domenica 26 maggio 2013

Salerno, il boss 17enne spara e poi si vanta su Facebook

di Petronilla Carillo

Salerno. Messaggi su Facebook: è qui che viaggia il contrasto tra gruppi criminali. Qui R.B. junior, 17 anni, uno dei due fermati per il doppio agguato davanti al Dolcevita e alla Q8 di via Rocco Cocchia - il tentato omicidio di Carmine Ferraiolo - lanciava i suoi proclami. «Messaggi di superiorità» per far capire a tutti «chi comanda». È su facebook che il minore «pubblicizza» la sua azione di fuoco («sono un grande in quello che faccio... bum bummmm», scrive la sera dell’attentato) e la cognata della sua vittima, Margherita Principe, lo attacca gridando vendetta e offendendolo dicendo «che aveva mancato di rispetto al padre» non chiedendogli di «rimproverare Carmine».

È sempre su facebook che «junior» ricorda alla sua vittima designata di aver avuto rapporti con la sua attuale fidanzata usando parole offensive per far riferimento alla sua statura robusta. Profili pubblici che sono stati attentamente visionati anche dagli inquirenti che, grazie anche alle intercettazioni telefoniche e agli appostamenti, hanno saputo trovare la giusta chiave di lettura. Una guerra anche «mediatica» quella tra il gruppo del Rione Petrosino e quello del Ferraiolo.

Lotta al Clan Mallardo di Giugliano

Clan Mallardo: sequestri e arresti fuori ancora in due
GIUGLIANO. Michele Di Nardo e Mauro Moraca: sono loro gli ultimi due latitanti del clan Mallardo. Entrambi i nomi compaiono nel registro degli indagati nell'inchiesta denominata operazione rione San Nicola eseguita dal Gico di Napoli su disposizione della Dda di Napoli che ha portato al sequestro di beni per un valore di 17 milioni di euro tra unità abitative, gioielli, orologi di marca, barche, abitazioni, terreni e quote societarie. Secondo la procura Moraca e Di Nardo avrebbero intestato beni a familiari e conoscenti per sfuggire ai controlli della finanza. Correlando il valore patrimonio mobiliare e immobiliare dei componenti del nucleo familiare di Moraca e e Di Nardo ai redditi percepiti singolarmente e nel loro complesso, è stato evidenziata una netta sproporzione. Per quanto riguarda Moraca, sfuggito all'operazione Crash e ritenuto uno degli ultimi elementi di spicco del clan Mallardo, la capillare ed approfondita attività investigativa ha consentito di acquisire solidissimi elementi indiziari in merito alla esistenza di ingiustificati possedimenti patrimoniali di titolarità. Per questo dovrà rispondere di intestazione fittizia di beni con l'aggravante di aver favorito il clan Mallardo. Le indagini nei suoi confronti si basano sulle conversazioni oggetto di intercettazione ambientale nella sede della sas Broker Assicurazioni, ubicata in via San Vito a Giugliano da cui gli inquirenti hanno appresto l'esistenza in capo a Moraca di una disponibilità economica assolutamente non coerente rispetto alla redditività dichiarata, disponibilità tra l'altro impiegata dall'indagato (del pari agli altri affiliati al clan Mallardo) nell'acquisto di costose imbarcazioni e di oggetti preziosi. Nell'ordinanza di legge come "Moraca Mauro è risultato essere, quantomeno dalla seconda metà della prima decade di questo secolo a tutt'oggi, un organico componente del gruppo di stampo camorristico denominato clan Mallardo con le seguenti funzioni, tutte realizzate alle dirette dipendenze e sotto l'immediata vigilanza del sodale di rango inferiore a Feliciano, di cui è genero, avendone sposato la figlia Maria Domenica".Moraca avrebbe il compito di curare per conto ed alle dirette dipendenze di Feliciano l'impiego nella economica lecita, e segnatamente (anche a mezzo di prestanome) nel settore immobiliare quale socio accomandante della MA.CA. di Mallardo Carlo Antonio, figlio del Mallardo Feliciano, socio della srl Dream House. Inoltre si occuperebbe dei cospicui proventi derivanti dalle attività precipuamente criminali poste in essere dai coaffiliati. Inoltre, insieme a Michele Mallardo, avrebbe avuto il compito di organizzare ed eseguire delle condotte di matrice estorsiva poste in essere dal clan Mallardo nei confronti dei soggetti produttivi operanti sul territorio giuglianese.
Giugliano: un territorio vasto diviso in aree
GIUGLIANO. Dal 2008 ad oggi si sono susseguite diverse operazioni che hanno gettato ombre inquietanti sulla gestione della macchina comunale, in particolar modo tra gli esponenti del clan Mallardo e funzionari dell'Ente per la gestione degli affari illeciti. Il business dell'edilizia è sicuramente quello che ha fatto più gola. A dimostrarlo una serie di operazioni che hanno portato all'arresto di decine di persone del clan Mallardo e al sequestro di beni immobili per diversi milioni di euro. Due scandali su tutti, Puff Village e Obelisco, portarono addirittura alla scoperta di costruzioni abusive realizzate su reperti storici. Le forze dell'ordine hanno poi indagato sul reinvestimento dei capitali derivanti dagli affari illeciti del clan. Anche in questo caso sono scattate una serie di operazioni che hanno demolito sia numericamente che economicamente la cosca dei Mallardo. Quattro boss catturati: Giuseppe Dell'Aquila, Feliciano Mallardo, Francesco Napolitano e Biagio Micillo, oltre 50 tra affiliati, fiancheggiatori e prestanomi arrestate. 

Più di 100 le persone indagate a piede libero accusate di favorire le attività del clan, sequestro di un ingente patrimonio di beni mobili e immobili per un valore stimato di 1,3 miliardi di euro. Tutto in due anni e mezzo in seguito alle operazioni Sfregiato, Thaiti, quella dei Ros sull'accordo dei Casalesi, Crash, Lilium. Numeri impressionati quelli riguardanti il clan Mallardo, organizzazione criminale che per potenza economica e criminale - secondo gli inquirenti - è seconda solo al clan dei Casalesi. Da marzo 2010 a oggi, grazie a un'intensa attività della procura di Napoli, che ha coordinato le operazioni eseguite dal Gico di Roma, Squadra Mobile e Comando Provinciale dell'Arma di Napoli, il clan Mallardo può considerarsi smantellato. Almeno nei suoi vertici. In cella, in due anni, sono finiti infatti i capi dell'organizzazione criminale che avevano presto il controllo della cosca dopo l'arresto dei super boss eccellenti Francesco e Giuseppe Mallardo, richiusi al 41 bis. In cella anche Feliciano Mallardo, che aveva preso le redini del clan dopo l'arresto dei cugini e anche lui rinchiuso al 41bis. Dopo qualche mese a finire in manette anche Francesco Napolitano, uno dei vertici del clan, e Biagio Micillo, ritenuto dagli inquirenti il luogotenente dei Mallardo nel territorio di Qualiano. L'ultimo arresto è stato quello di Giuliano Amicone. 

Un esercito di trecento persone al soldo del clan. Poi altre centinaia di ragazzi, non pagati, pronti a 'sacrificarsi' e lavorare quotidianamente gratis per i Mallardo. E' questo lo scenario della cosca giuglianese ricostruita dal pentito Massimo Amatrudi che spiega come quella dei Mallardo sia ancora un'organizzazione criminale legata ai vecchi valori e metodi. "Voglio specificare che nella nostra terminologia si intende per affiliato esclusivamente colui che percepisce uno stipendio. Non è prevista una cerimonia di iniziazione per diventare affiliato né per il gruppo Setola di cui facevo parte all'interno del clan dei Casalesi né per il clan Mallardo. Per entrare nei gruppi operanti all'interno del clan dei Casalesi è sufficiente che si sia presentati da altri affiliati che sostengono la fedeltà e la fiducia del soggetto che vuole diventare affiliato; dopo che si è parlato con i responsabili dell'area si comincia a percepire lo stipendio da affiliato". Per quanto riguarda il clan Mallardo il discorso invece è diverso perché "si tratta di un clan a numero chiuso". 

Un territorio vasto 94 chilometri quadrati non è facilmente gestibile.Nemmeno per un clan forte e organizzato come quello dei Mallardo. Bisogna far sentire la presenza fisica, oltre che quella economica, in tutti i quartieri della città per 'tenere a bada' tutti gli affari ed evitare che nuovi gruppi criminali possano prendere il sopravvento. Per avere sotto controllo l'intero territorio, il clan si è data una struttura formata da gruppi e sottogruppi che controllano il quartiere di riferimento e riferiscono ai loro superiori di ciò che accade, fare sistema insomma. Un'organizzazione capillare quella dei Mallardo su tutto il comprensorio giuglianese, gli uomini del clan sono presenti, in un modo o in un altro, in tutti i settori, quelli più importanti e quelli che sembrano invece di poco conto. Anche in questi casi, però, è importante far sentire solo la presenza fisica per far capire che in quella zona, a comandare, sono sempre loro. A dare conferma di quest'organizzazione formata in gruppi e sottogruppi, è stato anche Massimo Amatrudi nel corso di un interrogatorio reso agli inquirenti nel giugno dell'anno scorso.
Il pentito Vassallo: «Il sindaco non contava nulla»
GIUGLIANO. "Il sindaco non contava nulla: se si diceva che si doveva fare qualcosa, questa si faceva e basta". E' nell'interrogatorio risalente al settembre del 2008 che il pentito Gaetano Vassallo ricostruisce i rapporti tra il clan Mallardo, pezzi della macchina amministrativa e mondo della politica. Intrecci che sono stati alla base della recente decisione di scioglimento del Comune per infiltrazioni della criminalità organizzata. Il collaboratore di giustizia del clan dei Casalesi ha riferito come il clan Mallardo controllasse l'attività amministrativa attraverso una persona di famiglia per addentrata nella vita politica cittadina, ricoprendo anche ruoli di notevole spessore politico. Questa persona "Comandava al Comune di Giugliano nel senso che tutte le decisioni e le scelte politiche erano effettuate da lui e solamente ratificate dagli organi amministrativi - afferma Vassallo. In questo modo era Felice Mallardo che, in concreto, gestiva il Comune di Giugliano". Il Comune di Giugliano in realtà era dunque solo formalmente gestito dalla amministrazione eletta ma - secondo Vassallo - controllato dal clan. "Le decisioni di gestione amministrativa del Comune erano prese nello studio di D'Alterio o a casa di altri sodali". A svelare retroscena e scenari degli intrecci tra politica e camorra è anche il pentito Giuliano Pirozzi che ha raccontato agli inquirenti il suo ruolo di mediatore tra mondo politico e quello criminale. "Ero un factotum di tutti gli affiliati del clan Mallardo. Mi interessavo soprattutto delle questioni riguardanti le pubbliche amministrazioni, gli appalti. Venivo subito messo al corrente dei rapporti con la politica. Cercavo di fare da trait d'union tra il clan ed il palazzo comunale; in modo particolare con tutti gli enti pubblici - ha affermato Pirozzi agli inquirenti nel corso dell'interrogatorio che dunque era a disposizione di tutti gli affiliati, e non solo dei capiclan. "Ero organico al cento per cento su tutte le questioni. Avevo modo di effettuare operazioni, investimenti per loro conto; tutti gli intrecci con il mondo politico, con il mondo affaristico. Tutti gli appalti che venivano pilotati; tutte false documentazioni poste in essere e tutti i tipi di attività di riciclaggio da consigliare. I nuovi settori che uscivano dove investire". Pirozzi veniva messo al corrente su tutte le operazioni che il clan decideva man mano: "Gli affiliati del clan Mallardo mi tenevano al corrente di tutto. Ero un intermediario economico. Io per esempio ero addentrato per il clan nel settore delle false pratiche all'Inps, delle false pratiche Inpdap, falsi condoni, aste giudiziarie...Tutto quello che riguardava il falso nell'ente pubblico, io dividevo con il clan Mallardo". Pirozzi gravitava nell'orbita dei finanziamenti regionali, riciclaggio di terreni agricoli da passare nel piano regolatore, rapporti con le cessioni con l'Inpdap, false pensioni con l'Inps, false certificazioni sanitarie da procurare agli affiliati per i processi. Dichiarazioni che finiscono di gettare ombra sulla macchina amministrativa già colpita al centro di scandali e inchieste giudiziarie.

Il pentito Pirozzi: «mi volevano uccidere»
Giugliano. Ecco le dichiarazioni del Pentito Giuliano Pirozzi nel quale spiega i suoi legami con il clan è perché si è deciso a collaborare con la giustizia.

Volevano la mia morte. “...che è stata decretata la mia morte...dopo i vari arresti dei capiclan, tipo il Mallardo Feliciano, qualcuno mi voleva addebitare degli ammanchi di cassa oppure che mi aveva dato soldi per far fare investimenti in cose che non ho mai ricevuto, non mi sono mai permesso di fare. Si erano messi d’accordo con un complotto contro di me e quindi qualcuno aveva potuto pure decretare la mia morte.

Ero un affiliato. Sono sempre stata una delle persone di fiducia del Mallardo Feliciano e anche degli altri affiliati del clan Mallardo, in quanto sono una persona molto capace dal punto di vista economico e finanziario; ho deciso di venire davanti all’A.G. perchè temo per la mia incolumità, in quanto diversi esponenti del clan Mallardo e specificamente Picardi Patrizio, Catugno Gennaro, Mele Giuseppe, Di Girolamo Paolo, Borzacchelli Luigi hanno messo in giro la voce che io mi ero appropriato dei soldi che avevo avuto proprio da loro per fare investimenti; però io non ho ricevuto in realtà questi soldi; essendo però stata messo in mezzo questo voce ho capito che è stata decretata la mia morte. Ho deciso quindi di cambiare vita e  perciò mi sono presentato all’A. G. Sono in grado di riferire sull’operatività del clan Mallardo in diversi settori, ad esempio:...attività economiche riconducibili al Mallardo Feliciano ed al suo gruppo familiare, Moraca Mauro, Mallardo Santa, D’Alterio Carlo Antonio, D’Alterio Giuseppe, Mallardo Maria Domenica etc.. Organigramma del clan Mallardo...In sostanza io conosco tutti gli affiliati, i fiancheggiatori e in maniera sintetica so tutto di tutti. Io infatti sono molto conosciuto a Giugliano, ho seguito tutte le pratiche al CAF in quanto avevo un CAF alla Via San Vito proprio vicino a Mallardo Felice sin dall’anno 2000. Faccio presente che mia moglie è imparentata con Catuogno Gennaro detto lo scoiattolo. 

Il ruolo in Comune. Come ho già detto negli altri verbali, avevo rapporti sia con esponenti dei gruppi imprenditoriali legati al clan MALLARDO sia con i politici legati al clan MALLARDO; devo precisare che avevo rapporti anche con imprenditori e politici non legati al clan perché la mia funzione era anche quella di intessere e consolidare nuovi rapporti che potevano essere utili al clan MALLARDO. Avevo per questo rapporti anche fuori del Comune e specificamente a livello provinciale e regionale nonché con i vari enti; di particolare interesse erano i settori che avrebbero potuto portare floridità e ricchezza a Giugliano e, di conseguenza, al clan MALLARDO, quali quello dell’ambiente e dell’edilizia; il mio ruolo era proprio quello di intercettare fondi pubblici che avrebbero, quindi, potuto essere destinati al Comune di Giugliano e, di conseguenza, al clan MALLARDO in quanto noi eravamo perfettamente in grado di pilotare tutte le gare comunali.

Ero un factotum di tutti gli affiliati del clan Mallardo. Mi interessavo soprattutto delle questioni riguardanti le pubbliche amministrazioni, gli appalti. Venivo subito messo al corrente dei rapporti con la politica. Cercavo di fare da trait d’union tra il clan ed il palazzo comunale; in modo particolare con tutti gli enti pubblici. Quindi ero a disposizione di tutti gli affiliati, non solo dei capiclan. Ero organico al cento per cento su tutte le questioni. Avevo modo di effettuare operazioni, investimenti per loro conto; tutti gli intrecci con il mondo politico, con il mondo affaristico...Tutti gli appalti che venivano pilotati; tutte false documentazioni poste in essere e tutti i tipi di attività di riciclaggio da consigliare. I nuovi settori che uscivano dove investire. Quindi ero parte organica di tutto il clan Mallardo, non solo dei capiclan...quindi venivo messo al corrente su tutte le operazioni che il clan decideva man mano...Gli affiliati del clan Mallardo...mi tenevano al corrente di tutto...ero un intermediario economico, un factotum. Io per esempio ero addentrato per il clan nel settore delle false pratiche all’Inps, delle false pratiche Inpdap, falsi condoni, aste giudiziarie...Tutto quello che riguardava il falso nell’ente pubblico, io dividevo con il clan Mallardo. Quindi avevo questo spazio di gravitare nell’orbita dei finanziamenti regionali, riciclaggio di terreni agricoli da passare nel piano regolatore; per esempio rapporti con le cessioni con l’Inpdap, false pensioni con l’Inps, false certificazioni sanitarie da procurare agli affiliati per i processi. 

Camorra, arrestati nove boss in ascesa del litorale domitio

CASERTA. Nell’ambito di un’articolata indagine coordinata dai magistrati della Procura della Repubblica di Napoli - Direzione Distrettuale Antimafia, i carabinieri del nucleo operativo della compagnia di Mondragone hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare, con la misura coercitiva del carcere, emessa dall’Ufficio Gip presso il Tribunale di Napoli, nei confronti di 9 indagati, gravemente indiziati, a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso armata e finalizzata alla commissione di vari delitti: tentato omicidio, estorsioni, traffico di sostanze stupefacenti, atti intimidatori con danneggiamenti, riciclaggio e traffico di armi.
L’attività investigativa - avviata nell’ottobre del 2011 e espletata anche  attraverso intercettazioni telefoniche e verifiche dirette a riscontro delle dichiarazioni di collaboratori di giustizia, già affiliati al locale clan camorristico - ha permesso di raccogliere importanti elementi indiziari in ordine a gravissimi episodi criminali verificatisi negli ultimi anni nel comune di Mondragone e nella provincia di Caserta. Si è verificata, infatti, all’interno del clan egemone della zona, la presenza di un vero e proprio gruppo armato, costituito da giovanissimi senza scrupoli che operavano utilizzando motoveicoli di grossa cilindrata.
Tra i fatti di maggior allarme e gravità ad essi ascritti il tentato omicidio e il ferimento di due ragazzi nativi di Mondragone, utilizzati da un gruppo emergente all’interno del clan per lo spaccio di cocaina. Tali fatti si inseriscono, in particolare,  in una vera e propria faida scoppiata per il controllo delle piazze di spaccio nella zona e cessata grazie all’arresto dei capi della fazione emergente operato dai Carabinieri di Mondragone. Si tratta di veri a propri atti intimidatori, ordinati dal clan per  punire quanti non si piegavano alla sua volontà. E, ancora, vere e proprie spedizioni punitive eseguite anche fuori dal comune di Mondragone, come il ferimento di un uomo di Recale eseguito per fare un piacere ad un amico del clan e il violento danneggiamento di un bar, all’interno del quale sono stati esplosi numerosi colpi di pistola.
Nel corso delle indagini sono state rinvenute numerose armi utilizzate e a disposizione del clan - tra cui mitragliatori, fucili a pompa, pistole - oltre a varie munizioni. E’ ancora una volta il mercato della droga, insieme alle estorsioni raccolte sul territorio dalle attività commerciali, a portare nelle casse del clan la maggior parte degli introiti.
A raggiungere Mondragone per acquistare droga sono giovani e giovanissimi anche dal vicino basso Lazio. Ognuna delle piazze di spaccio - divise a seconda del tipo di sostanza stupefacente smerciata - ha un suo referente,  una zona dove vendere e un nutrito numero di pusher. I vari gruppi sono ben organizzati; in caso di arresto del singolo spacciatore è già pronta una  riserva per la sostituzione.
Sono stati accertati anche episodi di probabile motivazione etnica, che vedono il gruppo  criminale indiziato di aver dato alle fiamme numerose autovetture in uso a ragazzi bulgari del luogo, accusati ingiustamente di aver rubato della sostanza stupefacente all’organizzazione.

Storie di successo: Intervista a Marco Realfonzo, Triboo Digitale


Abbiamo intervistato l’imprenditore napoletano Marco Realfonzo, attuale CEO di Triboo Digitale, azienda con la testa a Milano e il cuore a Napoli, tra le prime 500 al mondo nel settore digitale pur nascendo in un contesto difficile come quello Napoletano: “Su Napoli oggi abbiamo quaranta collaboratori, su centoquindici totali, e contiamo di crescere ancora nel prossimo anno.”
Com'è stato far nascere un'impresa in un territorio come quello di Napoli? Impossibile come dicono in tanti?
Impossibile no, ma molto difficile e forse farlo oggi lo sarebbe ancora di più. Napoli è una città ricca di talenti ma molto complessa dove il lavoro e la qualità non vengono premiati. Sei sempre chiamato a compromessi accettando i quali è poi difficile riuscire ad erogare qualità, che è stata la nostra scelta sin da subito.
Cosa ne ha determinato il successo?
Proprio l'aver capito che era necessario uscire da questo territorio per crescere in maniera importante e sana. La Triboo Digitale, l'azienda che ha ereditato tutta l'esperienza maturata negli anni, è una realtà molto diversa da quello che era Nascar (la web agency fondata da me e Gianluca Cozzolino con Sergio Esposito e Claudio Caputo), oggi ci occupiamo di Commercio Elettronico per conto terzi e lo facciamo per grandi aziende Italiane ed Internazionali.
La scelta di lasciare degli uffici in "patria" è stata determinata da un vantaggio strategico o anche da questioni di "cuore"?
Le scelte di business devono essere veicolate solo da valutazioni di opportunità economica. Il motivo per cui abbiamo ancora una sede a Napoli, sulla quale abbiamo puntato molto e continuato ad investire, è motivata dal fatto che su Napoli attingiamo ad un mercato del lavoro molto ampio e di qualità. Inoltre in Campania e Lazio, in particolare, continuiamo ad avere una clientela importante da servire. Nell'ultimo anno abbiamo concentrato il nostro sforzo verso il settore moda acquisendo clienti importanti, da Alviero Martini a Stefanel, ma anche Piazza Italia (azienda Napoletana) ed in questo senso la nostra sede Napoletana ha una valenza strategica fondamentale. Su Napoli oggi abbiamo quaranta collaboratori, su centoquindici totali, e contiamo di crescere ancora nel prossimo anno. Poi il cuore c'è ed ovviamente fa molto piacere poter fare qualcosa di importante per la propria città.
Spesso si dice che chi nasce dalle nostre parti ha qualcosa in più, un plus, una spinta ad emergere diversa, per te è vero?
Senz'altro la necessità di misurarsi con mille problemi quotidiani è una palestra importante, ma non basta. Purtroppo il tessuto sociale di Napoli si sta impoverendo sempre più, le risorse migliori vanno fuori ed il frutto degli investimenti in educazione e formazione vengono goduti da altri. E' necessario assolutamente invertire questa tendenza altrimenti in pochi anni il danno sarà irreversibile e per farlo è fondamentale che la città abbia un sussulto e che reagisca a questo torpore atavico che la attanaglia.
Luca Garzia

Clan Mallardo: sotto chiave i beni del boss

GIUGLIANO. Beni per un valore di 17 milioni di euro sono stati sequestri al clan Mallardo, operante a Giugliano. SI tratta di appartamenti, quote societarie ma anche gioielli, 12 orologi di prestigiosi marchi, imbarcazioni e ditte. Le indagini patrimoniali delegate al Gico della Guardia di Finanza di Napoli, hanno riguardato in particolare l'assetto riconducile a Feliciano Mallardo, detto 'o sfregiato, attualmente detenuto, e ad alcuni dei suoi piu' stretti sodali. Determinanti sono risultate le attivita' tecniche condotte dal Gico che grazie all'installazione di sistemi di captazione all'interno dei locali in cui il capoclan operava - la sede di una compagnia assicurativa - hanno accertato il contenuto di molteplici riunioni in cui venivano discussi gli aspetti piu' riservati della vita dell'organizzazione, dal pagamento degli stipendi agli affiliati alla imposizione di tangenti estorsive. A casa del boss Feliciano Mallardo, sequestrati 94 oggetti preziosi tra gioielli ed orologi per un valore di circa 200 mila euro. 
Le investigazioni hanno riguardato in particolare tutto l'assetto patrimoniale del capoclan Feliciano Mallardo detto ''o sfregiato'. Lo scacchiere di insospettabili societa' e prestanome e' stato possibile svelarlo grazie a una serie di acquisizioni di documenti che sono stati recuperati nel corso di perquisizioni avvenute a seguito di una maxiretata che aveva portato nei mesi scorsi a una ventina di arresti. Grazie a invisibili microspie abilmente piazzate nel covo dei boss, un'agenzia assicurativa a Giugliano, sono stati ricostruiti tutti gli affari del direttorio della cosca. Oltre a Feliciano Mallardo i beni sono stati sequestrati a Francesco Napolitano, Raffaele Mallardo, Biagio Micillo, Giuliano Amicone, Mauro Monarca e Michele Di Nardo, unico ad essere ancora latitante. In totale sono 25 gli indagati ai quali e' contestato il reato di intestazione fittizia di beni aggravata dal metodo mafioso, ovvero da finalita' camorristiche. 
Nei confronti di questi indagati, nei mesi scorsi, sono state adottate ordinanze di custodia cautelare in carcere per i reati di associazione mafiosa ed estorsione pluriaggravata perché affiliati alla fazione del clan Mallardo nota come gruppo del `Rione san Nicola'. Numerose le perquisizioni eseguite dalle Fiamme Gialle che hanno consentito di sequestrare documentazione di assoluto rilievo per il prosieguo delle indagini. Nell'abitazione del boss Feliciano Mallardo sono stati sequestrati 94 oggetti preziosi tra gioielli e orologi di assoluto pregio per un valore complessivo di circa 200mila euro. Su disposizione del gip di Napoli sono stati sequestrati: 41 unità immobiliari, 2 terreni, quote societarie, sette rapporti finanziari, 15 autoveicoli, 5 motocicli, un'imbarcazione di circa 10 metri, una ditta individuale, 2 società di capitali, una società di persone, 82 preziosi gioielli e 12 orologi di prestigiosi marchi.

Camorra, sequestrati beni per 17 milioni al clan Mallardo

NAPOLI. I finanzieri del Gico e del comando di Napoli hanno posto sotto sequestro beni per un valore di 17 milioni di euro riconducibili al clan Mallardo di Giugliano. 
Si tratta di appartamenti, quote societarie ma anche gioielli, 12 orologi di prestigiosi marchi, imbarcazioni e ditte. Le indagini patrimoniali hanno riguardato, in particolare, l’assetto riconducile aFeliciano Mallardo (nella foto), detto “’o sfregiato”, attualmente detenuto, e ad alcuni dei suoi più stretti sodali.
Determinanti sono risultate le attività tecniche condotte dal Gruppo di investigazione sulla criminalità organizzata che, grazie all’installazione di sistemi di captazione all’interno dei locali in cui il capoclan operava (la sede di una compagnia assicurativa), hanno accertato il contenuto di molteplici riunioni in cui venivano discussi gli aspetti più riservati della vita del clan: dal pagamento degli stipendi agli affiliati alla imposizione di tangenti estorsive. A casa del boss sequestrati 94 oggetti preziosi tra gioielli ed orologi per un valore di circa 200 mila euro.
Oltre a Feliciano Mallardo, i beni sono stati sequestrati a Francesco Napolitano,Raffaele MallardoBiagio MicilloGiuliano AmiconeMauro Monarca e Michele Di Nardo, unico ad essere ancora latitante. In totale sono 25 gli indagati ai quali è contestato il reato di intestazione fittizia di beni aggravata dal metodo mafioso.



Ottanta milioni da investire per far diventare il litorale domizio Bandiera blu

di Pierluigi Benvenuti

Caserta - È stato firmato ieri negli uffici della Regione il protocollo d'intesa per il coordinamento degli interventi necessari all'attuazione del grande progetto «La Bandiera blu per il Litorale Domizio». 
A sottoscriverlo il commissario dell'Arcadis, la agenzia regionale per la difesa del suolo, Flavio Cioffi, e i sindaci di Sessa Aurunca, Mondragone, Carinola, Castel Volturno, Cellole, Francolise e Villa Literno. Alla firma del protocollo erano presenti anche il governatore Caldoro, gli assessori Cosenza e Nugnes e il presidente della Commissione Bilancio Grimaldi. 

Con il documento siglato ieri, il progetto entra nella sua fase operativa. Fase che sarà seguita dall'Arcadis. A breve, sarà definito il cronoprogramma e sarà individuata, come ha anticipatoCaldoro, la figura del responsabile per la sicurezza del Por Campania che, insieme a prefettura e forze dell'ordine, dovrà dare un supporto all'azione per la prevenzione delle infiltrazioni delle organizzazione camorristiche, di certo attratte da un intervento di simili dimensioni. 

Il progetto «Bandiera Blu per il Litorale Domizio» stanzia, infatti, ottanta milioni di euro di fondi europei per lo sviluppo regionale per gli anni 2007-2013, cosiddetti fondi Por Fers, per gli interventi di riqualificazione ambientale della costa casertana. 

L'obiettivo è il miglioramento della balneabilità e l'accrescimento dell'attrattività turistica dell'area, caratterizzata da un altissimo potenziale. 

È diviso in due lotti funzionali. Uno è relativo alle zone di Sessa Aurunca, Carinola, Cellole e Francolise, per poco più di 44 milioni. L'altro relativamente a Mondragone, Castel Volturno e Francolise, per oltre 35 milioni. Le opere principali riguardano la riqualificazione e il completamento di impianti fognari e di depurazione. Sarà realizzato, infine, un sistema per il biomonitoraggio in tempo reale dello stato di salute del mare.

Fece arrestare 25 usurai dei Casalesi: «Ora non vivo più, non ho più nulla»

di Luca Ingegneri

Da una sua denuncia alla Direzione investigativa antimafia di Padova era partita l’inchiesta Aspide. Le sue rivelazioni avevano poi contribuito ad incastrare il clan di usurai collegati al clan camorristico dei Casalesi. 
Eppure Rocco Ruotolo, cinquantatreenne irpino, piccolo imprenditore edile con residenza all’Arcella, non è ancora riuscito ad ottenere condizioni di vita dignitose. 

Nella sua veste di presidente del Comitato per i testimoni di giustizia, ha rivolto un accorato appello al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e al ministro dell’Interno Angelino Alfano. Da tempo ha chiesto, tramite il Servizio centrale di protezione, di ottenere un colloquio, per poter discutere degli annosi problemi legati alla gestione dei testimoni di giustizia. Dalle massime istituzioni non è però ancora arrivato il benché minimo riscontro.

«Da anni vivo sotto protezione - racconta Ruotolo - ho testimoniato contro la camorra e per uno Stato di legalità, ma come tutti i testimoni, siamo circa 80 in Italia, sono in una condizione di grave disagio economico e sociale. Chiedo di poter parlare con le istituzioni affinché ai collaboratori di giustizia venga restituita una vita dignitosa con diritti e doveri di tutti i cittadini italiani».

Rocco Ruotolo non ha alcuna intenzione di vivere nascosto al mondo come fosse un boss latitante. A Padova da vent’anni, era riuscito a far decollare una piccola impresa edile. Ad un certo punto, a causa di un prestito di 300mila euro, indispensabile per ultimare la costruzione di alcune villette in un lotto immobiliare a Maserà, era finito nel mirino dei Casalesi. Aveva finto di stare al gioco e d'accordo con la polizia si era infiltrato nel clan fino a diventare vicecapo. Un anno dopo ne aveva fatti arrestare, processare e condannare 25.

«Ho regalato tre anni della mia vita allo Stato - sottolinea Ruotolo - gli ho dato la mia azienda, il mio lavoro. E oggi chiedo allo Stato di restituirmi la mia dignità. Io non mi pento di quello che ho fatto, della mia scelta condivisa con la mia famiglia: ho fatto una scelta di legalità ma ora lo Stato mi restituisca parte di quello che non ho più: la dignità di persona».

I testimoni di giustizia in Italia sono un'ottantina, tutti vivono sotto protezione, aiutati dal Servizio centrale. «Il problema non è sfamarsi - rincara Ruotolo - è sentirsi ancora delle persone. È come se ci avessero chiuso in una stanza: ci danno da mangiare ma la nostra vita è rimasta fuori. Per questo abbiamo deciso di scrivere al presidente della Repubblica e al ministro degli Interni, perché ci ascoltino e ci diano una speranza di vita».

La scelta di collaborare con lo Stato gli ha provocato pesanti conseguenze: «Mentre testimoniavo al processo - ricorda - l’azienda è stata chiusa. I miei dipendenti mi hanno aspettato per riprendere a lavorare ma i miei acquirenti oggi non vogliono più le villette e mi stanno giustamente chiedendo la restituzione delle caparre. Giorni fa sono andato a vedere il cantiere, non c'è più niente mi hanno rubato tutto. Ho lavorato tanto, come una formica e ora non ho più niente. Non voglio incatenarmi davanti al Quirinale ma dallo Stato al quale ho sacrificato la mia vita ora voglio risposte. Noi testimoni di giustizia rivogliamo la nostra dignità». 

mercoledì 15 maggio 2013

Quindici proiettili per lanciare un messaggio

Carlo Alberto Cipolletta, 39enne di Mugnano è stato ucciso con 15 colpi. Dopo 5 mesi finisce la 'pax camorristica' tra Scampia e Secondigliano


MUGNANO. Carlo Alberto Cipolletta, 39 anni di Mugnano, con precedenti, e' stato ucciso nel tardo pomeriggio di ieri a Napoli in via Monterosa, quartiere Secondigliano, un'area a nord della citta', dove si sta consumando una faida di camorra. L'uomo, secondo quanto si apprende, non avrebbe legami accertati con i clan. Cipolletta e' stato raggiunto mentre era a piedi dai sicari. Almeno 15 i bossoli ritrovati dai carabinieri nel corso dei rilievi legati alle indagini Quindici proiettili per uccidere e per lanciare un messaggio chiaro e forte agli avversari, per marcare il territorio e per riaprire i giochi di sangue di Gomorra. La «pax camorristica» che da cinque mesi reggeva tra Scampia e Secondigliano viene infranta alle sei di un caldo pomeriggio di primavera. Era dal 20 dicembre che le armi tacevano: dal giorno in cui la conta dei morti ammazzati nella guerra tra i clan rivali che si contendono il predominio del controllo delle piazze dello spaccio di droga nei quartieri dell'area nord si arricchì dell'ultima vittima - Biagio Scagliola - che venne assassinato a Capodichino. 

La vittima dell'agguato. Non è ben chiaro perché si trovasse in via Monte Nero, un vicolo cieco stretto tra alti palazzi popolari di periferia; una stradina conficcata a metà, tra via Vanella Grassi e via Cupa dell'Arco. In un territorio, cioè, che è la roccaforte del ricostituito clan Di Lauro e dei cosiddetti «girati». Un mistero reso ancora più fitto dalla considerazione che la vittima - risalendo ai suoi trascorsi passati - veniva considerata vicina agli scissionisti del gruppo Abete-Abbinante-Notturno-Aprea. Che cosa ci faceva Cipolletta in questa enclave «nemica»? Niente di più probabile che - fidandosi della «pace armata» che regnava ormai da mesi nell'area nord - sia finito in una trappola, che qualcuno gli abbia teso un tranello attirandolo con una scusa per poi massacrarlo a colpi di calibro 9. 

Un'esecuzione feroce. Chi lo ha assassinato ha seguito un canovaccio che nella simbologia camorristica viene riservato agli «infami». Quindici proiettili esplosi, tutti diretti alla testa e al volto. Al punto che, tra le ipotesi della prima ora - non ancora però suffragate da alcun elemento concreto - si ipotizza che Cipolletta facesse il «mediatore»

Caserta, rifiuti sotto l'asfalto sequestrato tratto dell'Appia

di Elio Romano

CASERTA - Sigilli alla bretella dell’Appia nei pressi della centrale nucleare del Garigliano. Gli agenti del commissariato di pubblica sicurezza di Sessa Aurunca, insieme con i colleghi della Polizia stradale di Caserta, hanno eseguito ieri alle 13 l’ordinanza siglata dal gip del tribunale di Santa Maria Capua Vetere Giovanni Caparco. Una decisione maturata per portare avanti le indagini in merito alla presunta presenza di rifiuti pericolosi sotto l’asfalto dell’arteria, come sostenuto in un fascicolo aperto dalla dottoressa Alessandra Converso e dal procuratore aggiunto Raffaella Capasso della Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere dal febbraio 2012. 

Gli inquirenti potranno, grazie allo spostamento del traffico veicolare sul vecchio percorso automobilistico, effettuare tutti i sondaggi sul terreno e stilare le perizie necessarie al procedimento giudiziario. Ben pochi sono i dettagli conosciuti dell’indagine in corso. Gli inquirenti hanno mantenuto uno stretto riserbo, lavorando nel silenzio assoluto fino allo scorso 17 aprile quando la denuncia pubblica di Legambiente, firmata dal presidente regionale Michele Buonomo e dal consigliere nazionale Giulia Casella, ha reso di pubblico dominio l’operazione. Le uniche informazioni accertate riguardano l’ipotesi di reato, il disastro ambientale, e l’assenza - almeno per ora - di iscritti nel registro degli indagati. 

Erano diversi giorni che gli operatori dell’Anas si affaticavano nei pressi dello svincolo con la consortile Marco Antonio Tibaldi, che dà accesso all’impianto atomico aurunco, per rendere praticabile il precedente tratto stradale. La segnaletica orizzontale temporanea, i new-jersey, i guard-rail e quanto altro necessario alla nuova viabilità sono stati installati in brevissimo tempo. Secondo fonti accreditate gli automobilisti dovranno transitare per la vecchia doppia curva per diversi mesi, forse fino al termine dell’estate, in quanto le operazioni di accertamento potrebbero impiegare del tempo. 

Dopo il sequestro dell’area bisognerà assegnare agli esperti le opere di caratterizzazione ed effettuarle, soltanto al termine di tutte le operazioni di accertamento si potrà discutere sulla eventuale riapertura del percorso. «Noi ci auguriamo - ha dichiarato a seguito del sequestro il consigliere nazionale di Legambiente Casella - che non ci siano sostanze tossiche, sia per salvaguardare la integrità delle coltivazioni sia perché in Campania non ce la facciamo più per questo continuo «stoccaggio» di rifiuti dappertutto. 

È chiaro che se dovessero emergere situazioni preoccupanti, come possibili rifiuti tossici interrati sotto l’asfalto, credo che ci costituiremo parte civile nel procedimento penale che ne scaturirebbe». Casella ha, infine, concluso con un invito: «Abbiamo la massima fiducia nella magistratura e ci auguriamo che, una volta espletate le indagini, venga al più presto fuori cosa sia stato eventualmente sotterrato sotto l’asfalto».

Uno stato di attenzione confermato dal sindaco di Sessa Aurunca, Luigi Tommasino, che nella serata di ieri ha dichiarato: «Abbiamo avuto comunicazione della chiusura dell’Appia, in quanto pare che da prelievi effettuati risultassero materiali che non dovevano essere lì. Saremo attentissimi perché sulla salute pubblica non si scherza e il nostro territorio è già stato troppo danneggiato da queste situazioni».

Napoli. Il boss ecologista: casa abusiva ma con il fotovoltaico

di Marco Di Caterino

Il Rione Salicelle è il quartiere dove l’abusivismo è regola di vita e di potere. I boss costruiscono su aree condominiali e pubbliche, appartamenti lussuosi con tanto di giardino e con un tocco da ecologista, 

per aver installato anche una centrale di pannelli foto voltaici ( presi chissà dove). A pochi metri di distanza un candidato al consiglio comunale alle prossime elezioni si ritrova con il comitato elettorale sotto sequestro perché allestito in un locale abusivo. L’aspirante consigliere ha scelto come sede, una salumeria abusiva ricavata da un garage non assegnato ancora, (da oltre venti anni) e dove i carabinieri hanno anche trovato e sequestrato merendine scadute, vendute ai bambini della vicina scuola.

E in questo tour dell’illegalità del Rione Salicelle, la loro bella parte l’hanno fatta anche un meccanico, titolare (si fa per dire) di un’officina ricavata in un spazio condominale di circa trenta metri quadrati, e due pregiudicati che si erano appropriati di oltre cinquecento metri quadrati di spazi comuni, per mettere su due sale da gioco illegali, dotate di angolo bar e servizi igienici di prim’ordine. 

La scoperta di questa sfilza di abusi, è avvenuta nel corso di un’operazione ad Alto Impatto, che visto all’opera un centinaio di carabinieri della compagnia di Casoria, diretta dal maggiore Gianluca Migliozzi, che ha anche coordinato i militari del Battaglione Campania. La scoperta della centrale foto voltaica nell’abitazione abusiva del boss Michele D’Ambra (arrestato due settimane fa dai carabinieri di Cassino) ha naturalmente destato stupore e sollevato anche feroci polemiche. In particolare da parte di Michele Buonomo, presidente Legambiente Campania che con amara ironia ha commentato il sequestro della casa abusiva con pannelli foto voltaici: «Nella lunga lista di abusivismo, con il sequestro di oggi si aggiunge all’elenco una nuova tipologia di abusivismo, sicuramente anche questo di necessità ma con connotati ambientalista, con oltre 250 metri quadri abusivi collegati a personaggi nell’orbita della criminalità organizzata.
Visto i tempi e l’aria che si respira condoniamo anche questa? Dietro un condono, dietro il ciclo del cemento illegale si nasconde un ciclo integrato di economia criminale che ha determinato e continua a determinare il saccheggio del territorio».

L’appartamento ecologista del boss, come hanno accertato i carabinieri, era stato appena ultimato e destinato a Gennaro D’Ambra uno dei figli del boss. La nuova costruzione, ricavata tra la zona dei garage e quella che doveva essere un’area per la sosta all’aperto dei condomini dell’isolato 24, composta da due camere, un bagno, cucina e ripostiglio era stata arredata con un lusso tanto sfarzoso da essere davvero improponibile, ma di sicuro molto kitch. 

Per il figlio del boss è scattata una denuncia per occupazione di suolo pubblico ed abusivismo edilizio.
Per la centrale foto voltaica, i cui pannelli sono di provenienza non certificata, una zia di Gennaro D’Ambra, è stata denunciata per ricettazione. Nell'ambito della stessa operazione, durata oltre cinque ore i carabinieri hanno eseguito una settantina di perquisizioni domiciliari, hanno identificato circa duecento persone, (71 con precedenti penali), e multato una trentina di automobilisti i cui veicoli sono stati controllati ai posti di blocco.

sabato 4 maggio 2013

Da Maddaloni a Castellammare: ecco i luoghi più inquinati d'Italia


Sono 44 in tutto e sono sparsi su tutto il territorio italiano, dalla Val d'Aosta alla Sicilia. Ogni regione ha di fatto i suoi siti inquinati oltre ogni limite di legge. Situazione che presenta le sue prevedibili conseguenze, con malattie varie che colpiscono più facilmente in queste zone. Dai tumori alle malattie respiratorie, dalla malattie neurologiche alle patologie renali, gli abitanti di queste aree sono maggiormente a rischio. In Campania si indicano due zone, entrambe vastissime: quella denominata "Litorale dominio-flegreo e Agro aversano" e il "Litorale vesuviano", che comprende al suo interno anche Napoli. Ma andiamo a leggere nel dettaglio il rapporto del Ministero per quanto riguarda la nostra regione.
LITORALE DOMIZIO-FLEGREO E AGRO AVERSANO - I Comuni interessati sono: Acerra, Arienzo, Aversa, Bacoli, Brusciano, Caivano, Camposano, Cancello ed Arnone, Capodrise, Capua, Carinaro, Carinola, Casagiove, Casal di Principe, Casaluce, Casamarciano, Casapesenna, Casapulla, Caserta, Castel Volturno, Castello di Cisterna, Cellole, Cervino, Cesa, Cicciano, Cimitile, Comiziano, Curti, Falciano del Massico, Francolise, Frignano, Giugliano in Campania, Grazzanise, Gricignano di Aversa, Lusciano, Macerata Campania, Maddaloni, Marcianise, Mariglianella, Marigliano, Melito di Napoli, Mondragone, Monte di Procida, Nola, Orta di Atella, Parete, Pomigliano d’Arco, Portico di Caserta, Pozzuoli, Qualiano, Quarto, Recale, Roccarainola, San Cipriano d’Aversa, San Felice a Cancello, San Marcellino, San Marco Evangelista, San Nicola la Strada, San Paolo Bel Sito, San Prisco, San Tammaro, San Vitaliano, Santa Maria a Vico, Santa Maria Capua Vetere, Santa Maria la Fossa, Sant’Arpino, Saviano, Scisciano, Sessa Aurunca, Succivo, Teverola, Trentola-Ducenta, Tufino, Villa di Briano, Villa Literno, Villaricca e Visciano. Il Ministero della Salute, a tal proposito, scrive: «Il Decreto di perimetrazione del SIN elenca la presenza di discariche. Nel SIN sono stati osservati eccessi della mortalità in entrambi i generi per tutti i principali gruppi di cause, con eccessi di mortalità per il tumore polmonare, epatico e gastrico, del rene e della vescica. I risultati hanno, anche, mostrato un trend di rischio in eccesso all’aumentare del valore dell’indicatore di esposizione a rifiuti per la mortalità generale, per tutti i tumori e per tumore epatico in entrambi i generi, e per il tumore polmonare e dello stomaco nei soli uomini»
LITORALE VESUVIANO - I Comuni interessati sono: Comuni di Boscoreale, Boscotrecase, Castellammare di Stabia, Ercolano, Napoli, Pompei, Portici, San Giorgio a Cremano, Terzigno, Torre Annunziata, Torre del Greco e Trecase. Il Ministero scrive, a tal proposito: «Il Decreto di perimetrazione del SIN elenca la presenza delle fonti di esposizione: amianto e discariche. I dati di mortalità mostrano eccessi per le malattie degli apparati digerente e genitourinario negli uomini e nelle donne. In assenza di correzione per indice di deprivazione, nelle donne vi è un eccesso per tutte le cause e per tutti i tumori. Negli uomini tantissimi i casi di tumore alla pleura».
http://www.campaniasuweb.it

Le arti si incontrano alla Cappella Sansevero

Dal 7 maggio al 4 giugno il Museo Cappella Sansevero, in collaborazione con l’Associazione culturale Ballatoio, presenta “MeravigliArti”, rassegna che offre l’opportunità di assistere, per cinque martedì consecutivi, ad eventi di letteratura, teatro, musica e ad una performance di arte contemporanea, all’interno della cappella barocca, voluta nel ‘700 dal genio di Raimondo di Sangro e nota in tutto il mondo per il celebre Cristo velato di Giuseppe Sammartino.
IL TEMA DELLA MERAVIGLIA – Con “MeravigliArti” il Museo Cappella Sansevero intende consolidare il suo riconosciuto impegno di istituzione che non solo custodisce cultura, ma ne produce. Tema della rassegna è la meraviglia, concetto che contraddistinse tutta l’attività intellettuale, scientifica e mecenatesca del principe alchimista: i libri che scrisse, le invenzioni, le opere che commissionò per la Cappella miravano, più che ad ogni altra cosa, a destare stupore e incredulità e rispondevano alla sua visione “meravigliosa” del mondo. La varietà delle arti rappresentate nella manifestazione, quindi, vuole omaggiare la molteplicità di interessi di Raimondo di Sangro, che indusse i contemporanei a definirlo non un accademico, bensì “un’accademia intera”. 
NAPOLEONE RIADATTATO DA BUSTRIC – Gli artisti coinvolti declineranno il tema in differenti accezioni, a seconda della propria sensibilità. Ad aprire la rassegna, martedì 7 maggio, sarà Sergio Bini(in arte Bustric) che porterà in scena, riadattato per l’occasione, “Napoleone magico imperatore”, rivisitazione ora surreale, ora poetica, ora intelligentemente divertita di una personalità entrata nel mito, tra effetti speciali, giochi di prestigio e suggestivi racconti.
PERCORSO LETTERARIO CON ANDREA RENZI – Il 14 maggio, Antonella Cilento e Giuseppe Montesanoin “È del poeta il fin la meraviglia” proporranno un percorso letterario scandito dalle letture di Andrea Renzi: dalla poesia barocca ad Anna Maria Ortese, scrittori e attore guideranno il pubblico alla scoperta del meraviglioso in letteratura.
GLI SLIVOVITZ ALLA PROVA DELLA CABALA – Con il loro jazz-rock dalle risonanze etniche, gli Slivovitz, band partenopea apprezzata a livello internazionale, il 21 maggio, si esibiranno in “La cabala della meraviglia”, composizioni originali e improvvisazioni sulla scorta della smorfia napoletana, fino ad arrivare al numero 72: la meraviglia. 
“C’ERA UNA VOLTA” CON ONDADURTO – Martedì 28 maggio sarà la volta della compagnia Ondadurto Teatro, che presenterà “C’era una volta”, versione “riveduta e scorretta” di alcune note fiabe, che intende «spogliare del consueto velo dolciastro»: musiche, proiezioni, costumi e una grande macchina teatrale creeranno un’atmosfera incantata, ma al contempo grottesca e bizzarra.
“LA SPOSA MADRE” DI ROXY IN THE BOX – Chiuderà la rassegna, il 4 giugno, l’artista e napoletana Roxy in the Box (Rosaria Bosso) che esporrà “La sposa madre”, installazione video-luminosa che interpreta liberamente le suggestioni di alcune sculture della Cappella Sansevero: per la prima volta un’opera d’arte contemporanea dialogherà da vicino con i capolavori del tempio gentilizio.

DOVE: Museo Cappella Sansevero, Via Francesco de Sanctis 19/21, Napoli

QUANDO: 7, 14, 21, 28 maggio e 4 giugno
QUANTO: 7, 21 e 28 maggio: 15€ ; 14 maggio: 7€ ; 4 giugno: ingresso gratuito
INFO: www.meravigliarti.it - i biglietti saranno acquistabili presso la biglietteria del Museo Cappella Sansevero e presso la Concerteria di Via Schipa, a partire dal 2 maggio

Caserta, reclutato da un uomo del clan Il racconto del rapinatore di Maddaloni

di Leandro Del Gaudio

Di tutto l’inferno che ha provocato, ricorda una cosa in particolare: lo sguardo di quell’uomo, di quello che gli ha messo la pistola in mano e che lo ha spedito in quella gioielleria. Occhi lucidi, sembravano senz’anima, di quelli che ti obbligano a fare qualunque cosa. E lui non si è sottratto, ha obbedito e oggi è lì che aspetta, che piange, che chiede aiuto, che cerca di spiegare a se stesso, prima che all’avvocato e ai giudici, come sono andate le cose, come si fa a devastare uno, due o più famiglie in pochi minuti.

Lui, Antonio Iazzetta, vent’anni, un diploma di ragioneria in tasca, ha un volto ormai noto ai più: è quello del video della rapina nella gioielleria culminata nell’omicidio del carabiniere Tiziano Della Ratta, quello che impugna la pistola come fanno gli attori di «Scarface» o «Gomorra», accanto a quello col cappellino che spara a ripetizione. Oggi il racconto di Antonio Iazzetta offre nuovi spunti di riflessione, prima ancora che di indagine. La sua storia, in parte, l’abbiamo già raccontata: diplomato, figlio di persone per bene, un’accusa di omicidio volontario. Da ieri, però, la sua storia si arricchisce di particolari, di quelli che spingono gli inquirenti a cercare il regista della rapina, l’armiere, il selezionatore.

Quello che ha organizzato il colpo, sfoderando lo sguardo vuoto che ha spinto un ragazzo di vent’anni a superare la linea d’ombra: ad accettare il delitto come unica risposta possibile alla paura. Una versione, la sua, che sposta la lancetta del tempo - e delle indagini - di qualche settimana rispetto allo scorso 27 aprile: rispetto cioé all’ingresso nella gioielleria di Maddaloni, dove viene ucciso un carabiniere che ha avuto la forza di non premere il grilletto per primo, di tutelare prima di ogni cosa la vita di quei rapinatori in erba.
C’è un retroscena, una sorta di prequel nella vita del ventenne dai tratti gentili, con gli occhialini da intellettuale, del presunto killer con il diploma di ragioniere.

È l’inizio della curva maledetta e ha che fare con la marijuana, con gli spinelli, la droga leggera consumata ogni giorno da migliaia di giovani napoletani. «Ho una sorella in coma da un anno, causa incidente stradale, i miei genitori sono completamente assorbiti da questo dramma - ha spiegato -. Da mesi ogni giorno ho il pianto di mia mamma come sveglia, non ho un lavoro nonostante il diploma, nonostante l’impegno». È così che nella vita del ragazzo entrano gli amici che non ti aspetti, quelli in cui è meglio non incappare mai. Fatto sta che, se fosse vero il racconto reso ieri mattina da Antonio Iazzetta, vuol dire che nell’inchiesta sulla morte dell’appuntato Della Ratta manca un nome: è quello del regista, quello che ha usato la droga come esca e il debito come arma di ricatto, di estorsione. Vuol dire che lì tra Caserta e Napoli, c’è una banda di soggetti in grado di selezionare, adescare, reclutare nuove leve, di spingere ragazzacci di borgata (comunque incensurati e non avvezzi al crimine) a fare il passo falso che ti cambia la vita. Ed è la versione raccontata ieri da Antonio Iazzetta al giudice di Nola che l’ha interrogato, accanto al suo difensore, il penalista napoletano Giovanni Siniscalchi. 

«Ho iniziato a fumare, ma non avevo sempre i soldi per comprare la mariuana. ”Tranquillo”, mi dicevano gli amici di Acerra, ”che problemi hai? Non lavori? Ti facciamo credito”. Ho fatto qualche debito, pensavo di poter gestire la situazione», ha spiegato il ragazzo. Ma la sorpresa è arrivata dopo un paio di settimane.