martedì 27 maggio 2014

"Cartopolis", premiazione del concorso a Sant'Antimo


Napoli. L’Istituto Moscati, diretto dal dottor Giuseppe Pagano, ha vinto la prima edizione del concorso Cartopolis. Il premio speciale per l’esibizione a tema è stato assegnato all’Istituto "Romeo Cammisa" diretto dalla dottoressa Emilia Tornincasa.


Una villa comunale, quella di Sant'Antimo, traboccante di bambine e bambini, ragazze e ragazzi, docenti, dirigenti scostatici, mamme, nonne, operatori, amministratori, caldo estivo, musica, canzoni, teatro, moda questo lo scenario che in via Roma a Sant’Antimo ha caratterizzatola cerimonia di premiazione del concorso Cartopolis.  

Con la collaborazione ed il patrocinio del consorzio Comieco, e degli sponsor Sri e Di Gennaro Spa, quest’ultimo presente alla premiazione con il dottor Giancarlo Di Gennaro e la dottoresa Annaluce Borriello, è stato possibile realizzare il concorso durato sette mesi circa. Sette istituti scolastici statali di Sant'Antimo, da novembre 2013 a marzo 2014, si sono sfidati nella recupero della carta raggiungendo la soglia dei 15.691 kg raccolti.  

L’apertura è stata affidata all'Orchestra Stabile "Giovanni XXIII" di Sant'Antimo diretta dal prof. Vincenzo Azzolini. L’Istituto Moscati ha proposto unaSfilata di moda “Sogni di carta” con accompagnamento musicale a cura del prof. Pasquale De Cristofaro. La storiella La Scatolina Star il lavoro dell’Istituto Pestalozzi. Il Don Milani si è esibito con un ballo ed un canto.  

Canora anche la performance “The soul shaking” del Liceo Bassi che ha anche realizzato un video sulla raccolta differenziata “The Three R’s, reduce, reuse, recycle”. Un Passo double per l’Istituto Leopardi. Ed infine l’Istituto Romeo Cammisa ha proposto al folto pubblico di parenti ed amici la favola drammatizzata Il Castoro Furbetto, la recita della poesia La Ballata della Carta a seguire la recita di Cartopolis e infine la canzone Forza Tutti Insieme diventata lo slogan della raccolta differenziata per l’anno scolastico 2014-2015.

Hanno espresso parole di vivo apprezzamento i dirigenti scolastici presenti, ed in particolare il Sindaco Francesco Piemonte e la Dirigente del settore Ambiente Lucia Nardi: “Una grande giornata, una buona giornata è stata questa vissuta con i tanti ragazzi che con passione e cura hanno lavorato al concorso. Siamo incoraggiati dalla loro onda di entusiasmo che ci dà la carica a continuare il nostro impegno. Confermiamo l’attenzione all’ambiente e ai cittadini annunciando finalmente lo sconto sulla bolletta dei rifiuti a partire dal prossimo anno 2015. Con la seconda edizione del concorso Organicamente, infatti, cittadini e commercianti avranno questa possibilità dimostrando piena collaborazione con il servizio di raccolta porta a porta”.  

Anche il Consorzio Cite, promotore e organizzatore delle iniziative premianti, rappresentato alla cerimonia dall’ingegner Arrigo Bellinazzo, ha spiegato l’importanza del riciclo e l’opportunità che una buona raccolta differenziata offre ai cittadini e all’intero paese in termini di risparmio e di salute. I premi in palio per i sette istituti:un pc per il primo classificato, un tablet per il secondo classificato, a seguire fornitura di carta e carta igienica per tutti gli altri quattro istituti. Mentre pen drive saranno aggiudicate dagli alunni promossi dalla giuria speciale.
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Scacco al clan di Ponticelli: 12 arresti. ​«Droga comprata da Genny 'a Carogna»

Dodici persone sono state arrestate in un'operazione della Squadra Mobile della Questura di Napoli, scattata all'alba contro gli affiliati del clan di camorra «De Micco», che opera nella zona del quartiere Ponticelli del capoluogo campano.

Il clan camorristico dei De Micco comprava droga da Genny 'a carogna, l'ultrà del Napoli. È quanto emerge dall'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Egle Pilla su richiesta del pm Vincenzo D'Onofrio. A riferirlo è il collaboratore di giustizia Domenico Esposito.

«La droga la compravamo da tale Genny la carogna che dovrebbe essere di Forcella», riferisce il collaboratore di giustizia Domenico Esposito. «Per la consegna - continua Esposito - era utilizzata una Renault Scenic modificata, che ci veniva lasciata parcheggiata con le chiavi presso il cimitero di Ponticelli. Noi mandavamo a ritirare la macchina che poi restituivamo». Sulla circostanza sono in corso approfondimenti da parte della Procura.

Gli agenti hanno eseguito ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal gip di Napoli per i reati di associazione mafiosa finalizzata al traffico di droga, tentato omicidio, detenzione e porto abusivo armi. Durante le indagini, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia, gli investigatori hanno accertato che forti interessi criminali hanno generato contrasti fra il clan «De Micco» e altri gruppi criminali, determinando gravi fatti di sangue.

Da quanto appreso da fonti investigative, durante il blitz è stato arrestato anche il boss Marco De Micco. De Micco, classe 1984, è ritenuto dagli investigatori il capo del clan De Micco, che opera nella zona di Ponticelli del capoluogo campano. Il contrasto degli affiliati al clan De Micco con il clan avverso dei D'Amico è legato al traffico di sostanze stupefacenti e al controllo delle piazze di spaccio. Le indagini della Squadra Mobile hanno accertato che gli interessi criminali del gruppo armato hanno generato contrasti con altri clan, determinando gravi fatti di sangue nell'hinterland napoletano.
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Tenta la truffa dello specchietto ma finisce in trappola e gli va male

di Marco Di Caterino
Sant'Antimo. Qualche volta. l'immaginario collettivo di chi è rimasto vittima della delinquenza, diventa realtà. Ieri pomeriggio,

Agostino Salzano, 23 anni, poco più che un balordo di Acerra, (già denunciato per ben sette volte per questo reato), ha tentato l'ennesima truffa dello specchietto nei pressi dell'uscita dello svincolo dell'Asse Mediano di Sant'Antimo.

Questa volta gli è capitata la vittima sbagliata : un agente di polizia in borghese. Il poliziotto, che si è reso immediatemente conto con chi aveva a che fare, ha finito per recitare la parte della vittima spaventata e disponibile a pagare anche duecento euro per il danno provocato allo specchietto della Smart del truffatore. Che è caduto nella trappola dell'agente. Il poliziotto ha inviato Agostino Salzano a seguirlo a casa per avere la somma richiesta. E così tirandosi dietro il truffatore, l'agente, che nel frattempo aveva avvertito della cosa i colleghi del commissariato di Frattamaggiore diretto dal vice questore Rachele Caputo, da Sant' Antimo è giunto a Frattamaggiore.

E solo dopo un'ultima curva Agostino Salzano si è trovato davanti il posto di polizia e alcuni agenti che lo aspettavano. Il truffatore è stato denunciato a piede libero per tentata truffa, aggiornando a otto lo score tra quelle tentate e quelle messe a segno.
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lunedì 26 maggio 2014

Sant'Antimo: Sequestrati 4 milioni di beni al fratello di Luigi Cesaro

 Napoli. Il gip del tribunale di Napoli ha disposto il sequestro preventivo di beni mobili e immobili, quote sociali, denaro e altre liquidità nella disponibilità di Aniello Cesaro, fratello dell'ex presidente della Provincia di Napoli e deputato di Forza d'Italia, Luigi Cesaro, per 4.285.398,45 euro.

L'indagine nasce da una verifica fiscale eseguita nei confronti della società di costruzioni con sede legale e amministrativa in Sant'Antimo, nel Napoletano, di cui è rappresentante legale.
La verifica fiscale infatti ha mostrato dichiarazioni infedeli per gli anni d'imposta 2008 - 2011, con l'omessa indicazione di ricavi annuali, nonchè per la deduzione di costi indeducibili. I ricavi non dichiarati, si legge in una nota, scaturivano prevalentemente da sopravvenienze attive non contabilizzate e da interessi attivi (non rilevati) per finanziamenti erogati a società partecipate.

Gli elementi passivi fittizi, invece, erano costituiti da costi di ingente importo relativi, in gran parte, a consulenze, lavori edili e prestazioni di servizi da terzi, in relazione ai quali la società verificata non è stata in grado di esibire le pertinenti fatture e/o altra documentazione giustificativa.

Inoltre, nell'anno 2011, è stata emessa una fattura per operazioni inesistenti per euro 400mila più 80mila euro di vita a favore di un'altra società di diagnostica appartenente al "Gruppo Cesaro" per lavori di ristrutturazione, che sarebbero avvenuti nel 2010 , ma che in realtà non risultano essere mai stati eseguiti.

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Sant'Antimo. Spacciavano cocaina, 2 donne arrestate in flagranza di reato

SANT'ANTIMO. La zona di via delle Azalee era stata messa sotto osservazione da tempo. I carabinieri stavano infatti monitorando il territorio di Sant'Antimo perché avevano appreso che nella zona c'era una "frequente attività" legata allo smercio di sostanze stupefacenti. I militari hanno atteso pazientemente il momento opportuno poi, quando hanno notato che sotto i loro occhi venivano effettuati gli scambi, sono passati all'azione. Nel corso dell'operazione hanno arrestato in flagranza di reato, con l'accusa di "detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente" Rosa Del Sole, classe 1984 e Addolorata Orefice, 52 anni. Le donne, poco prima, sono state sorprese dai carabinieri proprio mentre cedevano un involucro del peso di un grammo di cocaina a due giovani, di cui uno originario di Santa Maria Capua Vetere. Questi ultimi sono stati segnalati alla prefettura come assuntori di stupefacenti. Ma non è tutto. All'arresto in flagranza sono seguite delle perquisizioni a seguito delle quali sono stati rinvenuti ulteriori otto involucri di cocaina, per complessivi quattro grammi oltre alla somma di 200 curo in contanti, ritenuta provento di attività illecita. Nel contesto della stessa operazione è stata anche denunciata in stato di libertà, sempre con l'accusa di "detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti" una giovane napoletana che, sottoposta a controllo effettuato nelle vicinanze, è stata trovata a bordo della propria autovettura in possesso di tre involucri di cocaina, per complessivi due grammi. Il denaro e lo stupefacente sono stati sottoposti a sequestro. Le arrestate, invece, sono state trasferite presso i rispettivi domicili a disposizione della competente autorità giudiziaria. Secondo quanto hanno ricostruito gli investigatori che si occupano del territorio, la zona a nord del capoluogo sta vivendo una nuova 'primavera' dal punto di vista del business della droga. Si tratta di picchi che si succedono ciclicamente. Rallentano dopo i blitz e le grandi retate, rifioriscono quando le condizioni criminali lo consentono. Nella fattispecie la rifioritura dei business legati alla droga nei comuni dell'hinterland è coincisa con la pressione martellante delle forze dell'ordine nei grandi. supermarket della droga di Secondigliano, Scampia e Melito a seguito dell'ultima faida. Dopo la chiusura o il ridimensionamento di numerose piazze, i clienti hanno incominciato a disseminarsi seguendo l'offerta. Seguendo, cioè, il flusso dei traffici. Caivano è tra i territori che hanno risposto a quella incessante domanda ed ha riportato prepotentemente le zone del Parco Verde e del rione Iacp sul proscenio criminale. A Caivano, svelò un'inchiesta della Direzione distrettuale antimafia che culminò con una retata e con l'esecuzione di decine di ordinanze, i nascondigli preferiti per occultare la droga erano i vani degli ascensori dei palazzi dove vive chi deve occuparsi del confezionamento e dello smistamento della 'roba'. Locali non riconducibili ad ma persona in particolare (il che rende complicato risalire alla proprietà dello stupefacente in caso di sequestro del 'carico' da parte delle forze dell'ordine) ma facilmente accessibili da chi deve lavorare. Il sistema viene utilizzato ancora oggi e non solo lì. (fonte: Gennaro Scala - Cronache di Napoli)

giovedì 22 maggio 2014

Casalesi, il boss Iovine si è pentito: svolta dopo quattro anni di carcere duro


Il boss della camorra, Antonio Iovine, soprannominato ’o ninno, si è pentito. Tra i capi del clan dei Casalesi, arrestato dal’ex capo della Mobile di Napoli Vittorio Pisani dopo una lunga latitanza, ha deciso di collaborare con la giustizia. Una decisione inaspettata, clamorosa, destinata a provocare forti ripercussioni non solo negli ambienti criminali. Il pentimento ha peraltro un valore simbolico significativo: è sostanzialmente la resa dei Casalesi.

Una scelta storica, destinata ad aprire una nuova stagione nella lotta alla camorra dei casalesi, nelle indagini sulle collusioni tra clan e mondo degli affari, della politica e delle istituzioni.

Antonio Iovine si è arreso, ha deciso di collaborare con la giustizia - in una parola - di pentirsi. Da qualche giorno ha iniziato una ricostruzione destinata a scavare nei torbidi intrighi di trent’anni di storia criminale, a partire dal potere di Antonio Bardellino, alle guerre con Cutolo, per finire all’abbraccio mortale (per il nostro territorio) con il mondo politico, con interi spaccati dell’imprenditoria regionale, fino ad arrivare a possibili contatti con apparati deviati dello Stato.
Quindici anni di latitanza, poi quattro anni di carcere duro, infine la decisione di collaborare con la giustizia grazie alle indagini condotte da due veterani del pool anticamorra di Napoli, vale a dire i pm Antonello Ardituro e Cesare Sirignano, sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli. Un indiscutibile successo della Procura di Giovanni Colangelo, quello legato al pentimento di Iovine, paragonabile solo alla scelta collaborativa di boss del calibro di Alfieri e Galasso (primi anni Novanta, era la Nuova famiglia), che diedero la stura alla tangentopoli napoletana o al ruolo svolto da Buscetta per «cosa nostra».

Iovine, il boss dei segreti: rifiuti, omicidi e rapporti politici

La politica, prima di tutto. Poi il mondo degli apparati, delle istituzioni: quel mondo fatto di burocrati, di impiegati, ma anche di funzionari e dirigenti, passando per gli eletti dal popolo, quelli mandati in Parlamento o nelle varie assemblee locali. E non solo: imprenditori, manager, gente cresciuta negli anni del grande silenzio. Eccoli quelli che ora tremano per le accuse di Antonio Iovine: sono il mondo dei palazzi, delle istituzioni, delle camere di compensazione, dei tavoli di spartizione.

Da dieci giorni (forse anche da un periodo più ampio), Antonio Iovine ha iniziato quel periodo assegnato dal Codice per dire tutto quanto in suo possesso. Lo Stato assicura sei mesi per dire tutto, per parlare senza zone d’ombra, senza amnesie, senza lacune. A cominciare da una domanda su tutte: negli ultimi trenta anni, un intero pezzo di regione per chi ha votato? Chi sono i cavalli vincenti alle urne premiati da un esercito di camorristi nella zona di Casal di Principe? Politica, affari e apparati, dunque.

Quante persone hanno fatto carriera grazie a un silenzio complice, a omissioni calcolate? Quanti manager e amministratori ora faranno i conti con le possibili dichiarazioni del boss pentito? E non solo. Chiara la strategia dei pm Antonello Ardituro e Cesare Sirignano: puntano all’effetto domino, a far cadere anche altri boss ritenuti irriducibili, gente del calibro di Michele Zagaria, di Francesco Bidognetti o di quel Francesco Schiavone diventato famigerato per la sua somiglianza a «Sandokan».

Quando Iovine disse: se parlassi inguaierei un sacco di gente

«Chi mi ha protetto durante la latitanza? Se parlassi, inguaierei un sacco di persone». Così ruppe il silenzio Antonio Iovine, in un’aula giudiziaria, il 4 dicembre 2013, nel processo per le minacce alla giornalista de “Il Mattino” Rosaria Capacchione e allo scrittore Roberto Saviano, quando il boss Francesco Bidognetti prese le distanze dal documento firmato nel marzo del 2008, la richiesta di trasferimento del processo letta dall’ex avvocato Michele Santonastaso nell’aula bunker di Poggioreale. Con queste parole: «Mi dispiace se ho creato loro qualche problema (i due giornalisti vivono da allora sotto scorta, ndr), ma non so niente di quel testo, mi sono limitato a firmarlo il giorno dopo solo perché per le questioni tecniche mi rifacevo integralmente alle mosse del mio avvocato. Non ho letto Gomorra, ho criticato quel testo quando mi attribuisce un ruolo nell’omicidio di Antonio Bardellino, vicenda per la quale non sono mai stato imputato».

Sulla vicenda ’O Ninno assunse una posizione diversa: «Non mi scuso, perché non ho nulla di cui scusarmi. Non so nulla di questa storia, all’epoca ero latitante, non potevo essere in aula».

Il boss dei Casalesi Iovine pentito, parenti allontanati dal Casertano

NAPOLI - Nei giorni scorsi sono stati tutti trasferiti in località segrete i parenti del boss Antonio Iovine, soprannominato «'o ninno», arrestato a Casal di Principe il 17 novembre del 2010, dopo una latitanza durata 15 anni.

L'ex primula rossa del clan dei Casalesi, da una decina di giorni, sta collaborando con gli inquirenti della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli. È stato lo stesso Iovine ad indicare i parenti «a rischio» da includere nel programma di protezione e quindi da allontanare dal Casertano. Ovviamente, tra questi, la moglie, Enrichetta Avallone, 45 anni, finita in carcere nel 2008 per una vicenda di estorsione e tornata in libertà nel luglio del 2011; e il figlio, Oreste, 25 anni, attualmente in carcere: fu fermato il 19 ottobre del 2013, insieme ad altre quattro persone vicine alla fazione del clan guidata dal padre, con l'accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione e spaccio di sostanze stupefacenti.

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mercoledì 21 maggio 2014

Minacce a Saviano e Capacchione, il pm: condannare boss e avvocati

Un anno e sei mesi di reclusione aggravati dal metodo mafioso: è la richiesta di pena formulata dal pm della Dda di Napoli Antonello Ardituro nei confronti di tre imputati accusati di intimidazioni nei confronti dello scrittore Roberto Saviano e della giornalista del Mattino Rosaria Capacchione.

Gli imputati, per i quali è stata chiesta la condanna, sono il boss del clan dei Casalesi Francesco Bidognetti e gli avvocati Michele Santonastaso e Carmine D'Aniello. Il pm ha invece proposto l'assoluzione per l'altro boss dei Casalesi Antonio Iovine.
La vicenda risale al marzo 2008 quando davanti alla Corte d'assise di appello era in corso il processo Spartacus. Santonastaso, che assieme a D'Aniello assisteva Bidognetti e Iovine (quest'ultimo all'epoca ancora latitante) lesse in aula una lettera firmata dai due boss con cui si chiedeva il trasferimento del processo in altra città per legittimo sospetto. Il testo della lettera conteneva riferimenti minacciosi nei confronti della giornalista e dello scrittore, e dei magistrati Raffaele Cantone e Federico Cafiero de Raho. L'assoluzione per Iovine è stata chiesta «non perchè non sia certo della sua colpevolezza - ha spiegato il pm - ma perchè non c'è la possibilità di dimostrarlo».

Nel corso dell'udienza di oggi davanti ai giudici della III sezione del Tribunale, collegio A, hanno testimoniato l'ex capo della squadra mobile di Napoli Vittorio Pisani e l'ex direttore del «Mattino» Virman Cusenza, citati dalla difesa. A Pisani in particolare sono state fatte domande su un' intervista rilasciata al magazine del «Corriere della Sera» ove il poliziotto affermava di non ritenere necessaria la scorta per Saviano. Pisani ha precisato che quella opinione si basava solo sugli elementi in possesso della squadra mobile di Napoli, mentre il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza che decise per l'assegnazione della scorta, disponeva anche di elementi in possesso delle altre forze di polizia. Nella requisitoria, il pm ha definito l'avvocato Santonastaso «un camorrista». La prossima udienza è fissata per il 9 giugno, mentre la sentenza è prevista per il 23.

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sabato 17 maggio 2014

Camorra, arrestato in Romania il latitante Vincenzo Cesarano


Napoli. Arrestato in Romania dalla polizia di Stato Vincenzo Cesarano, inserito nell'elenco dei 100 latitanti più pericolosi dal Ministero dell'Interno.


L'uomo, catturato ad un centinaio di chilometri da Bucarest, era ricercato in ambito internazionale per un provvedimento, emesso dal gip di Napoli, per tentata estorsione.

"L'azione dello Stato contro la criminalità organizzata ha conseguito un altro importante risultato. Oggi, grazie all'eccellente lavoro della Polizia di Stato, dell'Interpol e della Magistratura, è stato messo a segno un successo investigativo di grande rilevanza, che ha portato all'arresto a Calarasi (vicino Bucarest) di Vincenzo Cesarano, ricercato in ambito internazionale e inserito nell'elenco dei latitanti più pericolosi". Lo dice il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, che si è complimentato con il capo della Polizia Alessandro Pansa. "L'arresto di Cesarano - aggiunge il ministro - è il risultato dell'ottima collaborazione tra la Polizia romena e il Dipartimento della Pubblica sicurezza italiano, attraverso i rispettivi ufficiali di collegamento, che hanno consentito l'accertamento della vera identità del latitante". 
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Casalesi: pizzo e droga in Toscana. Coinvolti anche due poliziotti

Tutto parte da un carrozziere che ha l’officina a Orta di Atella: Ciro Manna, una persona normale, ma con mille rapporti con politici e forze dell’ordine. Gli inquirenti ipotizzano che volesse incontrare persino Roberto Speciale, generale della guardia di finanza entrato in politica con il Pdl nel 2008.

Chiedendo aiuto a lui, voleva risolvere alcune sue questioni finanziarie. Ma se l’incontro ci sia stato o no, è ancora tutto da verificare. Per questo motivo i magistrati hanno disposto una perquisizione domiciliare nei suoi confronti, alla ricerca di dati che possano confermare il legame tra il carrozziere e «pezzi» di Stato.

Di certo nell’inchiesta sono finiti i poliziotti Franco Caputo e Cosimo Campagna. Ma era proprio Manna, per gli investigatori della squadra mobile di Caserta, diretta da Alessandro Tocco, l’anello di collegamento tra la camorra dell’agro aversano e la Toscana. Manna, finito ai domiciliari, è solo la punta dell’iceberg. Dietro le sbarre sono finiti, Maria Grazia Lucariello di Gricignano di Aversa, la sorella del pentito Orlando e Francesco De Chiara. I due, il 27 febbraio del 2012, si erano recati nell’officina di Manna per bonificare la loro vettura, infestata da microspie. Il carrozziere, infatti, avrebbe riferito alla coppia che «per mezzo del mio conoscente in servizio al Quirinale» a Roma aveva appreso di essere sottoposto a intercettazioni.

E ieri, sono stati raggiunti da ordinanza cautelare anche Maurizio Di Puorto di San Cipriano d’Aversa, Nicola Garzillo, Franco Galante di Orta di Atella, Giovanni Sglavo di Carinaro, Francesco e Gianluca De Chiara di Aversa, Arturo Storico di Napoli, Francesco Dimarco di Lercara Friddi, in provincia di Palermo, Giuseppe Russo, Pasquale Vitale, Danilo Argiolas di Cagliari e Guerino della Santa di Livorno. Arresti domiciliari per i poliziotti Franco Caputo e Cosimo Campagna, per lo stesso Manna e Myroslava Prytula.

In tutto, però, sono circa 30 gli indagati nell’ambito dell’inchiesta della questura casertana, con a capo Giuseppe Gualtieri, e Firenze. Stando alle indagini della Dda di Napoli, Stefano D. R., indagato, era un imprenditore al servizio del clan che gestiva i rapporti tra gli affiliati con i funzionari di banca finalizzati a far ottenere mutui al clan, aperture di credito e fidi anche intervenendo a favore di direttori di banche con azioni intimidatorie nei confronti di altre persone.

Per la procura, sarebbe stato Nicola Garzillo a raccogliere le tangenti a imprenditori di Gricignano che si erano spostati a Viareggio e consegnarle al clan dei Casalesi. Proprio lui, avrebbe inoltre minacciato con una calibro 9 per 21 una donna, Federica Bambusi, per farle ritrattare la denuncia sporta contro Marco Lucchesi, direttore della Banca Popolare di Novara.

Minacce ed estorsioni erano all’ordine del giorno in Toscana. La camorra batteva cassa presentandosi in decine di imprese, come la Termoidraulica, la Edilforte, la Lampitelli, la Di Foggia, Edil London, la Gruppo Dava, l’Euroitalia di Della Gatta e la Sagi Costruzioni. Ma il pentito Francesco Martino ha riferito che il clan dal 2009 in poi, con la crisi economica, aveva scommesso anche sul traffico di droga.

«I Casalesi erano contro la droga, ma poi ci fu l’accordo che dal 2009 dovevano fare anche la droga, visto che i soldi non c’erano. Così Salvatore Mundo si attivò e fece andare in Toscana il nipote Raffaele Lucariello detto o’puorco che portò i primi 850 grammi». Così, il trafficanti portavano la cocaina nel cuore della Toscana e la nascondevano in una villetta. La sostanza proibita veniva poi «smerciata» a Viareggio, Lucca e a Calcinaia, in provincia di Pisa.
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mercoledì 14 maggio 2014

Giugliano. Il grande accusatore: «Così funzionava il sistema dei prestanome»

GIUGLIANO. Ne parlava in maniera sciolta, come di chi sa il fatto suo. Come chi non ha fatto altro nella vita. Parliamo del metodo di reclutamento dei prestanome che Giuliano Pirozzi ha illustrato nel dettaglio nel corso del contro interrogatorio di ieri. Le lavanderie delle cosche, secondo gli specialisti dell'Antimafia, sono proprio i settori puliti. Ma questo tipo di investimenti, negli anni, hanno visto i confini regionali come qualcosa che restringeva le possibilità di espansione economica, soprattutto in settori puliti dell'economia In particolare le fiamme gialle sequestrarono il patrimonio aziendale e relativi beni a 8 società con sede nelle province di Roma e Napoli. Ci fu un'altra operazione, denominata “Sfregio”. Il blitz portò a un sequestro di notevole entità. I sigilli furono apposti a circa 900 immobili. Ma non solo. Sotto chiave finirono anche aziende, auto e e motociclette e centinaia di rapporti bancari. Il valore complessivo fu di oltre mezzo miliardo di euro. Su come opera il clan nel business delle costruzioni, hanno ricostruito il tutto i vari collaboratori di giustizia di altri clan. «Tra le imprese legate al clan Mallardo ricordo una famiglia che ha il controllo di numerose società con denominazioni diverse e con qualcuno di essi quale riferimento presso il comune di Giugliano. Si tratta di una vera e propria holding in quanto trattano l'investimento “dalla A alla Z” nel senso che, oltre a realizzare la speculazione edilizia, essi trattalo anche la vendita delle unità immobiliari effettuata mediante società immobiliari da essi stessi gestite. Quanto alle società immobiliari, voglio precisare che in realtà esse sono utilizzate esclusivamente per il fine tipico di tale attività, ma servono spesso come paravento o copertura di altre attività illecite» affermò il pentito Gaetano Vassallo. 

Il caffè. Altra considerazione, invece, riguarda l'imposizione del caffè. Secondo il collaboratore di giustizia Giuliano Pirozzi, «Il clan Mallardo avrebbe imposto ai bar e hotel del territorio la fornitura di una marca. Un affare molto lucroso da circa 60-70mila euro al mese con un guadagno netto di 30mila euro mensili». Per Pirozzi ci sarebbe stata anche un'imposizione del cemento ai cantieri.

Oro. Che i cosiddetti “Compro oro”, in molti casi, vengano utilizzati come vere e proprie lavanderie per i fondi illeciti delle cosche, è un sospetto forte da molto tempo. Secondo Pirozzi ci sarebbe una persona «che gestisce per il clan le attività di ricettazione dell'oro degli zingari ed è il responsabile del mercato delle false Hogan». Un business che si avverrebbe anche della collaborazione dei Contini del Vasto.

Onoranze funebri. Il collaboratore di giustizia ha parlato anche di come la cosca dei Mallardo gestirebbe il grande affare delle onoranze funebri sul territorio della terza città della Campania. «Il business delle onoranze funebri lo gestisce ancora. Infatti... mi voleva far mettere sempre a me l'agenzia oltre di onoranze funebri anche di articoli trigesimali e cimiteriali. Cosa che poi ha aperto un prestanome».

La droga. Sono per lo più gli affari che si trovano nella cosiddetta zona grigia dell'economia quelli che farebbero più gola alla mala giuglianese. E la droga non sarebbe uno di quello. O meglio non si tratterebbe di un mercato con gestione diretta del clan. Sarebbero infatti i maranesi a gestire il traffico nazionale e internazionale, mentre localmente lavorerebbe Secondigliano. Per Pirozzi il clan Mallardo si limiterebbe a fare 'puntate'. 
(fonte: Cronache di Napoli)

Bandiera Blu: la Campania prima regione nel Sud

Il premio per le spiagge più pulite e dotate di servizi vede la nostra regione al quarto posto in classifica, dopo Liguria, Toscana e Marche.

Prima regione del Sud Italia per mare pulito e spiagge attrezzate. La Campania ottiene un buon risultato nella classifica approntata dalla Foundation for Enviromental Education, che assegna 13 bandiere blu alla nostra regione, quarta nella classifica totale. Un piazzamento di tutto rispetto, che conferma il risultato dell’anno scorso: davanti a noi solo Liguria, Toscana e Marche.

LE SPIAGGE PREMIATE – A fare la parte del leone, come di consueto, è la provincia di Salerno. Nessuna sorpresa, visto che sia la Costiera Amalfitana, sia il Cilento, ricadono sotto l’egida di Palazzo Sant’Agostino. Le spiagge premiate sono quelle di Positano, Agropoli - Lungomare San Marco-Trentnova, Castellabbate, Montecorice, Agnone-Capitello, Pollica-Acciaroli-Pioppi, Casal Velino, Ascea, Pisciotta, Centola-Palinuro, Vibonati, Sapri-Lido di Sapri San Giorgio. In classifica anche due spiagge della provincia di Napoli: Anacapri-Punta faro Gradola e Massa Lubrense.

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Napoli, la notte dei musei: il 17 maggio aperti Pan, Maschio Angioino e San Domenico maggiore

«L'amministrazione di Napoli ha accolto la proposta avanzata dal presidente dell'Anci Fassino che ha chiesto ai comuni di garantire l'apertura dei loro siti museali in occasione della notte europea dei musei, promossa dal Mibac per sabato 17 maggio».

Lo affermano, in una nota congiunta, il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, e l'assessore alla cultura, Nino Daniele.

«Con un grande sforzo, fino alle 24, saranno aperti ai cittadini e ai turisti il Maschio Angioino, sede del museo civico; il complesso monumentale di San Domenico Maggiore che ospita anche la mostra impossibile; il Pan che accoglie la mostra Vetrine di Warhol. Si tratta di un'iniziativa che conferma la volontà politica di questa amministrazione: investire nel settore artistico-culturale e nel suo patrimonio, come stiamo facendo da mesi riscontrando un grande successo di pubblico e di turisti, e nonostante le difficoltà finanziarie dell'ente». 

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Sant’Antimo. Rapina col 'filo di banca': 53enne in manette su ordine del Tribunale

SANT'ANTIMO. I carabinieri della locale tenenza hanno arrestato Pasquale Maggio Pasquale di 53 anni, residente in Via Antonio De Curtis, già noto alle forze dell'ordine, raggiunto da un ordine di carcerazione emesso il 5 maggio dal Tribunale di Napoli, dovendo espiare 3 anni e 4 di reclusione per una rapina commessa a Caivano il 26 giugno del 2009: Maggio armato di pistola si faceva consegnare 6.150 euro da un 45enne del luogo, prelevati poco prima da un istituto bancario. L’arrestato è stato tradotto nel carcere di Poggioreale.
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venerdì 9 maggio 2014

Arrestato Francesco Maturo, boss del clan Fabbrocino: era tra i 100 più pericolosi

di Francesco Gravetti

Inserito nell’elenco dei cento latitanti più pericolosi d’Italia, Francesco Maturo, 43enne di San Giuseppe Vesuviano, era considerato il reggente del clan Fabbrocino: questa mattina è stato catturato dai carabinieri del nucleo investigativo di Castello di Cisterna e dai colleghi del Ros.

Si nascondeva in una villetta di Angri, in provincia di Salerno ed era in possesso di due pistole e di un documento di identità falso. Maturo è latitante dal dicembre 2012, quando assieme ad altre 27 persone fu il destinatario di un ordine di custodia cautelare che colpiva i vertici del clan vesuviano dei Fabbrocino.

Tra questi, anche Biagio Bifulco, colui che aveva retto le sorti della cosca dopo l’uscita di scena di Mario Fabbrocino, al quale Maturo si sarebbe sostituito in questi ultimi tempi. L’organizzazione criminale imponeva con sistematicità il proprio controllo su tutto il territorio, sottoponendo imprenditori e commercianti al pagamento di tangenti. Lui e altre tre persone riuscirono a sfuggire alla cattura: da stamattina la sua fuga è finita.

Maturo ha sempre avuto un ruolo di spicco nel clan di Mario Fabbrocino: nel maggio del 2000 fece parte del commando che tentò di uccidere Salvatore Luigi Graziano, il boss di Quindici che nel 2002 fu tra i protagonisti della cosiddetta “strage delle donne”. Maturo, assieme ad altri esponenti del clan, si vestì da carabiniere e finse un controllo di notte nella villetta di Graziano, che era ai domiciliari. Gli uomini dei Fabbrocino riuscirono pure ad ammanettare il boss quindicese, poi il passaggio di una vera pattuglia di carabinieri fece sfumare tutto. Due anni dopo, nel maggio del 2002, Salvatore Luigi Graziano sarebbe stato arrestato con l'accusa di aver ammazzato Clarissa Cava, di 16 anni, Michelina Cava, di 53 anni, Maria Scibelli, di 50 anni, rispettivamente figlia, sorella e cognata di Biagio Cava.

Da quando è latitante, cioè dal dicembre 2012, per almeno tre volte le forze dell’ordine sono state sul punto di catturare Francesco Maturo, che è sempre sfuggito ai blitz ma è rimasto nascosto tra le province di Napoli e Salerno.

Francesco Maturo si trovava ad Angri in compagnia di Aniello Grimaldi. Sottoposto a perquisizione è stato trovato in possesso di una carta d’identità falsa, una pistola calibro 7,65 con matricola abrasa, completa di caricatore e 12 munizioni ed una pistola calibro 38 con matricola abrasa e 13 cartucce. Le armi saranno inviate al racis di roma per accertamenti balistici.

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mercoledì 7 maggio 2014

Intervista a Saviano: «Accusano Gomorra ma a Scampia c’è più camorra di prima»

di Francesco de Core

Il professor Roberto Saviano è all’università di Princeton, Stati Uniti, per un corso su politica economica e crimine organizzato; lo scrittore Roberto Saviano, invece , è saldamente qui, in Italia: stasera, su Sky Atlantic, parte la serie tv «Gomorra», tratta dal best-seller che più di ogni altro ha fatto storia negli ultimi anni. Dodici puntate e già divisioni prima ancora della messa in onda. A Napoli, ma non solo.

Saviano, ci sono state molte polemiche sulla rappresentazione di Scampia - e, in generale, della città - nelle mani dei clan. Non pensa che inevitabilmente la descrizione di una parte di realtà così difficile e complessa possa diventare luogo comune, conformismo?
«Credo che ”luogo comune” o ”conformismo” sia giudicare un lavoro senza averlo visto. La maggior parte delle persone che hanno criticato la serie non sanno di cosa si tratta, non hanno visto tutto il percorso e, per loro stessa ammissione, non hanno visto nemmeno i due primi episodi proiettati durante l’anteprima. Abbiamo raccontato la complessità di questi territori».

Quindi il suo racconto va nella carne viva della realtà, senza pregiudizi?
«Guardi, da noi accade l’inverosimile. È come se Albuquerque, in New Mexico, si fosse ribellata al successo di ”Breaking Bad”. Come se Medellin si indignasse per la serie su Pablo Escobar. Non c’è scandalo, non c’è vergogna: è racconto, e dal racconto si riparte. La serie ”Gomorra” racconta la vita, le contraddizioni, i sentimenti, la ferocia di un territorio, che è anche altro, ma ci si sofferma su un segmento significativo, che la cronaca ha sfiorato e poi abbandonato. Albuquerque non è solo sintesi di droghe chimiche, la Colombia non è solo cocaina e Scampia non è solo camorra, ma il territorio non può dimenticare Paolo Di Lauro, la cui ombra è ancora terribilmente presente».

Crede che «Gomorra» tv - alla cui stesura lei ha partecipato attivamente - avrà un impatto diverso rispetto al film di Garrone? 
«A questa serie abbiamo lavorato molto: è stato un esperimento, volevamo costruire qualcosa di completamente diverso rispetto a ciò che è stato fatto in Italia sino ad ora. Sono sicuro che appassionerà il pubblico perché racconta storie di vita dentro le dinamiche criminali. Chi ha apprezzato il film sentirà il percorso affine, chi non l’ha amato vedrà una grammatica diversa con cui potrà provare a confrontarsi. Abbiamo voluto essere diversi da tutto ciò che si è visto...».

Quali le differenze con il film?
«Ci sono molte storie del libro che non erano state inserite nel film. La differenza sostanziale risiede nella forma narrativa. Nella serie ci si può prendere più tempo per descrivere un personaggio, per segnalarne le evoluzioni, i cambiamenti. Nel film, invece, i tratti devono essere più brevi: il quadro deve essere chiaro sin da subito per poi poter puntellare la trama. I personaggi nella serie respirano ed è impossibile percepire il loro ritmo da subito. Ci vorrà tempo».

Maradona ha pesantemente criticato la fiction prima di vederla... 
«Maradona conosceva i Giuliano di Forcella e forse non capirà la contemporaneità del fenomeno. Del resto credo che sia mal consigliato e male aggiornato. Resta un simbolo, il mio mito da bambino. Sul resto, meglio glissare...».

Ma se lei fosse uno dei tanti cittadini onesti di Scampia, come reagirebbe di fronte alla rappresentazione narrativo-giornalistica che si dà del quartiere? Non c’è il rischio del marchio a vita anche per chi non delinque? 
«Non è una serie tv a dare il marchio. Quanti morti continuano a esserci? Forse è stata aperta una università? Il Bronx da decenni attira investimenti e sta diventando un quartiere nuovo. Forse a Scampia è successo tutto questo e nessuno se n’è accorto? Il marchio non viene dato da una serie che racconta i meccanismi della realtà, così come non lo toglie l’omertà a cui si invita. Anzi, il racconto rende ancora più interessante il potersi relazionare con una realtà difficile e per questo stimolante. Non bisogna smettere di raccontare, ma creare opportunità, investimenti veri, portare università, distruggere il degrado, la sporcizia, l’abbandono. Non solo operazioni di polizia. E, soprattutto, è la serie o la realtà a dare il marchio? Questo è un gioco facile e furbetto. È il gioco di chi non fa nulla, assolutamente nulla per un territorio e scagliandosi contro Saviano acquista visibilità».

In generale qual è la funzione dell’arte rispetto al male? Non c’è il rischio di mitizzarlo a prescindere dalle intenzioni narrative e di costruire degli eroi? 
«Il male e il bene non devono avere quote prefissate: un’opera deve essere giudicata nella sua complessità e per la sua qualità. Non possiamo criticare Michael Herr perché in ”Dispacci” non ci ha raccontato il Vietnam dalla prospettiva dei soldati buoni. I personaggi di Balzac o di Dostoevskij non sono tanto migliori o tanto peggiori rispetto al grado di crudeltà o di magnanimità che mostrano. Qualunque opera si giudica nel suo complesso e non in base a una equa distribuzione di bene e male. È ovvio che il racconto del male sia affascinante, ecco perché bisogna tenersi lontani da semplificazioni e banalizzazioni. La rappresentazione del male è interessante perché mette in moto sentimenti che talvolta non credevamo di poter provare. Ecco perché la sfida è stata quella di fare in modo che non si generasse empatia, costringendo chi osserva a porsi domande: ma come fanno queste persone a uccidere e poi a vivere la quotidianità in maniera tanto naturale? Se io non sono così è perché sono codardo o coraggioso? Fino a che punto arriva la mia brama di soldi e di potere? Quante volte ho pensato, se l’ho pensato, di eliminare i miei nemici? Quante volte ho odiato come odiano loro? Non raccontare queste dinamiche vuol dire ritenere che la vita, che la nostra vita, non sia una questione di scelte. Di scelte continue. Di scelte quotidiane. Nulla ci è dato, non il denaro, non il potere, non la felicità. La complessità dell’arte porta a una complessità di reazioni, non al suo contrario, ovvero all’appiattimento».

È stato a Scampia anche in incognito nel corso di questi anni? E se sì, che impressione le ha fatto il quartiere rispetto a quando girava in motorino da cronista prima di scrivere Gomorra? 
«Sì, ci sono passato con la scorta senza che nessuno lo sapesse. Qualcosa è cambiato, ma la struttura no. Certo c'è una gestione diversa e le piazze di spaccio si sono spostate nell’entroterra campano ma nel complesso, se quella che mi chiede è un’impressione che prescinda dalla conoscenza dei fatti, non ho notato cambiamenti. Anzi, ho visto un incremento della presenza militare camorristica. I problemi poi restano gli stessi: disoccupazione, degrado, arretratezza culturale conseguenza della dispersione scolastica. E lo sforzo di alcune delle associazioni presenti sul territorio, di quelle che davvero lavorano».

E i manifesti contro Gomorra? 
«È interessante ragionare su questa vicenda. Chiunque conosco a Napoli ha fatto foto e me le ha mandate. Ma il punto non credo sia chiedere a me cosa ne penso e se ci sono rimasto male. Il punto è chiedersi quanti manifesti sono stati mai fatti con nomi e cognomi dei boss dopo gli ennesimi omicidi. Ogni volta che c’è stata qualche strage non ricordo Napoli tappezzata da manifesti in cui c’è scritto ”andatevene”. Mai letto manifesti di questo tipo. Mai. Omertoso io non lo sarò mai».

Com'è cambiato, se è cambiato, il suo rapporto con Napoli?
«Il rapporto con Napoli è un rapporto complesso. Mi manca tantissimo. A volte sogno di esserci tornato a vivere, sogno di camminare da solo senza scorta sul lungomare e la città è completamente vuota. Non c’è nessuno ma nel sogno non mi stupisco. A volte, invece, sogno di camminare terrorizzato attraverso la Pignasecca, che però è affollatissima, come sempre. Lì andavo a fare la spesa. Nel sogno compro zeppole e panzarotti, un polipo da cucinare con le olive, ma ho paura di essere scoperto. Sono camuffato, a volte ho i baffi, altre capelli e barba lunghi. Altre ho un passamontagna, addirittura. Nel sogno finisce sempre che vengo scoperto e allora inizio a correre. Mentre corro so di stare sognando, ma non riesco a fermarmi».

E De Magistris?
«Su De Magistris va fatta chiarezza. Anche nelle critiche. Parto dal presupposto che sia un sindaco onesto e che abbia sacrificato letteralmente la sua quotidianità. Credo che sia guidato da buone intenzioni, ma la sua prima fase non l’ho condivisa per nulla. Aveva avuto un consenso enorme che gli avrebbe permesso di poter adottare una politica più lungimirante. Si era presentato come libero da qualunque condizionamento, come l’uomo nuovo. Avrebbe fatto bene a puntare su figure chiave della sua giunta che invece ha allontanato in malo modo. Non credo stia aggiustando il tiro, del resto ora non ha nemmeno più il consenso che gli occorre per poterlo fare. E non ha compreso, sin da subito, che puntando sulle periferie si sarebbe potuto inaugurare un percorso nuovo. L’ennesima occasione persa per una città che di occasioni, invece, ne meriterebbe. Ma vediamo come proseguirà la sua esperienza...».

Tornando a «Gomorra» tv, nella serie è rappresentata la guerra tra vecchi padrini e nuovi boss. Molte aree della faida sono governate da giovani spietati. Com’è cambiata la figura del capoclan? Conta sempre di più il traffico (e anche il consumo) di droga? 
«Nella serie si racconta proprio questa sorta di conflitto generazionale. La camorra è l’unica organizzazione che crede nei giovani: rispetto a ’ndrangheta e Cosa nostra concede maggiore mobilità, tanto che anche ai ventenni è dato di ricoprire ruoli apicali. Il capoclan napoletano sta subendo una mutazione persino fisica: le sopracciglia ad ali di gabbiano, la depilazione, l'abbronzatura. C’è un’attenzione maniacale all’aspetto esteriore. I tronisti di ”Uomini e donne” sono i loro modelli, non hanno più le unghie lunghe ai mignoli, non vengono più da sottoculture, ma sono cresciuti guardando video su YouTube, con iPhone e Facebook. Ma il ”core business” non cambia, resta la cocaina».

Emerge sempre più nitido e forte il ruolo delle donne in ruoli apicali all'interno dei clan. Come mai? 
«Le donne hanno una strategia diversa, meno sanguinaria. Ora stanno avendo sempre più anche ruoli in strada, nella selezione della qualità della cocaina e nella capacità promozionale. Dalla Sanità ai Cristallini vedrete donne che spacciano. Sono quelle che restano fuori quando i mariti scontano le pene in carcere o quando sono latitanti. La loro capacità di gestione e la loro fedeltà sono preziosissime per i clan».

Perché un altro Sud stenta a emergere nella narrativa e nelle serie tv? Solo il male fa “cassetta” oppure, essendo preponderante, prevale inevitabilmente su ogni altra considerazione? 
«Non credo sia così e penso alla narrativa di Diego De Silva, all’ironia di Stefano Piedimonte che smonta il male ricostruendo mondi altri da quelli battuti, ai racconti di Maurizio De Giovanni che costruiscono un tempo diverso. Napoli non sembra mai avere un passato perché il presente è così bisognoso di attenzione che tutto pretende. Oppure alla Napoli di Valeria Parrella e all’Arte della felicità di Rak, che non è neanche più Napoli ma ha le caratteristiche di una metropoli o di un villaggio. Penso al teatro di Mario Gelardi, dove, dal racconto, parte sempre la speranza. Qui non c’è genere o ”cassetta” ma punti di partenza, vie di fuga, creazione...».

Terra dei fuochi: sempre convinto che la legge non sia ancora sufficiente per poter contrastare il fenomeno? 
«Quel famoso due per cento contaminato, dichiarato dalle istituzioni, resterà nella storia come una grande presa in giro. Bisogna tuttavia tenersi lontani dall’isteria del ”tutto avvelenato” e dalla fiducia incondizionata ai collaboratori di giustizia. Bisogna fare ricerca vera con organismi internazionali e anche qui il racconto deve generare interesse e la consapevolezza della necessità che vi siano bonifiche».

Esiste un professionismo dell’antimafia, per richiamarci a Sciascia? 
«So di essere accusato di questo, ma io sono un narratore e ho affrontato altri argomenti, o questi stessi, in maniera più ampia. Non sono ”camorrocentrico”. Piuttosto, molto più che i professionisti, ho sempre temuto i dilettanti dell’antimafia».
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La 'cupola' maranese alla sbarra. L'accusa: associazione mafiosa e traffico di droga

MARANO. La sentenza di primo grado fu emessa alla fine del 2012. Tra gli imputati c'era chi era accusato di associazione di stampo mafioso, chi di traffico di droga c che di aver fatto da prestanome per siamo attività del boss di Marano. Sullo sfondo uno scenario di commistioni tra il mondo politico e la criminalità organizzata, in primo grado furono quarantuno le condanne stabilite, e furono inflitti complessivamente 341 anni di reclusione. Solo nove le assoluzioni. Si discute ancora in aula. Parlano gli avvocati e si tratteggiano i profili degli imputati. Ci sono alcuni pezzi da novanta dei Polverino sotto processo. C'è anche lui, Giuseppe Polverino quello che gli inquirenti ritengono il capo. Quelle sono storie acquisite. Oggi le forze dell'ordine lavorano su altri elementi. L'analisi del business come la droga, ad esempio. Il controllo del mercato dell'hashish da parte dei maranesi, negli anni, è stato tale che anche gli scissionisti avevano deciso di abbandonare i fornitoti internazionali per acquistare direttamente dalla cosca maranese. A riferirlo fu un collaboratore di giustizia, Giovanni Piana, ex affiliato al gruppo Abbinante. Originario di Marano, Piana, crebbe in compagnia di numerosi esponenti della malia di Marano e quando decise di trasferirsi a Secondigliano mantenne i contatti. I carichi variavano da un minimo di 50 chili a un massimo di 200 mentre le consegne avvenivano con cadenze quindicinali. Piana, nei suoi verbali, parlò di una vera a propria alleanza. I patti criminali sono alla base dell'espansione delle organizzazioni criminali. Nell'ultimo dossier della Direzione investigativa antimafia, viene analizzata proprio la sinergia tra le cosche della provincia e quelle dell'area collinare del capoluogo in nome del business, e in particolare del riciclaggio. Tra Vomero e Arenella. scrive l'Antimafia, è da segnalare la "presenza criminale del clan Cimmino. Nell'alveo del gruppo è necessario registrare le possibili evoluzioni che recenti e prossime scarcerazioni di affiliati di spicco potranno produrre sullo scacchiere della zona collinare a nord di Napoli". Giuseppe Polverino, si legge ancora nel dossier, come risulta da accertamenti investigativi, sin dal 2009 aveva stabilito che nei quartieri Vomero e Arenella dovessero "convivere pacificamente i Cinniino e i Caiazzo", avendo Polverino "straordinari interessi in zona, afferenti al riciclaggio nell'ambito delle attività commerciali". Dalla ricostruzione investigativa suffragata dalla "collaborazione di due affiliati, Domenico Verde e Salvatore Izzo, emerge una logica associativa connotata sia dalla proiezione finanziaria locale ed internazionale, sia dalla gestione del traffico di sostanze stupefacenti, sia dall'utilizzo funzionale di politici di riferimento e di diretta espressione del clan". La fiorente attività economica del sodalizio criminale risulta essere correlata al traffico di sostanze stupefacenti, al racket delle forniture di calcestruzzo, al controllo dei generi alimentari. Paradigmatica dello spessore criminale di Giuseppe Polverino e della sua effettiva incidenza sugli equilibri criminali vomeresi è la circostanza, emersa dalle indagini, della "convocazione in Spagna, - da parte di questi - di Caiazzo e Cimmino, già affiliati del clan Alfano e successivamente promotori prima di un unico clan ed in seguito di due contrapposti". (fonte: Cronache di Napoli)

domenica 4 maggio 2014

Pizza napoletana, la migliore del mondo si mangia in Australia da Johnny

Se volete assaggiare la miglior pizza napoletana al mondo dovrete armarvi di biglietto e partire. Non per il capoluogo partenopeo, ma alla volta dell'Australia.

Si trova a Melbourne, infatti, la pizzeria di Johnny Di Francesco, incoronato a Parma vincitore del 23esimo Campionato mondiale della pizza nella sezione “Napoletana Stg” (Specialità tradizionale garantita).

Il pizzaiolo dalle origini italiane è stato un gruppo di giudici (italiani) che ha valutato le capacità di 600 concorrenti provenienti da 35 Paesi. A fare una pizza più napoletana dei napoletani, dunque, è l'australiano Di Francesco, che le mani in pasta le ha messe fin da bambino seguendo la tradizione di famiglia e ora è il proprietario della pizzeria 400 Gradi di Brunswick, sobborgo di Melbourne.

La tecnica l'ha affinata proprio a Napoli, presso l’Associazione verace pizza napoletana, dove ha imparato le regole per una vera "napoletana": diametro entro i 35 centimetri, bordo rialzato, pomodori pelati, mozzarella di bufala Doc o mozzarella Stg, cottura nel forno a legna. La farina che usa se la fa arrivare dall'Italia, e anche le altre materie prime sono di altissima qualità.

Sul podio del Campionato mondiale della pizza, l'unico italiano è al secondo posto: Michele D'Amelio della pizzeria Chest’e pizza di Lioni (Avellino).

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