sabato 25 gennaio 2014

Acquisti anticamorra: biancheria confiscata in vendita all'Auchan, è la prima volta

Il prezzo è competitivo, ma la biancheria per la casa in vendita all’Auchan di Pompei è speciale anche per un altro motivo: proviene dai beni sequestrati e confiscati nella lotta per la legalità.

L’acquisto sostiene il progetto Agire, acronimo di Amministrazione giudiziaria per il ripristino dell’equità economica, e le attività di «Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie». Un primo test, una importante iniziativa sostenuta dal vicario della sezione gip di Napoli, Bruno D’Urso.

Questa la frase scelta per promuovere l'iniziativa tra i clienti dell'Auchan: «Compiere ogni giorno con consapevolezza le proprie scelte, anche quella di un semplice acquisto, possono migliorare la nostra vita e quella di tanti altri».
http://www.ilmattino.it

Giugliano. Condannati i fratelli Dell'Aquila

GIUGLIANO. Camorra e riciclaggio, condannati i fratelli Dell’Aquila: c’è anche il boss Giuseppe che ha incassato 21 anni di reclusione. Per il pm Maria Cristina Ribera i tre fratelli Giovanni, Domenico e Giuseppe sono a capo di un vero e proprio clan, un tempo costola dei Mallardo di Giugliano. La sentenza di primo grado nell'ambito dell'inchiesta ‘Arcobaleno’, il blitz del 23 marzo 2010 dove furono arrestati i fratelli Dell’Aquila e sequestrati beni per 400 milioni di euro. Per Giovanni Dell’Aquila l’accusa aveva chiesto 16 anni e gli sono stati comminati 14 anni; sconto anche per Domenico che incassa 13 anni e sei mesi rispetto ai 14 invocati dal pubblico ministero. Ventuno gli anni di carcere rispetto ai venti chiesti dal pm per Giuseppe Dell’Aquila, ritenuto a capo della cosca. L'organizzazione criminale aveva costituito numerose società, le cui quote venivano generalmente intestate a prestanome scelti tra il nucleo familiare o tra persone di comprovata fiducia, attraverso le quali si mettevano in atto speculazioni edilizie o altri investimenti apparentemente leciti ma che invece servivano per riciclare il denaro illecito. (fonte: ilmattino.it)

Sant’Antimo: Arresto per spaccio e detenzione di stupefacente

SANT'ANTIMO. I carabinieri della locale tenenza hanno arrestato per spaccio e detenzione di stupefacente Stefano Pellecchia, 48 anni, residente in Via della Conciliazione, già noto alle forze dell'ordine. l’uomo è stato notato nei pressi della sua abitazione mentre spacciava una stecchetta di hashish ad un 20enne del luogo per 20 euro. Bloccati e perquisiti, l’acquirente è stato trovato in possesso dello stupefacente appena acquistato per uso personale, mentre il pusher, oltre alla banconota da 20 euro, di un’ulteriore stecchetta di hashish, 2 bilancini di precisione, materiale vario per il confezionamento dello stupefacente e 195 euro in denaro contante, ritenuti provento d’illecita attività. L’acquirente è stato segnalato alla Prefettura quale consumatore di stupefacenti. L’arrestato è stato tradotto nel carcere di Poggioreale.
http://www.internapoli.it

Camorra mangia-Roma: anche i barboni diventano «risorse umane» della holding

di Valentina Errante

Un piccolo e variegato esercito: miliziani fedeli o mercenari raccattati a caso: prestanome. Per il gip di Napoli, che ieri ha arrestato 90 persone, sono «le risorse umane della holding». C’erano quelli che lo facevano per professione, intestatari di beni per mestiere, oppure i clochard, che dormivano in stazione o alla Comunità Sant’Egidio, ignari di possedere beni per milioni di euro. Sono le forze dei fratelli Righi che, con i soldi del clan Contini, avevano colonizzato la ristorazione romana, pagando in contanti, e a qualunque cifra, pizzerie, gelaterie e ristoranti per apporre l’insegna “pizza Ciro”.

Almeno 20 persone, ma non tutto l’esercito è finito in manette; per alcuni prestanome, il gip non ha disposto la misura cautelare in carcere: sono passati troppi anni. L’attività di riciclaggio dei Righi, titolari di 23 tra pizzerie e bar tutte finite sotto sequestro su disposizione del Tribunale di Roma, ma ancora attive sotto la tutela di un custode giudiziario, comincia nel 1997. E’ trascorso troppo tempo. I carabinieri del nucleo investigativo di Roma hanno ricostruito la storia di decine di società che nascevano e morivano per gestire lo stesso locale. Nelle società ricorrevano gli stessi nomi. Un’ulteriore arguzia dei Righi, che evitavano così di pagare tasse e contributi. I militari hanno anche ascoltato le conversazioni dei professionisti: avvocati e commercialisti alla disperata ricerca di nuove teste di legno, pronti a raccattarli ovunque: bastava «un regalino».

I CLOCHARD
E’ il 4 gennaio 2011 quando Mario Greco rileva da Luigi Righi le quote sociali della piazza Navona srl, diventa socio de “Il pizzicotto due” e della ”Over pizza” di Righi Luigi, società che gestiscono che controllano una serie di attività nel cuore della capitale. Eppure Mario Greco, che ha una lunga lista di precedenti penali e di polizia per piccoli reati, continua a dormire in stazione. Si legge nel provvedimento di sequestro preventivo: «Greco risulta essere stato controllato in più circostanze e quasi sempre nei pressi di importanti stazioni ferroviarie del Nord-Centro Italia, unitamente ad altri soggetti titolari di quote e cariche sociali di società appartenenti al gruppo Righi: lo stesso di fatto vive come un clochard e per lo più nella città di Roma, trovando riparo nelle varie stazioni ferroviarie». Un profilo simile è quello di Paolo Lorusso, che risulta addirittura amministratore unico di una società dei Righi. Altri invece vivono in via Dandolo 10 «indirizzo che corrisponde alla sede centrale e a una delle mense della Comunità di sant’Egidio e presso cui risultano essere residenti anche altri prestanome».

LE INTERCETTAZIONI
Nel giugno 2009, Salvatore Righi e il nipote Mario Cardinale parlano al telefono: «Senti Marittiè, volevo dire: mi serviva una persona da portare sopra il fiscalista, per firmare e per metterlo come amministratore, a uno che non ha niente da perdere. Chi è, chi può essere?». E Cardinale: «Ma come deve essere, grosso?», «Com'è è!», risponde Righi. «Può essere pure femmina?», domanda il nipote, e Righi: «Può essere pure femmina, può essere pure vecchio, può essere com'è è!». E cardinale: «E che ne so, a qualche sorella mia?», Ma Righi ribatte: «Ma se arrivano, arrivano multe cose qua, hai capito o no! È uno che non ha nulla da perdere e che non paga, hai capito?». E Cardinale: «Mo' vedo, dai! Mo vedo un po’ qualche ragazzo, ci regaliamo qualcosa». E Righi: «Eh! o qualche ragazzo o qualche anziano. Come vuoi tu, com'è è; pure scemo! Lo porti a Roma.. Fra poco mi devi dare nome e cognome, il documento e poi a Roma a quell'altro fiscalista e sta a posto! Capito?».
http://www.ilmattino.it

giovedì 23 gennaio 2014

Napoli. Le confessioni di una pentita: «Così costrinsi mia figlia a spacciare a 16 anni»

di Dario Sautto

"Sono stata costretta ad andare via dal Piano Napoli dopo il pentimento di mia figlia". Antonietta Donnarumma ora è collaboratrice di giustizia come Maria Tufano, la quale aveva intrapreso l'attività di spaccio "già a 16 anni, insieme a me".

Prima, però, Antonietta Donnarumma era parte attiva della piazza di spaccio all'isolato 28 nel popoloso quartiere di Boscoreale. Lei aveva il compito di "gestire il confezionamento delle dosi di cocaina e crack da rivendere vicino alle macchine".

A fine "turno", poi, raccoglieva i soldi, mentre "il sabato facevo il conteggio degli incassi, davo le paghe e mandavo i soldi al capozona Carlo Padovani".

La collaboratrice di giustizia fa nomi e cognomi, spiega i ruoli all'interno dell'organizzazione malavitosa del Piano Napoli di Boscoreale, collegata a Francesco Casillo e ai fratelli Raffaele e Carmine Aquino "'e mezzanotte", alleati dei Gionta di Torre Annunziata.

Incalzata dalle domande del pm Pierpaolo Filippelli della Dda di Napoli, Antonietta Donnarumma ha raccontato al collegio della prima sezione penale di Torre Annunziata (presieduta dal giudice Alfonso Barbarano) le modalità dello spaccio: "Con marijuana e hashish si finiva a mezzanotte, invece per la cocaina eravamo costretti a fare i turni sulle 24 ore".

http://www.ilmattino.it

martedì 21 gennaio 2014

Napoli Retrò: la città di una volta in un gruppo Facebook

Napoli senza traffico, senza auto in doppia fila, senza smog e “jastemme” mattutine contro chi non rispetta i semafori. È, in un certo senso, un bel sogno oggi concretizzato in un gruppo Facebook: Napoli Retrò, community che raccoglie oltre 8mila utenti del social network più famoso al mondo, che ogni giorno postano, a ciclo continuo, foto e immagini, dal seppia al bianco e nero, della Napoli che fu, quella dell’inaugurazione della funicolare centrale nel 1928 o della Bagnoli senza inquinamento e Italsider nel 1850, rigogliosa di orti e boscaglie.

DALL’800 ALLA GUERRA… – Un modo importante per riscoprire ciò che la città oggi sembra aver dimenticato: la propria storia: Napoli nell’800, con le sue carrozze e il suo Teatro San Carlo senza la Galleria Umberto, che verrà costruita solo a partire dal 1887; la Riviera di Chiaia senza scavi della metropolitana, col tram in sede centrale e Villa Comunale ancora degna dell’appellativo di Reale. Oppure Napoli durante la seconda guerra mondiale, quando la follia di Hitler veniva celebrata con drappi rossi recanti la svastica lungo tutto il colonnato di piazza Plebiscito. Nessuna apologia di aberrazioni passate: solo documentazione storica, di un passato a tratti esaltante, altri molto meno, ma comunque presente e in fermento nella carne viva della città. O, ancora, le foto della celebre rivista Life, da Fuorigrotta al panorama del Golfo, unite a quelle del Vomero prima della speculazione edilizia di Lauriana memoria, quando la collina era ancora patria di pascoli e terreni coltivati.

…ALLE CITAZIONI STORICHE – Non potevano poi mancare le citazioni storiche, quelle degli innumerevoli letterati e viaggiatori che, giunti a Napoli dal profondo Nord Europa, sono rimasti incantati dal clima e dallo stile di vita. Era il 1787, scrive un articolo, quando Goethe ammirava il riciclo dei rifiuti a Napoli, con gli scarti alimentari che venivano portati nei campi e utilizzati a mò di fertilizzante. Goethe è fra i più celebri, di certo non l’unico: da Roger Peyrefitte a Stendhal, da Lord Byron (che pure non lesinava giudizi critici sulla “plebaglia” che popolava piazza del Carmine, attuale piazza Mercato) a Percy Bysshe Shelley, fino a Lucio Dalla: gli aforismi su Napoli, il suo ricordo e la sua immagine sono impressi a caratteri indelebili nella mente di chi l’ha vissuta, anche solo per pochi giorni.
http://www.campaniasuweb.it

Maxiblitz anticamorra. 90 arresti a Napoli, Firenze e Roma. Sequestri per 250 milioni

Un'operazione per l'arresto di 90 persone accusate di far parte del clan di camorra dei "Contini" e per il sequestro di beni per 250 milioni di euro è scattata all'alba in Campania, Lazio e Toscana. L'operazione è coordinata dalla Direzione nazionale antimafia e dalle Direzione distrettuale antimafia di Napoli, Roma e Firenze.

L'inchiesta è la più vasta realizzata finora sul clan "Contini", ritenuto dagli investigatori fra quelli egemoni a Napoli e riguarda, in particolare, le operazioni di reinvestimento dei proventi economici di gruppi camorristici in imprese e operazioni economiche a Napoli e in altre zone della Campania, a Roma e in Toscana.

Polizia, Carabinieri e Guardia di finanza stanno eseguendo un'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Tribunale di Napoli contro 90 persone, decreti di sequestro emessi dal Tribunale di Firenze, dalla Dda di Napoli e, nell'ambito di una procedura di prevenzione, dal Tribunale di Roma. I provvedimenti riguardano beni immobili e aziende controllati dal clan.

Le indagini sono state coordinate dalla Procura nazionale antimafia guidata dal procuratore nazionale Franco Roberti e dirette dalla Dda di Napoli guidata da Giovanni Colangelo, da quelle di Roma per l'applicazione delle misure di prevenzione nella capitale e da quelle di Firenze per le perquisizioni e i sequestri relativi all'infiltrazione del clan camorristico nelle attività economiche e imprenditoriali toscane.

Le indagini sono state condotte dalla Squadra mobile della Questura di Napoli, dal Gico della Guardia di finanza del capoluogo campano, dai Carabinieri di Roma, dal Centro operativo di Roma della Direzione investigativa antimafia e dal Nucleo di Polizia tributaria della Guardia di finanza di Pisa.

Novanta arresti della Dia in tutta Italia, colpo al clan Contini
di Leandro Del Gaudio

Ci sono pizzerie e ristoranti accorsati a Roma ma anche in altre capitali internazionali, oltre a negozi di abbigliamento per marche griffate tra i beni sequestrati poche ore fa dalla Procura nazionale antimafia. Una maxinchiesta che punta a colpire il clan napoletano che fa capo a Edoardo Contini e a Patrizio Bosti (entrambi detenuti da tempo), ma anche un antico cartello camorristico radicato nella Capitale dalla fine degli anni Settanta e in rapporti altalenanti con la banda della Magliana.

Novanta persone arrestate a Napoli, oltre 250 milioni di euro di beni sequestrati (tra Napoli, Roma e altre città), una maxioperazione scattata all’alba in Campania, Lazio e Toscana, coordinata dalle Dda di Napoli, Lazio e Firenze, che sembra confermare il carattere internazionale assunto dal crimine organizzato napoletano, nella sua capacità di stabilire raccordi con altri contesti criminali e riciclare capitali provenienti da attività illecite.

Appena un anno fa, anche alcuni esponenti politici avevano lanciato l’allarme sulla camorra nelle pizzerie del centro di Roma (“la camorra siede a tavola”, era il titolo di alcune dichiarazioni), a proposito di ristoranti di origine e fortune sospette. Indagini della Dda di Napoli, coordinate dall’aggiunto Gianni Melillo e dai pm Marco Del Gaudio e Ida Teresi, decisivi gli accertamenti dei carabinieri del comandante provinciale Marco Minicucci e dei finanzieri agli ordini del comandante provinciale Nicola Altiero.


Le indagini sono state coordinate dalla Procura nazionale antimafia guidata dal procuratore nazionale Franco Roberti e dirette dalla Dda di Napoli guidata da Giovanni Colangelo, da quelle di Roma per l’applicazione delle misure di prevenzione nella capitale e da quelle di Firenze per le perquisizioni e i sequestri relativi all’infiltrazione del clan camorristico nelle attività economiche e imprenditoriali toscane.Un’inchiesta che ha consentito di ricostruire il flusso di denaro sporco, a partire dalle attività del clan di Edoardo Contini (non a caso definito ‘o romano), dalle estorsioni alla droga, per finire in negozi, ristoranti e boutique che, in alcuni casi, hanno conquistato spazi anche nel centro cittadino.

http://www.ilmattino.it

venerdì 17 gennaio 2014

Brucia rifiuti in un parcheggio, un arresto nel Casertano

Caserta. Un 44enne di Sant’Antimo, Carmine Crispino, è stato arrestato dai carabinieri della stazione di Gricignano mentre era intento, in un parcheggio pubblico di Orta di Atella, in via Bugnano, a bruciare un cumulo di rifiuti che aveva provocato un’intesa coltre di fumo.

In attesa dell’arrivo dei vigili del fuoco, i militari dell’Arma hanno adottato tutte le misure idonee a scongiurare il pericolo che le fiamme potessero propagarsi ulteriormente interessando altri cumuli di rifiuti. Gli stessi vigili del fuoco del distaccamento di Aversa, dopo aver domato le fiamme, hanno accertato la natura pericolosa dei rifiuti incendiati. L’arrestato è stato accompagnato alla compagnia carabinieri di Marcianise per gli accertamenti di rito e successivamente condotto nella propria abitazione agli arresti domiciliari, in attesa della convalida del provvedimento precautelare.

La misura dell’arresto in flagranza è stata recentemente introdotta dal decreto legge “Terra dei Fuochi” che ha previsto l’aggiunta dell’articolo 256-bis al decreto legislativo 152/2006 recante disposizioni circa il reato di “combustione illecita di rifiuti” e stabilisce pene da 3 a 6 anni di reclusione per chi viene sorpreso ad incendiare rifiuti pericolosi. Contestualmente, i carabinieri della stazione di Orta di Atella hanno esteso il sopralluogo all’intera area adibita a parcheggio ed hanno riscontrato la presenza di numerosi cumuli di rifiuti pericolosi. Di conseguenza è stata inoltrata al sindaco l’intimazione al rispristino dello stato dei luoghi, come previsto dal dl 152/2006.

E con questo salgono a tre gli arresti eseguiti dall’inizio dell’anno dai carabinieri del comando provinciale di Caserta per combustione illecita di rifiuti. Denunciate in stato di libertà 8 persone per reati che vanno dall’incendio di rifiuti alla gestione non autorizzata o smaltimento illecito di rifiuti. Appena cinque giorni fa i carabinieri della compagnia di Casal di Principe avevano arrestato due  cittadini tunisini per lo stesso reato.

La lotta a questa tipogia di reato ambientale da parte dei carabinieri di Caserta si è particolarmente inasprita già dagli ultimi mesi dell’anno scorso allorquando gli stessi militari dell’Arma ebbero a raccogliere i frutti di alcune attività investigative, durante le quali erano stati ripresi, con telecamere nascoste, sversamenti ed incendi che avevano dato origine ai cosiddetti “roghi tossici” nei comuni di Trentola Ducenta e di Casal di Principe; attività, queste, che permisero di individuare e denunciare ben 28 persone dedite all’attività illecita di sversamento di rifiuti ed arrestarne altre quattro per incendio di rifiuti.

Intanto, i carabinieri, assicurando che sarà altissimo il livello di attenzione sul fenomeno, invitano la popolazione a collaborare attraverso segnalazioni.
http://www.pupia.tv

Napoli. Clan e contraffazione, scatta l'operazione «Via della Seta»: 49 arresti

La Guardia di Finanza di Napoli sta eseguendo 49 ordinanze di custodia cautelare nei confronti di altrettante persone ritenute appartenenti a 6 diverse organizzazioni, tre delle quali gestite dai clan camorristici, operanti nella contraffazione di marchi delle più famose griffe. I militari hanno sequestrato circa 300 mila capi di abbigliamento, calzature e articoli di pelletteria, oltre a beni mobili, immobili, cassette di sicurezza, polizze assicurative e conti correnti per un valore di oltre 3 milioni. 

L'indagine, coordinata dalla direzione distrettuale antimafia di Napoli e denominata 'Via della Setà, ha consentito di individuare sei diversi gruppi criminali, ognuno con una propria identità e struttura, con attività in tutta Italia e, in particolare, in Abruzzo, Lombardia e Lazio. 

Tre di queste organizzazioni, secondo gli investigatori della Guardia di Finanza, erano gestite direttamente dai clan camorristici, che controllavano e finanziavano il traffico della merce contraffatta, indicavano la rete dei clienti ricettatori e reimpiegavano i proventi illeciti in altre attività economiche. In sostanza, secondo l'accusa, la camorra avrebbe creato una vera e propria holding che si occupava sia dell'importazione della merce dalla Cina sia della commercializzazione e della produzione della merce. 

Sempre secondo le indagini, le organizzazioni erano legate tra loro da una sorta di patto di mutua assistenza che spingeva i singoli membri ad aiutarsi per reperire le materie prime e i prodotti finiti e a collaborare alle operazioni gestite da persone appartenenti alle altre organizzazioni. Complessivamente sono state denunciate 76 persone e sequestrati 18 locali trasformati in fabbriche clandestini o depositi di merce e 442 macchinari per produrre il materiale contraffatto.
http://www.ilmattino.it

giovedì 16 gennaio 2014

Vendita di assicurazioni in mano al clan, i Ros: «La camorra riusciva a guadagnare 100 mila euro al giorno»

CASERTA - «Una polizza assicurativa falsa costava 70 euro per un acquirente, ma il clan dei Casalesi riusciva a guadagnare fino a 100 mila euro al giorno». Così, il colonnello dei Ros di Napoli, Giovanni Fabi questa mattina durante la conferenza stampa che si è svolta presso il comando provinciale dei carabinieri di Caserta. Ad affiancarlo, il comandante Giancarlo Scafuri e il maggiore Anfonso Pannone che hanno eseguito 17 arresti - su ordine della Dda di Napoli - nell'ambito dell'inchiesta sulla vendita delle false assicurazioni gestite dal gruppo criminale che fa capo al boss ergastolano Michele Zagaria, rinchiuso nel carcere di Parma.

Tra gli indagati ci sono anche funzionari di agenzie assicurative e colletti bianchi. Per gli inquirenti, a reggere le sorti del clan, nel periodo successivo alla cattura di Zagaria (avvenuta il 7 dicembre del 2011), era Michele Fontana detto 0'Sceriffo di Casapesenna, mentre i suoi vice erano Ulderico Ciccarelli, Giovanni Di Bernardo e Armando Zara che imponevano il pizzo ai vari negozi anche nel centro di Caserta, come quello gestito di fatto da un altro indagato in via San Carlo.

Che Fontana fosse il braccio destro di Zagaria lo dimostrano diverse intercettazioni ambientali, come quella del 31 agosto del 2011. Nell'auto di Ulderico Ciccarelli, la cimice piazzata dai carabinieri di Caserta intercetta una frase di Fontana a Ciccarelli: «Professore.. sto parlando seriamente...se quello - spiega Fontana- dice ma qua.. là…devi dirgli: Luigi.. ha detto così Michele Fontana: ....devi andare là!, ...Devi dire: «Se Fontana è Padre Eterno, devi andare un po’ là…». Carlo Russo...quello che vende la medicina al centro di Trentola… gli devi dire: devi venire un po’ assieme a me...andiamo là, vediamo le piante ci dice la medicina che ci dobbiamo fare e poi lo riaccompagni.. se quello dice .. ma qua, là... gli devi dire: Luigi Cassandra, forse non hai capito.. ora devi andare».

Elenco degli arrestati

BRUNO Vincenzo Bruno di Caserta, località Puccianiello
Dionigi Catena di Villa Literno
Ulderico Ciccarelli di San Cipriano d'Aversa
Nicola Coppola di San Cipriano d'Aversa
Maurizio D'Avino di Benevento
Giovanni Di Bernardo di Cesa
Nicola Di Luongo di Succivo
Giovanni Di Nardo di Giugliano
Giovanni Daniele Di Puorto di Casal di Principe
Michele Fontana di Casapesenna
Fioravante Garofalo di Casapesenna
Giuseppe Massimilla di Cancello e Arnone
Massimo Mincione di Macerata Campania
Luigi Moraca di Giugliano
Massimo Raccioppoli di San Tammaro
Luigi Sportiello di Giugliano
Armando Zara di Casapesenna

Camorra, blitz dei carabinieri. Colpo al clan degli Ascione-Papale: sei arresti

Sei persone ritenute affiliate al clan camorristico degli «Ascione-Papale», che opera nelle zone di Torre del Greco ed Ercolano, sono state arrestate dai Carabinieri di Torre del Greco in un'operazione scattata la scorsa notte.

I Carabinieri hanno eseguito un'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP di Napoli per associazione di tipo mafioso, estorsione, detenzione e porto illegale di armi da fuoco aggravati da finalità mafiose. 

Nel corso di indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, i Carabinieri hanno documentato l'attività del clan individuando presunto ruolo e compiti di ognuno degli indagati; inoltre hanno accertato estorsioni a imprenditori di Ercolano e scoperto che gli «Ascione-Papale» si erano approvvigionati di armi poi usate per la contrapposizione al clan rivale sul territorio, quello degli «Iacomino Birra».

Strappo di Harmont & Blaine: via da Napoli

di Maria Pirro

Una sfilata accende lo stile italiano nella Terra dei fuochi. Ma, nel giorno in cui Harmont & Blaine presenta la collezione autunno-inverno 2014-2015, l’amministratore delegato della società, Domenico Menniti, annuncia lo strappo: è pronto a trasferire il polo logistico dall’area Asi di Caivano oltre i confini nazionali. A Danzica, sulla costa del mar Baltico. «In Polonia, oppure in Romania» dice, spegnendo d’un fiato prospettive di sviluppo locali.

È l’ultima frontiera anti-crisi, l’Europa dell’Est: «Strategica». «Per la posizione, più centrale rispetto ai mercati internazionali», ragiona Menniti, per il costo inferiore del lavoro («qui si spende 29 euro l’ora di manodopera, quanto all’estero per una settimana») e, anzitutto, per superare gli ostacoli della burocrazia che rischiano di rallentare l’ascesa del marchio partenopeo. L’imprenditore punta dritto a triplicare il fatturato in tre anni, da 70 a 200 milioni, aumentando la produzione, con un ambizioso obiettivo: la quotazione in borsa nel giorno del suo compleanno, il 6 aprile 2017. E per farlo, spiega Menniti, è indispensabile ampliare la struttura: quindi chiede di ottenere in assegnazione nuovi suoli nella zona industriale del consorzio pubblico, dove ha già sede «testa» e «cuore» dell’azienda a conduzione familiare. Spazi inutilizzati, al momento, ma affidati ad altri in precedenza.

Da anni Menniti pungola la Regione Campania, ora sollecita impegni precisi: «Devo decidere dove investire, se qui o all’estero, queste sono le due opzioni possibili: spostare il polo logistico di 300 o 3000 chilometri non fa differenza, e non è un problema. Ma non ammetto speculazioni». In cantiere progetti che potrebbero segnare lo sviluppo, non solo della società, ma del territorio già martoriato. Se l’esercito è in arrivo sulle strade per fronteggiare l’emergenza roghi tossici, la rete di infrastrutture rimane un miraggio. Quanto a internet e connessione veloce: «Niente banda larga, ma neppure stretta» ironizza con amarezza. Situazione dei trasporti: «A un colloquio di assunzione è inutile convocare lavoratori senz’auto».

Eppure, aggiunge Menniti, «io preferirei restare qui ma non sono un eroe e non posso più aspettare».Basta ritardi o rinvii: «Entro l’anno devo decidere».

Harmont & Blaine ha 500 dipendenti, più di mille sono al lavoro nell’indotto. E a Caivano è concentrata la produzione di tutte le linee di abbigliamento e accessori, contraddistinti dal marchio del bassotto. La società conta oggi 69 boutique monomarca in Italia e 70 in altri 53 Paesi, dal Medio Oriente al Centro America. Le ultime aperture, quasi in contemporanea, ad ottobre 2013 Praga, Erbil (in Iraq) e Miami (Florida).

Le prossime: ad aprile 2014 il flagship a Mosca, per settembre la filiale negli Stati Uniti. E contatti sono in corso con personalità di primo piano del mondo della moda: un manager esterno guiderà l’espansione oltreoceano. Globalizzazione già ricercata nelle linee di abbigliamento, adatte al mercato italiano e internazionale: in passerella 70 uscite uomo donna e 26 bambini. Ma, sotto i riflettori, dopo la prima sfilata, c’è anche l’assessore regionale alle attività produttive e sviluppo economico Fulvio Martusciello che, nel riaffermare l’impegno istituzionale, annuncia un piano di investimenti in due fasi, a sostegno delle imprese campane, fondi per oltre 400 milioni. Non solo: «In base ai recenti provvedimenti adottati - chiarisce - per l’area Asi è possibile procedere all’assegnazione dei suoli». Significa che «Menniti può fare la domanda».

Allarga le braccia l’ad di Harmont & Blaine, «pronto a verificare» la fattibilità di questa strada e intanto guarda soddisfatto al fatturato, in aumento: 53,3 milioni nel 2011, 60,3 milioni nel 2012, 70 milioni nel 2013. All’orizzonte una ulteriore crescita «di almeno 12 milioni nel 2014. Per volare alto», vicino o lontano.

mercoledì 15 gennaio 2014

Camorra, la Dia sequestra beni per due milioni di euro ai Casalesi

NAPOLI - Beni per oltre 2 milioni di euro sono stati sequestrati e confiscati dalla Direzione investigativa antimafia di Napoli a esponenti del clan di camorra dei Casalesi. Si tratta di terreni, immobili e autovetture. I provvedimenti sono stati eseguiti su decisione della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (Caserta).

I tre provvedimenti di sequestro per un valore di circa due milioni di euro hanno riguardato Massimiliano Caterino, ritenuto interno al gruppo Zagaria e colpito da un'ordinanza restrittiva per associazione camorristica nel 2006, Remolo Simeone, ritenuto un elemento di spicco dell'organizzazione bidognettiana, accusato di essere l'autore dell'omicidio di Giuseppe Della Corte, assassinato il 29 aprile del '96 a Casaluce (Caserta), e Raffaele Della Valle, dapprima inserito nella Nco di Raffaele Cutolo e successivamente transitato nel gruppo dei Caslesi, Zagaria-Biondino-De Simone. 

Un provvedimento di confisca dei beni ha interessato invece Bernardo Cirillo, cugino di primo grado di Francesco Bidognetti, il boss conosciuto come 'Cicciotto e mezzanottè. A Caterino sono stati sequestrati due appartamenti e un'auto, a Simeone dei terreni ed una villa, a Della Volpe dei terreni, un capannone industriale ed un altro immobile rurale mentre la confisca che ha colpito Cirillo interessa un villino, un terreno ed un'auto.
http://www.ilmattino.it

Camorra, imponevano società di vigilanza di commercianti a Caserta: 12 fermati

CASERTA - Dodici persone accusate di essere affiliate alla fazione Bidognetti del clan di Camorra dei Casalesi sono state sottoposte a fermo dai carabinieri di Aversa (Caserta) in un'operazione scattata all'alba. I militari hanno eseguito un decreto di fermo emesso dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli per i reati di associazione di tipo mafioso, estorsione, porto e detenzione di armi, illecita concorrenza con violenza o minaccia, tutti aggravati dal metodo mafioso.

I carabinieri di Aversa hanno fermato 12 persone ritenute affiliate alla famiglia camorristica casertana dei Di Cicco che, secondo quando emerso nel corso di indagini coordinate dalla DDA di Napoli (pm Sirignano e Conzo), imponevano una società di vigilanza a loro vicina ai commercianti di Lusciano (Caserta).

La famiglia camorristica Di Cicco, in passato vicina alla NCO di Raffaele Cutolo e in contrasto con il clan dei Casalesi, successivamente è confluita nella fazione Bidognetti del clan del cemento, dalla quale ha ricevuto l'ok per operare nel Casertano, nella zona di Lusciano.Giuseppe Di Cicco è stato fermato la scorsa notte dai carabinieri in provincia di Pavia, in un appartamento di Bressana un comune dell'Oltrepò.
http://www.ilmattino.it

Clan Mallardo, sequestrati beni per 44 milioni tra Campania e Lazio

Napoli. Beni mobili e immobili, per oltre 44 milioni di euro, riconducibili al clan Mallardo di Giugliano (Napoli) sono stati sequestrati dal Gico della Guardia di Finanza di Roma in Campania e Lazio.

L'operazione segue a pochi mesi dai sequestri eseguiti nei confronti dei fratelli Dell'Aquila prima e dei fratelli Ascione. Martedì mattina sono stati posti sotto sequestro beni riconducibili agli imprenditori Michele Palumbo, Angela Sequino e Francesco Biagio Russo, ritenuti stretti fiduciari del capoclan Feliciano Mallardo, indiziati di aver organizzato, nel Lazio, una cellula camorristica federata con il clan napoletano, per conto del quale avrebbero reimpiegato i proventi delle molteplici attività delittuose.
Gli accertamenti patrimoniali hanno permesso di ricostruire un vero e proprio gruppo imprenditoriale, composto da diverse società, attraverso le quali i destinatari dei provvedimenti avrebbero effettuato molteplici e ingenti investimenti, principalmente nel settore delle costruzioni edilizie nonché in quello della distribuzione di combustibile per uso domestico.

Anche grazie alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, è stato svelato un “sistema dei mutui” utilizzato per effettuare gli investimenti camorristici, volto non solo a dare un'apparente regolarità agli investimenti effettuati che, altrimenti, non avrebbero trovato giustificazione sotto il profilo economico ma, soprattutto, a schermarli e giustificarli, preservandoli da eventuali provvedimenti ablativi. In pratica, il mutuo veniva acceso soltanto per creare una giustificazione apparentemente lecita all'apporto di denaro liquido. Tale operatività ha consentito alle persone coinvolte, ai loro sodali e ai soggetti giuridici dagli stessi diretti, di mimetizzarsi abilmente con il tessuto sociale ed economico legale, soprattutto in quelle zone situate nell'area nord-est della Capitale, dove non si registravano situazioni di particolare allarme sociale connesse alla criminalità organizzata, realizzando una effettiva commistione tra l'economia lecita e quella illecita.

Come dimostrato dalle investigazioni delle fiamme gialle, sono stati infatti effettuati significativi investimenti immobiliari/edilizi, soprattutto nell'area della capitale e nei comuni a ridosso della stessa (Fonte Nuova, Mentana, Guidonia Montecelio, Monterotondo e Sant'Angelo Romano), oltre che in alcuni comuni della provincia di Napoli, servendosi di soggetti giuridici spesso intestati a prestanome. Attività che hanno consentito alla “holding” criminale di accumulare un ingente patrimonio mobiliare e immobiliare, del tutto incongruente con il modesto profilo reddituale emergente dalle dichiarazioni dei redditi.

Nel patrimonio sequestrato figurano anche otto società, con sede nelle provincie di Roma e Napoli, di cui quattro operanti nel settore della costruzione di edifici, una in quello della compravendita di immobili, tre nel commercio al dettaglio di combustibile per uso domestico e 152 unità immobiliari (fabbricati e terreni), situate a Roma e nelle provincie di Roma, Napoli e Caserta.
http://www.pupia.tv

New York Post: «Il consolato Usa di Napoli utilizzato come garconniere»

Secondo una denuncia al tribunale di Brooklyn, l’ex console Donald Moore avrebbe manipolato i rimborsi spese ed usato la sede diplomatica per portare a letto dipendenti e prostitute.

Scandalo al consolato generale americano a Napoli. Secondo una denuncia al tribunale di Brooklyn di cui dà notizia il New York Post, l’ex console generale Donald Moore avrebbe trasformato la sede diplomatica in una sorta di “garconniere”, portato a letto dipendenti e prostitute, manipolato i rimborsi spese e messo consapevolmente in tavola carne andata a male durante una cena con un collega britannico. Moore ha lasciato la scorsa estate il posto al consolato. È stato assegnato all’Air War College di Montgomery, Alabama.

L’ACCUSA – Le accuse, per la verità assai disparate, sono contenute in un’azione legale contro il Dipartimento di Stato per cover-up e discriminazione: l’ex dipendente del consolato Kerry Howard sostiene che il console Moore avrebbe dato alle sue visitatrici i codici segreti di accesso notturni al consolato, spiegando ai sottoposti che «le donne sono come caramelle, vanno scartate e buttate via».

CHIESTI 300.000 DOLLARI DI DANNI – La Howard, che vive tuttora a Napoli, nomina il segretario di Stato John Kerry come unico destinatario della causa in cui chiede 300mila dollari di danni: a suo avviso Moore l’avrebbe vessata al punto di spingerla alle dimissioni dopo che lei aveva tentato di denunciare il suo comportamento ai superiori.
http://www.campaniasuweb.it

martedì 14 gennaio 2014

Sant'Antimo. Padre e figlio arrestati: coltivavano erba nella loro mansarda

Arcangelo e Francesco Cappuccio. A destra l'operazione dei carabinieri

SANT'ANTIMO. I carabinieri della tenenza di Sant’Antimo, nel corso di indagini antidroga, hanno fatto irruzione nell’abitazione in via bruno giordano di Arcangelo e Francesco Cappuccio, 55 e 26 anni, padre e figlio, entrambi già noti alle forze dell'ordine per reati in materia di droga. Si erano industriati per “gli affari” e nella mansarda sopra la loro abitazione avevano realizzato una vera e propria serra per la coltivazione in grande stile di cannabis, senza risparmio nell’acquisto di materiali e di costante attenzione. Alla ricerca della massima e buona produzione la serra era stata realizzata per fare in modo che vi fossero riprodotti i ritmi giorno-notte e che vi fossero temperatura e umidità costante. Non potendo rischiare che l’eventuale discontinuità nella fornitura di energia elettrica potesse rovinare o modificare la qualità delle piante e, conseguentemente, del raccolto, i due avevano anche fatto in modo che vi fosse continua alimentazione elettrica alle attrezzature dedicate alla produzione di “erba” di buona qualità. 

Dopo aver avuto modo di rilevare nel corso di servizi di controllo del territorio che nella casa venivano trasportati quantitativi di fertilizzanti incongruenti con una semplice abitazione e tenuto conto dei “trascorsi” dei due, i militari dell’arma hanno organizzato la perquisizione a sorpresa. Dopo aver circondato l’edificio i carabinieri hanno fatto irruzione e bloccato padre e figlio procedendo all’ispezione dell’abitazione. nella mansarda il rinvenimento di 73 piante di cannabis messe a crescere, per un peso complessivo di circa 10 chilogrammi, altre piante, che avevano già raggiunto la massima concentrazione di principio attivo, messe a essiccare in attesa del successivo confezionamento e, anche, come detto, ventilatori, stufe, lampade riscaldatrici, un termometro. Ben 9 gruppi di continuità per l’erogazione costante di energia elettrica. I due sono stati tratti in arresto per coltivazione di cannabis e tradotti nella casa circondariale di Poggioreale. Tutto il materiale e la mansarda sono stati sequestrati.

domenica 12 gennaio 2014

Sant’Antimo e Melito. Hashish e marijuana: 37enne in manette

SANT'ANTIMO. I carabinieri della compagnia di Giugliano, insieme a colleghi del 10° battaglione Campania, durante un servizio di contrasto allo spaccio di droga in due distinte operazioni hanno: a Sant’Antimo, arrestato per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti Massimo Esposito di 37 anni, residente sul Corso Toscanini, già noto alle forze dell'ordine poiché trovato in possesso di 24 grammi tra marijuana e hashish suddivisa in 9 dosi. A Melito, invece, in via Lussemburgo, all’interno di un vano ascensore di un palazzo di edilizia popolare, hanno rinvenuto 77 dosi di hashish per un peso complessivo di 560 gr e 168 dosi di marijuana per un peso complessivo di gr. 120. L’arrestato è stato tradotto al carcere di Poggioreale.

giovedì 9 gennaio 2014

Napoli, contro il racket del ‘caro estinto’: così sconfiggiamo la camorra

di Luigi De Magistris

La mafia la sconfiggi con le piccole cose. Anche garantendo un servizio funebre comunale. Ed è quello che abbiamo fatto a Napoli, approvando una nuova delibera che istituisce un servizio funebre pubblico, a prezzi contenuti. Una delibera che, di fatto, liberalizza un settore bloccato, influenzato da monopolisti e che, purtroppo, nonostante i tanti imprenditori per bene, era al centro di corruzione e di interessi camorristici.

Può esistere lo Stato senza la mafia, infatti, ma non viceversa. La mafia ha bisogno di uno Stato complice, di funzionari infedeli che garantiscano a certi settori rendite d’oro, protezioni e privilegi. Per sconfiggere le mafie, allora, dobbiamo far rispettare regole uguali per tutti, liberando l’economia dai cartelli criminali e dagli accordi sottobanco, favoriti dai colletti bianchi corrotti e da imprenditori senza scrupoli. La mafia prospera in settori “protetti”, dove la competizione non c’è, e dove il mafioso ha tutto l’interesse a “occupare” certe attività economiche proprio perché garantiscono profitti d’oro, senza rischi d’impresa, e con investimenti bassissimi. L’attività economica del mafioso, quando non strettamente parassitaria e legata all’estorsione, si concentra in settori dove è facile creare fruttuose rendite monopolistiche e, attraverso la minaccia o l’uso della violenza criminale, mette fuori gioco i competitor, che o sono costretti a fare cartello col mafioso di turno o che direttamente gli cedono l’impresa. Ma, come in ogni fallimento della competizione e del mercato, perché la cricca monopolistica e mafiosa incominci a fare affari, è necessario che chi è preposto a dettare e far rispettare le regole – la politica -, o ne scriva di sbagliate per “dare un aiuto agli amici degli amici” che garantiscono voti o, semplicemente, le disapplichi, sempre in vista di uno scambio di favori.

Ecco perché, se lo Stato decide di non fare favori, la mafia scompare. Ecco perché la mafia è interessata a quei settori dove è facile creare monopoli. Il business della camorra si annida dove si erogano servizi indispensabili, come le pompe funebri o il traffico dei rifiuti: perché tutti moriamo e tutti produciamo rifiuti. E per le ditte di quei settori, ci sarà sempre domanda. Allora, per mettere fuori gioco le mafie, dobbiamo aprire i mercati chiusi e far rispettare poche e chiare regole.

Da sindaco, ho subito deciso che per liberare dalla malavita quei settori, era necessario “scassare i monopoli”. A Napoli, l’abbiamo fatto subito nella gestione dei rifiuti, dove praticamente tutte le imprese che lavoravano per il Comune di Napoli quando sono diventato sindaco erano state oggetto di interdittiva antimafia: il business della monnezza era giunto a un punto di non ritorno, con le foto delle montagne di rifiuti in strada che avevano fatto il giro del mondo. A mali estremi, estremi rimedi. Due anni fa, così, abbiamo scelto di “internalizzare” il comparto rifiuti, recidendo tutti gli appalti privati alle ditte sospettate di contiguità opache, e abbiamo sostituito al monopolio privato il monopolio pubblico.

Una scelta che, alla prova dei fatti, è stata efficace non solo per cacciare la camorra dal Comune, ma anche per abbattere i costi di conferimento, oggi più bassi rispetto alla gestione privata. A riprova che c’era un “cartello” ai danni della collettività.

Diversa la situazione, oggi, del settore funebre, dove siamo intervenuti con una delibera licenziata pochi giorni fa. Abbiamo deciso di scardinare quel monopolio, entrando nel mercato e offrendo un nostro servizio comunale. Una cosa apparentemente semplice eppure rivoluzionaria, perché abbiamo dovuto trovare le risorse. Oggi, ci stiamo riuscendo. Dando una mano ai cittadini che vogliono imprese pulite e sostenendo le tante imprese pulite che sono state messe alla corda dalla camorra.

Il nostro servizio comunale cimiteriale costerà la metà di quello erogato in media dai privati.

E i tanti privati onesti, magari allontanati dal settore con minacce e ritorsioni – il celebre business del “caro estinto” -, potranno tornare in gioco e fare la loro offerta.
http://www.ilfattoquotidiano.it

Gerardo D’Arminio: il carabiniere ucciso dalla camorra che non dobbiamo dimenticare

La storia del Maresciallo ucciso il 5 gennaio 1976 ad Afragola non la racconta quasi più nessuno. Eppure D’Arminio fu tra i pochi che ebbero il coraggio di indagare diffusamente sul traffico di droga e tabacco, all’epoca business molto floridi dei clan camorristi.

Era il giorno prima della Befana: 5 gennaio 1976. I negozi erano ancora affollati, all’epoca i regali li portava la vegliarda sulla scopa, non Babbo Natale. E così era anche per la famiglia D’Arminio, quando il Maresciallo dei carabinieri Gerardo prese per mano il figlio di quattro anni, Carmine, per condurlo in un negozio di giocattoli. Erano da poco passate le nove di sera e piazza Gianturco ad Afragola, pieno centro della cittadina, era ancora in frenetica attività. Arriva una Fiat Cinquecento Gialla, a bordo ci sono tre esponenti del clan Moccia: Luigi, Antonio e Vincenzo. Un fucile a canne mozze esce dal finestrino, vengono sparati alcuni colpi che raggiungono il Maresciallo D’Arminio al collo e a una spalla. Il sangue schizza via, la gente corre via urlando, il piccolo Carmine non capisce subito cosa è appena successo. Pochi secondi per distruggere la vita di un’intera famiglia e per dare un segnale di totale prepotenza: qui comandiamo noi dei Moccia, nemmeno i carabinieri possono ficcare il naso dove non devono.



LE INDAGINI – I ’70 sono anni floridi per il contrabbando di sigarette e il traffico di droga. La mafia in Sicilia e la camorra in Campania vivono soprattutto di questo, un business che frutta miliardi di lire al mese. Gerardo D’Arminio arriva ad Afragola da Montecorvino Rovella, paesino in provincia di Salerno. Aveva comandato la stazione dei carabinieri di Afragola, poi fu trasferito a Napoli, alla caserma Pastrengo, ma rimanendo ad abitare in provincia perché nel capoluogo le case erano troppo care. La storia è raccontata anche nel libro di Raffaele Sardo “Al di là della notte”, dove scopriamo un D’Arminio ligio al dovere, preciso, scrupoloso, destinato a una grande carriera nelle file dell’Arma. Una carriera stroncata lì, nei pressi di un negozio di giocattoli in piazza Gianturco ad Afragola, dove oggi giace una lapide cui si butta un’occhiata rapida e quasi indifferente, chiedendosi chi mai sia questo Maresciallo D’Arminio.

L’OMICIDIO – Era colui che dirigeva il nucleo antidroga; colui che scoprì il canale attraverso cui si importava eroina dal Perù, passando per Francoforte e Milano; colui che mise le manette ad Antonio Ammaturo, boss di quella cosca camorrista che aveva fatto del traffico di stupefacenti un affare inarrestabile e internazionale. Dava troppo fastidio, e allora fu deciso che doveva togliersi di mezzo, lasciare chi di dovere a fare i propri affari senza troppi pensieri. Dell’omicidio di autoaccusò il più piccolo dei Moccia presenti in macchina quella sera, Vincenzo detto “Angioletto”, all’epoca dei fatti diciassettenne. Dapprima testimoniò che si era trattato di uno sbaglio, la vittima designata non era D’Arminio bensì un certo Luigi Giugliano: il Maresciallo era stato colpito per errore. Versione che non convinse gli inquirenti, i quali non tardarono a scoprire i veri motivi dell’agguato. La minore età, in presenza di un omicidio e di una falsa testimonianza, non evitò il carcere ad “Angioletto”: diciassette anni poi ridotti a undici per buona condotta. Uscito di galera fu ucciso da un commando armato nell’ambito di una faida di camorra.

IL RICORDO - «Ricordare questa vicenda, oggi, ha quindi un duplice valore – dichiarano da Presidio Libera di Casoria e Afragola – serve sia per ricordare  l’importanza del gesto del maresciallo D’Arminio, assolutamente sconosciuto alla stragrande maggioranza delle nuove generazioni (proprio perché nella nostra città “smemorata”, non c’è mai stata una vera cultura dell’antimafia), sia per invocare  una dimensione sociale e collettiva dove certi valori democratici  riescano  a decostruire quella sottocultura da guapperia. Cambiare la mentalità è il primo passo per cambiare le cose».
Enrico Nocera

Concorso sul web, la foto del Vesuvio dallo spazio è la più bella al mondo

Il «Monte Vesuvio» visto dal satellite ha vinto il concorso fotografico promosso su Facebook dalla società DigitalGlobe, specializzata in immagini scattate dallo spazio.



Vai al sito ufficiale

Al secondo posto l'Isola dell'amore, in Croazia.


Come si legge sul sito ufficiale, in 28 giorni ben 30mila persone hanno votato gli scatti provenienti da ogni angolo del mondo. Tra gli scatti in gara anche la reggia di Versailles, Aleppo, il vulcano Manam in Papua Nuova Guinea e il fiume Colorado.

Sant'Antimo. Si spara un colpo alla tempia: si toglie la vita un 87enne

SANT'ANTIMO. Si sarebbe sparato un colpo di arma da fuoco alla tempia. L'uomo di 87 anni è stato ricoverato all'ospedale Cardarelli di Napoli, però, è spirato dopo un paio d'ore. E' la vicenda accaduta a Sant'Antimo ieri, nel primo pomeriggio. Si chiamava Antonio Angelino e abitava in Via degli Oleandri, nel comune a nord di Napoli. Secondo la ricostruzione effettuata dagli inquirenti, l'uomo si trovava in camera da letto, quando avrebbe puntato l'arma alla tempia e avrebbe fatto fuoco. Quando è accaduto, però, l'uomo era solo in casa. I parenti non riescono a darsi una spiegazione. Secondo loro, infatti, l'anziano non aveva mai dato segni, in passato, di poter compiere un gesto simile. Quando si sono accorti di quello che era appena successo, si sono messi in auto e lo hanno accompagnato presso l'ospedale Cardarelli di Napoli. Ma due ore dopo il ricovero, Antonio è deceduto per la grave ferita riportata alla testa

Catturato il boss di Caivano Domenico Ciccarelli

Si nascondeva in un'abitazione ad Orta di Atella Domenico Ciccarelli, ritenuto capo del clan Ciccarelli-Russo di Caivano. Le Squadre Mobili di Roma e Caserta hanno rintracciato e arrestato in un'operazione congiunta il 41enne pregiudicato, latitante dall'aprile del 2013. E' tra i protagonisti di una sanguinosa faida con i Natale-Marino per il controllo delle piazze di spaccio nel comprensorio e in particolare nel “Parco Verde”. Al momento della cattura, è finita in manette anche Giovanna Natale, 32 anni, con l'accusa di favoreggiamento personale e procurata inosservanza di pena

IL GENERO - Ciccarelli è suocero del latitante Raffaele Dell'Annunziata, 24 anni, destinatario di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip di Roma per concorso nell'omicidio di Modestino Pellino, pregiudicato con obbligo di soggiorno a Nettuno (Roma), ritenuto affiliato al clan camorristico dei Moccia di Afragola, assassinato a colpi d'arma da fuoco proprio a Nettuno il 24 luglio 2012.

Sant'Antimo: Sorpresi con hashish e marijuana due giovani in manette

SANT'ANTIMO. I carabinieri della locale tenenza, hanno arrestato per detenzione di stupefacenti a fini di spaccio Nicola Di Giuseppe di 21 anni, residente in Via dello Sspirito Santo, già noto alle forze dell'ordine e Fioravante Fabozzo di 22 anni, del luogo, incensurato. Durante i controlli, i militari dell’Arma in via dello Spirito Santo, hanno perquisito un appartamento utilizzato dai due giovani, trovandoli in possesso, complessivamente, di 26 grammi di marijuana e hashish, di vario materiale per il confezionamento dello stupefacente e di 76 euro in denaro contante, ritenuti provento dell'attività illecita. Di Giuseppe è stato tradotto nel carcere di Poggioreale mentre Fabozzo è stato accompagnato nella sua abitazione agli arresti domiciliari a disposizione dell’autorità giudiziaria.
http://www.internapoli.it

«Ho denunciato la camorra, non lavoro più»: drammatico racconto di un testimone di giustizia

di Leandro Del Gaudio e Maria Pirro

Quando va da un fornitore, gli chiudono le porte in faccia. Fisicamente. E neanche gli spiegano perché.

Si limitano a negargli anche lo sguardo, ad alzare le spalle, senza troppi convenevoli. Funziona più o meno così anche al di fuori della sfera lavorativa, anche quando prova ad entrare in un bar o in un esercizio commerciale, trova sempre lo stesso clima: gelo, indifferenza, odio, «come se fossi un appestato». Chi è che parla? Chi prova a raccontare la sua storia, chiedendo anonimato? Qui nella redazione della Mattino, c’è un testimone di giustizia, merce rara a Napoli, un imprenditore che ha avuto il coraggio di denunciare estorsori, usurai, camorristi. Chiede attenzione sul suo caso, forte di una serie di riscontri processuali ritenuti preziosi dagli stessi inquirenti della Dda di Napoli. Grazie alle sue accuse, sono arrivate decine di arresti a carico di esponenti della camorra di Barra, quelli del clan Guarino, Cuccaro, Celeste, da tempo protagonisti di una sanguinaria faida per il controllo della periferia orientale.

Vive da tempo sotto scorta, alcuni componenti della sua famiglia hanno accettato di lasciare Napoli e di vivere in località protetta, dopo una clamorosa serie di intimidazioni: pochi mesi fa, una bomba fece saltare in aria un’auto usata da una parente, mentre la sorella è stata aggredita e malmenata da donne ritenute riconducibili a boss della camorra colpiti da denunce mirate.

Omertà, indifferenza attorno al testimone di giustizia, che - dal canto suo - non ha rinunciato a vivere nella sua terra, né ha intenzione ad abbandonare il suo lavoro: «Ho chiesto di vivere dove sono nato - ha spiegato al Mattino -, di poter continuare a lavorare. Ho denunciato estorsori e usurai, ho puntato l’indice contro camorristi che sono stati arrestati e condannati in primo grado. Tutte le mie dichiarazioni sono state passate al vaglio degli inquirenti e dei giudici, che le hanno sempre ritenute attendibili alla luce di accertamenti di polizia giudiziaria».