giovedì 31 luglio 2014

Faida di camorra tra Belforte e Piccolo: 10 arresti

Caserta. Gli agenti della squadra mobile di Caserta hanno eseguito dieci provvedimenti restrittivi nei confronti di persone ritenute gravemente indiziate di omicidio, aggravato dalle finalità mafiose.

L’attività investigativa ha consentito di individuare gli autori di due omicidi maturati nell’ambito della faida per il controllo delle attività illecite nel territorio di Marcianise tra il clan “Piccolo-Letizia”, detti “Quaqquaroni”, ed il clan Belforte, detti “Mazzacane”.

Ci sono il capoclan Domenico Belforte e i suoi luogotenenti, tutti già detenuti da tempo, tra i destinatari dell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Napoli per due omicidi avvenuti nel 2001 durante la faida camorristica che insanguinò Marcianise tra la fine degli anni ‘90 e l’inizio del nuovo millennio.

Sono state le dichiarazioni dei pentiti dello stesso clan a incastrare il boss e gli altri nove arrestati, tra cui gli esponenti di spicco della cosca Vittorio Musone, Gaetano Piccolo e Luigi Trombetta. Il racconto fatto da uno dei primi collaboratori del clan Belforte come Michele Froncillo, è stato confermato dai più recenti pentiti, come Bruno Buttone.

Gli investigatori, guidati dal vicequestore Alessandro Tocco, hanno così ricostruito gli omicidi avvenuti nel 2001 a distanza di otto mesi di Ferdinando Latino (14 febbraio, ndr) e Alessandro Menditti (14 ottobre, ndr). La faida di Marcianise tra i Belforte e i Piccolo vedrà i primi uscire vincitori, ma gli arresti degli ultimi anni, tra cui quelli dei figli e le mogli dei boss Domenico e Salvatore Belforte, e i continui pentimenti, hanno poi indebolito fortemente l’organizzazione.

I destinatari delle ordinanze sono: Michelangelo Amato, 38 anni; Domenico Belforte, 57; Camillo Antonio Bellopede, 35; Pasquale Cirillo, 42; Vittorio Musone, 63; Gaetano Piccolo, 55; Antonio Raucci, 35; Giuseppe Sparaco, 46; Luigi Trombetta, 48; Francesco Zarrillo, 45.

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venerdì 25 luglio 2014

Edilizia e clan, chiusa l'inchiesta: politici e imprenditori tra i 44 indagati

di Ferdinando Bocchetti

Edilizia e camorra, arrivano gli avvisi di conclusione delle indagini per 40 tra imprenditori, tecnici, politici e prestanome. Tra loro anche Biagio Iacolare, vicepresidente del Consiglio regionale, indagato nell'ambito di un'inchiesta condotta dalla Dda di Napoli e che ha portato all'arresto di Antonio, Luigi, Benedetto e Domenico Simeoli, tutti a capo di un impero immobiliare che sarebbe riconducibile al clan Polverino.

Il filone di indagine, partito nell'ottobre del 2013, si è sviluppato attraverso vari passaggi: dagli arresti dei colletti bianchi al sequestro di numerose cooperative edilizie, supermercati e altre attività commerciali. Una delle società finite nel mirino della Procura è la Edil San Rocco srl, amministrata fin dal 1990 da Biagio Iacolare, 52 anni, maranese doc e da sempre vicino alle istanze politiche di Ciriaco De Mita. Iacolare - secondo le ipotesi investigative - avrebbe contribuito, per la propria parte e in qualità di amministratore della cooperativa, alla realizzazione di un disegno criminoso teso a favorire il clan di Giuseppe Polverino, alias Peppe 'o barone, agli arresti dal marzo del 2012. Il nome di Iacolare, tirato in ballo per la prima volta dal pentito Biagio Di Lanno, compare anche in alcune intercettazioni ambientali, raccolte nel carcere di Secondigliano, dove fino a qualche mese erano reclusi Benedetto, Luigi e Antonio Simeoli.

«Spero si faccia chiarezza quanto prima - spiega Iacolare - I miei legali si sono già attivati per recuperare gli atti giudiziari. Sono sereno e confido nella magistratura. Voglio tutelare il mio nome ma soprattutto l'equilibrio, la serenità di mia moglie e dei miei figli, che stanno vivendo un difficile momento». Tra gli indagati figurano anche alcuni tecnici ed ex dirigenti del Comune di Marano: Armando Santelia, Angelo Napolitano, Raffaele Perna e Gianluca Buonocore. E ancora: quello di Giovanni Gala, ex commercialista della Sime costruzioni, società leader nel settore fondata da Antonio Simeoli.

Con la notifica della chiusura delle indagini preliminari, gli indagati potranno ora esercitare la facoltà di accedere al fascicolo dell'inchiesta, di essere ascoltati dai magistrati inquirenti e di presentare un memoriale difensivo. Per loro si potrebbe profilare un rinvio a giudizio o un non luogo a procedere. I presunti rapporti criminali, gli intrecci, le speculazioni edilizie compiute nei comuni a nord di Napoli e le ingerenze nella pubblica amministrazione sono state svelate, nel corso degli ultimi anni, anche grazie al racconto di numerosi collaboratori di giustizia: uomini di punta dei clan Polverino e Mallardo, che hanno raccontato ai magistrati dei rapporti - consumatisi nell'arco di un ventennio - tra gli esponenti della famiglia Simeoli e l'organizzazione criminale che fa a capo a Giuseppe Polverino.

Non l'unica inchiesta della magistratura o operazione imprenditoriale che sta facendo discutere o che tiene con il fiato sospeso politici e imprenditori del territorio. Su tutte, la vicenda dell'ampliamento del cimitero di Marano, i cui lavori sono gestiti da una ditta, la Mastromimico di San Cipriano d'Aversa, da tempo in regime di amministrazione giudiziaria e con i titolari accusati di essere legati al clan dei Casalesi. E la maxi operazione dell'area per gli insediamenti produttivi, con un appalto vinto - come accaduto a Lusciano - dalla società (Iniziative industriali di Sant'Antimo) di proprietà della famiglia Cesaro.

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Marcianise. Appartamenti e camorra: arrestate 9 persone, 13 indagati tra cui dipendenti comunali

MARCIANISE - Nove persone sono state arrestate questa mattina nel corso di un blitz congiunto diretto dalla Dda di Napoli e un complesso immobiliare del valore di 16 milioni di euro è stato sequestrato. Le ordinanze hanno condotto in carcere 3 persone e ai domiciliari 6. Tra le persone colpite dai provvedimenti cautelari e indagate (13 a piede libero) anche alcuni dipendenti del Comune di Marcianise.

La vicenda ruota intorno alla realizzazione del "Centro direzionale Vanvitelli" a Marcianise da parte dell'imprenditore Angelo Grillo, già in cella per gli appalti controllati dai clan all'Asl di Caserta. L'accusa è di intestazione fittizia di beni aggravata dal metodo mafioso. Carabinieri, polizia e guardia di finanza hanno sequestrato 82 appartamenti e 26 garage nel corso dell'operazione di questa mattina.

Le ordinanze hanno colpito: Angelo Grillo, Luca Di Fuccia, Pasquale Lombardo, Ulisse Severino. Ai domiciliari Eugenio Di Nuzzo, Luigi Franzese, Concetta Marotta, Francesco Picone, Delia Di Paola. Accuse di riciclaggio e intestazione fittizia di beni. Indagati a vario titolo dirigenti e funzionari del Comune di Marcianise come Angelo Piccolo, Fulvio Tartaglione e Matteo Alberico. Indagati anche Pasquale Russo, zio del pentito Froncillo, Fabio Raucci e Giuliano Iuliano.

Coinvolti, oltre a Grillo, altri imprenditori accusati di aver agevolato il clan camorristico Belforte di Marcianise. L'intervento edilizio, secondo la Dda, è stato finanziato fin dall'inizio da Domenico e Salvatore Belforte, e attuato attraverso l'acquisizione e la demolizione di un vecchio complesso della società "Calvifratta" ai cui posto sono stati realizzati appartamenti e uffici. I magistrati hanno ipotizzato comportamenti illeciti da parte di tecnici comunali e professionisti che hanno rilasciato le autorizzazioni edilizie per la realizzazione dell'opera. Accertamenti fiscali meticolosi sono stati effettuati su tutti gli indagati. Per cui alla fine sono stati sequestrati 213 tra appartamenti, garage e locali commerciali, 11 unità immobiliari, 19 rapporti bancari, 2 società, 8 quote societarie.

L'operazione è stata condotta dai carabinieri di Marcianise e del comando provinciale di Caserta, dalla Guardia di Finanza di Marcianise e Caserta, dalla Squadra Mobile di Caserta.

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Inchiesta Cesaro: il fratello si spacciò per il deputato per raccomandare la squadra di basket

Aniello Cesaro, arrestato ieri nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti a Lusciano (Caserta) con le accuse di concorso esterno in associazione mafiosa e turbativa d'asta, al telefono con un designatore arbitrale nel 2009 si spacciò per il fratello onorevole, Luigi - per il quale è stata chiesta alla Camera, nella stessa inchiesta, l'autorizzazione all'arresto - per sollecitare la nomina di arbitri più «amichevoli» nei confronti della squadra di basket di Sant'Antimo (Napoli). La circostanza emerge dall'ordinanza di custodia cautelare emessa ieri dal gip Alessandra Ferrigno.

«Chiedo scusa se la importuno», esordisce Aniello Cesaro. «Posso permettermi di disturbarla? Sono l'onorevole Cesaro da Sant'Antimo, provincia di Napoli». Quindi perora la sua causa: «Senta - ecco l'intercettazione testuale, ndr - io la chiamo, al di là come cittadino comune, anche se ci ho la carica e può essere in questo caso, potrebbe essere un'aggravante la carica di deputato. Però, la chiamo perchè in rappresentanza di tutta la città di Sant'Antimo, per carità, io rispetto le istituzioni, rispettiamo tutti e tutta Sant'Antimo vuole rispettare le designazioni arbitrali tutto quanto. Però, tenga presente, che negli ultimi... nelle ultime settimane, negli ultimi mesi, diciamo, come designazione designazione arbitrale, abbiamo avuto degli arbitri...purtroppo, sicuramente in buona fede, per... questo non mette in dubbio la buona fede degli arbitri e la buona fede del ... del designatore che è la sua persona, per carità. Però guarda caso che ci hanno danneggiato in modo abbastanza, diciamo, grave e che hanno fatto sì che purtroppo, noi, una piccola società, la piccola realtà, della Campania, non riusci...non siamo riusciti... per una partita, non siamo riusciti ad entrare nei play-off. Va bè, non fa niente. Va bene, è lo sport, siamo...siamo a posto». «Domenica, che abbiamo giocato e abbiamo avuto anche il campo squalificato, perchè, a disdetta di un arbitro che addirittura una persona sarebbe entrata in campo e avrebbe schiaffeggiato, avrebbe dato uno schiaffo all'arbitro. Tutto questo non c'è stato assolutamente, perchè ero anch'io presente».

Dalle indagini è emerso che in altre circostanze Aniello Cesaro avrebbe utilizzato lo studio del fratello alla Camera per incontrare persone, forse perchè temeva di essere intercettato e riteneva Montecitorio un luogo sicuro.
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mercoledì 23 luglio 2014

In carcere i fratelli dell'on. Cesaro: Aniello e Raffaele

SANT'ANTIMO. Carcere per Aniello e Raffaele Cesaro, gli imprenditori fratelli del deputato di Forza Italia, Luigi Cesaro, colpiti questa mattina da una misura di custodia cautelare nell'ambito di una inchiesta su appalti truccati al Comune di Lusciano e rapporti tra imprenditori, politica e camorra. Uno dei due fratelli, Aniello, lo scorso 26 maggio fini' nel registro degli indagati in un'indagine condotta dal procuratore Francesco Greco riguardante lavori di ristrutturazione presso un centro medico di Sant'Antimo riconducibile ai Cesaro che una ditta edile, di cui Aniello era il rappresentante legale, avrebbe dovuto effettuare. Secondo la procura di Napoli Nord, nonostante le fatturazioni (e le dichiarazioni fiscali ritenute dagli inquirenti infedeli del 2008 al 2011) i lavori non sarebbero mai stati realizzati. In quell'occasione, all'imprenditore furono sequestrati beni per un valore di 4,2 milioni di euro. Per il provvedimento odierno, i due fratelli dell'ex presidente della Provincia di Napoli sono assistiti dall'avvocato Paolo Trofino. (fonte: Agi)

Appalti e legami con i casalesi: Luigi Cesaro rischia l'arresto

SANT'ANTIMO. La DDA di Napoli ha inviato alla Camera dei Deputati la richiesta d'arresto nei confronti del deputato Forza Italia, Luigi Cesaro, ex presidente della Provincia di Napoli. Cesaro è al centro di un'inchiesta su presunte irregolarità nella concessione di appalti del Comune di Lusciano (Caserta) a ditte legate al clan dei Casalesi. L'inchiesta si basa, in particolare, sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Luigi Guida, che ha guidato per lungo tempo la fazione Bidognetti del clan dei Casalesi. Secondo l'ipotesi accusatoria, numerosi appalti pubblici sono stati assegnati illegalmente a ditte vicine al clan, con l'estromissione forzata di imprese concorrenti. Tra gli appalti sospetti c'è quello per la costruzione di un impianto sportivo a Lusciano. Nell'inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto di Napoli Giuseppe Borrelli e dai sostituti Antonello Ardituro, Giovanni Conzo, Marco Del Gaudio e Cesare Sirignano, sarebbero coinvolti ex amministratori pubblici, l'ex consigliere regionale Nicola Ferraro e alcuni fratelli del deputato. Cesaro in passato è stato coinvolto in un'altra inchiesta legata alla nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo, con condanna in primo grado e assoluzione in Cassazione. È stato anche coinvolto dell'indagine sulla costruzione di un centro commerciale a Villa di Briano. (fonte: RaiNews24.it)


lunedì 21 luglio 2014

Scacco al clan Belforte, arrestati anche funzionari del comune

Sequestrati beni per decine di milioni di euro, tra cui il centro direzionale Vanvitelli.

Blitz questa mattina a Marcianise dove carabinieri, polizia e guardia di finanza hanno fermato nove persone legate al clan Belforte e sequestrato beni per parecchie decine di milioni. Tra gli arrestati ci sono anche funzionari del comune di Marcianise.  

SEQUESTRI – Sigilli a ditte, abitazioni e società riconducibili a persone ritenute legate al clan per parecchie decine di milioni di euro. Sequestrato anche il centro direzionale Vanvitelli, una struttura con più di 80 appartamenti.  

GLI ARRESTATI – Sono accusati a vario titolo di riciclaggio e intestazione fittizia di beni: Angelo Grillo, Luca Di Fuccia, Pasquale Lombardo, Eugenio Di Nuzzo, Giuseppe Riganati, Concetta Marotta, Francesco Picon e Luigi Francesce. I dirigenti comunali indagati sono: Giuliano Iuliano, Angelo Piccolo, Fulvio Tartaglione, Matteo Alberico e lo zio del pentito Froncillo, Pasquale Russo.

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sabato 19 luglio 2014

Marano. Quasi 3 secoli di galera al boss Polverino e affiliati al clan

Marano. L'arresto del boss Giuseppe PolverinoMARANO. Sconti di pena ma anche conferme per quasi trenta imputati. È un colpo importante quello inflitto al clan Polverino. Il boss Giuseppe è stato condannato a 17 anni anni di carcere per il reato di associazione camorristica. Condannati anche Armando Chiaro e Salvatore Camerlingo, esponenti del centro destra di Quarto. In particolare Chiaro, ex coordinatore del Pdl del Comune era capolista alle amministrative dello scorso anno e fu eletto dopo l'arresto, avvenuto poche settimane prima del voto; fu poi sospeso dal prefetto. Camerlingo era a sua volta candidato nella lista civica Noi Sud, che, come il Pdl. appoggiava il candidato sindaco Massimo Carandente Gianusso. La sentenza è stata emessa ieri, al termine del processo in corte d'appello e arriva dalla decisione del gup Paola Russo. Le condanne emesse al termine del processo al clan Polverino sono in tutto 41. Oltre al capoclan Giuseppe Polverino, sono stati condannati a 20 anni anche Sabatino Cerullo. Raffaele D'Alterio e Giuseppe Ruggiero. L'ex coordinatore del Pdl di Quarto Armando Chiaro è stato riconosciuto colpevole di aver fatto da prestanome ai boss, intestandosi beni al loro posto. I rapporti tra il politico locale e Polverino erano talmente stretti che Chiaro andò in Spagna per incontrarlo durante la latitanza del boss, come racconta il pentito Salvatore Izzo. «Chiaro era andato in Spagna a Barcellona da Giuseppe Polverino in una casa nella località Coma Ruga. Loro dovevano discutere di un affare concernente la gestione dei rifiuti in una discarica a Quarto. Ricordo che l'affare non fu portato a termine, in quanto si trattava di un sito già sottoposto a sequestro. Chiaro era con un'altra persona e vennero a parlare con Polverino, per chiedergli il permesso di svolgere l'attività presso la discarica, in quanto è lui a comandare su tutte le attività che possono essere svolte a Quarto». Cinque anni di indagini per stingere le manette ai polsi di Giuseppe Polverino. Madrid, Alicante, Barcellona, Marbella, Malaga, Estepona, Rio de Janeiro, il Marocco, l'Olanda e poi il Portogallo, Lisbona, senza dimenticare Marano, dove è partito tutto. Il nucleo investigativo dei carabinieri di Napoli ha ricostruito ogni spostamento del superlatitante. Il boss maranese cercava l'estradizione. voleva uno scudo giuridico per sfuggire ai pm antimafia Antonello Ardituro e Marco Del Gaudio. Il capoclan disponeva di decine e decine di covi in mezza Europa, per lo più in Spagna, dove si era nascosto a lungo tra la Costa Bianca, in particolare ad Alleante, la costa del Sol, dove gestiva anche numerosi affari e il “Paradiso". Pochi gli sconti di pena tra i quali quelli per Francesco Marino difeso dall'avvocato Salvatore Landolfi. Sconti per Biagio Cante difeso dall'avvocato Annamaria Branca. Assolti Albino, difesa dall'avvocato Landolfi e Forino difeso dall'avvocato Maurzio Sica. Stefano Verde ha avuto 18 anni in primo grado e aveva poi una sentenza passata in giudicato per la quale ha espiato nove anni. Ieri ha avuto riconosciuto uno sconto 5 anni, ma con la continuazione dei nove anni già scontati, in pratica gli mancano pochi mesi di cella. Era difeso dall'avvocato Davino. 
(fonte: Fabio Postiglione - Il Roma)
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Giugliano. Pizzo a imprenditori: condannato Setola e i suoi gregari

Il Gruppo Setola: Giuseppe Setola, Ferdinando Russo, Giovanni Letizia, Antonio Alluce. In Basso: Alessandro Cirillo, Davide Granato, Giuseppe Barbato e Angelo RuccoGIUGLIANO. Pizzo ai danni del titolare dello Sporting club Acquapark Free Time di Giugliano, al ristorante "Le Cascate"e ad altre attività imprenditoriale del giuglianese: condannato il gruppo armato del boss Giuseppe Setola per associazione camorristica ed estorsioni. Venti anni di reclusione cono stati comminati a Setola, 18 anni per ciascuno dei suoi due bracci armati Alessandro Cirillo e Giovanni Letizia: 12 anni a Davide Granato: nove anni a Ferdinando Russo: sette anni ad Angelo Rucco: sei anni a Giuseppe Barbato: cinque anni a Carlo Di Raffaele. Condannati anche i pentiti Giovanni Mola a sei anni: Oreste Spagnuolo a 4 anni e mezzo: Emilio Di Caterino a tre anni ed otto mesi e Massimo Amatrudi a tre anni e quattro mesi. Sentenza di assoluzione per Antonio Alluce, per il quale il pm aveva chiesto 8 anni. Assolti anche Luigi Nigro e Nicola Gagliardini. Il verdetto è stato emesso dai giudici del tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Il pubblico ministero Cesare Sirignano della Dda nella sua requisitoria aveva invocato quasi 110 anni di reclusione a carico dei 15 imputati che vennero coinvolti nella maxi operazione contro il gruppo di Pappe 'o Cecato e dei suoi accoliti della zona di Giugliano che gli coprirono anche la latitanza. Ferdinando Russo di Giugliano, infatti è stato condannato per partecipazione all'associazione camorristica. Nutrito il collegio difensivo rappresentato dagli avvocati Emanuele Coppola. Massimo Biffa, Elena Schiavane, Alberto Mezzucci, Paolo Di Furia, Romolo Vignola.

Russo, il ras di Giugliano, era secondo quanto indicato dal pm, l'anello di collegamento del clan di Setola con gli imprenditori dell'area di Napoli Nord per consumare per l'imposizione del pizzo, una serie di estorsioni ai danni di imprenditori della zona del giuglianese e dell'agro aversano. Russo è stato incastrato dalle dichiarazioni dei pentiti Borriello e Cangiano che lo descrivono come un affiliato, come l'uomo che dava il suo appoggio alla scheggia impazzita dei casalesi, per far entrare i casalesi prepotentemente anche sul territorio di Napoli Nord, in particolare a Giugliano e a Villarica. Tutta la zona tra Castel Voltano e Varcaturo venne assoggettata alla volontà di Setola, subito dopo la sua scarcerazione a partire dal mese di aprile fino a dicembre del 2008. In quei sei mesi venne minacciato anche il titolare del ristorante Le Cascate di Giugliano l'imprenditore Giovan Battista Aversana, affinché pagasse il pizzo alla cosca. La stessa operazione venne fatta nei confronti di Pietro Di Cicco, titolare dello Sporting club Acquapark free time, sempre di Giugliano e poi anche nei confronti di Luigi Tamburrino della Motori di Parete e della Conad Margherita, sempre a Parete. Esercizi commerciali i cui proprietari vennero costretti a versare al clan tangenti pesantissime. Le vittime vennero minacciate di morte e spaventate con mitragliette e altre anni da guerra in uso a Oreste Spagnuolo, ora pentito, e a Giovanni Letizia, Alessandro Cirillo, i fidatissimi di Setola. Le accuse sono di estorsione aggravata dal metodo mafioso e detenzione e porto di anni da guerra. A carico di Russo anche l'accusa di associazione camorristica.
(fonte: Maria Giovanna Pellegrino - Cronache di Napoli)
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lunedì 14 luglio 2014

Napoli. Camorra, colpo al clan Cuccaro. Preso latitante, l'accusa: «Killer della cosca»

Napoli - I carabinieri del Nucleo investigativo, insieme ai militari della compagnia Poggioreale e del nucleo radiomobile di Napoli, hanno catturato questa mattina Pasquale Velotti, 53 anni, ritenuto affiliato di spicco del clan camorristico dei Cuccaro, attivo nei quartieri di Barra e Ponticelli del capoluogo campano.

Velotti era ricercato per un'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip di Napoli su richiesta della Dda napoletana per omicidio aggravato di per omicidio aggravato avvenuto il 21 marzo '97 di Santolo Toscano affiliato al clan Sarno.

L'uomo era destinatario di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere del giugno scorso, ma era irreperibile dal 19 agosto 2013, quando non ha più fatto rientro nella casa di reclusione di Favignana (Tp).

Il latitante, individuato questa mattina all'alba in un garage adibito ad appartamento sul Corso Sirena a Barra, ha tentato la fuga da una finestra, ma i militari dell'Arma che nel frattempo avevano circondato l'edificio, lo hanno bloccato. Il suo covo era protetto da un sistema di videosorveglianza costituito da 4 microcamere che sono state sequestrate che rimandavano le immagini su un televisore.

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Il lungomare liberato e la speranza di una rinascita green agli occhi di un quotidiano americano

Per lo Charlotte Observer non c'è niente di meglio di una pizza davanti al Castel dell’Ovo o di una pedalata fino a piazza Vittoria, senza il rumore assordante dei clacson e la puzza di smog.

Lungomare di NapoliLungomare liberato. A Napoli c’è chi lo ama e chi lo odia. Chi si arrabbia perché senza macchine si vende di meno e chi se la gode perché una passeggiata senza traffico ti riconcilia con la vita. Per gli sportivi, poi, quelle due parole rappresentano uno spazio guadagnato per il proprio tempo libero. 

ALL’ESTERO CHE NE PENSANO? - Al quotidiano americano Charlotte Observer il lungomare liberato piace, eccome se piace. «Dove succede di poter mangiare una buona pizza o del pesce fresco ascoltando il rumore delle onde con lo sguardo perso tra Capri e il Vesuvio?».  

UNA CITTA' DA GUSTARE IN BICI - In questo spazio ritrovato c’è chi si è inventato un lavoro, come ha fatto Luca Simeone, che lungo via Caracciolo vende tour della città in bicicletta. «A Napoli si è aperta una nuova era per chi ama le due ruote. Oggi possiamo finalmente dire che anche da noi il turismo sostenibile è diventato una realtà». Per girare Napoli in macchina, d’altro canto, è necessario attrezzarsi di tempo e pazienza a causa del traffico, per questo l’amministrazione sta considerando di estendere le piste ciclabili anche nei sobborghi. «Scommettiamo su una rivoluzione dei trasporti», ha commentato Luigi de Magistris allo Charlotte Observer, ricordando la sua passione per la bici, che i genitori tentarono di placare perché a Napoli è troppo complicato pedalare, tra tutte quelle salite e discese.

RIVOLUZIONE VERDE - Oggi molti napoletani iniziano a usare la bicicletta, le aree pedonali sono state migliorate – scrive il quotidiano – e i numeri del turismo crescono fino a registrare una media di 24 milioni di visitatori ogni anno. Per Simeone, la rivoluzione verde dà speranza a chi vuole cancellare l’immagine di Napoli come città di rifiuti e inquinamento. E potrebbe essere un buon viatico per fermare l’emigrazione verso il nord e verso l’estero.

Micol Conte
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lunedì 7 luglio 2014

Camorra: arrestato o' mostro, il capoclan dei Cesarano

Era latitante dal 4 novembre 2013 Nicola Esposito, considerato capo del clan Cesarano attivo tra Pompei, Castellammare di Stabia e la Penisola Sorrentina. Il boss, 42 anni, è stato individuato nella periferia di Pompei nell'abitazione di Alfonso Cesarano, arrestato per favoreggiamento. Esposito è ritenuto responsabile di associazione di tipo mafioso, estorsione e porto illegale di armi da fuoco, aggravati dalle finalità mafiose.

PROCURATA EVASIONE – Nicola Esposito, detto “o mostro”, era stato detenuto dal 2001 al 2009 per associazione di tipo mafioso, armi ed estorsione. Inoltre, era stato condannato per il reato di procurata evasione, avendo partecipato alla pianificazione e realizzazione dell'evasione dall'aula bunker di Salerno, degli ergastolani Ferdinando Cesarano e Giuseppe Autorino, fondatore ed elemento di spicco del clan Cesarano, il 22 giugno 1998 nel corso di un'udienza dibattimentale.
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Camorra, arrestato «'o mostro»: il capoclan Cesarano era latitante da mesi.


Latitante dal novembre 2013, è stato arrestato dai carabinieri Nicola Esposito, considerato capo del clan Cesarano attivo nel Napoletano tra Pompei, Castellammare di Stabia e la Penisola Sorrentina. Detto 'o mostro, Esposito è stato individuato a Pompei nell'abitazione di Alfonso Cesarano, arrestato per favoreggiamento.


Esposito ha fatto perdere le sue tracce dal 4 novembre 2013 quando fu destinatario di una ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip del tribunale di Napoli in quanto ritenuto responsabile di associazione di tipo mafioso, estorsione e porto illegale di armi da fuoco, aggravati dalle finalità mafiose.

Si era nascosto in un locale di pertinenza dell'abitazione di Alfonso Cesarano, 49 anni, affiliato allo stesso clan, arrestato per favoreggiamento personale. 

Esposito, detenuto dal 2001 al 2009 per associazione di tipo mafioso, armi ed estorsione, era stato, inoltre, condannato per il reato di procurata evasione, avendo partecipato alla pianificazione e realizzazione dell'evasione dall'aula bunker di Salerno, degli ergastolani Ferdinando Cesarano e Giuseppe Autorino, fondatore ed elemento di spicco del clan Cesarano, il 22 giugno 1998 nel corso di una udienza dibattimentale.
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mercoledì 2 luglio 2014

Camorra, latitante del clan Vanella Grassi catturato a Cuneo


Napoli. Nonostante la giovane età, 24 anni, è considerato elemento di spicco del clan camorristico della “Vanella Grassi”. Ciro Castiello, ricercato dal maggio scorso per associazione camorristica e omicidio, è stato arrestato a Cuneo, in Piemonte, dai carabinieri del reparto operativo guidati dal colonnello Francesco Rizzo.


Sembra che Castiello si fosse allontanato dal quartiere Secondigliano di Napoli perché temeva di essere ucciso dai suoi stessi “ex amici”. Intorno alle 5 di martedì mattina, i militari dell’Arma hanno fatto irruzione nel residence dove il latitante si nascondeva, sorprendendolo nel sonno.

Castiello è accusato di essere tra i promotori del gruppo che si è fronteggiato con gli “scissionisti” di Scampia per il controllo delle piazze dello spaccio e di essere coinvolto nell’omicidio di Antonio Mattuozzo, altro affiliato alla Vanella Grassi.

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Beni confiscati, finora niente legge: si “festeggia” a casa dei boss

Casal di Principe. In quelle che erano le case dei Di Lauro a Secondigliano e degli Schiavone a Casal di Principe, la nuova tappa del Festival dell’Impegno Civile per “festeggiare” i due anni di mancata applicazione della legge regionale sui beni confiscati.

Parteciperanno la presidente della Commissione Nazionale Antimafia Rosy Bindi, il viceministro all’Interno Filippo Bubbico, i sindaci di Napoli e Casal di Principe, Luigi de Magistris e Renato Natale.

"A fronte dell’inerzia istituzionale non resta che un amaro sorriso. E allora abbiamo deciso, con i promotori del Festival dell’Impegno Civile, di festeggiare i due anni di mancata applicazione della legge regionale sui beni confiscati con la Commissione Parlamentare Antimafia, il viceministro Bubbico, i sindaci di Napoli e Casal di Principe. Lo faremo proprio in due beni confiscati simbolo di quello che è stato il predominio criminale nel Napoletano e nel Casertano: saremo a Secondigliano a via cupa dell’Arco nella villa che fu dei Di Lauro e poi a Casal di Principe in quella che è stata la casa di Schiavone", afferma, Antonio Amato, presidente della Commissione regionale Beni Confiscati, che organizza la tappa di mercoledì 2 luglio del "Festival dell’Impegno Civile - Le Terre di Don Peppe Diana", la prima manifestazione italiana interamente realizzata sui beni sottratti alla criminalità organizzata promossa dal Comitato Don Peppe Diana e da Libera coordinamento provinciale di Caserta.

Alle 9,30, dunque, sopralluogo nella villa che fu di Di Lauro a via cupa dell’Arco. Con Amato e i consiglieri regionali della commissione ci saranno la Bindi e una delegazione composta dai deputati Luisa Bossa, Marco Di Lello, Massimiliano Manfredi e Davide Mattiello e i senatori Rosaria Capacchione e Mario Giarrusso, il sindaco De Magistris, il presidente della VII municipalità Vincenzo Solombrino, Valerio Taglione e Gianni Solino del Comitato Don Peppe Diana e di Libera Caserta.

Sarà anche l’occasione per discutere di una nuova destinazione del bene dove Paolo Di Lauro venne arrestato nel 2006 e che, consegnato al comune nel 2012, doveva diventare sede della polizia municipale senza che però questa ipotesi si sia poi tradotta in realtà. Alle 11,30 gli stessi protagonisti del sopralluogo, insieme al viceministro Bubbico, al sindaco di Casal di Principe Natale, al pm Domenico Airoma, a Peppe Pagano della Nco (Nuova Cooperativa Organizzata) e al ricercatore Antonio Esposito, saranno nella casa che fu di Francesco Schiavone “Sandokan”, in via Bologna, a Casale, oggi sede dell’associazione La Forza del Silenzio.

"Creiamo un filo ideale tra Secondigliano e Casal di Principe, perché dal riutilizzo dei beni confiscati può nascere un futuro migliore per le nostre terre" afferma Amato. "Lo dimostrano le tante esperienze d’avanguardia del Casertano e il Napoletano può partire proprio dalla casa di Di Lauro che non può restare ancora senza un chiaro progetto di riutilizzo. Nell'occasione con il sindaco de Magistris, dovremo trovare anche una soluzione per restituire finalmente quel bene alla cittadinanza. Certo tutto è reso più complesso dall’inerzia delle istituzioni come la stessa Regione, capace di approvare all’unanimità una buona legge di merito costruita in modo partecipato con il contributo di associazioni e operatori, per poi lasciarla del tutto disattesa, dimenticandosi sostanzialmente di questo tema se non in occasione di inutili passerelle. Speriamo si riesca a ridestare la Regione dal sonno colpevole nel quale è piombata".
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martedì 1 luglio 2014

Clan Mallardo. Pizzo sul caffè Seddio: l'imprenditore Coppola si difende

GIUGLIANO. Pizzo sul caffè Seddio imposto dal clan Mallardo nella zona di Napoli Nord fino a Castel Volturno, ieri nuova udienza dibattimentale per sentire i testi della difesa. A conferma di quanto già detto dall'imprenditore Pasquale Coppola. coinvolto nel processo insieme al fratello Antonio, ai titolari della nota ditta di torrefazione e ad altri imprenditori ed esponenti del clan di Feliciano Mallardo, sono stati sentiti due testimoni citati dalla difesa, rappresentata dagli avvocati Emanuele Coppola Michele Cerabona e Valerlo De Maio. Al vaglio del pm Maria Cristina Ribera della Dda di Napoli sono finite le testimonianze di un consulente tecnico, il dottore Commercialista Luigi Pipolo, e una funzionaria della Banca Monti dei Paschi di Siena di Villaricca dove era correntista Pasquale Coppola. Il commercialista ha riferito che in merito ai beni di Pasquale Coppola nel corso del triennio incriminato, che va dal 2007 fino al 2010. non v i è stato alcun incremento o aumento dei volumi di affari. Nel corso di questi anni da parte di Coppola non vi è stata alcuna acquisizione di altre proprietà o società. ma anzi Coppola si è trovato in una situazione debitoria molto forte. Un fallimento dovuto non solo al volurne di affari diminuito a causa della crisi ma anche dal fatto che Pasquale Coppola è stato costretto a cedere circa otto proprietà immobiliari, beni che gli erano arrivati come eredità dalla sua famiglia per saldare i debiti. L'esposizione debitoria a cui è stato soggetto Coppola è stata causata da debiti di gioco che sono arrivati anche a circa 700mila curo. Per sanare questa situazione Coppola si è visto costretto a vendere pezzi delle proprietà di famiglia. Circostanza avallata anche dalla funzionaria dell'istituto bancario presso il quale Coppola era correntista. La teste ha asserito che Coppola si era caricato di numerosi debiti e che il fido di cui godeva presso il suo istituto non era sufficiente come garanzia e per questo motivo era stato sollecitato più di una volta a sanare la sua esposizione. Dunque per la difesa Coppola non si sarebbe affatto arricchito mettendosi in società con il clan, secondo quanto contestato dalla Procura, poiché i beni che possedeva erano legittimi in quanto ereditati e che non è riuscito ad incrementare il suo patrimonio ma a svendere numerosi palazzi perché inguaiato dai debiti di gioco. L'udienza è stata poi rimandata ad oggi per sentire altri testi a discarico degli imputati. Coppola sui tavoli da gioco ha lasciato somme da capogiro. per centinaia di migliaia di euro, e non riuscendo più a coprire i debiti fu costretto a vendere parte del patrimonio di famiglia. Inoltre il calo delle vendite della sua attività di cash & carry aggravarono negli anni tra il 2007 ed il 2008 la sua posizione. Per questo motivo in alcune circostanze egli si rivolse ad un amico fraterno Giuseppe D'Alterio che in alcune occasioni gli girò degli assegni che egli però provvedeva a saldare nel giro di qualche mese. Da qui lo scambio degli effetti bancari. D'Alterio anch'egli imputato in questo procedimento è il nipote di Feliciano Mallardo che si occupava della distribuzione del caffè Seddio. (fonte: Maria Giovanna Pellegrino - Il Roma)

L'idea del vescovo anti-boss: "Basta padrini nei battesimi"

Si chiama battesimo anche quello. E pure lì c'è un padrino. Quando si fa entrare qualcuno in "famiglia" si dice - per l'appunto - che viene battezzato. A loro, solo a loro, capita due volte: quando nascono e quando diventano uomini d'onore. Privilegi di mafia.

In un caso o nell'altro, il figlioccio di un "don" importante è segnato per tutta la vita. Battesimi, cresime, matrimoni. Ogni occasione è buona per rinsaldare legami, non ci si può far sfuggire nessuno quando c'è da stringere amicizie e patti. Se non ci sono vincoli di sangue, sono loro, i padrini e i compari, che garantiscono fedeltà e continuità alla stirpe. È come un giuramento solenne. 

Non saranno evidentemente pratiche così arcaiche - qualcuno però sospetta il contrario, che non usa più come un tempo - se l'arcivescovo di Reggio Calabria, Sua Eminenza Giuseppe Fiorini Morosini, abbia proposto a Papa Francesco di abolire i padrinaggi per i sacramenti del battesimo e della cresima "per ostacolare l'uso strumentale della Chiesa da parte della 'ndrangheta". Una sospensione a tempo e per territorio, valida solo per la diocesi calabrese dove - semmai il Vaticano dovesse accogliere l'invito del monsignore - entrerebbe in vigore una legge ecclesiale speciale. Servirebbe davvero a qualcosa? Con l'interruzione decennale si potrebbe recuperare l'autentico valore del padrinaggio? 

La questione posta dall'arcivescovo Morosini a prima vista sembra guardare più al passato che al futuro, ma in molti assicurano che il problema esiste e resiste anche in quella "mafia liquida" calabrese (definizione di 'ndrangheta dell'ex presidente della commissione parlamentare antimafia Francesco Forgione) che apparentemente ha altro a cui pensare nel momento che lo Stato - con gran ritardo - si è accorto che c'è. 

Ci tengono ancora così tanto i boss della Piana o della Locride a fare da padrini ai figli degli amici? E loro sono davvero ancora così ricercati per battesimi e cresime? Fino a qualche anno fa in alcune zone dell'Aspromonte il padrino prescelto, nel giorno del battesimo, baciava il neonato e collocava nella culla un coltello. Se il piccolo girava il capo verso la lama voleva dire che prometteva bene, se si voltava dall'altra parte il povero bambino si sarebbe portato addosso per sempre il marchio di "sbirro". Anche le vicende di mafia e di camorra sono contornate da "parrini" e "cumparielli" che entrano in scena per le feste comandate. Il padrinaggio e il comparaggio si trasformano in un rapporto indissolubile per due persone estranee a unioni sanguigne, a volte quasi più forte di una parentela intima. È la complicità totale, si trova in un covo ma si cerca anche in una chiesa. Ricordava un vecchio siciliano che ha studiato le abitudini mafiose: "Confidarsi con un padrino o con un compare è come confidarsi con se stesso".

Chi è stato il padrino del secondo battesimo (quello di Cosa Nostra) di Giovanni Brusca? Totò Riina, il migliore amico del vecchio Bernardo, il padre del boia di Capaci. Quale nome non ha mai fatto al giudice Falcone il pentito Tommaso Buscetta nel 1984? Quello di suo compare Gioacchino Pennino senior. Sulla carta fare il padrino mette al riparo da tutto. Il legame è inviolabile, almeno secondo quelle leggi non scritte.

Compari erano Michele Greco - il "papa" della mafia" e Giovanni Prestifilippo, il cui figlio Mario Giovanni detto "la iena di Ciaculli" era stato tenuto a battesimo da don Michele. Lui però non mosse un dito quando i Corleonesi decisero di assassinarlo.

Compari erano anche Luciano Liggio e Gaetano Badalamenti al tempo del "triumvirato", quando alla fine degli anni '60 erano insieme in un governo provvisorio di Cosa Nostra. Qualche tempo dopo i sicari di Liggio - nonostante Lucianeddu fosse il padrino di uno dei figli di don Tano - sterminarono tutti i parenti del boss di Cinisi.

Un'ultima osservazione sulla proposta di Sua Eminenza Morosini. I mafiosi si sposano fra di loro, non prendono solitamente moglie fuori dalle famiglie, promettono in sposa una sorella o una cugina solo a chi è nell'ambiente. E avviene così anche per i padrinaggi. Testimonianza di Margherita Petralia, moglie del boss di Paceco Gaspare Sugamiele: "L'invito a fare da padrino o da madrina non può essere rivolto che a persone interne all'organizzazione". E tutti gli altri? Se dovesse passare mai l'idea dell'arcivescovo di Reggio, perché gli altri bambini calabresi non dovrebbero avere un padrino per il loro battesimo o la loro cresima? 
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