martedì 26 marzo 2013

Nuovo colpo inferto al clan Mallardo di Giugliano

GIUGLIANO. Si tratta dell'ennesimo colpo inferto ai clan Mallardo di Giugliano. Ieri mattina i carabinieri del Ros di Napoli hanno infatti notificato a tre persone, due dei quali affiliate al clan giuglianese e una terza persona affiliata al clan Licciardi. Destinatari della misura Pasquale Barbato e Massimo Di Cicco (deeto 'o mericarno) dei Mallardo e Gennaro Trambarulo, per gli inquirenti elemento di spicco del clan napoletano dei Licciardi. L'ordinanza é stata emessa dal gip di Napoli su richiesta della Procura Antimafia. L'arresto di Gennaro Trambarulo rappresente la fine della «triade» che guidava il cosiddetto «gruppo misto», costituito dai clan della camorra Mallardo, Licciardi e dei Casalesi, per gestire le attività illecite sul litorale domitio, nel casertano, ma anche in quella zona di confine del napoletano, come Giugliano in Campania. Gli altri due elementi di vertice, Pellegrino e Diana, erano già stati assicurati alla giustizia da forze dell'ordine e magistratura. «Trambarulo - spiega il Procuratore aggiunto di Napoli Federico Cafiero de Raho - gestiva le attività illecite per conto del clan Licciardi, non solo sul litorale Domitio, ma anche nelle zone di influenza del clan Licciardi di cui era elemento di vertice». Il provvedimento che riguarda Pasquale Barbato, Massimo Di Cicco e Gennaro Trambarulo è frutto di indagini basate sulle dichiarazioni di Giuliano Pirozzi, del clan Mallardo, solo da quale mese collaboratore di giustizia. Di Cicco era già in carcere, per una rapina ad Aversa (Caserta), mentre Trambarulo e Barbato erano liberi: quest'ultimo era sottoposto a sorveglianza speciale. L'alleanza tra i clan Mallardo, Licciardi e la fazione «Bidognetti» dei Casalesi, era già stata messa in luce dalle indagini: una sinergia tra Pellegrino (clan Mallardo), Trambarulo (clan Licciardi) e Francesco Diana (clan dei Casalesi) - quest'ultimo arrestato nel luglio 2009 e poi divenuto collaboratore di giustizia - per gestire le attività illecite sul litorale domitio e così sostenere la cosca di Casal di Principe, decimata dagli arresti. Ogni famiglia ha messo a disposizione un gruppo di affiliati i quali, guidati dalla «triade», si occupavano delle estorsioni e del traffico di droga, facendo poi confluire in una cassa comune i proventi che venivano suddivisi equamente. Gli arresti di oggi, sottolinea Federico Cafiero de Raho, incidono «in maniera significativa sugli assetti criminali dell'area in esame, privando il cosiddetto «gruppo misto», tuttora operativo, di tre dei suoi esponenti di E' l'ennesimo colkrilievo, tra cui Trambarulo, vertice del gruppo e con importanti funzioni di direzione e coordinamento».
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Napoli| Tre clan in consorzio: cassa comune per gestire il pizzo

di Giuseppe Crimaldi

Napoli - Il «gruppo misto della camorra» doveva garantire nuova vitalità ai cartelli criminali napoletani e casertani, duramente provati da raffiche di arresti e dalle condanne emesse dalla magistratura. 

Il «gruppo misto della camorra» doveva garantire nuova vitalità ai cartelli criminali napoletani e casertani, duramente provati da raffiche di arresti e dalle condanne emesse dalla magistratura. Una boccata d’ossigeno. Per questo era stato formato il «consorzio»: un triangolo i cui vertici erano rappresentati dai capi dei clan Licciardi, Mallardo e Bidognetti. 

Un’associazione di mutuo soccorso delinquenziale capace di garantire nuovi spazi e relative coperture su un territorio vasto, che dai quartieri dell’area nord di Napoli si estendevano fino al litorale domitio, nel Casertano. All’alba di ieri i carabinieri del Ros hanno frantumato questo triangolo, dando esecuzione a un’ordinanza cautelare del gip di Napoli che ha colpito i rappresentanti di questo accordo rimasto segreto fino a quando un collaboratore di giustizia non si è deciso a rivelare tutto ai pubblici ministeri della Direzione distrettuale antimafia. Nasce così l’operazione «Lilium», coordinata dal procuratore aggiunto della Dda partenopea (nonché neo-procuratore della Repubblica di Reggio Calabria) Federico Cafiero de Raho e dai sostituti Giovanni Conzo, Antonello Ardituro, Cesare Sirignano e Cristina Ribera, e affidata alle indagini del Reparto operativo speciale comandato dal colonnello Giovanni Fabi. Tre i destinatari dei provvedimenti cautelari, nei confronti dei quali viene mossa l’accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso: Pasquale Barbato, già soggetto a misura della sorveglianza speciale, Massimo Di Cicco (che si trovava già in carcere per altre vicende) e Gennaro Trambarulo. 
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Caserta, preso il boss Giuseppe Misso ritenuto il reggente del clan dei Casalesi

Caserta - I Carabinieri del Nucleo Investigativo di Caserta hanno arrestato Giuseppe Misso, attuale reggente del clan dei Casalesi.

Con lui sono finiti in manette Nicola Panaro e Francesco Bidognetti. L'attività dei Carabinieri era finalizzata a dare esecuzione a un'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip di Napoli su richiesta della locale Dda nei confronti di tre indagati, affiliati al clan dei Casalesi gruppo Schiavone-Bidognetti, ritenuti responsabili di omicidio. 

L'attività rappresenta l'esito delle risultanze investigative avviate, sulla scorta di recenti dichiarazioni di collaboratori di giustizia, per individuare gli autori e le modalità dell'omicidio di Gagliardi Giuseppe, avvenuto a San Cipriano d'Aversa il 5 agosto 1992 e sinora rimasto insoluto. L'eliminazione di Gagliardi era stata decisa dai vertici del clan dei Casalesi nella contrapposizione armata allora in atto con il gruppo Caterino-De Falco.
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19 Marzo, in migliia al corteo in ricordo di Don Diana

CASERTA. Alle 7.25 del 19 marzo 1994, giorno del suo onomastico, don Giuseppe Diana veniva assassinato nella sagrestia della chiesa di San Nicola di Bari, a Casal di Principe, mentre si accingeva a celebrare la santa messa.

Un killer della camorra, armato di pistola, lo avvicinò, esplodendogli contro cinque proiettili: due alla testa, uno al volto, uno alla mano e uno al collo. Don Peppino morì all’istante. Il suo ricordo, ancora oggi, è vivo. Ogni anno, a Casal di Principe, viene celebrata la giornata della memoria in suo onore, per non dimenticare il sacerdote che osò sfidare il clan dei casalesi, promuovendo e facendo sottoscrivere la lettera “Per amore del mio popolo”. Martedì 19 marzo, a Casal di Principe, migliaia di persone si sono riunite per don Peppino.
Il programma è iniziato alle 7.30, con la diretta di di Buongiorno Regione (Rai3) dalla chiesa di San Nicola. Alle 9 raduno allo stadio comunale e al parco Don Diana, con partenza del corteo fino alla chiesa di San Nicola. Alle 10.30 “I giovani si raccontano”, con interventi di giovani e cittadini impegnati nella lotta alle mafie e dei magistrati Raffaello Magi, estensore della sentenza di primo grado del processo “Spartacus”, e Federico Cafiero de Raho, fino a qualche giorno fa capo della Direzione investigativa antimafia di Napoli e ora alla Procura di Reggio Calabria.
Alle 12, proiezione del video “Il seme caduto in terra è morto ma ha portato molto frutto” realizzato dal giornalista Raffaele Sardo. Alle 14 altra diretta del Tg regionale di Rai3 dalla chiesa di San Nicola. Alle 17, santa messa celebrata dal vescovo Angelo Spinillo, e a seguire convegno con il vescovo di Catanzaro,Vincenzo Bertolone, postulatore della causa di beatificazione di don Pino Puglisie il magistrato Donato Ceglie.
Protagonisti gli studenti delle scuole casertane che durante il corteo hanno esposto numerosi striscioni e pronunciato slogan per la legalità e contro le mafie.
Durante la sfilata per le strade cittadine, la madre di don Peppino si è affacciata dal balcone della sua abitazione e ha esposto un foglio con la scritta "Grazie".
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martedì 19 marzo 2013

Casalesi: arrestati i figli di Dante Passarelli


CASERTA. E' in corso da parte dei Carabinieri del Nucleo Investigativo di Caserta un'attivita' finalizzata a dare esecuzione a un'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip di Napoli su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia nei confronti di cinque indagati. Si tratta dei figli di Dante Passarelli, i fratelli Biagio e Franco Passarelli, della moglie di quest'ultimo e di altre due persone. Ai primi due viene contestato il concorso esterno in associazione camorristica, in particolare con il clan dei Casalesi-fazione Schiavone, mentre alla donna e agli altri due viene contestato il furto di 25 tonnellate di zucchero sottoposto a sequestro, al fine di agevolare l'organizzazione camorristica. Nel corso dell'operazione saranno sottoposti a sequestro beni mobili e immobili riconducibili agli indagati, nonche' quote e beni mobili e immobili di alcune societa' tra cui la Commerciale Europea spa, a proprio marchio 'Kero', per un valore complessivo di 200 milioni di euro. 
Complessivamente sono cinque le persone alle quali i carabinieri del Nucleo Investigativo di Caserta hanno notificato un'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip di Napoli su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia partenopea. I beni sequestrati si aggirano intorno ai 200 milioni di euro. Per i pm della Dda, Biagio e Franco Passarelli (figli di Dante, morto parecchi anni fa in circostanze poco chiare, ndr) sarebbero vicini alla fazione Schiavone del clan dei Casalesi. Franco era agli arresti domiciliari ed e' stato trasferito in carcere insieme al fratello Biagio, che era libero. La moglie di Franco, Susanna Cantelli, e' accusata - insieme a Giuseppe Ammaliato e Giuseppe Errico (anche loro arrestati oggi) - di avere rubato, nel luglio del 2010, 25 tonnellate di zucchero dalla ditta di famiglia che era sotto sequestro preventivo.
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Lotta alla camorra: un maglificio nella villa bunker del clan Graziano

di Giovanni Sperandeo

QUINDICI - Non solo convegni e dibattiti pubblici nella settimana che l’associazione "Libera" dedica alla memoria delle vittime innocenti delle mafie. Non solo parole, ma anche fatti per il gruppo avellinese che fa riferimento a don Luigi Ciotti, che proprio ieri ha chiuso un importante accordo con la Prefettura di Avellino riguardo l’iter di avvio del maglificio da realizzare a Quindici, nella villa confiscata al clan Graziano e denominata “100 e 15 passi”. 
Dinanzi al prefetto Guidato, infatti, si sono incontrati Antonio Amato, presidente della commissione Antimafia della Regione Campania, la consigliera regionale irpina Rosetta D’Amelio, il sindaco di Quindici, Liberato Santaniello, il coordinatore di Sos Imprese, Marco Cillo e il referente provincia di Libera, Francesco Iandolo. 
I rappresentanti delle Istituzioni che renderanno possibile il progetto del maglificio hanno istituito il tavolo di coordinamento proprio in Prefettura, che prossimamente costituirà anche la stazione unica appaltante. 
“La disponibilità del nostro ufficio – ha ribadito il prefetto Umberto Guidato – è ampia. Sappiamo bene quale sia il valore, sia simbolico che sostanziale, dell’iniziativa che ci accingiamo a coordinare come ufficio territoriale di governo. Le Istituzioni che rappresentiamo sono sempre al fianco dei cittadini”.
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lunedì 18 marzo 2013

Spacciava droga sull'uscio di casa: 21enne in manette

SANT'ANTIMO. I carabinieri della locale tenenza hanno arrestato per spaccio e detenzione di stupefacente Rosario Oliva, 21 anni, residente in via F. Verde, già noto alle forze dell'ordine, poiché sottoposto agli arresti domiciliari per spaccio di stupefacenti. I militari dell’Arma, durante un controllo dell’uomo del rispetto della detenzione domiciliare, lo hanno notato sull’uscio di casa mentre spacciava stupefacenti a tre giovani acquirenti del luogo. Bloccati e perquisiti, gli acquirenti sono stati trovati in possesso di una stecchetta di hashish appena acquistata per uso personale, mentre il 21enne, con successiva perquisizione domiciliare è stato trovato in possesso di 20 stecchette di hashish, per un peso complessivo di 50 grammi, un bilancino di precisione e di 1.400 euro in denaro contante, ritenuti provento d’illecita attività, che aveva tutto abilmente nascosto in un scatola messa dietro la tenda della cucina. Gli acquirenti sono stati segnalati alla prefettura quali consumatori di stupefacenti. L’arrestato invece è stato tradotto nel carcere di Poggioreale.
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sabato 16 marzo 2013

In ricordo di Don Diana: 19 anni fa moriva il prete anticamorra


di 
Un grande raduno di studenti, cittadini, magistrati e associazioni per ricordare il parroco di Casal di Principe, ucciso il 19 marzo 1994 all'interno della sua chiesa.
Sono passati 19 anni. Il ricordo è però ancora vivo: se oggi Casal di Principe non viene più nominata solo ed esclusivamente per parlare di camorra, malaffare e violenza lo si deve anche a lui. Don Peppe Diana può essere considerato un iniziatore. Un parroco che predicava nel deserto dell'indifferenza, quando lo strapotere dei casalesi, a metà degli anni '90, sembrava non dover tramontare mai. Sacrificò la sua vita, non è esagerato dirlo. Predicare apertamente l'antimafia, in quegli anni, era molto più rischioso. Tanto più in un paese come Casal di Principe, dove i giovani rampolli futuri feudatari del posto andavano a divertirsi sparando contro il portone della caserma dei carabinieri. Lui non si è fermato, dal pulpito della sua chiesa parlava di camorra quando tutti facevano finta di non conoscere il significato di questa parola. È così che è morto, don Peppe Diana: solo. Ma non dimenticato. 
"I GIOVANI SI RACCONTANO" - L'appuntamento, promosso dal Comitato don Peppe Diana, è per martedì 19 marzo alle 9:30, presso il parco a lui intitolato a Casal di Principe. "I giovani si raccontano" per mostrare che la martoriata terra dell'agro aversano manda ancora segnali di vita dopo gli stupri decennali operati da camorristi, affiliati e semplici cittadini, complici di un silenzio omertoso e, se proprio per questo, ancora più odioso. Attesi migliaia di studenti, attivisti, cittadini, magistrati. Tutti coloro che, in un modo o nell'altro, in questi diciannove anni hanno tenuto vivo il ricordo del parroco. Il corteo si snoderà fra le vie della cittadina, per poi raggiungere la chiesa di San Nicola di Bari, la stessa dove don Diana fu ucciso con cinque colpi di pistola alle 7:35 del mattino, poco prima di celebrare la messa mattutina. 
GLI INCONTRI - Gli studenti si confronteranno con due magistrati: Raffaello Magi, estensore della sentenza di primo grado del processo "Spartacus", in cui furono condannati all'ergastolo i vertici della cupola casalese, e Federico Cafiero de Raho, che tra pochi giorni lascerà la Dda di Napoli per quella di Reggio Calabria. Trasferimento che lo stesso magistrato ha commentato così: «Spero che a Reggio sappiano reagire alla mafia come è successo a Napoli». 
IL VIDEO - Dopo l'incontro sarà proiettato un video, "Nelle terre di don Diana", che racconta l'evoluzione di Casal di Principe e dintorni in questi ultimi diciannove anni. Saranno presenti anche molti parenti di vittime innocenti di camorra, che si incontreranno con Augusto Di Meo, testimone dell'omicidio di don Diana, che attende ancora di essere riconosciuto dallo Stato come testimone di giustizia.
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mercoledì 13 marzo 2013

Ercolano superstar al British Museum mobili, soffitti e la sorpresa dei restauri

di Carlo Avvisati
Napoli - Alcune lamine d’avorio intagliate e un pannello del controsoffitto della Casa del rilievo di Telefo saranno tra i contributi forniti dagli scavi di Ercolano alla grande mostra su Pompei e Ercolano che apre i battenti al British Museum di Londra il 28 marzo prossimo.

Solo che le lamine d’avorio non saranno presentate come elementi del «Trono eburneo», o «solium», così come nel 2007, nell’ex chiesa di Santa Marta, a Roma, vennero enfaticamente mostrate alla stampa internazionale, ma molto più «modestamente» come elementi di mobili. Ovvero come applique - ornamenti di un «tripode delfico». Il «tripode delfico», mobile importante nell’antichità, in genere era fatto di bronzo, con un bacile alla sommità utilizzato come sedia per l’oracolo (vi si sedeva la sacerdotessa) o come contenitore di fuoco sacro al dio a cui si faceva l’offerta votiva. 

Ma poteva essere l’ambito premio di un atleta vittorioso in una gara. Quello ritrovato a Ercolano (ma pare che i reperti siano parte di almeno quattro tripodi) rimane ancora più interessante perché aveva le gambe in legno, con i piedi sagomati a zampa di leone; solo l’anello (non recuperato) su cui poggiava il bacile doveva essere di bronzo. 

Il ripensamento sulla qualità dei reperti, passato quasi sotto silenzio, era stato proposto su «Lanx», rivista elettronica della scuola di archeologia dell’Università di Milano, due anni fa dalla direttrice di Ercolano Maria Paola Guidobaldi. Che invece del «trono–solium» si fosse in presenza di un altro mobile lo avevano evidenziato le analisi sul legno di supporto subito effettuate nei laboratori del Cnr-Ivalsa (Istituto per la valorizzazione del legno e specie arboree) di Sesto Fiorentino. I tecnici Ivalsa, coordinati da Nicola Macchioni, hanno poi provveduto al restauro e alla pulitura sia dell’avorio sia del legno, terminando i lavori solo qualche settimana fa. 

Gli stessi laboratori, invece, poco o niente hanno potuto fare per restaurare in tempo nemmeno uno solo dei pannelli che controsoffittavano il cosiddetto «Salone dei marmi», la stanza più bella della domus ercolanese oggi conosciuta come del «Rilievo di Telefo», per un marmo scolpito ritrovato nella casa su cui si mostrava Telefo (figlio di Ercole) guarito da Achille. Il rinvenimento di quest’altro reperto, unico al mondo perché si tratta del solo soffitto a cassettoni di epoca romana che mai sia giunto sino a noi, assieme ai suoi elementi di sostegno, è avvenuto due anni fa nell’area antistante l’antica spiaggia di Ercolano.

A Londra andrà invece la formella lignea rinvenuta circa venti anni fa, sempre nella stessa area degli scavi. «Il reperto – spiega Nicola Macchioni - già restaurato, non era stato riconosciuto come elemento appartenuto a un soffitto di legno sino a quando non c’è stato il rinvenimento di questi nuovi elementi lignei che coincidevano perfettamente sia per incastri e disegno sia per tipo di legno con il controsoffitto di recente trovato».
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Arresto latitanti


Napoli, preso in un bunker dietro l'armadio 
il latitante legato ai narcos colombiani


Napoli - Arrestato a Mugnano il latitante Antonio Bastone, considerato affiliato di primo piano del clan Abete-Abbinante-Notturno. 

Il blitz è stato messo in atto dalla Guardia di finanza (Scico Roma e Gico del Nucleo Polizia Tributaria Napoli) in sinergia con i carabinieri, Ros Napoli. Bastone è considerato responsabile di traffico internazionale di sostanze stupefacenti: in particolare Bastone aveva stretti legami con la Colombia.

Era in una villetta di Mugnano di Napoli dove stava per incontrare i suoi familiari, Antonio Bastone, 34 anni, quando è stato arrestato. Una villetta dove era pronto anche un nascondiglio-bunker ricavato alle spalle di una cabina armadio in camera da letto. L'apertura del bunker, di due metri per due, era azionata da un telecomando e lo collegava con la camera da letto per permettergli, in caso di irruzione notturna da parte delle forze dell'ordine, di potersi immediatamente rifugiare. 

Bastone, già arrestato in passato per altre vicende giudiziarie, era l'unico che era riuscito a sfuggire ad un primo tentativo di cattura lo scorso 26 febbraio quando è stata data esecuzione al provvedimento di custodia cautelare in carcere emesso il 15 gennaio 2013 dal Gip del Tribunale di Napoli che ha portato all'arresto di altre cinque persone.

Aveva stretti e diretti rapporti con i narcos colombiani, Antonio Bastone, ritenuto responsabile, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata al traffico di cocaina nonchè di produzione, detenzione e spaccio di cocaina, eroina, marijuana, ecstasy. Le indagini, avviate nell'agosto 2006 e concluse nel 2009 dal Ros dei carabinieri, hanno permesso di documentare consolidati collegamenti tra il gruppo camorrista dei Bastone - sodalizio con struttura prevalentemente familiare, dedito al traffico di stupefacenti, all'epoca dei fatti, per conto del clan Amato-Pagano, già egemone nel rione 'lotto g' a Scampia, ed i gruppi di narcotrafficanti colombiani in Spagna, Olanda e nelle regioni colombiane di santa Marta, Cartagena, Antiqua, Medellin e Bogotà. 

Per gli inquirenti l'arrestato si è reso protagonista di un salto di qualità: era riuscito ad allacciare rapporti diretti, in Colombia, con il narcotrafficante Ramos Lujan Leonello David. Quest'ultimo si è rivelato essere il referente dell'organizzazione sudamericana operante nella regione di Medellin, struttura criminale riconducibile al capo paramilitare Jiemenez Naranjo Carlos Mario, posto al vertice del «Bloque Central Bolivar» delle a.u.c. (autodefensas unidas de colombia), attualmente detenuto in attesa di giudizio negli Stati Uniti per terrorismo e narcotraffico, considerato tra i principali organizzatori di spedizioni di sostanze stupefacenti, sia verso l'Europa che in direzione del Nord America.

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Camorra, arrestato il killer "Orango Tango"

NAPOLI. Era il 5 maggio 1998 quando Massimo Ciccarelli, detto "Berlusconi", venne assassinato dai killer nell’ambito della faida di camorra per il controllo di Caivano, città a nord di Napoli.

Per quell’omicidio, in nove tra mandanti e esecutori sono stati condannati nel 2009, una prima volta, e dopo l’annullamento del processo una seconda volta circa un anno fa.
Tra quelli che hanno premuto il grilletto, secondo la ricostruzione processuale, Vincenzo Garofalo, 41 anni oggi, all’epoca dei fatti ventiseienne, arrestato dalla Squadra Mobile di Napoli dopo meno di un anno di latitanza.

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Napoli, preso omicida di Lino Romano. Il killer furioso: «Quando sparo non mi fermo più»

NAPOLI - «Io quando poi inizio a sparare non mi fermo più»: così Salvatore Baldassarre, l'uomo arrestato dai Carabinieri con l'accusa di aver ucciso per errore, con 14 colpi di pistola, in un agguato di camorra, Pasquale Romano, spiegò a un altro affiliato al gruppo degli scissionisti, Carmine Annunziata, il clamoroso errore di persona costato la vita al giovane innocente. 

A riferirlo ai pm di Napoli Sergio Amato ed Enrica Parascandolo è stato lo stesso Carmine Annunziata, in uno dei suoi primi interrogatori dopo la decisione di collaborare con la giustizia. 

La svolta nelle indagini è arrivata il 28 novembre scorso quando Carabinieri e Polizia hanno fermato uno dei presunti assassini, Giovanni Marino. Agli investigatori qualche giorno prima si era però presentata una donna, la zia della fidanzata di un piccolo pregiudicato del quartiere, che avrebbe dovuto mandare un sms ai killer per farli entrare in azione spiegando quanto era accaduto quella sera. 

I sicari non attesero quel messaggio che avrebbe dovuto segnalare l'arrivo del vero bersaglio, designato nell'ambito della «guerra» per il controllo delle piazze dello spaccio della droga facendo fuoco su Lino Romano che per caso si era trovato in quel momento nel luogo dell'agguato.

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sabato 9 marzo 2013

Camorra a Napoli | Di Lauro, il superlatitante guida il clan vestito da donna

di Marco Di Caterino

Napoli - «Con un pò di trucco e con la mimica, puoi diventare un altro…», cantava Lucio Dalla nella struggente Caruso. E per sfuggire all’arresto, Marco Di Lauro, il ricercato numero uno della faida di Scampia, latitante da circa otto anni, con il trucco e mimica, è diventato «un’altra». 

Perché si muove e comanda a Scampia, travestito da donna. E si sposta solo nelle ore della mezza mattinata, mai di pomeriggio e nemmeno la sera. In compagnia di ragazze ( vere), a bordo di auto di piccola cilindrata, magari vecchiotte, senza mai guidare. E chissà quante volte ha superato in questo modo, i controlli delle forze dell’ordine, che pure sono così asfissianti nel quartiere delle Vele, dove è diventato pressoché impossibile, spacciare anche un grammo di marijuana per la massiccia presenza di polizia e carabinieri. 

Questa notizia, gira da tempo in tutto il quartiere. Una Scampia « pacificata». E non solo per i presidi permanenti delle forze dell’ordine, ma anche, e forse soprattutto, per la presenza sul territorio di Marco Di Lauro. Questo quarto figlio di Paolo, meglio noto come «Ciruzzo ‘o milionario», nell’immaginario collettivo di Scampia, è uno che ha mostrato di avere gli attributi. Con pazienza e ferocia, ma anche con una inaspettata ( per la giovane età) abilità «diplomatica», nella condizione scomoda di latitante, giorno per giorno, in questi otto anni, è riuscito a rimettere insieme i cocci del clan che era allo sbando.
Ed ha fatto anche di più. Grazie agli accordi con i cosiddetti «girati», chiudendo un occhio e anche di più, sul loro primo voltafaccia, di fatto si è ripreso i tre quarti di tutto «‘o sistema» di Scampia. Lasciando briciole e terrore ai veri rivali: il gruppo Amato–Pagano e il cartello Abete-Abbinante-Notturno. Per questo a Scampia, la situazione è quella di una zona pacificata. Tutto il sistema funziona se si sa bene chi comanda, soprattutto se lo fa di persona e sul posto. 
Gli inquirenti, hanno sempre sostenuto, che le latitanze lunghe dei capo clan, possono essere tali se il boss non si allontana dal suo territorio. 

La vecchia guardia utilizzava il sistema dei casalesi : bunker sotterranei nascosti da doppi fondi. Qui, invece, è venuta fuori un’altra strategia, quella del travestimento completo. Una trovata geniale, che fino ad oggi ha dato ragione a Marco Di Lauro. Qualcosa del genere era pure giunta a chi da otto anni, gli da una caccia spietata. Voci e mezze ammissioni. Una pista indicava che, dopo l’arresto di Antonio Mennetta ( Scafati, il quattro gennaio scorso) l’ultimo a piede libero del « pokerissimo» dei capi della faida di Scampia, girava con una parrucca da donna. Troppo poco. 

Come, potrebbe essere anche una strategia, ancora da delineare, quella della voce messa in giro a Scampia e anche oltre, che l’attuale reggente del clan Di Lauro, vive e si muove all’ombra delle Vele, con l’aspetto di una bella ragazza. Marco Di Lauro, è latitante dal 2004, ricercato per associazione di tipo mafioso e una sfilza di reati collegati. Dal 2006, è ricercato anche in campo internazionale come latitante tra i più pericolosi d'Italia.

L’ultima grana giudiziaria, tre anni fa. Un collaboratore di giustizia lo ha indicato quale mandante di 4 omicidi. Sul suo capo pende anche una condanna all’ergastolo (Terza Corte di Assise di Appello del Tribunale di Napoli) insieme a Mario Buono (arrestato nel 2007) l'omicidio del giovane innocente Attilio Romanò, ucciso per errore nel gennaio 2005 nell'ambito della prima faida di Scampia.

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Napoli, la faida da Scampia a Melito tregua armata dei babyboss

Napoli - Avevano spostato il baricentro dei loro affari da Scampia alla fascia dei comuni dell’hinterland settentrionale.

Pur senza mai rinunciare alla «centralità» strategica di un quartiere trasformato nel più grande supermarket della droga d’Italia, gli uomini del clan Amato-Pagano si erano guadagnati nuovi spazi, lavorando sotto traccia, senza troppo farsi notare. 
Melito, Arzano e Mugnano erano diventate le nuove (e più sicure) piazze dello spaccio di cocaina, eroina e hashish. La brutta aria che tirava a Scampia e a Secondigliano, con la nuova faida di camorra che vede opposti gli scissionisti ai “girati” di Vannella Grassi, imponeva scelte drastiche e innovazioni radicali se non si voleva rinunciare a quell’impero costruito dopo la fine dello scontro armato con i Di Lauro. 

Ma le regole della camorra non sono regole d’onore. Per questo gli accordi si fanno e si disfano, regolati solo dall’interesse economico. E poco importa se si tradisce un’alleanza e, alla fine, ci si ritrova anche al fianco di qualche ex nemico di un tempo. Eccola, la strategia degli Amato-Pagano.

Spiega questo e molte altre cose l’indagine della Procura di Napoli che si è concretizzata in un blitz della polizia, ieri mattina, e che dato esecuzione a 23 ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di altrettanti presunti affiliati al clan Amato-Pagano. Dalle carte di questa nuova inchiesta condotta dal pool di magistrati che si occupa dei quartieri teatro della faida emergono i nuovi assetti criminali di tutta l’area a nord di Napoli.

Un’indagine importante, dunque, quella coordinata dal procuratore Giovanni Colangelo e dall’aggiunto Giovanni Melillo: perché ricostruisce anche le ragioni sfociate nella nuova guerra che si combatte per il controllo delle piazze dello spaccio.

Nella primavera del 2011 il clan Amato-Pagano, attraversato da fibrillazioni interne, sembra quasi in rotta. I contrasti per la gestione delle piazze di spaccio sorgono innanzitutto con gli alleati storici, le famiglie Abete-Notturno-Abbinante; i vertici dell’organizzazione a quel punto decidono di fare una scelta di campo, e si schierano (a dicembre di quello stesso anno) con i «girati» della Vannella Grassi, che comprende anche le famiglie Leonardi e Marino. «I due gruppi – si legge negli atti dell’indagine condotta dalla Squadra mobile – decidono di impegnare così su più fronti il comune nemico, ostacolando le attività di vendita degli stupefacenti nelle zone che controlla saldamente». Il progetto prevede anche raid improvvisi e azioni armate. L’obiettivo è quello di creare il caos e il terrore a Scampia, con le inevitabili conseguenze che ne deriveranno per gli «affari» degli Abete-Abbinante. 

«La finalità di questa alleanza “sotto banco” – scrivono i pm – è duplice: da un lato bisogna riconquistare le piazze di spaccio perdute (i cui proventi, a vittoria avvenuta, saranno divisi al 5 per cento), dall’altro è necessario scalzare il predominio degli scissionisti dalle zone della provincia, dove pure hanno conquistato terreno e fette di mercato illecito. Soprattutto nei Comuni di Melito e Mugnano. L’accordo prevede anche che - una volta sconfitti gli ex alleati di un tempo – le zone dei centri a nord di Napoli (dove la camorra, oltre a vendere droga, vive anche di estorsioni) restino di competenza esclusiva degli Amato-Pagano.

Inizia così la faida. I primi omicidi sono quelli di Raffaele Stanchi (capo della piazza di spaccio del Lotto P) e del suo autista Luigi Montò, il 9 gennaio del 2012. Il 16 gennaio a Melito viene ucciso Fortunato Scognamiglio, uomo di fiducia degli Abete-Abbinante al quale è stata affidata la gestione del racket agli imprenditori locali. Due colpi durissimi per gli scissionisti. «Da quel momento – scrivono i magistrati – inizia l’occupazione armata dei centri dell’hinterland, che in breve determinerà la fuga degli uomini del clan Abete e il trionfo degli Amato-Pagano».

L’inchiesta conferma anche un altro punto. Gli Amato-Pagano, ben lungi dall’essere stati avviati sul viale del tramonto criminale, sono una realtà forte e pericolosa, capace di scalzare ogni altro clan presente nella zona. Conta moltissimi affiliati ed è gestita da un vertice di giovani risoluti e ambiziosi: Raffaele Amato junior (che ha solo 23 anni ed è già detenuto), Mariano Ricci e Carmine Cerrato (latitanti). «Sono loro i nuovi capi – concludono i pm – E possono fare affidamento su una schiera di giovanissimi accoliti che rappresentano uno strumento indispensabile per proseguire, nonostante la pressione investigativa e l’azione delle forze dell’ordine, l’azione di confronto con le fazioni avversarie».
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Scacco al clan Amato-Pagano: 23 arresti


Sono 23 le ordinanze di custodia cautelare eseguite oggi dagli agenti della squadra mobile di Napoli nei confronti di altrettante persone, indiziate di appartenere al clan camorristico Amato-Pagano. Le indagini, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia, hanno ricostruito le alleanze che alcune famiglie dei quartieri Secondigliano e Scampia e dei comuni di Melito, Mugnano e Arzano hanno stretto per il controllo delle piazze di spaccio della droga e delle estorsioni.

L’INIZIO DELLA FAIDA – Nella primavera del 2011, gli Amato-Pagano, lacerati da contrasti interni, sono contrapposti ad un cartello di famiglie di Secondigliano (Abete-Abbinante-Notturno-Vanella Grassi-Marino-Leonardi). Ma nel dicembre dello stesso anno il gruppo di Vanella Grassi, con i Leonardi e i Marino, si stacca dagli Abete-Notturno-Abbinante e si avvicina agli Amato-Pagano, tentando di aggredire il territorio dei rivali dall’interno e dall’esterno, per riconquistare piazze di spaccio, dividendone a metà i copiosi guadagni. Ha inizio così la sanguinosa guerra di camorra nella periferia Nord di Napoli.
L’OBIETTIVO DEGLI AMATO-PAGANO – Secondo gli inquirenti, le mire espansionistiche degli Amato-Pagano sono attuali. Lo confermano gli agguati messi a segno tra dicembre 2012 e gennaio 2013, che hanno come obiettivo la conquista delle piazze di spaccio del Lotto P e delle Case dei Puffi. I vertici del gruppo, sia detenuti che latitanti, come Mariano Riccio, fanno sentire la loro presenza sul territorio attraverso luogotenenti spesso giovanissimi.
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Scacco al clan Amato-Pagano: 23 arresti

Sono 23 le ordinanze di custodia cautelare eseguite oggi dagli agenti della squadra mobile di Napoli nei confronti di altrettante persone, indiziate di appartenere al clan camorristico Amato-Pagano. Le indagini, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia, hanno ricostruito le alleanze che alcune famiglie dei quartieri Secondigliano e Scampia e dei comuni di Melito, Mugnano e Arzano hanno stretto per il controllo delle piazze di spaccio della droga e delle estorsioni.

L’INIZIO DELLA FAIDA – Nella primavera del 2011, gli Amato-Pagano, lacerati da contrasti interni, sono contrapposti ad un cartello di famiglie di Secondigliano (Abete-Abbinante-Notturno-Vanella Grassi-Marino-Leonardi). Ma nel dicembre dello stesso anno il gruppo di Vanella Grassi, con i Leonardi e i Marino, si stacca dagli Abete-Notturno-Abbinante e si avvicina agli Amato-Pagano, tentando di aggredire il territorio dei rivali dall’interno e dall’esterno, per riconquistare piazze di spaccio, dividendone a metà i copiosi guadagni. Ha inizio così la sanguinosa guerra di camorra nella periferia Nord di Napoli.
L’OBIETTIVO DEGLI AMATO-PAGANO – Secondo gli inquirenti, le mire espansionistiche degli Amato-Pagano sono attuali. Lo confermano gli agguati messi a segno tra dicembre 2012 e gennaio 2013, che hanno come obiettivo la conquista delle piazze di spaccio del Lotto P e delle Case dei Puffi. I vertici del gruppo, sia detenuti che latitanti, come Mariano Riccio, fanno sentire la loro presenza sul territorio attraverso luogotenenti spesso giovanissimi.
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giovedì 7 marzo 2013

Il regno della false griffe è a Napoli e provincia: in un anno sequestrati sei milioni di pezzi

di Marco Di Caterino

La wonderland del falso. Ovvero il paradiso di calzaturieri e sarti che producono il cinquanta per cento dell’intero mercato dei prodotti contraffatti piazzati in Italia e moltissimo all’estero. 

Si nasconde nel ventre di Napoli (guanti e borse) e nel suo impolverato, caotico e sterminato hinterland un esercito di mano d’opera, tanto specializzata a cui occorrono appena settantadue ore, per copiare e mettere in produzione l’ultimo modello Hogan, Tod’s e Converse (queste ultime ora di gran moda e calzature must dei guaglioni di Scampia). 

Una settimana, invece, per gli abiti Prada, Chanel e tutto il seguito delle griffe dell’alta e del pronto moda di successo. Che vanno a ruba e producono da soli, quasi un punto di Pil della Regione, quasi cento milioni di euro. Seimila gli addetti, indotto compreso. Che salgono a diecimila se aggiungiamo i lavoratori di extracomunitari, mercatali, e venditori ambulanti (e qualche poco onesto titolare di negozio in piazza) che di fatto sono la fitta rete della distribuzione del «vero ed originale falso made in Napoli».

I numeri sono impietosi. Lo scorso anno, i finanzieri del comando provinciale di Napoli hanno effettuato sequestri di merce contraffatta per la mirabolica cifra di cinque milioni e mezzo di pezzi. Dove per un ”pezzo” si intende un paio di scarpe, un capo di abbigliamento e un giaccone Fay, un litro d’olio per auto, un fustino di detersivo. Una sorta di sterminato pozzo di san Patrizio dell’interno universo delle varie tipologie merceologiche. Le dimensioni del fenomeno sono anche racchiuse nel numero di interventi effettuati dalla guardia di finanza: mille e 302, vale a dire con una media di tre al giorno, festività comprese. I controlli hanno portato in galera cinquanta persone, mentre superano le ottocento, quelle denunciate in stato di libertà. Settantacinque i casi e i sequestri dove non sono stati trovati i colpevoli. E se a queste già impressionanti cifre, si aggiungono anche i numeri di polizia, carabinieri, vigili urbani e anche la guardia forestale (per la taroccatura degli alimenti) la somma è più che raddoppiata. 

Il polo del falso, è concentrato soprattutto nei quartieri napoletani della Sanità (guanti e borse) e San Pietro a Paterno (calzature a abbigliamento), mentre in provincia è racchiuso in una sorta di poligono irregolare i cui vertici sono Casoria, Arzano, Casandrino, Grumo Nevano; Casalnuovo (jenseria e giubbotteria). C’è poi l’importantissima appendice del Casertano, con Aversa (dove fino a trenta anni fa si realizzavano scarpe con i ritagli si scarto del pellame) e i Comuni vicini. I motivi di questa sterzata illegale sono chiari. In questo territorio, dove la finanza del comando provinciale di Napoli ha sequestrato lo scorso anno 100mila paia di scarpe falsificate e oltre due milioni e mezzo tra capi di abbigliamento e accessori di moda, esiste una professionalità del settore giunta alla quinta generazione. 

Di contro, anche la sub cultura del lavoro nero (accettata anche dagli operai), consolidata dal fattore del ”teniamo giù i prezzi”. E allora le micro e le piccole imprese a conduzione simil familiare, pur di non soccombere si lanciano a capo fitto nel settore della contraffazione. Con buona pace di tutta la filiera. Gli operai, che a fronte del rischio di una denuncia penale, guadagnano il doppio della paga. Che vale oro, contando le migliaia di disoccupati. Insomma un equilibrio perfetto, dove a tutti tocca una fetta, piccola, dei quaranta euro, prezzo di uscita dalla fabbrica delle Hogan falsificate. Mentre la fetta più grossa va, manco a dirlo alla camorra, che oltre a rimpinguare i forzieri, cementa anche il consenso popolare, nonostante l’abbaglio del lavoro. Al nero. Ma lavoro.
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Giugliano. Nuovo colpo al clan Mallardo: 9 arresti


GIUGLIANO. Attività criminali a 360 gradi. Il quadro diventa sempre più nitido. I dettagli dell'operazione messa a segno all'alba di ieri dai carabinieri del Noe di Roma, lasciano trasparire i legami sempre più netti tra la mala giuglianese e la politica locale. Nel silenzio più assordante della classe dirigente locale che, a pochi giorni dalle elezioni politiche finge di ignorare la gravità di quanto stia veramente accadendo. Tutto ciò la dice lunga sull'intera vicenda. Intanto vengono resi noti anche i nomi degli arrestati (in tutto 9) e quelli degli indagati. A finire in carcere sono: Domenico Pirozzi classe 1958 di Giugliano, Domenico Micillo classe 1972 di Giugliano, Renato Cacciapuoti classe 1977 di Mugnano, Nicola Felaco classe 1975 di Giugliano, Giuliano Gracco classe 1970 di Giugliano, Domenico Cimmino classe 1973 di Giugliano, Giovanni D’Alterio classe 1975 di Giugliano, Raffaele Smarrazzo classe 1972 di Villaricca e Domenico Basile classe 1965 di Giugliano. Altre 21 persone invece risultano indagate a piede libero. Si tratta per lo più di imprenditori e professionisti sparsi sul territorio di Napoli nord: Sorvillo Giuseppe, Abbate Domenico, Piscopo Giuseppe, De Matola Ciro, Ferrara Massimiliano, Ferrara Giuseppe, Palma Pasquale, Aiello Pasquale, Cicchetti Tristano, Marino Giuseppe, Frecciarulo Giancarlo, Nardi Gioacchino, Di Donato Nella, Di Spirito Aureliana, Casone Francesco, Carbone Gennaro, Scognamiglio Gennaro, Varriale Paolo, Pianese Emilia, Ascione Pasquale e infine Antignano Stefano.

Coinvolti anche due carabinieri. Due carabinieri sono coinvolti nell’inchiesta che ha portato all’emissione di nove misure cautelari per rapine effettuate nel napoletano con la tecnica del buco eseguite da rapinatori legati anche al clan Mallardo. Per loro l’accusa è di corruzione, per aver accettato regali in cambio della mancata multa e il mancato sequestro del mezzo al figlio del capo banda, Domenico Pirozzi, noto col soprannome di Mimi ‘o pesante’, persona del clan, fermato mentre guidava senza patente in varie occasioni. I due militari, tuttavia, erano già stati trasferiti dalla Compagnia di Giugliano in altre località dopo la scoperta di quanto accaduto. 

Le attività. Rapine in serie alle banche, sfruttamento della prostituzione, speculazioni edilizie e contatti assidui con politici e amministratori locali: un’operazione dei carabinieri del Noe ha consentito ieri di smascherare le attività del clan camorristico dei Mallardo, attivo nella zona di Giugliano. Nove le ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip Anita Polito, che ha dedicato un capitolo ai rapporti del clan con l’attività politica locale. Sequestrata la sede di un’agenzia immobiliare, quartier generale del gruppo dove venivano pianificati i colpi da mettere a segno e venivano prese le decisioni strategiche. L’inchiesta ruota intorno alla figura di Domenico Pirozzi, esponente di primo piano della cosca, il quale in un’intercettazione del 9 giugno 2009, due giorni dopo le elezioni provinciali di Napoli, parlando al telefono col nipote, “lascia sottendere che il clan si sia adoperato affinch‚ un preciso politico potesse essere favorito nella propria corsa elettorale attraverso il controllo e l’indirizzo dei voti”. “E’ ovvio - scrive il gip - che l’inserimento di un politico vicino all’organizzazione criminale negli enti istituzionali garantirebbe un sicuro accesso alle attività di infiltrazione del sodalizio”. In un’altra intercettazione, Pirozzi parla con due uomini di assunzioni imposte ad amministratori locali in cambio di voti e fa capire di poter pilotare le decisioni di vari Comuni del Casertano e del Napoletano: “Oltre al fatto che soggetti con ruoli nella gestione dell’amministrazione debbono fare il resoconto delle attività ad un esponente criminale, si nota come la distribuzione dei posti di lavoro sia ricollegata alla raccolta dei voti, per cui si tiene conto delle famiglie più numerose in quanto hanno dato più voti”. Nell’ambito dell’inchiesta sarebbero indagati anche due appuntati dei carabinieri, accusati di avere accettato regali da Domenico Pirozzi in cambio del trattamento “benevolo” riservato al figlio, sorpreso più volte a guidare senza patente. Voto di scambio, rapine, estorsioni e anche spaccio di droga. Tutto deciso in una agenzia immobiliare, quartier generale dei camorristi del clan Mallardo, a Giugliano, nel Napoletano. E’ “una piovra dai mille tentacoli” quella emersa dalle indagini dei carabinieri del Noe di Roma, coordinati dal colonnello Sergio De Caprio, il ‘capitano Ultimo’. Sono nove le persone arrestate, mentre due carabinieri del Nucleo radiomobile di Giugliano sono indagati per corruzione. Il capo del gruppo è ritenuto Domenico Pirozzi, detto ‘Mimi’ ’o pesante’. Lo dimostrerebbero le intercettazioni tra i vari complici e o confermerebbero anche diversi pentiti che hanno descritto agli investigatori il ruolo di Pirozzi. Secondo l’ordinanza firmata dal gip del tribunale di Napoli, Anita Polito, richiesta dai pm Giovanni Conzo e Maria Cristina Ribera della Dda partenopea, era Pirozzi il punto di riferimento per pianificare gli assalti in banca e alle poste, progettare lo scavo dei tunnel sotterranei per l’irruzione nei caveau, gestire i conti della cellula criminale col cassiere-contabile che li custodiva nella cassaforte di casa sua.
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Attentato a caserma dei carabinieri: 17 arresti contro clan dei casalesi

CASERTA. Vasta operazione, in provincia di Caserta, condotta dai carabinieri della compagnia di Santa Maria Capua Vetere, coordinati Direzione distrettuale antimafia, che ha portato all’esecuzione di 17 ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di una frangia del clan dei casalesi.


Undici provvedimenti sono stati notificati a persone già in carcere. Sei, invece, le persone in libertà bloccate dai militari dell'Arma durante il blitz.

Gli indagati sono ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione e detenzione illegale di armi ed esplosivi finalizzati ad agevolare le attività criminali del clan dei casalesi.

Dalle indagini è stato possibile ricostruire numerosi episodi di estorsione ai danni di imprenditori locali, molti dei quali hanno inteso in seguito collaborare con gli inquirenti.

Si è fatta luce anche su un attentato dinamitardo, mediante utilizzo di ordigni artigianali posti poi in sequestro, che esponenti di quella consorteria criminale stavano organizzando per colpire la stazione carabinieri di Grazzanise e la compagnia carabinieri di Santa Maria Capua Vetere.

Avrebbero usato nell'agosto 2009 bombe, da piazzare davanti a due caserme dei carabinieri, a Grazzanise e a Santa Maria Capua Vetere, per “vendicare” l'arresto di 9 esponenti del gruppo del capozona dei Casalesi Alfonso Cacciapuoti e il provvedimento di fermo per 21 affiliati agliAmato. Un attentato bloccato dalle rivelazioni di un pentito che era vicino a uno degli esecutori materiali, e poi con servizi di vigilanza e intercettazioni. 

Ma nell'indagine della Direzione distrettuale antimafia di Napoli che ha portato a 17 misure cautelari, ci sono anche le estorsioni capillari tra Grazzanise e Santa Maria La Fossa, con le rate di Pasqua, Ferragosto e Natale da mille a 5mila euro in base alla capacità produttiva della vittima. E sono 27 quelle consumate e accertate dagli inquirenti, per 10 delle quali c'è stata anche la collaborazione di commercianti e imprenditori. La compagine nel mirino dei magistrati è legata alla fazione Schiavone-Zagaria dei Casalesi e i reati contestati vanno dall'associazione a delinquere di stampo mafioso alle estorsioni alla detenzione di armi. Tra i destinatari del provvedimento, anche Cacciapuoti.

Il gruppo criminale aveva a disposizione un numero alto di armi, e una parte di queste è stata sequestrata a Cancello e Arnone a casa di Alfonso Ianuario, fratello di Biagio, ritenuto dagli investigatori il referente del clan dei casalesi nei comuni casertani di Grazzanise, Santa Maria la Fossa, Sant' Andrea del Pizzone, Vitulazio e Pignataro Maggiore. Sotto sequestro anche un centro scommesse, a Falciano del Massico, gestito da un prestanome (anch'egli indagato) di Cacciapuoti.

GLI ARRESTATI. Alfonso Cacciapuoti, 55 anni; Giuseppe Conte, 45; Luigi Coppola, 30; Gaetano De Biase, 45; Romolo Del Villano, 52;Elio Diana, 54; Davide Grosso, 40; Alfonso Ianuario, 43; Biagio Ianuario, 35; Luisa Martino, 50; Antonio Mercadante, 34; Amerigo Nobile, 33; Antonio Santamaria, 37; Gerardo Palumbo, 50; Maria Carmina Scialdone, 57; Giovanni Simonelli, 45; Gioacchino Tucci, 56.
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