domenica 28 aprile 2013

"Spartacus End", 10 ergastoli contro il clan dei casalesi

CASERTA. Si è concluso con 10 ergastoli inflitti ad esponenti del clan dei casalesi il processo “Spartacus The End” (“Spartacus la fine”), ultimo filone del processo “Spartacus 1”.

La prima sezione della corte di Assise del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, presieduta daGiuseppe Provitera, ha inflitto, in primo grado, l’ergastolo a Giuseppe Diana, detto “Cuoll ‘e papera”, (il secondo, per lui, in questo processo), Antonio Iovine, alias “’O Ninno”, Aniello Bidognetti (figlio del boss Francesco detto “Cicciotto ‘e mezzanotte”), Enrico Martinelli,Cipriano D'AlessandroMario SchiavoneNicola Caterino detto “’O Cecato”, Giancarlo Di Sarno e Alfredo Zara.

Quindici anni e sei mesi di reclusione, invece, ai collaboratori di giustizia Dario De Simone eFranco Di Bona, 14 anni a Luigi Diana.

Accolta in pieno dai giudici la richiesta del pm antimafia di Napoli, Maurizio Giordano, che aveva chiesto 10 ergastoli per i nove imputati che, secondo l’accusa, avrebbero partecipato agli omicidi di Liliana DianaVincenzo De Falco e alla stage di Casapesenna in cui perse la vita Michele Pardea.

Scioglimento a Giugliano, c'è attesa per i commissari


GIUGLIANO. Per iniziare il ‘nuovo corso’ della politica giuglianese e dell’amministrazione comunale si attende ora la nomina e l’insediamento della commissione straordinaria per i prossimi 18 mesi. Secondo alcuni potrebbero essere nominati a governare la città i viceprefetti Giuseppe Guetta, Fabio Giombini e il superpoliziotto Luigi Colucci, nomine che dovranno essere effettuate con un decreto del Presidente della Repubblica. Tempi stretti per la guida della città che da oltre sette mesi è diretta dal commissario prefettizio Maurizio Valiante, che si è insediato dopo le dimissioni dell’ex sindaco Giovanni Pianese a settembre. “Nella scorsa legislatura - dichiara Luisa Bossa, deputata Pd, componente della commissione parlamentare antimafia.- ho presentato varie interrogazioni, denunciando al Ministro dell’Interno, casi di sospetta collusione tra politici, imprese, burocrazia e camorra, citando circostanze precise, ed eventi. L’ho fatto su Giugliano, con i risultati di questi giorni.Denunciare significa puntare i riflettori su realtà territoriali dove il condizionamento dei poteri criminali è così alto da rendere difficile la vita economica, sociale e politica. Non dobbiamo lasciare soli quelli che, in queste città, conducono battaglia per la legalità. I commissariamenti straordinari possono essere una opportunità per consentire a quelle comunità di liberarsi”. Adesso si attendono i risvolti di tale decisione e gli arresti che ne dovrebbero conseguire. Intanto fioccano i primi avvisi di garanzia per alcuni dipendenti e tecnici comunali. A 72 ore dallo scioglimento del Comune di Giugliano si susseguono i commenti e le accuse. Una notizia che ha fatto in poco tempo il giro della città. Evento storico, in negativo, per la città in quanto è la prima volta nella storia della città che accade una cosa del genere. Mai Giugliano aveva ricevuto un commissariamento per camorra. Ora si attende la relazione che deve chiarire il tutto. La notizia era nell’aria da tempo, troppo tempo. La città era col fiato sospeso per la decisione che da ieri è stata ufficializzata dal ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri. In molti davano lo scioglimento quasi per sicuro. Altri, invece, condannavano le voci ritenute infondate. Fatto sta che oramai il commissariamento dell’Ente per camorra è certo e il voto slitterà al 2015. Secondo voci, infatti, il Comune di Giugliano sarebbe dovuto essere stato sciolto qualche settimana fa, insieme al Comune di Quarto, amministrazione sciolta per ingerenze con la criminalità organizzata. Appena pochi giorni fa la notizia della convocazione da parte della prefettura dei comizi elettorali in vista delle elezioni amministrative di maggio, manifesti affissi a cavallo con la Pasqua.


Verbali secretati. Esiste un verbale dedicato al ‘consiglio comunale’ e sul quale vige il massimo riservo da parte della magistratura. A raccontare gli affari e gli accordi con l’amministrazione comunale di Giugliano è il collaboratore di giustizia Giuliano Pirozzi. Dai verbali depositati e resi pubblici, è emersa la parte omessa dove il titolo è chiaro: “Consiglio comunale”. Ed per questo che le dichiarazioni del collaboratore di giustizia ha dato il ‘la’ per l’avvio delle indagini e la scoperta degli intrecci tra camorra e politica. Intrecci che, è ovvio, dovranno essere suffragati da prove e riscontri che - pare - ad oggi siano state già appurate. Prove e documenti che sono ora al vaglio dei pubblici ministeri della Dda che a breve potrebbero dar seguito alle dichiarazioni del pentito e mettere nero su bianco con l’invio di eventuali avvisi di garanzia per esponenti politici, dipendenti del Comune e imprenditori giuglianesi.
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Giugliano e lo scioglimento per camorra
GIUGLIANO. Gli uffici della casa comunale avevano chiuso da un’ora quando è giunta la notizia ufficiale dello scioglimento del Comune per camorra. Di certo non è stato un fulmine a ciel sereno. Erano oramai diverse settimane che si rincorrevano in città le voci di un possibile scioglimento per infiltrazioni della criminalità organizzata nelle attività dell’Ente. Il tam tam, negli ultimi giorni, è diventato sempre più insistente. “E’ inutile continuare a impegnarsi nella composizione delle liste, lo sanno tutti che non andrà al voto”, dicevano mercoledì mattina alcuni cittadini a pochi passi dagli uffici di corso Campano 200 commentando le voci che si rincorrevano sempre più insistentemente. In questi mesi in città si è respirato un clima surreale, che ha contribuito a creare confusione in un quadro politico di per sé già incerto. Alle 12 di mercoledì ancora nessuno dei papabili candidati a sindaco e al consiglio comunale aveva chiesto informazioni per la presentazione delle liste. Eppure mancavano solo tre giorni alla scadenza prevista per comporre le coalizioni e scegliere i candidati al consiglio e alla poltrona di primo cittadino. Sintomo del clima di grande incertezza che si respirava in città. I primi indizi su un possibile scioglimento si sono concretizzati con la nomina, il 28 settembre dell’anno scorso, della commissione d’accesso da parte dell’allora prefetto di Napoli Andrea De Martino, su indicazione del ministero dell’Interno (l’organo composto dal viceprefetto Giovanni Cirillo, dal primo dirigente Pasquale De Lorenzo del Commissariato di Giugliano-Villaricca e da Giuseppe Rocca funzionario tecnico del Provveditorato interregionale alle opere pubbliche della Campania e del Molise) per “accertare eventuali condizionamenti ed infiltrazioni della criminalità organizzata nell’ambito dell’attività gestionale-amministrativa dell’Ente”. E’ la seconda volta che la commissione d’indagine fa visita al Comune di Giugliano. Il precedente risale al 2006. In quel caso non furono riscontrati i presupposti per lo scioglimento dell’amministrazione comunale per infiltrazioni della malavita organizzata. A dicembre è stata chiesta dagli 007 una proroga di altri tre mesi. Le indagini sono terminate a metà marzo. Sei mesi di accertamenti e audizioni serrate durante le quali sono state ascoltate oltre 100 persone tra politici, amministratori, imprenditori, persone della società civile informate dei fatti. Intanto proseguivano parallelamente le varie operazioni giudiziarie delle forze dell’ordine, corroborate dalle dichiarazioni di Giuliano Pirozzi, colletto bianco del clan Mallardo diventato collaboratore di giustizia. E anche sulle sue dichiarazioni, che avrebbero trovato riscontro in atti d’indagine, che è stato disposto lo scioglimento del Comune. E sembra quasi uno scherzo del destino che nel comunicato ufficiale diramato dal Consiglio dei Ministri venga disposto lo scioglimento del Comune di Giuliano in Campania. Quasi a mettere un marchio, un macigno sul passato amministrativo dell’Ente condizionato dalla camorra.
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giovedì 18 aprile 2013

Il ritorno di Saviano a Napoli: non sono io il morbo di questa terra


NAPOLI - È emozionato quando prende la parola. Una pausa. Un groppo allo stomaco. Un’altra pausa. Ma Roberto Saviano che torna per la prima volta a Napoli dopo 7 anni è anche amareggiato: «Sono addolorato di essere considerato uno che racconta il fango. E quante cose avrei voluto dire in questi anni». 

Eccolo di nuovo in pubblico lo scrittore dopo la fatwa dei Casalesi. Imponenti misure di sicurezza, tra cani che fiutano alla ricerca di esplosivi e 5 agenti con giubbotto antiproiettile che ti mettono la strizza addosso, per la presentazione (con Adriano Sofri e la giornalista Conchita Sannino) del suo ultimo libro «Zero zero zero». Ma a prendere il sopravvento, più che la sua fatica letteraria, è il ritorno a Napoli («Glielo avevo promesso due anni fa», dice ieri sera il suo editore Carlo Feltrinelli) e soprattutto quell’etichetta di «speculatore» sui mali di Napoli come ha ricordato lui. 

Prima però c’è il ritorno a casa. L’assaporare di nuovo Napoli. Prima un giro al Vomero e poi alla Certosa di San Martino, sempre scortato. Poi alla Feltrinelli con una piazza gremita. «Bentornato a casa Roberto», recitano gli striscioni di alcuni ragazzi che l’hanno atteso per 5 ore. Nell’aria c’è però sempre quel rapporto non facile di Saviano con la sua città. A cominciare dal sindaco de Magistris che, pur da estimatore, ha poi via via mal digerito le critiche contro la sua amministrazione. «Parla ma non si sporca le mani», disse. 

Un impegno in politica? «Non ne sono capace e non ho neanche tanta pelle, perchè quando sei sotto i riflettori la pelle va via con la delegittimazione, con la diffidenza del vicino e qualunque cosa ti fa male. Preferisco - aggiunge Saviano - continuare a raccontare». Ma ieri de Magistris smorza e a Scampia ai giornalisti dice: «Purtroppo ho una giunta ma sarei felice se passasse qui a San Giacomo: abbraccerei lui e le sue critiche». 

Ma anche l’ex pm è amareggiato se ieri pomeriggio ad Alessandra Clemente, assessore alle politiche giovanili e figlia di Silvia Ruotolo uccisa per sbaglio dai clan, dice: «Vai, se puoi parlagli e digli di darci una mano perché la città vive un momento difficilissimo. E spiegagli che io non ce l’ho con lui ma non capisco questo livore nei miei confronti». Lui, lo scrittore, spiega ieri: «Mi fa un effetto straniante stare a Napoli. Non sembra reale. Un parte di me è felicissima. E un’altra parte ha difficoltà a starci. Sento imbarazzo. Forse per tutti questi anni di distanza, forse per le polemiche. Ce ne vuole ancora per risentirmi cittadino». 

E su de Magistris: «Io sento che è il momento di stare uniti ma non si può far finta di niente: le speranze sono state tante e non sta riuscendo a governare secondo gli obiettivi che si era prefissato. Eppure Napoli deve essere al centro del Mezzogiorno e recuperarne il suo ruolo». In platea ad ascoltarlo ci sono l’assessore Clemente e Riccardo Realfonzo, espulso dal sindaco dalla sua squadra e invitato dallo scrittore. 

Il racconto del mercato mondiale della cocaina, tema del suo ultimo libro, è la cornice ma il filo conduttore rimane il suo rapporto con con la città. Con quelle critiche mal sopportate. Un paradosso per lui. «Invece che un aiuto sono stato percepito come un altro morbo di questa terra», dice. 

«E provo amarezza per questo. Molta amarezza», sottolinea prima di citare a braccio un pensiero di Giacomo Leopardi che gli calza a pennello per questa situazione: «L’umanità, paradossalmente, non odia il male e chi lo fa ma più chi lo nomina il male». Già. Lui ne rovescia invece il ragionamento: «Perché racconto solo il male? Io racconto questo perché qui c’è la luce. È questa la grande contraddizione di questa terra». E lucidamente Adriano Sofri non può che notare come «Roberto è sincero e schietto da sembrare inverosimile. È sincero e per questo dice cose che lo espongono». 

«Si mostra come uno che è diventato diverso dagli altri -aggiunge l’ex leader di Lotta Continua - e questo lo rende paranoico ma paranoico è chi nota qualcosa che gli altri non notano».


Napoli, immunità per il figlio del boss Di Lauro jr uccise, un altro morì per lui



di Leandro Del Gaudio
I figli dei boss, quelli veri, godono di una sorta di immunità: non possono essere uccisi, non possono essere oggetto di vendette dirette, anche se hanno sferrato colpi a un clan rivale E' quanto emerge dalla misura cautelare a carico di Nunzio Di Lauro, uno dei dieci figli del boss di Secondigliano e Scampia, raggiunto in carcere da una misura cautelare come responsabile del delitto del 20enne Domenico Fulchignoni, consumato il 28 luglio del 2003.

Ed è dalle indagini della Mobile, che emergono particolari su un modo di agire (e di pensare) ancora in vita, a distanza di anni da faide di scissionisti o di girati.

Stando alla ricostruzione dei pentiti, Nunzio Di Lauro (all'epoca 17enne) uccise il ventenne Fulchignoni, a sua volta legato al clan Licciardi, perché aveva osato mettere in discussione il potere criminale dei Di Lauro. Tre colpi esplosi in piena Masseria Cardone - bunker dei Licciardi - quanto basta a scatenare la vendetta degli stessi Licciardi, che però si sarebbe orientata non contro il diretto responsabile del delitto.

Ci fu un summit al quale presero parte i Licciardi e Cosimo Di Lauro (quello che avrebbe dato vita alla faida del 2004), fratello maggiore di Nunzio, dal quale emerse una sola richiesta da parte dei Licciardi: non possiamo uccidere il figlio di Paolo Di Lauro, dateci un altro nome, magari quello che ha accompagnato sul posto del delitto Fulchignoni il 17enne. Pochi mesi fa, fu ucciso un piccolo pregiudicato nella zona di Scampia, il probabile cavallo di troia suggerito dai Licciardi.

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Ordinanza di custodia cautelare in carcere per Nunzio Di Lauro, figlio di Paolo. Avrebbe ucciso da minorenne

Napoli. Un' ordinanza di custodia cautelare in carcere per concorso in omicidio aggravato è stata notificata dagli agenti della Squadra Mobile di Napoli a Nunzio Di Lauro, 28 anni, figlio del boss Paolo Di Lauro, capo dell' omonimo clan di Secondigliano. Le indagini della squadra mobile, con l' apporto di collaboratori di giustizia, hanno permesso di acquisire elementi sulle responsabilità di Nunzio Di Lauro, in concorso con un complice ancora ignoto, nell' omicidio del 20 enne Domenico Fulchignoni, ucciso in un agguato il 28 luglio 2003 nei pressi della Masseria Cardone.

Con la vittima Nunzio Di Lauro avrebbe avuto un litigio nel corso del quale Fulchignoni, futuro genero dell' affiliato del clan Licciardi, Pasquale Salomone, aveva affermato che Di Lauro «non era nessuno». All' epoca dei fatti Nunzio Di Lauro - attualmente detenuto per altri reati- era ancora minorenne. L' ordinanza di custodia cautelare in carcere nei suoi confronti è stata emessa dal tribunale per i Minorenni.

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sabato 13 aprile 2013

Liberi boss e affiliati del clan Gionta in città fuochi, festa e tanta paura

di Emiliana Cirillo

TORRE ANNUNZIATA - Scadono i termini di custodia cautelare in carcere e il Tribunale del Riesame rimette in libertà decine di uomini dei Gionta imputati nel maxiprocesso Alta Marea: capi, gregari e capostipiti del calibro di Teresa Gionta, figlia di donna Gemma e Valentino o di Michele De Simone, capo dei cosiddetti «quaglia quaglia». 

Decisioni che alla luce di un'analoga sentenza emessa solo lo scorso 22 marzo a favore di un'altra imputata, Marianeve Chierchia, appaiono quasi scontate, ma che tuttavia rischiano di vanificare gli sforzi fatti dalle forze dell'ordine e dalla stessa magistratura che, nei mesi scorsi, hanno messo a segno una serie di operazioni di polizia, scongiurando la ripresa della faida.

Gli uomini dei Gionta, tutti con condanne tra in primo grado tra i 6 e 10 anni, sono solo la prima parte di una serie di scarcerazioni eccellenti che si susseguiranno nei prossimi giorni e che potrebbero riportare per le strade di Torre Annunziata più di 50 fedelissimi dei «valentini». Un clan decimato da arresti e imputazioni, ma che presto grazie alla lentezza della macchina della giustizia potrebbe trovare nuova linfa a cui attingere per rilanciare gli affari di famiglia e riacquistare il predominio del territorio. Sulla carta, infatti, i Gionta forti di un esercito che si va lentamente ricomponendo, potrebbero squilibrare l'assetto criminale oplontino, tornando ad essere una temibile quanto organizzatissima cosca.

Il ritorno a casa dei giontiani è stato salutato in pompa magna con Palazzo Fienga illuminato a festa, fuochi d'artificio e botti di benvenuto. Lo scenario criminale quindi cambia ancora, di nuovo e in maniera repentina innescando un pericoloso effetto domino. Per le strade e i vicoli di Torre Annunziata si respira già un'atmosfera diversa e il risultato è un mix di tensione e frenesia. Per un clan che si rafforza, i Gionta, ce n'è un altro che serra le fila e tra i Gallo, i Cavalieri e i Pisielli - svantaggiati, al momento, dagli arresti del blitz Mano Nera – la guardia è alta. 

Al contrario di quanto auspicato, le condizioni perchè scoppi una nuova faida ci sono tutte. Secondo indiscrezioni i soldati di entrambi gli schieramenti sarebbero già passati nelle rispettive armerie per rifornirsi. Che qualcosa stesse per cambiare, comunque, era chiaro da tempo e il segnale inequivocabile è stata la scarcerazione di Aldo Agretti, nipote del boss Valentino Gionta tornato, però, in cella pochi giorni dopo, incastrato da una nuova ordinanza con cui gli vengono contestati i reati di «tentato omicidio e la detenzione di armi».

Agretti, meno di un mese fa, si è consegnato senza battere ciglio ai carabinieri del Nucleo Operativo che hanno bussato alla sua porta per ricondurlo in carcere. Una sorte che potrebbe toccare presto anche ai freschi beneficiari della libertà a cui è stato concesso di aspettare tra le mura domestiche la sentenza del processo d'Appello in corso. Un procedimento nato da un blitz del 2008 denominato, appunto, Alta Marea con cui 80 esponenti dei Gionta finirono in manette. Un'operazione colossale che colpì l'intera famiglia del boss Valentino e che ha portato dietro le sbarre la moglie del ras, Gemma Donnarumma, e i figli Pasquale e Teresa.
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Napoli, «disastro colposo» a Bagnoli L'intercettazione: rifiti mescolati alla terra


NAPOLI - Non c'erano soldi per smaltire i rifiuti pericolosi in discarica e si ricorse all'espediente illecito di mescolarli con il terreno. È quanto contestano i magistrati nella Procura di Napoli ai vertici della società Bagnolifutura spa e della De Vizia, azienda alla quale era affidata la bonifica. 

Tale circostanza è ricostruita anche sulla base di intercettazioni telefoniche compiute dai carabinieri del comando provinciale di Napoli e del Nucleo Tutela Ambiente. Dalle conversazioni «emerge lo stato di difficoltà economiche della Bagnolifutura nell'affrontare i pagamenti e dunque i costi per lo smaltimento dei rifiuti (morchie)». 

Lo smaltimento venne prima interrotto per mancanza di fondi e successivamente Gianfranco Caligiuri, direttore tecnico di Bagnolifutura, scrisse alla De Vizia una nota per invitarla ad accettare materiali di scavo, definiti terreni, per sottoporli a trattamento. Ma, come risulta dai dialoghi intercettati, «sono chiaramente riconoscibili dalla puzza e anche de visu e effettivamente riconosciuti come rifiuti pericolosi».

In un'intercettazione Angelo Marchitelli, capocantiere della De Vizia, parla con l'imprenditore Emilio De Vizia, esprimendo contrarietà all'idea di accettare la proposta di trattare le morchie mescolate con il terreno. De Vizia appare intenzionato ad accettarle «attraverso una trattativa per lui economicamente favorevole», come spiegano gli inquirenti. 

Marchitelli: e ce le vorrebbero dare a noi (le morchie, ndr)... questa è tutta la storia, bella pulita pulita, no? hanno mischiato addirittura queste morchie con il terreno, cercando di farlo diventare terreno di riporto C, quindi hanno fatto una miscelazione di rifiuti. 

De Vizia: ma quante sono?.... 

Marchitelli: guarda, si fa fare la perizia di variante e se non dovessimo avere risultati positivi sono comunque a carico loro, sono due celle, quindi saranno sui 3-400 tonnellate.
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“Io, malata di cancro per colpa della mia terra avvelenata”

Mi chiamo Vincenza Cristiano, vi racconto la mia storia. Sia d’esempio a chi ancora non crede che qui, tra la provincia di Napoli e Caserta, viviamo nella terra dei veleni. 

È il 2007: ho 29 anni, architetto, manca appena un mese alle mie nozze (nella foto sono con mio marito, Luca Pagano). “Hai un tumore maligno. Sei in gravi condizioni. Devi iniziare subito le chemio. Ti dobbiamo ricoverare con urgenza”.

Questa è la notizia che mi danno i medici dell’Istituto Nazionale per i tumori, il Pascale di Napoli. In un attimo la mia vita è cambiata, con i miei cari siamo precipitati nell’abisso della malattia e della sofferenza. Accadono tante disgrazie nel mondo, tante catastrofi naturali, verrebbe da pensare. Invece qui si parla di un’altra storia. Di una malattia inflitta da un uomo a un altro uomo.

Avete capito bene. Il mio tumore è stato causato da altre persone. Stile di vita sano, mai fumato, mai fatto uso di sostanze stupefacenti. La mia vita si svolgeva tra casa, chiesa e Università. “Se non ti ricoveriamo subito, ti resta un mese di vita”. Mi sembrava assurdo. Come era potuto accadere? Fu il primario dell’ospedale a darmi la risposta: “Ma come, non avete mai sentito parlare del triangolo della morte? Già da tempo se ne è occupato The Lancet oncology, una delle più prestigiose riviste internazionali di oncologia. Tu vivi nel bel mezzo del triangolo della morte, tu vivi lì”.

Quest’area comprende ampi territori che vanno dalle provincie di Napoli Nord a quelle di Caserta Sud. Territori violentati dalla camorra, con l’ausilio talvolta di politici corrotti e collusi. In questi territori vengono sversati, in regime di evasione fiscale, tonnellate di rifiuti industriali altamente tossici; diossine e policlorobifenili sono il minimo che si possa trovare. Arrivano nelle nostre campagne migliaia di tir senza alcun monitoraggio, senza alcuna tracciabilità. Sversano, interrano, bruciano, ammazzano. Luoghi privilegiati di sversamento sono le campagne. I liquami vanno nei terreni coltivati, i rifiuti tossici industriali solidi vanno dati a fuoco. Le ceneri si riversano su ortaggi e verdure venduti in tutt’Italia.

È stato calcolato che nel 2064 i liquami interrati raggiungeranno la falda acquifera. Sarà un disastro mille volte più potente di una catastrofe nucleare, e il peggio è che noi lo sappiamo. Noi lo denunciamo. Noi non abbiamo paura. Cerchiamo in ogni modo di far conoscere il nostro dramma, facciamo quello che a un cittadino comune non compete fare, ma che ci si aspetterebbe da chi ci governa e da chi dovrebbe tutelare la nostra salute e il nostro territorio.

Noi gridiamo per la morte nostra e dei nostri figli. Gridiamo al mondo intero. Qui il dramma si perpetua nel tempo, è mortalmente continuo, paradossalmente infinito. Sversano ogni giorno. Abbiamo paura di mangiare frutta e verdura contaminata, abbiamo paura di respirare. Ma noi siamo più forti della camorra, loro ci hanno usato come discarica dell’Italia, ma noi gridiamo ogni giorno di più. I nostri morti gridano di più. I nostri cimiteri sono pieni di bare bianche, le foto dei bambini sulle lapidi gridano vendetta agli occhi di Dio.

Il triangolo della morte in pochi anni è diventato il poliedro della morte; i territori contaminati si stanno allargando a zone prima estranee a questo dramma umanitario.Perché non esiste il monitoraggio dei tir? Perché la regione Campania è tra le poche d’Italia a non avere il Registro dei Tumori? Perché non esiste una legge seria contro i reati ambientali? Perché piccole dosi di Pbc (vale a dire: policlorobifenili) a Brescia della fabbrica Caffaro vengono monitorati e viene riconosciuto il danno ambientale, mentre dosi 700 volte maggiori di questa stessa sostanza nella regione Campania non vengono neanche considerate?

Perché lì bonificheranno, avendo riconosciuto l’altissima pericolosità di questa sostanza, mentre nella regione Campania sono state sversate incautamente e pericolosamente tra Acerra e Caivano altissimi quantitativi di Policlorobifenili? Perché lì hanno effettuato 1.200 analisi per 25.000 bresciani e da noi 86 per 3.000.000 di persone? Chi deve darci soluzioni concrete ed efficaci?

Non vogliamo più parole. Vogliamo solo vivere. Vogliamo respirare. Noi non ci arrendiamo. Fino alla fine. La mia vita, per fortuna va avanti, le ultime analisi al Pascale le ho fatte la scorsa settimana “Sta bene” , mi hanno detto, e io ho pensato: “Quindi il Signore mi dà ancora la forza per continuare a combattere la nostra battaglia per salvare la terra dei veleni e i suoi abitanti. Insieme è possibile; se ognuno facesse la sua piccola parte…”.

martedì 9 aprile 2013

Caserta, 24 arresti nel clan dei Casalesi, San Marino base per il riciclaggio

Caserta. Un canale che consentiva al clan dei Casalesi di riciclare denaro sporco attaverso operazioni finanziarie con società di capitali di San Marino è stato scoperto e smantellato dai Carabinieri di Caserta che hanno arrestato, in un'operazione scattata all'alba, 24 presunti affiliati al clan Sono stati sequestrati beni per due milioni di euro. L'operazione - denominata «Titano» - è scattata in Campania, Marche ed Emilia Romagna.

Nei confronti delle 24 persone arrestate i Carabinieri del Nucleo Investigativo di Caserta hanno eseguito ordinanze di custodia cautelare in carcere per associazione a delinquere di tipo mafioso e riciclaggio, con l'aggravante del metodo mafioso.

I provvedimenti sono state emessi al termine di indagini coordinate dalla direzione distrettuale antimafia di Napoli. Durante le indagini, oltre al canale per il riciclaggio di denaro sporco a San Marino, i carabinieri hanno ricostruito le manovre del clan per la creazione di una struttura satellite operativa nelle Marche e in Emilia Romagna per la gestione degli affari illeciti nelle due regioni. Fra i beni sequestrati vi è anche una Ferrari modello Scaglietti, una coupè prodotta dalla casa di Maranello dal 2004 al 2011.

La difficile lotta alla camorra: aziende confiscate, chiusa una su tre

Più passano gli anni e più aumentano gli allarmi. Rimettere in sesto, gestire e trovare un impiego non in perdita ai beni e alle attività confiscate ai camorristi è ormai diventato impegno da conti in rosso. Nonostante il nuovo codice antimafia e l’Agenzia nazionale per la gestione dei beni sottratti alle mafie.

Case e terreni a marcire per anni, aziende a rischio chiusura con decine di dipendenti senza più lavoro: il passaggio dai clan allo Stato presenta preoccupanti rovesci della medaglia. Le aziende restano il capitolo più nero. Tre mesi fa, su un totale di 567 aziende confiscate, solo il 2 per cento era in grado di competere sul mercato. Commenta Paolo Miggiano, coordinatore della fondazione Polis: «Ai risultati efficaci sul piano etico non è corrisposta sempre un’efficiente gestione dei beni confiscati inseriti in un circuito produttivo legale. Si rischia di offrire alla camorra un’opportunità di rivincita assai pericolosa».

In Campania, gli ultimi dati dell’Agenzia nazionale parlano di 1571 beni confiscati. Le aziende sono 347 e 95 risultano fuori produzione. Il 30 per cento. Spiegò, alla commissione antimafia, il direttore dell’Agenzia, il prefetto Giuseppe Caruso: «Non abbiamo le professionalità per occuparci di aziende o di patrimoni immobiliari notevoli».

Una spia critica sulla realtà. Trenta i dipendenti dell’Agenzia, che ne dovrebbe avere settanta. La sede principale, inaugurata a Reggio Calabria in pompa magna, è tagliata fuori dai centri decisionali nazionali. I collegamenti con la Calabria sono quelli che tutti conoscono e il direttore ha per questo proposto di spostare gli uffici a Roma o a Palermo. La sede napoletana, da aprire a Castelcapuano, non è stata ancora inaugurata. Va avanti un complicato sistema di gestioni di aziende affidate ad amministratori giudiziari, in continua difficoltà.

Tante imprese sono confiscate con ipoteche (il 77 per cento dei beni viene «acquisito con criticità», scrive l’Agenzia nazionale), o situazioni economiche e patrimoniali già compromesse. In più, le banche tagliano subito i finanziamenti alle società confiscate e il mercato reagisce male a imprese che si imponevano solo perché si sapeva che dietro c’era il boss o il clan. Un paio di allevamenti di bufale sul litorale domizio, confiscati ai Casalesi, sono chiusi. Lo zuccherificio «Ipam», sottratto al defunto Dante Passarelli ritenuto vicino alla famiglia Schiavone, è in liquidazione dal 2005. Tanti problemi incombono sul gruppo Ewa, titolare di decine di distributori di benzina, con un organico di 200 addetti che rischiano il posto.

Ha spiegato Raffaele Magi, presidente del Tribunale di prevenzione a Santa Maria Capua Vetere: «Alla gestione dell’Ewa inquinata dal clan le banche concedevano crediti a breve e lungo termine superiori ai 2 milioni di euro annui. Con l’amministrazione giudiziaria, i crediti sono diminuiti a circa 950mila euro. Sono stati chiesti dei mutui, ma le banche hanno detto no, mostrando diffidenza verso le aziende sottoposte ad amministrazione giudiziaria».

Il meccanismo è all’apparenza semplice. Le Procure sequestrano sulla base di indizi, il procedimento va avanti in maniera autonoma rispetto alle inchieste principali sui clan. A confisca definitiva, il bene è preso in carico all’Agenzia che nomina gli amministratori giudiziari. Con ostacoli a tutto spiano: i clan consegnano ville e terreni in condizioni volutamente disastrate. Famose le distruzioni delle coltivazioni di pesche a Pignataro Maggiore sottratte al clan Lubrano. O le ville dei fratelli Schiavone a Casal di Principe danneggiate e deturpate.

L’Agenzia nazionale cita come fiore all’occhiello due simboli di beni tolti ai clan campani: la biblioteca comunale nella villa Liberty che fu del clan De Rosa nel centro storico di Castellammare di Stabia; la villa bunker del clan Graziano ora sede dell’associazione Libera a Quindici. Gli immobili e i beni vengono consegnati ai diversi comuni, per una destinazione sociale. Non sempre è possibile, così case e palazzi interi vanno in malora in mancanza di soldi per la manutenzione. La Regione assegna fondi a chi presenta progetti sui beni confiscati. Quasi sempre i progetti sono in passivo.

Due i consorzi tra comuni, con il compito di gestire i beni confiscati : Agrorinasce in provincia di Caserta che raggruppa 6 comuni e si occupa di 54 beni, di cui 34 in attività; S.O.L.E. Napoli che unisce 18 comuni e ha in carico 20 beni, tra cui il parco confiscato al clan Rea a Giugliano. Spiega, Giovanni Allucci, direttore di Agrorinasce: «Abbiamo avuto problemi economici, ma attraverso progetti finanziati cerchiamo vie d’uscita. Il problema, per gli immobili e le attività sociali, è trovare comunque fonti di reddito autonome. In alcuni casi è possibile».

Un esempio illuminante è a Casal di Principe: la casa, confiscata a Dante Apicella. Ospita donne vittime di violenze e sta diventando anche sede di una cooperativa per attività di catering. Il sistema confische cerca soluzioni a bilanci in passivo, per un’attività dall’importante valore simbolico-sociale. Dice il prefetto Caruso: «Si potrebbe consentire la vendita ai privati a condizioni migliori, o creare fondi di rotazione per eliminare le ipoteche e consentire le ristrutturazioni».
E poi la riforma delle riforme: poter affidare ai comuni non solo gli immobili confiscati, ma anche le aziende. Con la crisi attuale e il patto di stabilità pare un’utopia. La Cgil lancia proposte di legge per tutelare i dipendenti delle aziende confiscate con il posto a rischio. Di recente il governo Monti ha abolito la Cig per i dipendenti delle aziende sottratte alle mafie.

Qualcosa si dovrà fare. Dice Franco Roberti, procuratore capo di Salerno e uno dei candidati più accreditati per la guida della Procura nazionale antimafia: «Di certo, indietro non si torna. Quando arrivai a Salerno, creai subito una sezione per i sequestri ai clan con due colleghi. Solo aggredendo la camorra sui beni, se ne combatte la forza e la capacità di riciclare soldi sporchi».
(Il Mattino - Gigi Di Fiore)

Il pentito Pirozzi candidato alle elezioni del 2003

GIUGLIANO. Le sue rivelazioni stanno facendo tremare criminalità organizzata, politici e imprenditori. Il collaboratore di giustizia Giuliano Pirozzi sta svelando segreti e retroscena degli ultimi 10 anni della storia giuglianese. Una storia fatta di intrecci e collegamenti tra il clan Mallardo, secondo gli inquirenti egemone nel Giuglianese da oltre 20 anni, e ambienti della macchina amministrativa. Quegli ambienti che lo stesso Giuliano Pirozzi conosce molto bene avendoli frequentati fin dalla giovane età. Risale al 2003 la sua candidatura alle elezioni amministrative nella lista dell’Udc, a sostegno dell’allora candidato a sindaco Umberto Sequino. Quest’ultimo, a capo di una coalizione di centrodestra, perse poi le elezioni al primo turno contro l’architetto Francesco Taglialatela alla guida di una coalizione di centrosinistra. Seppur giovane (nel 2003 Pirozzi aveva 23 anni), non fu eletto consigliere comunale ma riuscì ad ottenere ben 358 preferenze. Se già all’epoca fosse legato agli ambienti della malavita locale spetterà alla magistratura accertarlo. Certo è che Pirozzi si è contornato negli anni successivi da compagnie di politici e amministratori assumendo il ruolo di tramite tra i Mallardo e pezzi della macchina comunale. Inoltre, sotto l’amministrazione Pianese, è stato inserito nella commissione Pari opportunità del Comune come presidente dell’associazione ‘Giugliano Ambiente’. Il colletto bianco del clan Mallardo nel corso degli interrogatori sta facendo nomi e cognomi di decine di persone collegate alla cosca, svelando presunti collegamenti e affari illeciti che comunque dovranno avere il riscontro investigativo. Pirozzi è una persona molto nota in città per i rapporti che nel corso di questi anni ha intrattenuto con imprenditori ed esponenti del mondo politico di entrambe le fazioni. Come imprenditore era stato anche socio del Giugliano Calcio quando ‘i tigrotti’ militavano in C2. La stessa società è stata qualche anno dopo al centro dell’inchiesta della Dda di Napoli per infiltrazioni della camorra e in particolare del gruppo dei Dell’Aquila. Nel corso di questi anni Pirozzi ha stretto rapporti politici e ora le sue dichiarazioni potrebbero svelare infiltrazioni, pressioni o connivenze tra criminalità organizzata e macchina amministrativa. Tra i nomi fatti da Pirozzi spicca anche quello di un noto ex calciatore che ha militato in diverse squadre, anche di serie A. Intrecci, affari, collegamenti che rischiano di far saltare le prossime elezioni amministrative qualora il ministro dell’Interno, letta la relazione redatta dalla commissione d’accesso che ha lavorato negli ultimi sei mesi su presunte infiltrazioni della malavita nella macchina amministrativa, decidesse di sciogliere il Comune così come successo solo pochi giorni fa a Quarto. Il futuro del Comune di Giugliano è appeso a un filo. Un filo lungo 10 anni.
 

Torre Annunziata, blitz anticamorra, decapitato il clan dei Gallo-Cavaliere

di Maurizio Cerino
 
Colpo alla camorra di Torre Annuziata: nella notte i carabinieri hanno notificato 80 ordinanze di custodia cautelare in carcere ad altrettanti personaggi legati in massima parte alla cosca camorristica dei Gallo-Cavaliere, storicamente avversari del gruppo al ras Valentino Gionta e ai suoi affiliati.
L’operazione è la conclusione operativa di un’inchiesta diretta dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, iniziata nel 2009 dai carabinieri del reparto investigativo del gruppo territoriale Torre Annunziata, coordinato cal colonnello Nicola Conforti. Fra gli arrestati, secondo quanto è stato appreso finora, vi sarebbero anche i componenti dello «stato maggiore» del clan e il gruppo di fuoco costituito dai «Pisielli», tutti arroccati nel rione Penniniello. Tra gli arrestati vi sono anche sette affiliati al clan Gionta.

Tutti sono accusati di associazione di stampo mafiosa e, secondo i rispettivi ruoli ricoperti nell’organizzazione, i capi di imputazione comprendono anche il traffico internazionale di droga aggravati dal carattere transnazionale dell’attività, la detenzione di armi da fuoco e munizioni aggravata dalla finalità mafiosa, riciclaggio di capitali ed estorsione. Per quest’ultimo reato i carabinieri avrebbero definito una cinquantina di casi dei quali soltanto qualcuno denunciato dalla vittima di turno.

Applicate anche misure di sicurezza patrimoniali con il sequestro di quote societarie e immobili. Nel rione Penniniello è stato scoperto anche una sorta di poligono per le esercitazioni di tiro a bersaglio con le armi in dotazione agli affiliati. L’area era stata sistemata all’interno di una grossa struttura scolastica pubblica, poi dismessa dall’ente proprietario e lasciata nel totale degrado e totalmente vandalizzata.

venerdì 5 aprile 2013

E' morta Regina Bianchi, grandissima del teatro napoletano


Roma. Regina Bianchi è morta oggi pomeriggio a 92 anni, nella sua abitazione a Roma. Si è spenta nel sonno Regina D'Antigny (questo il vero nome), indimenticabile interprete e tra le più apprezzate attrici del teatro napoletano, che era nata il primo gennaio del 1921. Figlia d'arte di genitori di origine francese, Regina Bianchi è stata una delle più apprezzate attrici del teatro napoletano. Si dice che Eduardo, guardandola in faccia, abbia riconosciuto in lei le fattezze della vera Filumena, che lui - del resto - aveva creato per sua sorela Titina.


Nata a Lecce il primo gennaio 1921, fece la sua prima comparsa in scena nata da pochi giorni. Negli anni della giovinezza seguì poi tutto l'iter dai piccoli teatri alle grandi compagnie primarie, scritturata a soli sedici anni da Raffaele Viviani prima e poi da Peppino, Titina e Eduardo De Filippo.



Quest' ultimo, negli anni '70, la volle poi al suo fianco nei panni di Filumena Marturano, che resta una delle sue interpretazioni più celebri, insieme a quelle per Sabato, domenica e lunedì, Napoli milionaria! e Questi fantasmi.



Legata in particolare al teatro napoletano, Regina Bianchi ha lavorato anche in grandi compagnie per spettacoli in lingua con registi che vanno da Ronconi a Zeffirelli. La qualità intensa e vera del suo recitare è stata spesso utilizzata anche dal cinema: tra i film che ha interpretato, Il giudizio universale (1961) di Vittorio De Sica, Le quattro giornate di Napoli (1962) di Nanni Loy, per cui vinse il Nastro d'argento, Kaos (1984) di Paolo e Vittorio Taviani e Il giudice ragazzino (1994) di Alessandro Di Robilant. Nella sua carriera anche serie tv come I grandi camaleonti di Edmo Fenoglio (1964) e Gesù di Nazareth (1977) di Zeffirelli. Nel 1996, per meriti artistici, è stata insignita del titolo di Grande Ufficiale della Repubblica.



Addio a Regina Bianchi, ultima musa di Eduardo

Si dice che, guardandola in faccia, Eduardo De Filippo abbia riconosciuto in lei le fattezze della vera Filumena, che lui aveva creato per sua sorella Titina. Oggi quel volto è solo un ricordo. Si è spenta nel sonno, nella sua abitazione di Roma, Regina Bianchi, indimenticabile interprete e tra le più apprezzate attrici del teatro napoletano. I funerali si svolgeranno lunedì mattina a Roma, nella parrocchia dei sacri Cuori di Gesù e Maria in Via Magliano Sabina, nei pressi di Piazza Vescovio.
DA VIVIANI AD EDUARDO – Figlia d’arte di genitori di origine francese, Regina D’Antigny (questo il vero nome) era nata a Lecce il 1° gennaio 1921. Fece la sua prima comparsa in scena nata da pochi giorni. Negli anni della giovinezza seguì poi tutto l’iter dai piccoli teatri alle grandi compagnie primarie, scritturata a soli 16 anni da Raffaele Viviani prima e poi da Peppino, Titina ed Eduardo De Filippo. Quest’ultimo, negli anni ‘70, la volle poi al suo fianco nei panni di “Filumena Marturano”, che resta una delle sue interpretazioni più celebri, insieme a quelle per “Sabato, domenica e lunedì”, “Napoli milionaria!” e “Questi fantasmi”. Legata in particolare al teatro napoletano, Regina Bianchi ha lavorato anche in grandi compagnie per spettacoli in lingua con registi che vanno da Ronconi a Zeffirelli.
IL CINEMA – La qualità intensa e vera del suo recitare è stata spesso utilizzata anche dal cinema: tra i film che ha interpretato, “Il giudizio universale” (1961) di Vittorio De Sica, “Le quattro giornate di Napoli” (1962) di Nanni Loy, per cui vinse il Nastro d’argento, “Kaos” (1984) di Paolo e Vittorio Taviani e “Il giudice ragazzino” (1994) di Alessandro Di Robilant. Nella sua carriera anche serie Tv come “I grandi camaleonti” di Edmo Fenoglio (1964) e “Gesù di Nazareth” (1977) di Zeffirelli.
GRANDE UFFICIALE – Nel 1996, per meriti artistici, la Bianchi è stata insignita del titolo di Grande Ufficiale della Repubblica dall’allora presidente Oscar Luigi Scalfaro.