martedì 9 luglio 2013

scacco al clan Gionta

8 arresti per 5 omicidi tra il '98 e il 2005

Le esecuzioni avvennero nell'ambito della faida tra la famiglia camorrista e quella dei Limelli-Vangone a Torre Annunziata

Otto uomini sono stati arrestati dai carabinieri con l'accusa di avere commesso cinque omicidi tra il 1998 e il 2005. Si tratta di appartenenti al clan Gionta, storica cosca di Torre Annunziata. 

Le indagini sono state condotte dai pm della Direzione distrettuale antimafia di Napoli e affidate ai carabinieri del comando provinciale di Napoli. I militari hanno eseguito un'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip presso il Tribunale di Napoli su richiesta del procuratore aggiunto Giovanni Melillo.

Gli otto indagati sono ritenuti responsabili, in qualità di mandanti ed esecutori materiali dei cinque omicidi avvenuti tra il 17 aprile 1998 e il 2 settembre 2005, nell'ambito della faida tra il clan Gionta e il clan Limelli-Vangone. Gli arrestati sono Liberato Guarro di 47 anni, Giovanni Iapicca 41, Gennaro Longobardi 50, Giovanni Maresca 42, Umberto Onda 42, Antonino Paduano 46, Michele Palumbo 45 e Vincenzo Pisacane 56.

lotta ai casalesi

Imponevano il caffè nel Casertano: arrestati
CASERTA. I carabinieri della compagnia di Casal di Principe, coordinati dalla Dda di Napoli, hanno arrestato Paolo Pietro Venosa, 42 anni, e Daniele Costagliola, 35 anni, per estorsione continuata e di illecita concorrenza, aggravati dal metodo mafioso.
Secondo gli investigatori, i due, a partire dal gennaio 2013 e con condotta perdurante, minacciando i gestori di diversi esercizi pubblici dell’agro aversano e avvalendosi della forza intimidatrice determinata sul territorio dall’organizzazione camorristica del clan dei casalesi, avrebbero costretto i commercianti ad acquistare una determinata marca di caffè, a condizioni economiche meno vantaggiose di quelle offerte dal precedente fornitore.

Il precedente fornitore di caffè veniva così estromesso dalle forniture e era costretto a subire l’ulteriore danno dell’impiego delle proprie apparecchiature - date in uso all’esercente - per la preparazione del caffè. Tale attività illecita garantiva, come dichiarato da alcuni collaboratori di giustizia,  importanti entrate economiche nelle casse del sodalizio dei casalesi della fazione Venosa. Gli indagati, infatti, secondo quanto è emerso dalle indagini, costringendogli esercenti di San Cipriano e dei  paesi limitrofi ad acquistare, con cadenza mensile, e a prescindere dall’effettivo consumo, una confezione 50 cialde di miscela di caffè, conseguivano un profitto mensile di circa 15mila euro.

Nel corso dell’operazione sono state anche eseguite perquisizioni in torrefazioni di caffè dell’agro aversano, finalizzate ad accertare l’eventuale coinvolgimento dei loro titolari nell’attività criminale. E’ da evidenziare che durante le indagini si è registrata la collaborazione di diversi commercianti della provincia di Caserta, che hanno così manifestato di aver acquistato fiducia nelle istituzioni, iniziando a denunciare gli episodi di cui erano stati vittime.

Camorra, sequestrate case-bunker a fedelissimo di Zagaria (08/07/2013)
CASERTA. Appartamenti e altri beni, per un valore di 1,5 milioni di euro, sono stati sequestrati a Massimo Di Caterino, ritenuto elemento di spicco del clan dei casalesi e luogotenente del boss Michele Zagaria.
Di Caterino, 41 anni, alias “’O Pistuol”, fu arrestato proprio a Francolise, nella frazione di Sant’Andrea del Pizzone, dalla mobile casertana, il 6 ottobre scorso, insieme ad un fiancheggiatore, Massimiliano Iossa, 35 anni, operaio, che ne aveva curato l’ultimo periodo della latitanza, per spostamenti e sostentamento.
Al momento dell’irruzione faceva immediatamente seguito un’attenta perquisizione di tutto l’immobile, nel corso della quale il latitante veniva scovato all’interno di una stanza adibita a camera da letto, il cui portoncino in legno era chiuso a chiave dall’interno, in compagnia della moglie. La stanza era posta sul lato destro del cortile e presentava un bagno immediatamente all’esterno del portoncino d’ingresso, lato destro.
Per quanto riguarda gli interni, la camera era in perfetto stato d’uso con un letto matrimoniale, tre lettini singoli pieghevoli, un camino, armadi con vestiti, una macchinetta per caffè a cialde e un box doccia dal quale si accedeva al nascondiglio con un telecomando, trovato in possesso del ricercato. Venivano trovati e sequestrati anche un’arma da fuoco, con relativo munizionamento, somme di denaro, “pizzini” ed altro materiale di indubbio interesse investigativo.
Di Caterino era irreperibile dal 2010 quando fu emessa nei suoi confronti un’ordinanza di custodia cautelare per associazione mafiosa, estorsione e altri reati. In quell’occasione riuscì a sfuggire all’arresto, mentre vennero catturati alcuni suoi congiunti e imprenditori vicini al clan. L’operazione mise in evidenza la rete di protezione di cui beneficiava Michele Zagaria, all’epoca latitante da oltre 14 anni.
Successivamente alla cattura di Di Caterino, la magistratura antimafia delegava il Gico della Guardia di Finanza di Napoli e la mobile di Caserta accertamenti patrimoniali da cui emergeva un’evidente sproporzione  tra i redditi dichiarati da Di Caterino e dagli appartenenti al suo nucleo familiare e il valore di mercato di vari immobili, alcuni abusivi, elegantemente arredati, che erano nella loro disponibilità. Si tratta di 11 unità immobiliari situate a Casal di Principe, San Cipriano d’Aversa e Orta di Atella, un terreno, tre autovetture e rapporti bancari.
Nelle abitazioni di San Cipriano e Orta di Atella, tra l’altro, erano stati realizzati due nascondigli, abilmente occultati e azionati da telecomandi, utilizzati da Di Caterino durante il periodo di latitanza.
Dalle indagini è emerso il ruolo di altre due persone, Crescenzo e Francesco Di Letto, rispettivamente amministratore e socio di una concessionaria di auto Peugeut, “Mida Cars srl”, con sede a Frattaminore (Napoli), indagate per favoreggiamento personale con l’aggravante mafioso di aver favorito Di Caterino, consegnandoli somme di denaro, giustificate quali corrispettivi di un rapporto di lavoro, secondo gli investigatori, rivelatosi fittizio.

lotta al clan Mallardo

Camorra, sequestrati beni per 50 milioni ai Mallardo (8/7/2013)
NAPOLI. Ammonta a oltre 50 milioni di euro il valore dei beni sequestrati, lunedì mattina, al clan Mallardo di Giugliano (Napoli).
L’operazione “Bad Brothers 2”, eseguita dalla Guardia di Finanza di Roma tra Lazio, Campania, Sicilia e Calabria, riguarda centinaia di unità immobiliari, concessionari di auto e uno stabilimento balneare. Beni nella disponibilità dei fratelli Michele, Giuliano e Luigi Ascione (da qui il nome dell’operazione, “Fratelli cattivi”, indiziati di contiguità con i Mallardo.
Dalle indagini (coordinate dai pm della Procura di Roma Lina Cusano, Maria Cristina Palaia e Barbara Sargenti) è emersa la costante ed inarrestabile ascesa, nella provincia di Latina, dei fratelli Ascione, che in alcuni anni erano diventati i re della vendita di auto usate.
E’ la seconda operazione, nel giro di un mese, contro il clan Mallardo. Lo scorso 19 giugno furono sequestrati beni, per 65 milioni di euro, tra alberghi, ristoranti, concessionari di auto e oltre 170 immobili, ai fratelli Dell’Aquila, anch’essi ritenuti contigui al clan camorristico dell’hinterland a nord di Napoli.
Oltre alla rivendita di auto usate gli affari del clan, andavano oltre al finanziamento del traffico di sostanze stupefacenti, anche al controllo delle attività economiche di rilievo (attività edilizia, appalti pubblici, forniture pubbliche, commercio all'ingrosso). Gli Ascione - secondo gli investigatori della Gdf - hanno costituito, di fatto, uno stabile e ben ramificato “sodalizio criminale”, strategicamente inserito in un “sistema criminogeno” di più ampia portata. Il legame tra gli Ascione e il clan Mallardo risale alla fine degli anni ‘80.
Le dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia, come Gaetano Vassallo, Salvatore Izzo e Massimo Amatrudi, hanno completato il quadro. Più precisamente – spiegano gli inquirenti – i collaboratori hanno indicato i fratelli Ascione come membri del clan, direttamente legati ai capiFrancesco e Giuseppe Mallardo. Proprio in virtù di questi ‘collegamenti’, gli Ascione operavano in collaborazione con Domenico Dell'Aquila, alias “Menicuccio”, con il quale sono diventati soci in affari, sempre nel settore del commercio di autoveicoli. Partendo da qui le Fiamme gialle hanno sviluppato circa 100 accertamenti economico-patrimoniali, “nei confronti di altrettante persone fisiche e giuridiche, finalizzati all’aggressione dei patrimoni illecitamente accumulati”.
Ad insospettire gli inquirenti è stato anche il fatto che gli Ascione dichiaravano poco o nulla di reddito. Tale sproporzione, unita alla qualificata pericolosità sociale, ha permesso di richiedere l'applicazione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza ed il sequestro finalizzato alla confisca dell'intero patrimonio, direttamente o indirettamente, riconducibile ai fratelli Michele, Giuliano e Luigi.
In particolare, i sigilli sono stati posti su cinque società, con sede nella provincia di Latina, Napoli, di cui due operanti nel settore delle costruzioni di edifici; una nella locazione di immobili, una 1 nel commercio di autoveicoli e una 1 nel settore dell'intermediazione immobiliare. E poi quote societarie di una società, con sede nella provincia di Napoli, operante nel settore della gestione di stabilimenti balneari; 112 unità immobiliari (nella provincia di Latina, Napoli, Cosenza); 175 auto, motoveicoli ed un’imbarcazione, oltre a numerosi rapporti bancari, postali, assicurativi e azioni.

Il potere del clan Mallardo nel basso Lazio
Giugliano. Non si arresta l’azione di contrasto al reimpiego dei capitali illeciti accumulati dal noto clan di camorra MALLARDO da parte dei finanzieri del Comando Provinciale di Roma.
A meno da un mese dal sequestro eseguito nei confronti dei fratelli DELL’AQUILA, i Finanzieri del G.I.C.O. (Gruppo Investigazione Criminalità Organizzata) del Nucleo di Polizia Tributaria di Roma, in data odierna, hanno posto sotto sequestro beni mobili ed immobili per un valore complessivo di oltre € 50.000.000, riconducibili al sodalizio criminale organizzato dai fratelli Michele, Giuliano e Luigi ASCIONE, indiziati di contiguità al clan “MALLARDO”, per conto del quale avrebbero costituito una cellula economica, operante, prevalentemente, nel territorio del basso Lazio.
Le complesse indagini, coordinate dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, Dott. Giuseppe PIGNATONE, e dai Sostituti Procuratori della Repubblica - D.D.A. (Direzione Distrettuale Antimafia) di Roma - dott.ssa Lina CUSANO, dott.ssa Maria Cristina PALAIA e dott.ssa Barbara SARGENTI – , anche nel quadro della collaborazione da tempo avviata con la D.D.A. di Napoli, hanno consentito di accertare la costante ed inarrestabile ascesa, nella Provincia di Latina, dei fratelli ASCIONE, noti imprenditori campani, attraverso rapporti dai reciproci vantaggi con esponenti di spicco del noto clan di camorra MALLARDO.
 Come dimostrato dalle investigazioni del G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Tributaria di Roma, l’operatività criminale del clan è stata nel tempo orientata, oltre che al finanziamento del traffico di sostanze stupefacenti, prevalentemente al controllo - realizzato con la partecipazione finanziaria o con la riscossione di quote estorsive - delle attività economiche di rilievo (attività edilizia, appalti pubblici, forniture pubbliche, commercio all’ingrosso).
In particolare, i pregiudicati germani ASCIONE – da qui il nome dell’operazione – hanno costituito, di fatto, uno stabile e ben ramificato “sodalizio criminale”, strategicamente inserito in un “sistema criminogeno” di più ampia portata,  rappresentato dal clan camorrista dei MALLARDO, al quale sono risultati essere legati, fin dagli anni ’80, da uno stretto “pactum sceleris”, riferito principalmente al reimpiego di proventi illeciti nel circuito economico legale, attraverso, in un primo momento, società operanti nel settore del commercio delle automobili per poi investire, successivamente, in società operanti nel settore delle costruzioni e dell’intermediazione immobiliare.
Tra gli altri, i collaboratori di giustizia VASSALLO Gaetano, IZZO Salvatore ed AMATRUDI Massimo hanno reso specifiche dichiarazioni circa i collegamenti correnti tra il “gruppo DELL’AQUILA” e il “gruppo ASCIONE”. Più precisamente, i citati collaboratori hanno indicato i fratelli ASCIONE come intranei al clan MALLARDO, direttamente legati ai capiclan Francesco e Giuseppe MALLARDO.
Proprio in virtù di tali qualificati collegamenti, gli ASCIONE operavano in stretta e sinergica collaborazione con il gruppo DELL’AQUILA, in particolare con Domenico DELL’AQUILA, alias “Menicuccio”, con il quale divenivano soci in affari, sempre nel settore del commercio di autoveicoli.
 Proprio partendo da tale assunto, le fiamme gialle del G.I.C.O. di Roma, interpretando concretamente le direttive impartite dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, hanno sviluppato circa 100 accertamenti economico-patrimoniali, nei confronti di altrettante persone fisiche e giuridiche, finalizzati all’aggressione dei patrimoni illecitamente accumulati.
In definitiva, le riportate attività delittuose hanno permesso al gruppo “ASCIONE”, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva, di accumulare un ingente patrimonio mobiliare ed immobiliare, del tutto incongruente con il modesto profilo reddituale emergente dalle dichiarazioni dei redditi.
Tale sproporzione, unita alla qualificata pericolosità sociale, ha permesso di richiedere, ai sensi del dettato normativo del “Codice Antimafia” D. Lgs 159/2011, l’applicazione della sorveglianza speciale di Pubblica Sicurezza ed il sequestro finalizzato alla confisca dell’intero patrimonio, direttamente o indirettamente, riconducibile a Michele, Giuliano e Luigi ASCIONE.
I risultati di tali investigazioni, quindi, sono stati partecipati al Tribunale di Latina – Sezione Misure di Prevenzione, il quale, condividendo l’impianto accusatorio prospettato dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, con proprio provvedimento ha disposto il sequestro di:
- patrimonio aziendale e relativi beni di n. 5 società, con sede nella  provincia di Latina, Napoli, di cui n. 2 operanti nel settore delle costruzioni di edifici, n. 1 nella locazione di immobili, n. 1 nel commercio di autoveicoli e n. 1 nel settore dell’intermediazione immobiliare;
- quote societarie di n. 1 società, con sede nella provincia di Napoli, operante nel settore della gestione di stabilimenti balneari;
- n. 112 unità immobiliari (site nella provincia di Latina, Napoli, Cosenza);
- n. 175 auto/motoveicoli e n. 1 imbarcazione;
- numerosi rapporti bancari/postali/assicurativi/azioni,
per un valore complessivo di stima dei beni sottoposti a sequestro pari ad oltre € 50.000.000.
Le operazioni di polizia economico-finanziaria in parola, aventi valenza strategica rispetto all’aggressione ai patrimoni accumulati dalle consorterie criminali, al fine di contrastare l’immissione di denaro di provenienza illecita nei circuiti legali dell’economia, hanno comportato l’impiego di oltre 100 Finanzieri in Lazio, Campania, Sicilia e Calabria.
Aggredire i patrimoni illecitamente accumulati dalle “mafie” significa fargli perdere prestigio all’interno del proprio ambiente delinquenziale, privandole del fondamentale strumento di condizionamento delle realtà socio economiche, tradizionalmente occupate e soffocate dall’indisturbata presenza delle loro risorse e del loro controllo. 




lunedì 1 luglio 2013

Le pizzerie di Napoli e della Campania trionfano nella guida italiana

NAPOLI - Le pizzerie di Napoli e della Campania fanno la parte del leone nella prima edizione della guida «Pizzerie d'Italia» del Gambero Rosso che diventa appuntamento annuale. Sono infatti dieci le pizzerie campane che hanno ottenuto i «tre spicchi», il simbolo del massimo punteggio assegnato dagli ispettori. Seguono il Lazio, con 4 locali, il Piemonte, l'Emilia Romagna e la Toscana con due pizzerie, il Veneto con tre, le Marche e l'Abruzzo con una. La guida recensisce oltre 400 locali in tutta Italia con, oltre alla tradizionale pizza napoletana, spazio anche per le pizze al taglio e le pizzerie gourmet, che utilizzano il disco di pasta come base per piatti elaborati.

La guida, realizzata con il sostegno della Camera di Commercio di Napoli, è stata presentata alla Città del Gusto all'Interporto di Nola, in una sala gremita di pizzaioli premiati, ma anche di operatori economici all'agroindustria legati al mondo della pizza e della ristorazione. Pace fatta, dunque, con la guida che sembra porre fine alle polemiche nate nei mesi scorsi quando, sulla guida del Gambero Rosso, non era stata segnalata alcuna pizzeria di Napoli. 

«Dopo una prima sperimentazione non abbastanza 'lievitatà - ha ricordato il presidente della Camera di Commercio di Napoli Maurizio Maddaloni - è pronta la guida con una parte interamente dedicata alla pizza napoletana in cui le pizzerie campane guidano la classifica dei locali con più "spicchi".

E del resto siamo la patria indiscussa della pizza napoletana che è tra i brand più riconosciuti nel mondo». Maddaloni ha anche sottolineato la collaborazione con Città del Gusto che «è diventato - ha detto - il nostro polo enogastronomico per lavorare sullo sviluppo del settore sia per l'export, sia come asset da valorizzare nell'ambito dell'Expo 2015». 

«Siamo riusciti - ha spiegato Paolo Cuccia, presidente di Gambero Rosso, che dedica alla pizza napoletana anche l'ultimo numero della sua rivista - a fare sistema, facendo incontrare un'azienda illuminata come il Cis, la Camera di Commercio e il Gambero Rosso. Insieme lavoriamo per valorizzare il made in Italy del gusto, così come faremo noi di Gambero Rosso l'11 luglio a Bangkok, inaugurando lì Città del Gusto che avrà di certo bisogno di pizzaioli napoletani».


E la pizza è anche un fattore economico visto che, come ricordato dai rappresentati di Gambero Rosso, oggi in Italia ci sarebbe spazio per seimila pizzaioli, una professione che non ha ancora un status come quello raggiunto dagli chef, un gap che l'arrivo della guida potrebbe contribuire a colmare. Delle prospettive economiche ha parlato anche Paolo Russo, parlamentare del Pdl, che ha sottolineato come «Oggi qui c'è l'Italia che vogliamo. Non l'agricoltura come coltivazione dei campi ma come filiera agroalimentare, che interpreti il sentimento di italianità nel mondo».

LA CLASSIFICA. Valutate in "Spicchi" per le pizze al piatto e "Rotelle" per quelle al taglio, a decretare le migliori pizzerie d'Italia sono state farine, impasti, lievitazioni e non solo. Gli ispettori della guida si sono attenuti a particolari criteri di valutazione, tenendo conto delle tradizioni regionali. 

Ecco quindi i Tre Spicchi assegnati sia alla migliore Pizza Napoletana, con la Campania assoluta protagonista (10 locali), che alla migliore Pizza Italiana con Roma capofila con 3 locali (La Gatta Mangiona, Sforno, Tonda), seguita da Piemonte (Libery Pizza & Artigianal Beer a Torino) e Abruzzo (La Sorgente a Guardiagrele). 

Non mancano, nel volume presentato a Nola, i riconoscimenti per la migliore Pizza Gourmet, con in testa il Veneto con 3 locali (Ottocento Simply Food a Bassano del Grappa, I Tigli a San Bonifacio, SaporèPizza e Cucina a San Martino Buon Albergo). E a seguire l'Emilia Romagna ('O Malomm a Coriano e 'O Fiore Mio a Faenza) nonchè la Toscana (Apogeo Giovannini a Pietrasanta e La Spela a Greve in Chianti) con 2, il Piemonte (Pomodoro & Basilico San Mauro Torinese), le Marche (Urbino dei Laghi Urbino) e il Lazio (La Fucina a Roma) con 1.

Le migliori pizzerie a taglio vedono Lazio e Toscana (2 locali) e il Veneto (1) premiati con il massimo riconoscimento. E ancora, il premio per la migliore carta dei vini e delle birre è andato nel Lazio al locale La Gatta Mangiona. Al locale Massè in Campania è andato il premio per la migliore ricetta, mentre i migliori maestri dell'impasto sono, secondo la guida, Franco Pepe di Pepe in Grani a Caiazzo (Caserta) e Gabriele Bonci di Pizzarium a Roma.

ECCO LE DIECI PIZZERIE CAMPANE

Pepe in Grani – Caiazzo (CE)
Da Attilio alla Pignasecca - Napoli
Trattoria Fresco - Napoli
La Notizia - via Caravaggio, 53 Napoli
La Notizia – via Caravaggio, 94 Napoli
Sorbillo – Napoli
Starita - Napoli
Era Ora - Palma Campania (NA)
Pizzeria Salvo da Tre Generazioni - San Giorgio a Cremano (NA)
Massè – Torre Annunziata (NA)


Usa, il New York Times cataloga i principali i gesti degli italiani: «Tutto potrebbe essere nato a Napoli»

NEW YORK - «Nel grande teatro all'aperto che è Roma i personaggi parlano con le mani almeno quanto con la bocca»: oggi il New York Times dedica un servizio interattivo al gesticolare degli italiani.

Un video e un piccolo vocabolario in foto accompagnano la lezione, giusto in tempo per assistere gli americani in partenza per il Belpaese: dal classico delle quattro dita che incontrano il pollice ('che vuoi da me?' o 'non sono nato ierì) alla mano che scivola sotto il mento ('me ne fregò), gli abitanti della penisola usano i gesti con «invidiabile elegante coordinazione» per enfatizzare quanto stanno dicendo in una conversazione, parlando al cellulare, o mentre fumano una sigaretta, perfino nel caos del traffico all'ora di punta. I gesti non sono solo dell'uomo della strada: fanno parte integrante dello spettacolo politico. 

Il New York Times contrasta quelli di Silvio Berlusconi, «un famoso gesticolatore», con le mani intrecciate posate sulla scrivania di Giulio Andreotti: «Un sottile segnale di deterrenza, che indicava il tremendo potere che il sette volte primo ministro avrebbe potuto dispiegare se fosse stato necessario», scrive Rachel Donadio, l'inviata da Roma del quotidiano.

Isabella Poggi, psicologa a Roma Tre, ha identificato circa 250 gesti che gli italiani usano nella conversazione di tutti i giorni per enfatizzare minaccia o auspicio, disperazione, orgoglio o vergogna. Sono azioni delle mani che i connazionali di Dante hanno nel sangue: una teoria sostiene che gli italiani li hanno sviluppati negli anni delle occupazioni straniere (austriaci, francesi, spagnoli tra 14esimo e 19esimo secolo) come modo di comunicare senza farsi capire dai nuovi padroni. 

Secondo Adam Kenton, direttore della rivista Gesture, città sovrappopolate come Napoli potrebbero essere state la culla del gesticolare italiano: «Un modo per attirare l'attenzione usando anche il corpo». Mentre la Poggi ricorda la tesi dell'archeologo dell'Ottocento Andrea De Iorio che aveva trovato analogie tra i gesti contemporanei e quelli usati dalle figure dipinte sui vasi greci: «I gesti - ha sottolineato la studiosa - cambiano meno delle parole».

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