura. La sintesi? “Vi abbiamo fregati e quindi siamo più forti di voi”. Anche se voi sparate e noi non abbiamo armi. E fra i prodotti della Campania, ce n’è anche uno (una crema di cipolle rosse) confezionato nella Tuscia dove agiscono quattro cooperative sociali: Alice (guidata da Andrea Spigoni), Gea, Punto a capo e Fattorie solidali. Persone che operano nel welfare, surrogando la presenza di uno Stato spesso assente e sempre insufficiente nei suoi interventi.

C’è un ulteriore passo in avanti con la nascita anche a Viterbo del gruppo di lavoro sulla legalità “Cento passi per…”, rappresentato nella circostanza da Umberto Cinalli e da studentesse di tre scuole superiori: Santa Rosa di Viterbo, Cardarelli di Tarquinia e Dalla Chiesa di Montefiascone. Leggono un documento nel quale si ribadisce l’impegno non solo a combattere il malaffare e le criminalità organizzata, ma anche le collusioni e le complicità. Il brodo di coltura dove le mafie prosperano e si ingrassano. Primo esempio concreto? Continuare a cercare di far luce sulla morte di Attilio Manca, l’urologo viterbese morto nel 2004. Ufficialmente è stato suicidio, ma la famiglia continua a credere e a combattere perché sia trovata la verità vera che, per loro, è il riconoscimento di un omicidio, commissionato perché il medico era stato testimone di un intervento chirurgico subito dal superboss Bernardo Provenzano.

Di quei pacchi ne sono stati confezionati mille per il formato grande e sono stati tutti venduti. “Comprateli – conclude Simmaco Perillo – perché non solo contengono prodotti buoni da mangiare, tutti biologici, ma soprattutto perché dentro ci sono i sentimenti”. Buon Natale, ragazzi.
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venerdì 18 dicembre 2015

Giugliano ricorda Mena Morlando, vittima innocente della camorra

cerimonia vittima camorra mena morlando
GIUGLIANO – Si è tenuta quest’oggi una cerimonia per ricordare Filomena (detta Mena) Morlando, 25enne uccisa dalla camorra il 17 dicembre di 35 anni fa. La giovane era un’insegnante e si trovò coinvolta senza alcuna colpa in un conflitto a fuoco tra clan camorristici rivali. I sicari volevano colpire Francesco Bidognetti, detto “Cicciott’ e mezzanotte”, invece sotto i colpi ci finì lei mentre ritornava a casa in via Monte Sion.

Questo pomeriggio è stata celebrata dunque una messa nella parrocchia di Sant’Anna. Don Massimo, che ha officiato la cerimonia, durante l’omelia ha ricordato che “i sentimenti di potere e vanagloria che portano alla violenza resistono purtroppo ancora oggi ed a pagare sono sempre gli onesti”. Si è tenuta poi una processione fino al luogo del triste episodio, dove è stata depositata una corona di fiori dinanzi alla lapide a lei dedicata e c’è stata una benedizione.

Presenti – oltre ovviamente ai familiari della vittima innocente come i fratelli Angelo, Marco e Francesco – anche il sindaco Antonio Poziello, il presidente del consiglio comunale Luigi Sequino, i vertici locali dell’Arma dei Carabinieri rappresentata dal capitano Antonio De Lise e dal maresciallo Alfonso Vecchione, ed gli attivisti di “Libera contro le Mafie”.

“Mena è una eroe inconsapevole, – ha dichiarato Poziello – vittima di un vigliacco criminale che ha usato una ragazza per salvarsi la vita. Dobbiamo fare in modo che i ragazzi possano ricordare perché questa è l’altra faccia della camorra. La nostra idea è dunque quella di mantenere vivo un ricordo che per molti anni ha stentato a farsi spazio nelle nostre memorie e trovare un luogo adeguato da dedicarle che decideremo insieme alla famiglia affinché ne resti traccia in città. La camorra – ha aggiunto il primo cittadino – la vinciamo con l’investiamo sulla cultura e se gli togliamo la manovalanza facile. Quindi occorre creare occasioni di sviluppo e di lavoro per le persone. Non c’è altra via. La camorra vive dove c’è l’oscurità e non ci sono occasioni e strumenti per sottrarre i ragazzi alla devianza”.

Sulla stessa lunghezza d’onda anche il presidente del consiglio. “Noi siamo la prima amministrazione del dopo scioglimento per infiltrazioni camorristiche. Ci deve essere quindi innanzitutto un’integrità morale da parte di chi riveste un ruolo istituzionale. – ha sottolineato Luigi Sequino – Oltre ai proclami, chi ci guarda dall’esterno deve sapere che non c’è possibilità di annidarsi, nella maniera più assoluta. Se chi ti osserva dall’altro lato sa che tu non puoi essere un interlocutore credo che determinate situazioni non possano mai accadere”.

“Il dovere di mantenere viva la memoria di Mena è un passo importante per la lotta alla camorra. – ha detto Alessandro Bevilacqua, referente del presidio ‘Libera’ di Giugliano – Mi dispiace che le persone presenti sono sempre poche rispetto a quelle che invece dovrebbero esserci in eventi simili. Insieme alle istituzioni dovremo lavorare per far prendere coscienza a tutti, soprattutto nelle scuole, e per far capire che la camorra è un male che appartiene a tutti”.
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Camorra, “regalini di Natale”. Estorsioni a commercianti e imprenditori per le festività

HINTERLAND – Estorsioni a danno di imprenditori e commercianti di Napoli e provincia. I carabinieri hanno intensificato il monitoraggio del territorio per prevenire il fenomeno delle richieste estorsive estemporanee, legate all’approssimarsi delle festività di fine anno, fatte a commercianti e piccoli imprenditori da soggetti riconducibili alla criminalità organizzata.

L’attenzione investigativa si è stretta laddove sono stati percepiti movimenti da parte di soggetti ritenuti gravitare attorno a gruppi di criminalità organizzata attivi nelle diverse aree.

i primi arresti a Casoria. I primi arresti già a metà novembre scorso. Antonio Bonifacio, 38enne di Cercola, Giuseppe Esposito, 51enne di Casoria, e Antonio Venezia, 41enne di Napoli, tutti già noti e ritenuti contigui al clan ‘Contini’, sono stati sorpresi in flagranza dal Nucleo investigativo del Gruppo Castello di Cisterna a chiedere soldi al titolare di un esercizio pubblico della periferia Est di Napoli.

Pizzo a Melito e Arzano. A fine novembre scorso un’altra attività per i ‘regalini di natale’ è stata fatta dai Carabinieri della Compagnia di Casoria. A finire in manette Gennaro Sessa, un 23enne di Napoli, già noto e ritenuto vicino a personaggi del cartello ‘Amato-Pagano’, attivo nella periferia a Nord del capoluogo e Melito. In questo caso la vittima il titolare della ditta edile di un cantiere attivo ad Arzano. Secondo la ricostruzione degli operanti il Sessa, in più occasioni, aveva avvicinato e minacciato pesantemente l’imprenditore, se non avesse accettato di incontrare e pagare ‘gli amici’. Il Sessa venne arrestato dai carabinieri a fine novembre nella flagranza dell’ennesima richiesta estorsiva. Arresto poi divenuto misura cautelare dal parte del GIP del Tribuanale Napoli Nord. Stamattina il personaggio è stato raggiunto in carcere dal provvedimento cautelare emesso dal GIP di Napoli su richiesta della DDA di Napoli che, nel frattempo, ha acquisito la titolarità dell’indagine.

Area vesuviana. L’ultimo arresto ieri sera, a Somma Vesuviana. I  militari per alcuni giorni hanno seguito i movimenti di un personaggio ritenuto vicino al clan ‘Cuccaro’, riscontrando strane circostanze in cui il soggetto aveva avvicinato un commerciante. Scoperto il motivo degli abboccamenti, un contributo per le imminente festività, i militari hanno cominciato a filmare gli spostamenti del sospetto, riuscendo a organizzare un servizio proprio al momento dello scambio e riuscendo a riprendere persino il passaggio dei soldi, il ‘regalino di Natale’. In quel momento sono scattate le manette ai polsi di Pietropaolo Di Matteo, 33enne di Somma Vesuviana, ritenuto responsabile di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso.
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sabato 12 dicembre 2015

Camorra, maxi sequestro di 10 milioni di euro al clan Aquino-Annunziata

HINTERLAND – Maxi sequestro alla camorra. Finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria – G.I.C.O. di Napoli ed i Carabinieri del Nucleo Investigativo di Torre Annunziata, nei territori di Boscoreale (NA), Poggiomarino (NA) e Vitulazio (CE), hanno dato esecuzione a un decreto di sequestro di prevenzione ai fini della confisca – emesso dall’Ufficio Misure di Prevenzione del Tribunale di Napoli su richiesta della Procura della Repubblica di Torre Annunziata – di beni immobili, conti correnti bancari, depositi e polizze assicurative, per un valore complessivo di circa 10 milioni di euro, riconducibili a CASILLO Francesco, elemento di spicco del clan Aquino-Annunziata (operante a Boscoreale e zone limitrofe).

Il Casillo, attualmente detenuto, è già stato condannato in via definitiva per associazione di tipo mafioso, e riportato altre condanne per associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e omicidio aggravato dalle finalità mafiose.

In particolare, venne arrestato nel luglio 2011 assieme ad altre 33 persone nell’ambito dell’operazione “Re Bomba”, che colpì i clan camorristici “Gionta” e “Aquino-Annunziata” operanti nell’area vesuviana, per i reati di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, con il sequestro di beni per un valore di 7 milioni di euro riconducibili ai predetti clan.

Nel provvedimento restrittivo il Casillo viene indicato come il capo di un’articolata compagine criminale che gestiva la fiorente piazza di spaccio del Piano Napoli di via Passanti Scafati di Boscoreale.

Lo stesso è stato inoltre raggiunto, nel marzo 2014, da una misura cautelare in carcere quale compartecipe nella deliberazione ed organizzazione del duplice omicidio dei fratelli Manzo, avvenuto in Terzigno il 10 febbraio 2007, per il quale, a luglio scorso, è stato condannato alla pena dell’ergastolo dalla Corte d’Assise di Napoli.

L’odierna indagine patrimoniale, condotta dai citati reparti su convergenti filoni investigativi, ha consentito di accertare la natura illecita del denaro utilizzato dall’indagato per l’acquisizione dei beni immobili in sequestro, derivante dal coinvolgimento dello stesso nel citato contesto associativo e dal riciclaggio di ingenti somme di denaro provenienti dal traffico di sostanze stupefacenti nell’acquisto di immobili, nel Casertano e nella zona Vesuviana, nonché dalla gestione delle attività economiche illecite poste in essere dall’organizzazione criminale, ed in particolare dalla gestione di una fiorente piazza di spaccio nel piano Napoli di Boscoreale.

Le attività investigative hanno inoltre consentito di ricostruire la sproporzione tra i redditi e le attività economiche svolte dall’interessato, rispetto ai beni mobili e immobili di cui il medesimo e il suo nucleo familiare sono titolari, chiaro indicatore della provenienza illecita dei beni del Casillo.

Tali attività di Polizia Giudiziaria hanno portato al sequestro di circa 60 immobili tra appartamenti, garage e terreni, e diversi rapporti finanziari riconducibili al Casillo Francesco e al suo nucleo familiare, per un valore complessivo di 10.000.000,00 di Euro.
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giovedì 10 dicembre 2015

Jambo, il centro commerciale nelle mani della camorra. Un giro di affari da 60milioni di euro

HINTERLAND – Un intero centro commerciale di proprietà della camorra. Il clan dei Casalesi, secondo quanto riporta la DDA, gestiva di fatto una delle attività economiche più floride dell’agro aversano. Il Jambo è noto in tutta l’area nord di Napoli ed attira ogni giorno migliaia di persone.

La storia. Situato a Trentola Ducenta, a pochi chilometri da Aversa, all’uscita dell’Asse Mediano, si estende su un’area di più di 5mila metri quadri. Era nato negli anni ’90 in origine come semplice ipermercato, grazie al talento imprenditoriale di Alessandro Falco, trentolese, classe ’57. In seguito si ingrandì e si trasformò in centro commerciale tra la seconda metà degli anni ’90 e i primi anni del 2000, quando il parco subì dei lavori di ampliamento ed ottenne uno svincolo dell’Asse Mediano dedicato. Il suo valore passò, scrive il GIP firmatario dell’ordinanza di sequestro, da 2 miliardi di lire agli attuali 60 milioni di euro, e “ciò – si legge nell’ordinanza –  è stato possibile grazie alla forza politica e imprenditoriale di Michele Zagaria“. Secondo gli 007 dell’Antimafia, i due fratelli Falco sarebbero stati marionette nelle mani del boss. Alessandro Falco “era il custode della liquidità della famiglia Zagaria e per conto del boss gestiva i rapporti imprenditoriali e politici. L’imprenditore incontrava il padrino dei Casalesi durante la sua latitanza per recepirne le direttive.” A contribuire alla crescita del parco anche la cessione di un ramo d’azienda alla società di distribuzione francese E.Leclerc, che si occupa del reparto agroalimentare. Tra gli ospiti illustri del parco, nel corso degli anni, che hanno fatto crescere l’immagine di Jambo, anche il cantante Gigi D’Alessio e la showgirl Valeria Marini.

Posti di lavoro a rischio? Attualmente il parco commerciale ospita oltre centri negozi, centro uffici, 4500 posti auto in tre parcheggio. Un piccolo colosso che dà lavoro a migliaia di dipendenti tra cassieri, commessi, scaffalisti, promoter e altri. Ora il centro è sotto sequestro ed è in amministrazione giudiziaria. Bisognerà capire adesso come l’autorità giudiziaria vorrà gestire il parco commerciale senza mettere a rischio le centinaia di posti di lavoro.

Blitz contro i casalesi, in fuga il sindaco di Trentola. ECCO TUTTI I NOMI

HINTERLAND – Maxi-retata contro i Casalesi (LEGGI ) Quattro dei 28 arrestati sono irreperibili. Tra di essi il sindaco di Trentola Ducenta, Michele Griffo, attualmente latitante, i due Balivo e Alessandro Falco, amministratore della società che controlla il centro commerciale Jambo, anch’esso finito sotto sequestro nella maxio-perazione di stamattina della DDA. Non si sa se i quattro abbiano intrapreso una fuga e se ci sia stata una fuga di notizie dagli ambienti delle forze dell’ordine.

Il sindaco. Michele Griffo è un politico di lungo corso. Già sindaco dal 2002 al 2007 della città di Trentola Ducenta con una lista civica, consigliere provinciale nello stesso periodo nelle fila di Forza Italia (2005-2009), poi consigliere comunale dal 2007 al 2010, infine di nuovo sindaco dal maggio 2011 con il centrodestra. Nel 2014 era finito nell’occhio del ciclone per aver affidato un presunto incarico al Comune al figlio Mario.

ECCO TUTTI I NOMI DEGLI ARRESTATI

Balivo Gaetano nato a Trentola Ducenta il 15.03.1961

Balivo Silvestro nato Trentola Ducenta il 22.03.1954

Basco Oreste nato a Milano il 28.07.1970

Bianco Carlonato a Milano il 28.07.1970

Cantone Raffaele nato a Trentola Ducenta il 23.11.1960

Cassandra Luigi nato a Trentola Ducenta il 30.10.1971

Cirillo Bernardonato a Casal di Principe il 6.10.1966

Conte Vincenzo nato ad Aversa il 26.03.1983

De Luca Raffaele nato a San Cipriano d’Aversa il 06.09.1971

Diana Giuseppe nato a Santa Maria Capua Vetere il 05.01. 1986

Diana Luigi nato a San Cipriano d’Aversa il 28.01.1953

Di Sarno Vincenzo nato a Parete il 30.08.1964

Falco Alessandro nato a Trentola Ducenta il 01.04.1957

Garofalo Giovanni nato ad Aversa il 09.12.1973

Garofalo Giuseppe nato a San Cipriano d’Aversa il 14.03.1972

Griffo Michele nato a Trentola Ducenta il 23.08.1948

Inquieto Giuseppe nato ad Aversa il 15.07.1970

Mottola Maria Carmen nata a Trentola Ducenta il 13.11.1951

Munno Antonio nato ad Aversa il 17.10.1953

Pagano Pasquale nato a San Cipriano d’Aversa il 21.09.1978

Petrillo Giuseppe nato a Napoli il 23.09.1978

Pagano Nicola nato a Trentola Ducenta il 15.09.1960

Picone Nicola nato a Napoli il 16.04.1970

Picone Vincenzo nato a Mugnano di Napoli l’11.10.1968

Tessitore Giuseppe nato a Trentola Ducenta il 21.02.1963

Tirozzi Tommaso nato ad Aversa l’11.08.1978

Zagaria Carmine nato a San Cipriano d’Aversa il 27.05.1968 

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mercoledì 25 novembre 2015

Blitz contro il Clan Mallardo, stamattina l'udienza per 50 indagati. TUTTI I NOMI

GIUGLIANO. Si è tenuta stamattina, davanti al gip Claudio Marcopido del Tribunale di Napoli, l’udienza preliminare che vede 50 persone indagate nell’ambito dell’operazione eseguita lo scorso gennaio contro il clan Mallardo. Il blitz, condotto dai finanzieri del Nucleo di polizia tributaria di Roma, portò all’arresto di 12 persone ed al sequestro di beni per un valore di oltre 8 milioni di euro. Altri 38 soggetti risultano indagati ed il cui nome compare nel'ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip del Tribunale di Napoli a conclusione di indagini coordinate dalla Dda del capoluogo campano. Quasi la totalità degli indagati ha scelto di essere processato col rito Abbreviato, la cui udienza è stata fissata per il 13 gennaio. La restante parte chiederà il non luogo a procedere, ma è molto probabile che per loro arriverà il rinvio a giudizio ed il processo di svolgerà col rito ordinario. Il pm della DDA Maria Cristina Ribera formulerà le richieste di condanna. L’avvocato Matteo Casertano ha sollevato un’eccezione di notifica rispetto ai suoi tre assistiti sottolineando che gli atti del processo sono stati solo a lui e non al domicilio indicato dai suoi assistiti. Il giudice si è riservato di decidere in merito alla loro posizione. 

Tra i reati contestati a vario titolo ci sono: associazione di stampo mafioso, estorsione, truffa, ricettazione, violenza privata, minaccia, falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici e false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all'autorità giudiziaria, turbativa d'asta. Nel mirino degli uomini del Gico, Gruppo investigazione criminalità organizzata, l'ala "militare" del clan, che per gli inquirenti era capeggiata da Vincenzo D'Alterio, Giuseppe Ciccarelli e Giuliano Pianese (quest'ultimo formalmente dipendente della Asl Napoli 2 Nord), che, "mediante l'intimidazione mafiosa, avrebbero controllato il territorio sulla fascia costiera dell'area settentrionale di Napoli (Varcaturo, Lago Patria e Licola)". Alcuni degli arrestati sono tutt’ora in carcere, mentre altri, tra cui il medico dell’Asl Perrino, fu scarcerato dal Riesame. 

ECCO TUTTI I NOMI DEGLI INDAGATI 

1. Vincenzo D’Alterio residente a Giugliano – detenuto – (difeso dall’avvocato Alfonso Palumbo) 
2. Davide Barbato residente a Giugliano – ai domiciliari – (difeso dall’avvocato Antonio Russo) 
3. Giuseppina Basile residente a Giugliano (difesa dall’avvocato Giovanni Guariniello) 
4. Marco Carrella residente a Giugliano – detenuto – (difeso dagli avvocati Libero Mancuso e Francesco Casillo) 
5. Ernesto Cecere residente a Giugliano (difeso dall’avvocato Domenico Pennacchio) 
6. Gaetano Cecere residente a Giugliano (difeso dall’avvocato Luigi Canta) 
7. Assunta Ciccarelli residente a Giugliano (difesa dagli avvocati Gennaro Lepre e Marco Guaglianone) 
8. Francesco Ciccarelli residente a Giugliano (difeso dagli avvocati Gennaro Lepre e Marco Guaglianone) 
9. Giuseppe Ciccarelli residente a Giugliano – detenuto – (difeso dagli avvocati Paolo Trofino e Marco Sepe) 
10. Silvestro Ciccarelli residente a Giugliano (difeso dagli avvocati Gennaro Lepre e Marco Guaglianone) 
11. Biagio D’Alterio residente a Giugliano (difeso dall’avvocato Matteo Casertano) 
12. Giovanna D’Alterio residente a Giugliano (difesa dall’avvocato Alfonso Palumbo) 
13. Giuseppe D’Alterio del 1960 residente a Giugliano (difeso dall’avvocato Matteo Casertano) 
14. Giuseppe D’Alterio del 1974 residente a Giugliano – detenuto – (difeso dagli avvocati Alfonso Palumbo e Claudio Botti) 
15. Umberto D’Alterio residente a Giugliano (difeso dall’avvocato Matteo Casertano) 
16. Isabella Damiano residente a Pozzuoli (difesa dall’avvocato Alfonso Palumbo) 
17. Monica De Carlo residente a Napoli (difesa dall’avvocato Lello Della Pietra) 
18. Salvatore De Carlo residente a Pozzuoli (difeso dagli avvocati Anna Catapano e Lello Della Pietra) 
19. Domenico di Lorenzo residente a Giugliano (difeso dall’avvocato Giovanni Guariniello)
20. Giuliano Di Lorenzo residente a Napoli – detenuto – (difeso dagli avvocati Anna Catapano e Lello Della Pietra) 
21. Giuseppina Di Lorenzo domiciliata a Giugliano (difesa dall’avvocato Anna Savanelli) 
22. Teresa di Lorenzo residente a Giugliano (difeso dall’avvocato Anna Savanelli) 
23. Francesco Di Nardo residente a Giugliano (difeso dall’avvocato Antonio Dell’Aquila) 
24. Luigi Felace residente a Mugnano (difeso dall’avvocato Giovanni Guariniello) 
25. Michele Felace residente a Giugliano (difeso dall’avvocato Giovanni Guariniello) 
26. Teresa Felace residente a Giugliano (difesa dall’avvocato Alfonso Palumbo) 
27. Anna Galluccio residente a Villaricca (difesa dall’avvocato Bibiana Marsilia) 
28. Antonietta Granata residente a Giugliano (difesa dall’avvocato Salvatore Cacciapuoti) 
29. Felice Granata residente a Giugliano – ai domiciliari – (difeso dall’avvocato Antonio G. Russo) 
30. Stefania Granata residente a Giugliano (difesa dall’avvocato Salvatore Cacciapuoti) 
31. Anna Incarnato residente a Brusciano (difeso dall’avvocato Giovanni Guariniello) 
32. Raffaele Incarnato residente a Napoli (difeso dall’avvocato Giovanni Guariniello) 
33. Aureliano Iovine residente a Napoli (difeso dall’avvocato Carla Maruzzelli) 
34. Sabrina Iovine residente a Mogliano Veneto (difeso dall’avvocato Marco Muscariello) 
35. Marco La Volla residente a Villaricca (difeso dall’avvocato Antonio Dell’Aquila) 
36. Luigi Mauriello residente a Giugliano (difeso dall’avvocato Nunzio Mallardo) 
37. Antonio Morrone residente a Castelvolturno (difeso dall’avvocato Giuseppe Pirozzi) 
38. Pasquale Parisi residente a Giugliano (difeso dall’avvocato Pasquale Pianese) 
39. Gennaro Perrino residente a Vico Equense (difeso dagli avvocati Arturo Frojo e Errico Frojo)
40. Antonio Pianese residente a Giugliano (difeso dagli avvocati Guastavo Pansini e Antonio Dell’Aquila) 
41. Giuliano Pianese residente a Villaricca – detenuto – (difeso degli avvocati Gustavo Pansini e Antonio Dell’Aquila 
42. Marilena Pianese residente a Villaricca (difeso degli avvocati Gustavo Pansini e Antonio Dell’Aquila) 
43. Luigi Puca residente a Sant’Antimo (difeso dall’avvocato Giovanni Guariniello) 
44. Claudio Radente residente a Giugliano (difeso dall’avvocato Giuseppe Pellegrino) 
45. Raffaele Sebillo residente a Quarto (difeso dall’avvocato Davide Valenziano) 
46. Gaetano Stanzione residente a Pozzuoli (difeso dall’avvocato Angelo Vignola) 
47. Anna Taglialatela Scafati residente a Giugliano (difeso dall’avvocato Umberto Perga) 
48. Ciro Topo residente a Giugliano (difeso dall’avvocato Antonio Piantadosi) 
49. Giovanni Topo residente a Giugliano (difeso dall’avvocato Angelo Vignola e Antonio Piantadoti) 
50. Maria Teresa Topo residente a Giugliano (difeso dall’avvocato Salvatore Impradice)
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Inaugurato a Scampia lo sportello antiviolenza “Gelsomina Verde”

NAPOLI. Il 21 novembre abbiamo partecipato alla prima edizione dell’assegnazione Premio “Gelsomina Verde”, il quale è andato a diversi personaggi impegnati nella loro vita e professione per la divulgazione della cultura della legalità. In questa importante occasione di proclamazione di riscatto, non solo per il quartiere di Scampia ma dell’intera città di Napoli, è stato ricordato il barbaro assassinio di Gelsomina Verde, vittima innocente della camorra. Tutti gli illustri ospiti hanno ricordato quanto sia stato importante il lavoro delle Associazioni e della società civile negli ultimi anni in territori così aggrediti dal cancro della criminalità organizzata come quello di Scampia. 

L’Ente Terra Viva, durante la manifestazione alla presenza del Questore di Napoli Dottor Guido Marino, ha consegnato a Michele Spina ex dirigente commissariato Polizia di Scampia e alle forze di polizia il Premio “Speranza”. In questo contesto, alla presenza di Giancarlo Costabile docente Universitario di Pedagogia della Resistenza, dello scrittore giornalista Pino Aprile, di Ciro Corona Presidente dell’Associazione (R)Esistenza, si è inaugurato lo sportello Anti Violenza Gelsomina Verde gestito dall’Ente Terra Viva, il quale è a disposizione dell’utenza tutte le mattine dalle ore 09:30 alle ore 13:00 dal lunedì al venerdì presso via Arcangelo Ghisleri lotto P5. L’apertura di questo sportello fornirà uno strumento di contrasto e prevenzione alla violenza di genere in tutto il territorio di Scampia.

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lunedì 16 novembre 2015

Comandava il clan nonostante fosse in libertà vigilata, ordinanza per il super boss Francesco Mallardo. Il diktat agli affiliati: «Niente spaccio altrimenti sono guai»

di Antonio Mangione

GIUGLIANO. Comandava dal carcere nonostante fosse relegato al regime della libertà vigilata, operazione della Squadra Mobile nei confronti del super boss Francesco Mallardo, a capo della cosca egemone nel Giuglianese. Le indagini condotte dalla Squadra Mobile di Napoli si sono avvalse della collaborazione del pentito Giuliano Pirozzi ed hanno visto spiccare nei suoi confronti un'ordinanza di custodia cautelare in carcere. Eseguite diverse perquisizioni nella sua abitazioni a Sulmona. Grazie alle dichiarazioni dei pentiti ed ad intercettazioni telefoniche ed ambientali, si è riuscito a ricostruire il ruolo di egemonia del boss nonostante fosse in restrizione della libertà personale. 
Mallardo conduceva una vita normale, guidava la macchina nonostante non avesse la patente ed aveva strumentalizzato la sua malattia al cuore per effettuare spostamenti per fasulle visite mediche, quando in realtà faceva viaggi per incontrare gli altri capi della camorra, come accaduto in Puglia, senza nessuna autorizzazione dell'autorità giudiziaria. 

Grazie ad intercettazioni, Mallardo simulava condizioni di salute precarie quando si recava in Commissariato per avere agevolazioni. Le indagini sono partite proprio dal momento in cui il boss Mallardo ottenne i domiciliari per le precarie condizioni di salute. "Appena usciì dal carcere prese le redini del clan", sottolineano i magistrati dando precise indicazioni ai magistrati. Una delle prime indicazioni date da Mallardo fu quella di vietare lo spaccio nel territorio giuglianese. 

Nelle conversazioni intercettare Mallardo parla di pestaggi, estorsioni, affari, riciclaggio, attentati, pagamenti degli stipendi e le dinamiche interne ai vari gruppi.

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Napoli, ucciso il boss Esposito. Ferito un cameriere: «Il mio Giovanni un bravo ragazzo, questa non è vita»

«Non si può vivere con la paura di morire ad ogni angolo di strada, non ce la facciamo più». Le parole di Fiorenza, madre di Giovanni Catena, il 29enne colpito da una pallottola a pochi passi da piazza Sanità, scorrono come un fiume in piena.

«Mio figlio non c’entra nulla con quello che è successo e al suo posto ci poteva essere chiunque dei nostri bambini - grida la donna raccogliendo le forze e trattenendo il pianto - tutti sanno che è un bravo ragazzo e fa mille sacrifici per sostenere noi e la sua famiglia». Ieri pomeriggio, chi ha assistito a quei minuti di terrore racconta di aver visto Giovanni allontanarsi dalla piazza con le buste dell’immondizia in mano dopo aver concluso il turno di lavoro presso il piccolo pub “Pocho” dove presta servizio due volte a settimana, consegnando panini e aiutando il personale della cucina. Il 29enne si è accasciato per terra e dalle prime parole pronunciate ai suoi soccorritori ha creduto di aver ricevuto una botta nello stomaco, come se il contenitore dei rifiuti gli fosse andato addosso.

Nonostante il dolore Giovanni si è alzato da terra per sedersi su una panchina dove alcuni passanti lo hanno raggiunto per trasportarlo in ospedale. «Nel quartiere tutti conoscono mio figlio - continua Fiorenza circondata da parenti e amici che sono accorsi in vico Cristallini per supportarla - sono anni che arriva a fare anche tre lavori a settimana per dare da mangiare alla moglie e al figlio piccolo di 7 anni, cercando mestieri sempre in maniera onesta e non è accettabile che un ragazzo possa rischiare la vita in questo modo».

Giovanni è stato capo chef, ha trascorso una vita tra Marano e Napoli per non far mancare nulla alla famiglia e nei periodi di magra, non si è mai abbattuto accettando anche lavori saltuari ed umili. Lo raccontano così i fratelli e gli amici che ieri sono andati a trovare Fiorenza a casa. «Siamo stanchi di essere abbandonati a noi stessi e di vivere nella paura - tuona la donna madre di 7 figli, di cui Giovanni è il secondogenito - dopo la morte di Genny Cesarano c’è stata una pattuglia della polizia per qualche giorno nel rione poi siamo ripiombati nel nulla». 

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Giallo di Sant’Antimo, l’uomo morto è un 60enne di Frattamaggiore

SANT’ANTIMO – Identificato l’uomo trovato cadavere ieri mattina in Sant’Antimo. Si chiamava Giovanni Gallifuoco, 62 anni, di Frattamaggiore, pochi precedenti penali, allontanatosi dalla sua famiglia una decina di anni fa. L’identificazione è avvenuta grazie alla comparazione delle sue impronte digitali con quelle raccolte nel data base degli schedati.

Il cadavere dell’uomo era stato ritrovato ieri nella rampa d’accesso di un parcheggio di una palazzina in costruzione su Corso Europa. La scoperta era stata fatta dal proprietario dello stabile, che poco dopo le 7 era sceso in garage per guidare una macchina agricola. Adesso, dopo l’indentificazione, sarà più semplice per gli investigatori risalire alle cause del decesso. Si opta per una caduta accidentale, ma alcune escoriazioni e una ferita alla fronte tengono in piedi il giallo sulla morte dell’uomo.
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mercoledì 11 novembre 2015

Nuovo blitz contro i Casalesi: estorsioni, rifiuti ed il sequestro di due bambini

HINTERLAND – Nuovo blitz contro il clan dei Casalesi. Dalle prime ore dell’alba i carabinieri del Ros hanno eseguto un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 19 persone. Sono finiti in manette gli attuali capi ed i gregari del cartello camorristico attivo nella provincia di Caserta e con ramificazioni in altre parti d’Italia.

Gli indagati sono gravemente indiziati di una pluralità di reati commessi attraverso il metodo mafioso. Tra le ipotesi formulate nell’indagine della Dda di Napoli, denominata “Azimut”, ci sono anche estorsioni, sequestro di persona, detenzione e porto illegale di armi.

Le indagini hanno permesso infatti di riscontrare alcuni episodi estorsivi ed accertare che i Casalesi per la prima volta nella lo storia hanno deciso di stipulare un patto con le famiglie di Mondragone e Sessa Aurunca, nel passato relegate a ruoli minori.

Le quote della cassa unica delle attività illecite venivano quindi suddivise in 3 parti: la federazione di mondragonesi e sessani (Fragnoli, Pagliuca, Esposito detti Muzzoni), il gruppo misto casalese (Venosa, Zagaria, Iovine, Bidognetti) e la fazione Schiavone. Il vertice era rappresentato infatti, fino al suo arresto, da Carmine Schiavone, figlio del boss Francesco detto Sandokan ed anche lui destinatario dell’ordinanza eseguita stamani dai Ros.

L’inchiesta ha certificato anche il sequestro di due minori figli dell’affiliato di spicco Massimo Alfiero, detenuto al 41 bis, al fine di convincerlo a non collaborare con la giustizia.

Nell’operazione “Azimut” rientra pure il sequestro, in data 31 maggio 2013, di una cava di inerti a Mondragone gestita dal sodalizio criminale casalese. Alle falde del monte Petrino erano stati sversati, negli anni, rifiuti tossici come l’amianto.

Contestualmente è stato eseguito un sequestro preventivo di beni dal valore di circa 34 milioni di euro tra società, beni mobili ed immobili.

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Da Sant’Antimo al tricolore a passo di marcia e col sorriso, il trionfo di Vincenzo Verde

By Raffaele Silvestri

SANT’ANTIMO – Una passione nata da piccolo, quando a sette anni aspettava impaziente fuori casa un maratoneta amico di famiglia al termine dell’allenamento, e correva con lui gli ultimi metri con l’emozione di sentirsi un campione. E un campione, Vincenzo Verde, lo è diventato davvero. Nello sport e nella vita.

Dai primi allenamenti con “lo sceriffo” è stato subito chiaro che il piccolo Vincenzo sarebbe uscito fuori dagli schemi: nato in una famiglia di ciclisti, alle due ruote ha preferito i piedi, da far correre lungo l’asfalto quanto più a lungo possibile perchè, diceva l’amico allenatore, “il ragazzo ha il fisico del fondista, ha resistenza”. Ed allora le prime gare, le prime soddisfazioni, poi gli studi da infermiere, ed oggi – a 32 anni – è per la seconda volta campione d’Italia di marcia a squadre.

IL PASSAGGIO ALLA MARCIA – “Sono passato alla marcia quasi per caso, avevo un’infiammazione che non mi permetteva di correre bene, e per riprendere l’attività ho cominciato questa disciplina che ha un contatto più mordido con il suolo. Poi è scoccata la scintilla e non l’ho più lasciata”, ci racconta. Ma la marcia è una specialità tra le più dure, di quelle che o le ami o le odi. Vincenzo – che nell’ambiente è soprannominato “mister Green” – ha conquistato il suo secondo titolo in una competizione che lo ha visto protagonista in tre tappe: prima la 20 km su strada a Cassino, poi la 10 km su pista a Brusaporto ed infine ancora una 20 km, ad Ascoli. “Condivido il successo con i miei compagni di squadra della società Enterprise, Mirko Dolci e Teodorico Caporaso. Lottare contro i gruppi militari è difficilissimo, sono atleti preparati che marciano per lavoro, mentre noi dobbiamo ricavare il tempo per allenarci e per fare il nostro mestiere. Ci tengo a sottolineare che, in uno sport tecnicamente difficilissimo come il nostro, ho concluso tutte le gare senza nemmeno un’ammonizione o una proposta di squalifica. E sempre con il sorriso”.

LA LOTTA AL DOPING – Un sorriso, il suo, che lo rende facilmente riconoscibile ed apprezzato anche dallo staff della nazionale, con personaggi del blasone di Maurizio Damilano che non mancano di ricoprirlo di complimenti ad ogni gara. Verde è un atleta esemplare: innumerevoli i controlli antidoping, da cui è uscito sempre perfettamente pulito. “Sono allenatore, massaggiatore, nutrizionista e motivatore di me stesso, ma quando ho bisogno so che il mio amico “sceriffo” è sempre pronto a darmi un consiglio. Alleno anche un gruppo di ragazzini provenienti da famiglie in difficoltà, e questo mi da gioia e stimoli. La marcia negli ultimi tempi ha visto la sua immagine sporcata da brutti episodi, io con il mio impegno quotidiano provo a migliorarla”. Chiaro il riferimento alla squalifica per doping di Alex Schwazer, l’altoatesino che – a telefono con il proprio allenatore – per rassicurarlo sui sospetti sempre più incalzanti si difese con un “puoi fidarti di me, non sono mica napoletano”.

Ecco, Vincenzo Verde è napoletano. Santantimese, nello specifico. Gareggia e vince in maniera pulita, e col sorriso sempre stampato in faccia senza ricorrere a scorciatoie, anche quando la strada è in salita. Forza, mister Green.
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venerdì 6 novembre 2015

Arrestato Pasquale Sibillo, il boss della paranza dei bambini che ha fatto tremare Napoli

sibillo pasquale arrestatoNAPOLI – E’ stato arrestato Pasquale Sibillo, 24 anni, il boss a capo della cosiddetta “paranza dei bambini” che negli ultimi mesi aveva messo a ferro e fuoco diversi quartieri di Napoli. Il boss è stato catturato a Terni ieri sera.
La latitanza di Sibillo, ricercato per omicidio e tentato omicidio, traffico di stupefacenti e estorsioni con l’aggravante dell’associazione mafiosa, è iniziata lo scorso giugno, quando il 24enne riuscì a sfuggire ad un provvedimento restrittivo emesso dalla DDA partenopea. Ora, dunque, corsa terminata anche per lui che nel frattempo aveva cambiato look: era dimagrito, aveva tagliato la barba e cambiato pettinatura.

Sibillo, arrestato da investigatori della Squadra Mobile di Napoli e del Servizio Centrale Operativo, era considerato uno dei principali esponenti della violenta faida in corso a Napoli che, nei mesi scorsi aveva fatto registrare agguati e tre omicidi fra Forcella e Maddalena, centro storico partenopeo, storicamente controllato dai clan Mazzarella e Giuliano. Su fratello Emanuele è stato assassinato il 2 luglio scorso nell’acume della faida.

Una recrudescenza criminale a Napoli che ha fatto registrare diversi episodi cruenti con omicidi, ferimenti ed agguati tra i vicoli del centro storico partenopeo.

Le aree napoletane di Forcella e Maddalena, interessate dalla progressiva disarticolazione del clan Mazzarella, un tempo egemone nelle zone centrali del capoluogo partenopeo, avrebbero di recente sofferto un conseguente vuoto di potere, specie nel controllo e gestione degli interessi illeciti legati allo spaccio di sostanze stupefacenti ed alle estorsioni, determinando il sorgere di forti contrasti tra il cartello camorristico costituito dalle famiglie Giuliano, Sibillo, Brunetti, Amirante e le famiglie avverse Baldassarre e Del Prete, tradizionalmente legate ai Mazzarella.

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martedì 3 novembre 2015

Casal di Principe. Killer di camorra condannati a risarcire il Comune

La camorra ha danneggiato l'immagine del comune di Casal di Principe. Il Tribunale di Napoli lo ha stabilito ieri con la sentenza del processo per l'omicidio di Giliberto Cecora, avvenuto il 16 marzo del 1994 a Casal di Principe. L'amministrazione comunale capeggiata dal sindaco Renato Natale, a maggio, si era costituita parte civile e ieri il giudice, a conclusione del procedimento di rito abbreviato, ha riconosciuto a favore dell'ente un risarcimento di 30mila euro, perché «l'omicidio di camorra commesso nel territorio comunale ha provocato un danno all'immagine dell'intero paese». È la prima volta che accade.

«Le condotte criminali hanno provocato danni inestimabili sia per l'ente che per ogni singolo cittadino che ancora oggi viene tacciato con il termine casalese utilizzato come sinonimo di camorra», è stato scritto nella costituzione di parte civile recepita dal giudice. L'omicidio di Cecora che era affiliato al clan dei Casalesi, maturò nell'ambito della faida tra il gruppo Giuseppe Quadrano, Nunzio Del Falco, Sebastiano Caterino, Mario Santoro ed il gruppo di Francesco Schiavone e Francesco Bidognetti. La contrapposizione criminale fu particolarmente cruenta non solo per il numero di morti ma anche per l'efferatezza di quelle morti. Cecora venne ucciso nella faida che aveva avuto inizio tre anni prima con l'assassinio di Vincenzo De Falco alias ‘O fuggiasco, ritenuto responsabile dal gruppo Schiavone – Bidognetti dell'operazione dei carabinieri passata alla storia come «blitz di Santa Lucia», del 13 dicembre 1990, che interruppe il summit della camorra a casa di Gaetano Corvino, allora assessore comunale.

L'omicidio di Cecora che era zio di Giuseppe Quadrano, killer poi di don Giuseppe Diana, ucciso il 19 marzo del 1994, venne immediatamente messo in relazione con l'uccisione del sacerdote, visto che don Diana si era rifiutato di celebrarne il funerale. Ieri la sentenza del rito abbreviato ha condannato Salvatore Cantiello e Giuseppe Dell'aversana a 30 anni mentre Domenico Bidognetti, Luigi Diana, Francesco Cirillo a nove anni e quattro mesi. Per tutti, il Tribunale sezione 24esima Gip, pm Cesare Sirignano e Maurizio Giordano, ha ordinato l'interdizione dai pubblici uffici ed il pagamento delle spese di giudizio. Per Walter Schiavone fratello di Francesco Schiavone alias ‘Sandokan, ugualmente imputato del reato di omicidio e detenzione di armi da fuoco, è ancora in corso presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere il processo a rito ordinario. La prossima udienza si terrà il 18 novembre.

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mercoledì 28 ottobre 2015

Clan Mallardo senza testa, ora è caccia a fiancheggiatori ed insospettabili

di Antonio Mangione

GIUGLIANO. Un clan senza testa ed un esercito di soldati senza comando. Due facce della stessa medaglia che sta mandando in crisi il ‘sistema’. La decapitazione dei vertici del clan Mallardo, operata da magistratura e forze dell’ordine in questi anni, ha dato sicuramente una spallata ad una delle organizzazioni criminali più potenti d’Italia. La cosca, però, è ferita ma non è morta. Gli stessi magistrati della DDA, durante la conferenza stampa dell’ultima operazione che ha smantellato il controllo del mercato della frutta a Giugliano, dichiararono che la cosca giuglianese resta, nonostante la raffica di arresti, una delle più forti e potenti d'Italia. Con i boss ed i reggenti in cella, adesso l’attenzione delle forze dell’ordine si è spostata su tre fronti: evitare che le nuove leve prendano il sopravvento nel comando del territorio, intercettare i fiancheggiatori e rompere i rapporti economici per togliere ossigeno alla cosca. 

Il pentito Massimo Amatrudi ha spiegato in passato ai magistrati come quella dei Mallardo sia un’organizzazione criminale ancora legata ai vecchi valori e metodi. Un sistema a numero chiuso – ha raccontato il collaboratore di giustizia - che può vantare al suo soldo un esercito di circa trecento persone, in gran parte giovani. “Per diventare affiliato non è prevista nessuna cerimonia di iniziazione, ma basta percepire solo lo stipendio”, ha rivelato Amatrudi. E proprio le difficoltà a pagare 'le mesate' agli affiliati potrebbero aver indotto alcuni di questi a camminare autonomamente. 

FIATO SUL COLLO DI FIANCHEGGIATORI ED INSOSPETTABILI 

Discorso diverso va fatto per i fiancheggiatori e per coloro che si mettono a disposizione dell'organizzazione criminale. Ed è proprio su questa scia che si stanno muovendo i controlli effettuati su larga scala da parte del Commissariato di Giugliano e dei militari dell’Arma non solo nelle palazzine di Giugliano, teatro dell’agguato ai danni del figlio di Michele di Biase, ma in diversi quartieri della città. L’obiettivo degli investigatori è quello di spegnere sul nascere l’‘alzata di testa’ di piccoli gruppi criminali che si stanno muovendo in autonomia rispetto al clan Mallardo. La polizia ed i carabinieri stanno setacciando ogni angolo della città e perquisendo appartamenti, box auto e circoli frequentati da pregiudicati per trovare indizi utili alle indagini. Le case ed i locali di ‘insospettabili’ sono sempre stati covi per nascondere armi e droga, e lo sono ancor di più nei momenti di difficoltà delle organizzazioni criminali come lo sta attraversando il clan Mallardo che sa di essere ancor più attenzionato dalle forze dell’ordine e si muove dunque con maggiore cautela. Le precedenti indagini hanno già dimostrato come la cosca si servisse di persone per lo più incensurate a cui vengono dati in gestione in maniera fittizia società nei diversi settori. Nel commercio così come nell’edilizia. Società che servono per ripulire e giustificare i soldi derivanti dai traffici illeciti. Ma non solo. La speranza degli investigatori è anche quella di trovare indizi utili su Michele Di Biase, scomparso nel nulla circa un mese fa. Gli agenti cercano fogli, documenti, pizzini, indumenti che possano portare all'individuazione di Paparella.

BOSS E REGGENTI IN CARCERE E LE NUOVE LEVE 

I capi sono braccati. Giuseppe Mallardo è stato condannato all’ergastolo, mentre il fratello Francesco è in libertà vigilata in casa lavoro dopo aver scontato la sua pena. Molti dei reggenti e luogotenenti sono in carcere, alcuni dei quali al 41 bis. Qualche mese fa è defunto Feliciano Mallardo, poi ci sono Francesco Napolitano, Giuseppe Dell’Aquila, Patrizio Picardi, Giuliano Amicone, Biagio Micillo, Raffaele Mallardo e Michele Di Nardo. Sono loro ad aver comandato, chi in un modo chi in un altro, negli ultimi 20 anni gli affari illeciti del clan Mallardo attraverso i quattro gruppi di cui è composto: Rione San Nicola, via Cumana, Selcione e Licola-Varcaturo-Lago Patria. 

I NUOVI ASSETTI 

Ma come ogni sodalizio criminale, anche il clan Mallardo è pronto a cambiare faccia, ad assumere un nuovo assetto per continuare a svolgere i traffici illeciti, non solo nell’hinterland napoletano ma in tutta Italia. I magistrati hanno sequestrato nel corso degli ultimi 10 anni un patrimonio che si aggira sul miliardo di euro, una somma incredibile che comunque sembra essere una goccia nell’oceano visto che secondo le informative degli inquirenti il ‘tesoro’ dei Mallardo ammonterebbe ad almeno il triplo. Patrimonio ora gestito dalle nuove leve della cosca, i luogotenenti che hanno fatto carriera in questi anni che però – secondo il racconto dei pentiti – prendono sempre ordini dai boss rinchiusi in carcere. Sono loro a continuare a comandare, a tenere in mano le redini dell’organizzazione criminale. Ma non tutto sembra filare liscio. Gli agguati e i ferimenti degli ultimi mesi verificatisi a Giugliano, come non accadeva da anni, fanno pensare a una lotta intestina su chi debba gestire l’ingente flusso di denaro. Non una faida interna né tantomeno una spaccatura, sia chiaro. Perché a comandare è sempre il clan Mallardo. Ma piccole frizioni tra i sottogruppi in cui è diviso il clan che potrebbero mutare il suo assetto organizzativo e mettere in pericolo l’equilibrio criminale raggiunto dal clan Mallardo nel corso degli ultimi 20 anni.
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I Casalesi spacciavano a Giugliano e dintorni. Smantellato nuovo gruppo criminale

HINTERLAND – Una vasta operazione è stata eseguita stamani a seguito di una complessa indagine svolta dai Carabinieri di Grazzanise e dalla Polizia di Caserta (coordinati dalla DDA di Napoli) e relativa ad attività estorsive ai danni di commercianti attraverso attraverso l’imposizione di gadget pubblicitari. L’attività investigativa, condotta dal novembre 2013 ad oggi, ha permesso di ricostruire l’organigramma di un nuovo gruppo operativo-criminale riconducibile al clan dei Casalesi. 19 indagati sono finiti in manette.

Esistevano due nuclei ben organizzati: uno diretto da Luigi Alamaro (in foto), alias “Salvatore”, operante sulla piazza di spaccio di Napoli e dintorni, e l’altro facente capo a Ettore Pacifico e Vincenzo Chiarolanza, operante a Casal di Principe e Villa Literno.

Il gruppo di Alamaro si occupava della distribuzione di droga, sopratutto cocaina, ed aveva delle basi a Napoli, Giugliano, Sant’Antimo, Melito, Aversa e comuni limitrofi. Nel traffico illecito erano coinvolte diverse persone che si occupavano della distribuzione sul territorio.

Il gruppo Pacifico-Chiarolanza si rivolgeva invece ad Almaro per acquistare la droga da smerciare nella zona di Casal di Principe, Villa Literno, Grazzanise e Bellona, anche qui attraverso una fitta rete di pushers.

Gli investigatori hanno scoperto anche diversi legami di parentela con i clan camorristici di riferimento, ovvero i Casalesi ed i “girati” del gruppo Leonardi della Vannella Grassi, dove gli emissari dei Casalesi acquistavano la droga.

Vengono contestati complessivamente 700 episodi di spaccio. Tra gli arrestati 15 sono finiti in carcere ed altri 4 ai domiciliari. Le accuse sono di associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti e detenzione e spaccio al dettaglio di droga.

I NOMI DEGLI ARRESTATI: 

In carcere: Alamaro Luigi; Baazaoui Abdelmonam; Chiarolanza Vincenzo; De Vivo Marco; Del Sole Carmela; Del Sole Rosa; Della Corte Domenico; Frascogna Guido; Gravante Cristina; Imbriani Rosaraia; Necci Franco; Orefice Addolorata; Pacifico Ettore; Pacifico Giuseppe; Russo Domenico

Ai domiciliari: Attianese Ciro; Bencivenga Fabio; Della Cioppa Michele; Della Volpe Luisana.

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lunedì 19 ottobre 2015

Camorra, preso un fedelissimo di Zagaria. “Le famiglie dei carcerati hanno fame”

martino-zagariaNella giornata di ieri, in S. Cipriano d’Aversa (CE), la Polizia di Stato di Caserta ha eseguito un Decreto di Fermo emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, nei confronti del pregiudicato, affiliato al clan dei Casalesi – fazione ZAGARIA, MARTINO Francesco, alias Ciccio o’ Pecoraro, nato a Villa Literno (CE) il 05.07.1959, residente a S. Cipriano d’Aversa (CE), in quanto gravemente indiziato di estorsione continuata, aggravata dalla metodologia mafiosa.

LE ESTORSIONI. In particolare, le incalzanti indagini della Squadra Mobile di Caserta appuravano il coinvolgimento del citato MARTINO Francesco in una serie di condotte estorsive, poste in essere tra maggio e luglio 2015, in danno di imprenditori agricoli del comprensorio di Cancello Arnone (CE), area storicamente assoggettata al controllo criminale della citata consorteria camorristica.

“LA GUARDIANIA” DELLE AZIENDE. Secondo le emergenze investigative, il pregiudicato si era rivolto ad alcuni imprenditori agricoli pretendendo il pagamento di una somma di 250 euro per assicurare la “guardiania” alle loro aziende. Gli imprenditori, per la notoria fama di affiliato ai casalesi di MARTINO Francesco, non avevano esitato a corrispondergli il “pizzo”, la cui richiesta avveniva secondo una metodologia tipicamente mafiosa, infatti, il pregiudicato aveva ammonito le vittime che “…le famiglie dei carcerati erano senza soldi…s’ moron e famm’…”, e che, pur essendo stato scarcerato da poco, era di nuovo in zona e, quindi, per ogni problematica, come ad esesempio qualora avessero subito danneggiamenti, furti di attrezzi o mezzi agricoli, dovevano rivolgersi a lui.

DA POCO SCARCERATO. Martino Francesco, era stato arrestato nel dicembre 2011, ad epilogo di un’operazione congiunta delle Squadre Mobili di Napoli e Caserta, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dall’Ufficio del G.I.P. presso il Tribunale di Napoli su richiesta della Procura Antimafia partenopea, unitamente ad altri esponenti di spicco del gruppo ZAGARIA, a vario titolo indagati per associazione mafiosa ed estorsione aggravata; scarcerato nel marzo 2015, aveva ripreso immediatamente le attività estorsive per conto dell’organizzazione criminale.

Peraltro, l’arrestato è legato da vincoli di parentela ad affiliati di rilievo del clan dei Casalesi, quali CACCIAPUOTI Alfonso – capozona della fazione SCHIAVONE nel comprensorio di Grazzanise, S. Maria la Fossa, e Capua – e NOBIS Raffaele – uomo di fiducia del boss ZAGARIA Michele -, unitamente al quale era stato in precedenza arrestato.

Dopo le formalità di rito, MARTINO Francesco è stato associato alla Casa Circondariale di S. Maria Capua Vetere, a disposizione dell’Autorità giudiziaria.
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mercoledì 14 ottobre 2015

Napoli, l'altra metà del crimine: camorra al femminile, quando le dark ladies decidono omicidi

di Viviana Lanza

Per anni sono state le custodi della casa e dei segreti di figli e mariti, di padri e fratelli. Presenze discrete nella vita di uomini impegnati a fare guerre e affari sporchi. Portavano il peso di verità che non potevano essere rivelate e di lutti che regole non scritte imponevano di accettare. «Sorelle d'omertà» secondo la tradizione ‘ndraghetista che le relegava a ruoli di mera assistenza. Oggi non è più così. Oggi che le regole non sono più regole, l'immunità non segue più le differenze di genere.

Se si esclude la strage di Quindici, nell'ambito della faida tra i Cava e i Graziano, che fece cinque vittime tra donne e fu ordita da donne, quella di ieri è la prima esecuzione di una donna. In passato le donne sono state vittime di errori o vendette trasversali, mai di raid mirati. È il segnale di una nuova scalata al potere, della nuova identità delle donne nella camorra. Sempre meno invisibili e sempre più autoritarie, le donne non sono più solo quelle che accorrono per prime sul luogo di un agguato, che si vestono di nero e al collo portano camei con la foto dei morti che si piangono. Non sono solo le ambasciatrici dal carcere ai covi, le presenze fisse alle udienze dei processi o la spola tra penitenziari e studi legali. No. Si sono evolute. Molte di quelle che di un boss erano parenti, mogli o sorelle, sono arrivate a prendere in mano le redini del clan, a disporre di uomini e mezzi, a gestire non più soltanto i conti della casa ma anche le casse dell'organizzazione. E quando è accaduto hanno dato prova di grande determinazione. «Guagliù questa occasione ce la manda il Padreterno» dice Emilia Sibillo (solo omonima dei Sibillo dei Tribunali), l'unica donna assieme ad Assunta Buonerba ad essere tra gli undici arrestati mercoledì scorso nell'ambito dell'inchiesta della Dda sul clan Buonerba del centro storico. La si ascolta incoraggiare i killer a entrare in azione per uccidere Salvatore D'Alpino quando, nel tardo pomeriggio del 30 luglio scorso, gli arriva la notizia che l'uomo è davanti a una pizzeria in piazza Mancini. «Bravo eh, ma senza fare bordello...non cominciate a fare bordello, ja' che questa occasione è buona».

Negli anni Cinquanta fu Pupetta Maresca a salire alla cronache, accusata di aver vendicato chi credeva responsabile dell'omicidio del marito. Sempre lei, negli anni Ottanta, sfidò Raffaele Cutolo, il temuto capo della Nuova camorra organizzata, e il suo nome negli anni è stato associato a intricati casi di cronaca nera e intrighi di Stato tanto da diventare fonte di ispirazione per fiction e romanzi. Meno leggendarie e più crude sono le storie delle donne di camorra dei tempi moderni. Nel 2001, nella lista dei trenta criminali più ricercati d'Italia, c'era anche il nome di una donna. Era una 50enne della Masseria Cardone, quartiere Secondigliano quanto la periferia nord di Napoli era il più grande mercato della droga all'aperto, i clan esportavano merce contraffatta grazie ai magliari e per ordine dei boss il potere criminale non si ostentava. Maria Licciardi, il suo nome. Sorella di Gennaro Licciardi, considerato il fondatore della Cupola di Secondigliano e morto in carcere alla fine degli anni Novanta, e del fratello Vincenzo che ne avevano raccolto l'eredità, fu arrestata il 15 giugno di quattordici anni fa da latitante. I collaboratori di giustizia la accusavano, a dispetto del soprannome - 'a piccerella - di aver avuto un ruolo da reggente all'interno dell'organizzazione che al tempo era il clan di camorra più potente della città e monopolizzava anche affari a livello internazionale. «Le donne di Secondigliano costituiscono la spina dorsale dell'Alleanza» sosteneva un ex affiliato diventato pentito.

A Forcella, invece, c'erano i Giuliano a fare il brutto e il cattivo tempo fino alla fine degli anni Novanta e nella casbah, lo raccontano le inchieste dell'Antimafia del tempo, anche le donne avevano un ruolo. Erminia Giuliano detta Celeste era la sorella di Logino e dei fratelli oggi tutti collaboratori di giustizia: con quegli occhi di ghiaccio si diceva che fosse «un vero uomo d'onore». Anche Carmela Marzano, moglie di Luigi ‘o re, conobbe il carcere e le accuse di essere al centro di alcuni affari della famiglia di Forcella prima di seguire il marito nella scelta di collaborare con la giustizia e uscire dalla scena criminale napoletana. A Pianura c'era Teresa De Luca, compagna di Giuseppe Marfella, vecchio boss della camorra di Pianura. La definirono «lady camorra»: suo figlio è Antonio De Luca Bossa, quello che a Ponticelli negli anni Novanta sfidò i Sarno con l'autobomba imbottita di tritolo fatta esplodere in via Argine il 25 aprile del 1998.

«È la vera anima del gruppo, donna di camorra per discendenza genetica. Una regina», così, in occasione del suo arresto nel 2009, il gip definì Luisa Terracciano, esponente della camorra influente tra Ponticelli e l'hinterland vesuviano. Mentre è di pochi giorni fa l'arresto di Gesualda Zagaria, sorella dello storico capo dei Casalesi Michele Zagaria: nubile e senza figli è accusata di essere la contabile del clan, con la passione per le griffe.

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donne di camorra

di Alessandro Chetta (ha collaborato Antonio Scolamiero)

Pupetta Maresca

Assunta Maresca detta Pupetta è la più famosa e «letteraria» donna di camorra. Moglie di Pascalone ‘e Nola, uccise, incinta, il presunto mandante dell’omicidio del marito. Era il 10 agosto 1955. Lo stesso anno Pupetta, classe ‘35, fu arrestata e portata a Poggioreale per scontare 13 anni di galera (ma dopo circa un decennio fu graziata). Ebbe anche un’esperienza come attrice nel ‘67. Il suo romanzo nero prosegue negli anni Ottanta quando venne accusata di essere mandante di un altro omicidio ma venne scagionata. Copione che si ripeterà ancora diverse volte sulla base di accuse di omicidio, traffico di droga e estorsione. La sua storia ha ispirato numerosi film, tra cui «Il caso Pupetta Maresca» di Marisa Malfatti e Riccardo Tortora. Nel 2013 fu invece Manuela Arcuri ad interpretarla sul piccolo schermo per la fiction «Pupetta - il coraggio e la passione»


Rosetta Cutolo

Classe ‘37, è stata sempre considerata la luogotenente dei traffici criminali del fratello, Raffaele Cutolo, in carcere da quasi 40 anni. Tale ruolo apicale le venne confermato anche nella finzione cinematografica col film cult di Tornatore «Il camorrista» (1986) in cui sarà l’attrice Laura Del Sol a prestare il volto a Rosetta, spietato «braccio secolare» della Nco (Nuova camorra organizzata) che aveva base a Ottaviano.

Antonella Madonna, ‘a zia

Soprannominata ‘a zia, moglie di un capoclan del consesso Ascione-Papale di Ercolano, Antonella Madonna era considerata «specializzata» nell’usura, praticata soprattutto nei confronti delle donne soggiogate dalle sale Bingo. Al di là del prestito a strozzo dirigeva le attività del potente clan vesuviano, secondo le risultanze delle indagini e le dichiarazioni dei pentiti.

Annamaria Carotenuto

Annamaria Carotenuto, moglie del boss Giuseppe Falanga detto ‘o struscio, prima dell’arresto era diventata punto di riferimento del «sistema» di Torre del Greco, provincia di Napoli. Secondo gli inquirenti curava tutto: estorsioni e cassa.

Celeste Giuliano

Erminia Giuliano detta Celeste per il colore dei capelli fu reggente dei Forcella dopo l’arresto dei 5 fratelli, tra cui Luigi «Lovigino», godfather del rione. Raccontò il Corriere della Sera che quella notte di dicembre del 2000, quando i carabinieri l’hanno tirata fuori dalla botola dove si nascondeva, Celeste ha pregato i militari di far salire la sua estetista personale. «Fatemi aggiustare i capelli, fatemi almeno pettinare».

Teresa De Luca Bossa

Teresa De Luca Bossa, 64 anni, la «signora di Ponticelli»

Anna Terracciano

Detta ‘o masculone anche perché partecipava direttamente ai raid punitivi del clan. Sorella di Salvatore Terracciano, venne arrestata nel corso di una maxi-retata ai Quartieri spagnoli nell’aprile 2006

Lena e le sue «sorelle»

Droga e traffici illegali, furti e rapine. Giuseppina, Lena (in foto) e Patrizia Aprea controllavano «scrupolosamente», dice la Procura di Napoli, tutte le entrate del clan Aprea e ne gestivano anche le uscite. Sono state arrestate nell’ottobre 2010.

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