domenica 30 dicembre 2012

Sette arresti per omicidio, colpiti gli «Scissionisti» in guerra a Scampia


NAPOLI - Sette presunti esponenti del clan Abate-Abbinante-Notturno, coinvolto nella cosiddetta faida di Scampia, sono stati fermati dalla squadra mobile di Napoli. la polizia ha eseguito un provvedimento emesso dalla Dda. Sono stati catturati Arcangelo Abbinante, ritenuto il capo dell' omonima cosca, Giovanni Carriello, Giuseppe Ambra, Armando Ciccarelli, Vincenzo Brandi, Costantino Raio e Alessandro De Falco, tutti accusati di associazione camorristica; Abbinante e Ciccarelli anche di un omicidio avvenuto nell'agosto scorso.

I fermati farebbero parte del cartello di clan in guerra contro i cosiddetti Girati (Vinella Grassi-Leonardi-Marino). Le indagini hanno messo in luce come il clan si sarebbe riorganizzato sotto la guida di Arcangelo Abbinante e Giuseppe Montanera (indicato come reggente delle famiglie Abete e Notturno), attraverso la composizione di commandi di killer (i «gruppi di fuoco»). 

L'inchiesta, basata sulle rivelazioni di collaboratori di giustizia, ha anche ricostruito un omicidio attribuito al gruppo di fuoco dei Sette Palazzi. Vittima dell'agguato, avvenuto alla Vela Celeste il 28 agosto scorso quando fu ucciso Gennaro Ricci e rimasero feriti Vincenzo La Sorte e Salvatore Piedimonte. Per questo delitto, avvenuto nell'ambito della faida contro gli Girati, sono indiziati Arcangelo Abbinante e Armando Ciccarelli.
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venerdì 28 dicembre 2012

Camorra, aiutarono il boss Setola per falsa cecita’: arrestati avvocato e medico

Un medico ed un avvocato sono stati arrestati dai carabinieri del nucleo investigativo di Caserta per aver agevolato il boss dei casalesi Giuseppe Setola ad evadere da un clinica di Pavia nel 2008 per darsi poi alla latitanza durata circa un anno.


L’attività d’indagine, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, ha consentito di individuare in un avvocato, Gerri Casella di Casagiove (Caserta), ed un medico oculista, dottor Aldo Fronterré, di Pavia, coloro che attestarono falsamente la condizione di cecità di Setola, grazie alla quale lo stesso venne ammesso nel 2007 al beneficio degli arresti domiciliari a Pavia, dai quali evase il 7 aprile 2008, assumendo poi, in latitanza, il comando della cosiddetta “ala stragista” del clan dei casalesi, responsabile di efferati omicidi.

 Casella, attivo anche in politica (è esponente del Pd ed assessore, a Casagiove, con delega ai lavori pubblici), è accusato di associazione camorristica, il medico di concorso esterno. Fu un collegio del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, però, a scarcerare Setola sulla base semplice della perizia di parte.

Le altre misure cautelari sono state notificate in carcere allo stesso Setola e altri due componenti del suo gruppo stragista. Tra il 2 maggio ed il 12 dicembre 2008, in poco più di sette mesi, furono consumati 18 omicidi e ferite otto persone. Una lunga scia di sangue che investì familiari di pentiti, imprenditori che avevano denunciato il racket ed immigrati, culminata il 18 settembre 2008 nella strage di Castel Volturno dove persero la vita cinque cittadini ghanesi.

Dalle indagini è anche emerso come l’avvocato di Setola abbia fornito un consapevole e stabile apporto all’organizzazione camorristica, attraverso il recapito di disposizioni e messaggi che il latitante inviava ai suoi sodali in libertà. Indagati lo stesso Setola e altri due elementi del suo gruppo stragista, Massimo Alfiero Gabriele Brusciano, che finanziarono materialmente la realizzazione dei falsi documenti.

Lunedì scorso, nell’ambito di una diversa inchiesta, era stato arrestato, con l’accusa di millantato credito, un altro avvocato di Setola, Salvatore Maria Lepre, che, secondo gli investigatori, avrebbe chiesto forti somme di denaro ai clienti facendo loro credere di dover corrompere magistrati, soprattutto giudici di Cassazione.

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Arrestato il superlatitante dei «girati» Antonio Leonardi

SCAMPIA. Venti uomini per braccarlo, praticamente la punta di diamante del commissariato Vicaria-Mercato, oltre alla sezione catturandi della Squadra mobile della Questura di Napoli, guidata da Luigi Merolla. Lo braccavano da almeno quattro giorni. La trappola è scattata ieri sera a due passi dall’hotel Mercure di piazza Garibaldi, in via Ricciardi, in un appartamento al terzo piano. È finita la latitanza anche per Antonio Leonardi, 52enne iscritto dal Viminale nell’elenco dei quattro super-ricercati nell’ambito della faida di Scampia. Ne restano da prendere solo tre. E prima o poi arriverà anche per loro il tempo. Cinque giorni di appostamenti, per trovare la conferma. I poliziotti - il merito va dato tutto - si sono dati i turni anche la Vigilia e il giorno di Natale per stringere il cerchio intorno a quest’uomo, il cui nome e la cui foto sono tutto sommato comparse tardi nel super-elenco delle primule rosse dei super-latitanti di camorra, e che - invece - a quel che sembra pare sia il vero artefice della faida sanguinosa scatenata dai clan in lotta per il controllo del mercato degli stupefacenti nei quartieri settentrionali del capoluogo campano. La trappola è scattata seguendo i passi di sua moglie, che condivideva con il marito questo modesto appartamentino che per l’occasione era stato diviso in due alla Ferrovia. Il proprietario, un anziano (che aveva precedenti per droga) e sua moglie (le loro generalità non sono state ancora rese note) è in stato di fermo: verrà arrestato in nottatata con l’accusa di favoreggiamento. È stato infatti seguendo i movimenti della donna, che andava a fare la spesa ieri mattina e che - pare - avesse acquistato numerose buste di alimenti in vista della Vigilia del Capodanno, che i poliziotti diretti dai primi dirigenti della Mobile Ferdinando Rossi e del titolare del commissariato Vicaria Mercato hanno avuto conferma che al terzo piano di quell’anonimo stabile di via Giuseppe Ricciardi si nascondesse il super-ricercato. Seguendola, gli agenti sono riusciti a fare irruzione nel covo. Un rifugio modesto. Una camera da letto che disponeva solo di una branda a due piazze, di un frigorifero e di un paio di mobili. Leonardi non era armato. Alla vista dei poliziotti si è limitato a dire: «Sono io la persona che state cercando». Cade così una delle teste pensanti, forse la più raffinata, tra quelle dei latitanti di camorra ricercati per la faida di Scampia. Gli pendono addosso due accuse molto pesanti: associazione per delinquere di stampo camorristico finalizzata al traffico di droga. Ma gli inquirenti della Dda sanno bene che lui è uno dei principali protagonisti della nuova faida. Leonardi è considerato infatti uno dei capi del gruppo della Vannella Grassi: è amico da sempre di Paolo Di Lauro, e - seppur tra alterne vicende che gli hanno consentito di barcamenarsi in questa tragica parentesi di fatti che si stanno alternando tra Secondigliano e Scampia - quell’amicizia pare non l’abbia mai tradita. Il boss era ricercato dal 15 ottobre scorso. Nelle prossime ore Leonardi - detto “Chiappellone” - verrà interrogato dal gip. Difficile ipotizzare l’atteggiamento che assumerà, anche se sono in molti a giurare che difficilmente potrà decidere di avviare un percorso di collaborazione con la giustizia. Intanto ieri sera - alla notizia della sua cattura - sono giunti al questore Merolla i messaggi del ministro della Giustizia, Paola Severino, e del procuratore di Napoli Giovanni Colangelo, che si sono complimentati per l’arresto. «La cattura di Leonardi - ha dichiarato il ministro Paola Severino - è un fatto importantissimo che rappresenta un ulteriore passo avanti nella lotta alla guerra di camorra di Scampia».
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giovedì 20 dicembre 2012

Arrestato il reggente del clan Puca


Puntandogli una pistola alla testa avevano chiesto a un professionista una tangente di seimila euro. Due pluripregiudicati del clan Puca: Ferdinando Puca, 26 anni, detto «Nanduccio», ritenuto il reggente della cosca,di S. Antimo, ed Angelo Puca, 49, sono stati arrestati dalla polizia con l' accusa di tentativo di estorsione. 

Il 12 settembre i due si sono recati nello studio di un professionista, minacciandolo con una pistola. Ferdinando Puca si era qualificato come capo del clan ed aveva detto al professionista che a Sant'Antimo comandava lui. Impaurita, nei giorni seguenti la vittima degli estortori non si era recata al lavoro per paura di ricevere nuove visite degli uomini del clan, ma i due avevano cominciato a seguirlo. 

Il professionista, a quel punto ha deciso di rivolgersi alla polizia e si è recato al commissariato di Frattamaggiore. Ferdinando Puca ha precedenti penali per omicidio, resistenza a pubblico ufficiale, violazione della legge sulle armi ed altri reati minori. Il giovane - secondo gli investigatori - regge le fila del clan per conto del cugino, Pasquale Puca, attualmente detenuto dopo la condanna in primo grado per l'omicidio di Francesco Verde detto «Ò Negus». Angelo Puca, parente di Ferdinando, e soprannominato «Ò Fotografo», è un sorvegliato speciale con obbligo di soggiorno nel Comune di Sant'Antimo. I due sono stati trasferiti nel carcere di Secondigliano.
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I Puca in cella, esplode la gioia dei taglieggiati e del clan rivale

di Marco Di Caterino
Il Natale a Gomorra. Giorni di attività frenetica dei clan, che passano a incassare una delle terze rate (la più consistente) del pizzo, dopo quella di Pasqua e Ferragosto. 

Ma anche la polizia non se ne sta con le mani in mano. Ieri mattina, in pieno centro a Sant’Antimo, hanno arrestato sotto gli occhi di centinaia di persone Ferdinando Puca, 28 anni, detto «Nanduccio» ma anche «‘o puorco» per la sua stazza, nipote del boss Pasquale Puca, detto «’o minorenne», che, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Francesco Verde, ha lasciato in mano al nipote la direzione del clan. 

Con il reggente è finito in manette un cugino, Angelo Puca, 49 anno, meglio noto come «‘o fotografo». I due sono stati arrestati a bordo di una potente Bmw X6 dagli agenti del commissariato di Frattamaggiore, diretto dal vice questore Angelo Lamanna, che hanno eseguito un fermo disposto dalla Dda di Napoli, per concorso in tentata estorsione, aggravata dalla circostanza di aver favorito il clan. Uno smacco per Ferdinando Puca che si vantava di avere la città sotto scacco.

Boss violento, capace di imporre il pizzo anche agli «amici». Uno che faceva paura solo a nominarlo, e che invece è stato denunciato dalla stessa vittima, e arrestato in piazza. Un senso di impunità tale da sovvertire le regole di camorra. Invece di mandare emissari del clan a imporre il pizzo, agiva in prima persona, terrorizzando le vittime. Lo scorso 12 dicembre, armi in pugno, spalleggiato dal cugino, ha fatto irruzione nello studio di un professionista, uno stimato consulente del lavoro. I due camorristi lo hanno sollevato di peso dalla poltrona, e mentre Angelo Puca lo teneva bloccato, il reggente del clan ha sfoderato la pistola, e puntando l’arma alla fronte della vittima ha sbottato: «A Sant’Antimo comando io. Domani mi dai seimila euro, altrimenti di uccido e mai nessuno saprà chi è stato». Poi sono andati via. In preda al terrore, la vittima, per un paio di giorni, è stata barricata in casa. E non ha aperto nemmeno lo studio. Il professionista sperava così di evitare altre minacce. I due pregiudicati, invece, lo aspettavano al varco. Tanto che, appena uscito di casa, è stato immediatamente seguito dai due estorsori. 

Di fronte a questa situazione, la vittima si è precipitata nel commissariato di Frattamaggiore, dal vice questore Lamanna. Ha chiesto aiuto. E ha denunciato, senza se e senza ma, in modo dettagliato, quanto aveva dovuto subire. Le indagini, davvero molto rapide, svolte dagli agenti della sezione investigativa (gli stessi che il mese scorso arrestarono Joe Banana, il capo dei girati), ha consentito agli inquirenti di identificare con certezza sia il reggente del clan che il suo complice. E rapida è stata anche la risposta dei magistrati della Dda, che in appena quattro giorni hanno formulato le prove, finite in un’ordinanza di una cinquantina di pagine, che ha portato alla emissione del fermo di polizia giudiziaria.

Poi l’arresto in pieno giorno e sotto gli occhi di un’intera città. Al centralino della polizia sono giunte decine di telefonate di commercianti e artigiani, «felici» per l’arresto e il mancato salasso economico. La zona d’ombra di Sant’Antimo ha festeggiato a suo modo. Nel rione 219 (regno incontrastato del clan Verde – rivali acerrimi dei Puca) al calare delle ombre sono stati esplosi per una decina di minuti i fuochi artificiali, accompagnati da grida di giubilo, per «o puorco» che invece di finire al macello, era finito in cella.
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domenica 16 dicembre 2012

Controlli nelle piazze di spaccio: 3 arresti

MARANO. Controlli nelle piazze di spaccio. A Marano, Melito e a Sant’Antimo, durante un servizio straordinario di controllo del territorio finalizzato a reprimere lo spaccio di stupefacenti, i carabinieri della compagnia di Giugliano con l'ausilio di colleghi dei battaglioni Campania e Sicilia e del nucleo cinofili di Napoli hanno tratto in arresto in flagranza di reato per detenzione e spaccio di stupefacenti Vincenzo Tecchio, 33enne, residente a Giugliano, incensurato, sorpreso nel parco Monaco mentre insieme a un complice era intento a spacciare. Alla vista dei carabinieri l’uomo si è dato alla fuga ma è stato bloccato dopo un breve inseguimento a piedi. Nel corso dell’operazione sono state rinvenute e sequestrate 180 dosi di cocaina del peso complessivo di circa 80 grammi, 2 confezioni di marijuana e 2 stecchette di hashish, il tutto abbandonato dal complice riuscito a darsi alla fuga.
Nel corso delle attività sono stati rintracciati e arrestati: Antonio Iar, 38 anni, residente a Marano, volto già noto alle forze dell’ordine, raggiunto da ordine di carcerazione in detenzione domiciliare emesso il 6 dicembre dalla procura di Napoli, dovrà espiare un anno e 4 mesi di reclusione per reati inerenti gli stupefacenti; Gennaro Vitale 24 anni, residente a Sant’Antimo in Via Saturno, già noto alle forze dell’ordine, raggiunto da ordine di carcerazione in detenzione domiciliare emesso il 6 dicembre dalla procura di Napoli dovendo espiare 10 mesi e 6 giorni di reclusione per reati inerenti gli stupefacenti; Gaetano Tufo 50 anni, residente Marano in via Parrocchia, già noto alle forze dell’ordine, raggiunto da ordine di carcerazione in detenzione domiciliare emesso il 5 dicembre dalla procura di Napoli dovendo espiare un anno di reclusione per falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico. Tecchio dopo le formalità di rito e’ stato tradotto nella casa circondariale di Poggioreale.

Arrestato il figlio di Carmela Attrice, la donna uccisa dal clan Di Lauro

È stato arrestato a Casavatore Francesco Barone, ritenuto affiliato al clan Marino, satellite del neo gruppo camorristico della Vanella Grassi operante a Napoli nord e al centro della sanguinosa faida con gli Scissionisti. Barone, che è stato fermato per resistenza a pubblico ufficiale, è il figlio di Carmela Attrice, la donna uccisa in un agguato avvenuto alle Case Celesti il 15 gennaio del 2005, nel pieno della guerra tra gli Scissionisti e gli uomini del clan Di Lauro per il controllo delle piazze di spaccio della droga a Napoli.

L’AGGUATO RACCONTATO ANCHE NEL FILM “GOMORRA” – L’episodio destò particolare clamore: Carmela Attrice fu fatta scendere in strada con un pretesto e uccisa con diversi colpi d’arma da fuoco. La sua unica colpa era proprio quella di essere la mamma di Francesco Barone, che secondo gli uomini dei Di Lauro si stava avvicinando ad un esponente del clan degli Scissionisti. La vicenda è stata raccontata anche nel film “Gomorra” di Matteo Garrone.
 
 

Presentato il mega-corno per difendersi dalla catastrofe della profezia Maya

NAPOLI - «Non è vero, ma ci credo», diceva Peppino De Filippo in una sua commedia teatrale degli anni '50. Il titolo descrive bene l'atteggiamento dei napoletani che, a nove giorni dalla profezia dei Maya, si sono attrezzati con un corno di ben 270 centimetri di altezza da toccare, per allontanare la fine del mondo.

In realtà nella città scaramantica per eccellenza ogni riferimento alla profezia si evita accuratamente, visto che la scaramanzia prevede proprio di ignorare una disgrazia in arrivo. Ma il corno c'è ed è dell'artista Lello Esposito, che qualche settimana fa ha donato alla città un Pulcinella e oggi rilancia un altro simbolo popolare facendolo diventare cultura.

Il corno di Esposito è stato scoperto alla presenza del presidente della Camera di Commercio, Maurizio Maddaloni, che ha ospitato l'evento, oggi, 12/12/12 alle 12.12 per opporsi al 21, data della profezia Maya.
Il corno farà poi parte di una mostra dal titolo Corno Show che si svolgerà da marzo nelle piazze della città. Un modo per sdrammatizzare, anche se «potremmo pure drammatizzare per poi uscirne con rinnovata forza», spiega Patrizio Rispo, attore di «Un posto al sole» che ha preparato anch'egli un corno che sarà però in commercio a Pasqua, scaramanticamente molto dopo la profezia degli antichi.

«In fondo - aggiunge Rispo - tutti siamo convinti che alla fine succederà niente, ma a Napoli si dice 'non è vero ma ci credò, per cui abbiamo preparato un grande corno per affrontare queste paure». La città aspetta la data con lo stesso fatalismo con cui convive con il Vesuvio.

E la sventura in arrivo diventa anche l'opportunità per fare qualche affare, con lo stesso spirito con cui, qualche anno fa, al mercato della frutta si vendevano le arance per guarire dall'influenza cinese: per Capodanno quest'anno è già pronta la «Bomba Maya», un vero e proprio ordigno esplosivo che pesa due chili e può provocare danni nel raggio di cinquanta metri.

Ma a risentire della sciagura incombente potrebbero essere anche le tradizioni gastronomiche. Al mercato della Pignasecca, in pieno centro storico, alcuni comprano già il capitone, il pesce che tradizionalmente si mangia, fritto, la sera di Natale: «A me piace molto - spiega la signora Raffaella - ma rispetto sempre la tradizione e aspetto il 24. Quest'anno, però, rischio di non poterlo mangiare e quindi ne preparo uno qualche giorno prima».

Ma Napoli è anche terra di grande sartoria e infatti Ugo Cilento ha preparato nella sua maison di moda la cravatta dei Maya: una cravatta scaramantica per elegantoni che non temono catastrofi e che, in barba a qualunque profezia, quel giorno indosseranno con classe una raffinata sette pieghe in pura seta, cucita a mano.

La cravatta, prodotta in soli 100 pezzi, ha un fondo blu e piccoli motivi che rappresentano il Sole del calendario Maya: c'è in due versioni, con la scritta «Napoli 21-12-2012» oppure con l'ironica frase "contro la fine del mondo" sul codino. E intanto nelle ricevitorie è già caccia al terno del Maya: tra i più gettonati c'è 12-21-90. Con la speranza che la profezia sia sbagliata, altrimenti la vincita non servirà a molto.
 

Qualiano: processo agli affiliati al clan Pianese

I componenti del clan alla sbarra:
(in alto) Nicola Pianese jr, Caterina Pianese, Vioncenzo Guadagno e Salvatore Pianese
(In basso) Luigi Iuffredo, Luigi Murolo, Alfonso Formisano e Bruno D'Alterio



QUALIANO. Rinviato di una settimana il processo con rito abbreviato per gli affiliati al clan Pianese. Ieri, in aula, il gip ha rigettato la richiesta degli avvocati di non acquisire agli atti le deposizioni dei tre nuovi collaboratori di giustizia Bruno D’Alterio fratello di Raffaella vedova del defunto boss Nicola Pianese, e dei fratelli Vito e Vincenzo Guadagano. Udienza rinviata alla settimana prossima: si tratta del secondo atto del processo con rito abbreviato scelto da 51 persone ritenute affiliate al clan Pianese di Qualiano. Tutto passa alla settimana prossima dove gli avvocati delle 51 persone imputate dovranno scegliere se o meno continuare con il rito abbreviato o optare per quello ordinario. Due settimane fa, il giudice Cananzi, nell’aula ‘bunker Ticino’ presso il carcere di Poggioreale, aveva acquisito i verbali degli interrogatori dei collaboratori di giustizia, rinviando di fatto l’udienza a ieri per poi discutere, con gli avvocati degli imputati, i tempi di deposito dei verbali. Intanto, a metà dicembre, partirà il processo con rito ordinario che vede alla sbarra ventidue persone, tra cui il ras del clan Mallardo di Giugliano Biagio Micillo. Gli imputati devono rispondere delle accuse di associazione mafiosa, estorsioni aggravate dall’articolo 7 e di altri reati. Alla sbarra 51 persone: Francesco Astuccia (36 anni di Qualiano), Zacaria Bara (36 anni di Qualiano), Salvatore Campanile (56 anni di Marano), Raffaele Campochiaro (40 anni di Piscinola), Biagio Cante (31 anni di Villaricca), Domenico Cante (31 anni di Villaricca), Agostino Ciccarelli (38 anni di Giugliano), Angelo Conte (28 di Qualiano), Maria Coppola (34 di Qualiano), Giovanni Correale (26 anni di Qualiano), Antonio D’Alterio (27 anni di Qualiano), Bruno D’Alterio (60 anni di Qualiano), Bruno D’Alterio (40 anni di Qualiano), Domenico D’Alterio (43 anni di Qualiano), Raffaella D’Alterio (50 anni di Qualiano), Giuseppe De Cario (33 anni di Qualiano), Giuseppe De Fenza (33 anni di Marano), Ciro De Meo (46 anni di Qualiano), Paride De Rosa (47 anni di Mugnano), Salvatore Di Marino (46 anni di Mugnano), Vincenzo Di Maro (23 anni di Qualiano), Salvatore di Palma (44 anni di Qualiano), Francesco Esposito (34 anni di Villaricca), Salvatore Ferrara (36 anni di Qualiano), Immacolato Fiorillo (46 anni di Qualiano), Alfonso Formisano (32 anni di Scampia), Vincenzo Guadagno (32 anni di Villaricca), Vito Guadagno (37enne di Villaricca), Fortuna Iovinelli (46 anni di Villaricca), Paolo Iovinelli (47 anni di Qualiano), Luigi Iuffredo (27 anni di Qualiano), Maurizio Lanna (46 anni di Giugliano), Luigi Mallardo (49 anni di Villaricca), Filippo Mastrantuono (27enne di Qualiano), Agostino Migliaccio (56enne di Qualiano), Anna Miraglia (41enne di Qualiano), Luigi Murolo (27 anni di Villaricca), Sergio Palumbo (52enne di Qualiano), Angelo Passarelli (38enne di Qualiano), Nicola Perillo (35enne di Qualiano), Costanza Pianese (30enne di Qualiano), Diego Pianese (55enne di Qualiano), Nicola Raffaele Pianese (23enne di Qualiano), Ramon Pizzo (29enne di Qualiano), Luigi Poerio (44 anni di Qualiano), Giuliano Quaranta (52enne di Milano), Domenico Russo (41enne di Giugliano), Giuseppe Scoglio (40enne del Rione Alto), Massimo Scoglio (37enne del Rione Alto) e Gerardo Strazzulli (41enne di Villaricca). A dicembre la prossima udienza che vedrà in aula gli imputati (il collegio difensivo è composta, tra gli altri, dagli avvocati Pasquale Pianese, Pietro Ciccarelli, Michele Giametta, Pasquale Russo ed Emilio Martino). (Fonte Cronache di Napoli)

sabato 1 dicembre 2012

Imponevano esibizioni di neomelodici: 12 arresti contro clan dei casalesi

CASERTA. 10 persone sono finite in carcere e due agli arresti domiciliari in un’operazione compiuta dai carabinieri del nucleo investigativo di Caserta, coordinati dai magistrati della Dda di Napoli, poiché ritenute responsabili di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione in concorso, porto e detenzione illegale di armi da fuoco e cessione di sostanze stupefacenti, reati aggravati dalla finalità mafiosa. I provvedimenti restrittivi costituiscono il risultato di un’articolata e complessa indagine avviata nel gennaio 2009 allo scopo di contrastare le agguerrite compagini facenti capo, all’epoca, a Nicola Schiavone, 33 anni, primogenito di Francesco detto “Sandokan”, ed operanti ad Aversa e comuni limitrofi.

 
I primi risultati investigativi avevano già consentito l’emissione di un decreto di fermo, disposto dai magistrati della Dda ed eseguito il 7 giugno 2010, nei confronti di dieci appartenenti al medesimo clan, essendo emersi, all’epoca, oltre al pericolo di fuga, sia l’assoluta necessità ed urgenza di interrompere una pervicace attività estorsiva nei confronti di operatori commerciali della zona di Aversa, sia l’improcrastinabilità di catturare l’ala militare del gruppo, resasi nel frattempo responsabile del tentato omicidio di due affiliati per dissidi interni.

GLI ARRESTATI. In carcere: Pietro Falcone, 32 anni, di Trentola Ducenta; Gaetano De Biase, 54, di Teverola; Alfonso Iacolare, 31, di San Cipriano d’Aversa (cugino di Nicola Schiavone); Ivo Capone, 42, di Casaluce; Giuseppe Esposito, 54, di Casaluce; – questi cinque già detenuti – Silvana Limaldi, 55, di Trentola Ducenta, Giuseppe Esposito, 25, di San Marcellino; Giovanni Menale, 49, di Aversa; Gennaro Musto, 45, di Aversa; Carlo Tavoletta, 40, di Alife. Ai domiciliari: Roberto Mallardo, 64 anni, di Giugliano; Carmen Marino, 24, di Trentola Ducenta.

Il METODO ESTORSIVO.
L’indagine, proseguita anche dopo l’esecuzione del provvedimento di fermo, ha permesso di accertare che molti degli indagati, capeggiati da Gaetano De Biase, 45 anni, di Teverola, e Pietro Falcone, 32 anni, di Trentola Ducenta, entrambi già detenuti, non si limitavano soltanto all’imposizione delle tangenti con metodo “classico” (ovvero con minaccia espressa o velata degli emissari del clan, cui consegue la dazione della somma estorta), ma si erano specializzati nel seguire un percorso più “raffinato”, pur sempre originato dalla minaccia insita nell’appartenenza al clan.
Infatti, dietro il “paravento legale” di alcune imprese/agenzie specializzate, più o meno direttamente riconducibili ad affiliati, veniva imposto:a titolari di attività commerciali, l’acquisto di gadget pubblicitari (calendari, agende, penne, accendini, ecc.) ad un prezzo di gran lunga superiore a quello di mercato, al fine di far conseguire al clan un elevatissimo profitto, grazie ad un rincaro, rispetto all’ordinaria fornitura, di circa il 150% del costo del prodotto. Grazie a tale attività, nel solo periodo natalizio, nelle casse del clan entravano dai 150mila ai 200mila euro.
Inoltre, ad altri operatori (principalmente ristoratori, organizzatori di comitati per feste patronali o di piazza e titolari di emittenti televisive locali) si imponeva la scritturazione per prestazioni canore di cantanti neomelodici - tra cui, oltre la compagna di De Biase, ovvero Rita Ferrara (in arte “Ida D’amore”), anche altri cantanti tra i quali Franco D’Amore, cugino di Ida, Nico Desideri, Ciro Riggione, Nico D’Ambrosio, Tony Calise, Mauro Landi, Flavio Marino, Giovanna Romano. Il relativo compenso veniva solo in parte devoluto all’“artista”, essendo invece in gran parte destinato alle casse del clan o a singoli affiliati.
LA VEDOVA DEL BOSS. Le indagini hanno, inoltre, evidenziato il ruolo di primo piano rivestito da Silvana Limaldi, vedova di Ettore Falcone, boss di Aversa ucciso a Parete nel 1990, e madre di Pietro Falcone. La donna, nella cui disponibilità erano state rinvenute e sequestrate munizioni e una pistola marca S&W calibro 9x21 con matricola abrasa, oltre a detenere le armi del clan, offriva agli affiliati supporto logistico consentendo l’utilizzazione della propria abitazione per riunioni, alle quali presenziava e partecipava attivamente anche nel ruolo decisionale.
I PENTITI. L’attività investigativa è stata corroborata anche alle dichiarazioni rese dai numerosi collaboratori di giustizia, tra i quali spiccano i nomi di Salvatore Laiso, Raffaele Piccolo, Roberto Vargas, Nicola Cangiano, Salvatore Caterino.
LA DROGA. Nel corso delle indagini sono anche emerse responsabilità sulla cessione di cocaina da parte di Roberto Mallardo, 54 anni, di Giugliano, Giuseppe Esposito, 26 anni, di San Marcellino, e Carmen Marino, 24 anni, di Trentola Ducenta, i quali acquistavano lo stupefacente per poi cederlo a Salvatore Laiso o consumarlo insieme a lui. Quest’ultima vicenda ha evidenziato la facilità di reperimento della droga da parte degli affiliati potendo contare su individui totalmente assoggettati nel soddisfare ogni sorta di loro volere.
 

Clan Pianese - Il pentito D'Alterio: ecco gli affari del clan

QUALIANO. Prime dichiarazioni del neo pentito Bruno D’Alterio, fratello di Raffaella e cognato del defunto boss Nicola Pianese. Risale a settembre uno dei primi interrogatori del collaboratore di giustizia che ha ricostruito gli affari illeciti della cosca e gli accordi coi Mallardo di Giugliano. “I rapporti tra i clan di Qualiano e di Giugliano sono sempre, almeno apparentemente, stati buoni - si legge nei verbali -. Tuttavia, come succede per ogni clan esistente il limite territoriale, nel senso che ogni attività illecita e in particolare le estorsioni devono essere fatte dal clan che ha influenza sul territorio. Pertanto, questa regola, valida coi giuglianese comporta che per eventuali lavori fatti su Qualiano da esponenti del clan Mallardo, anche questi devono pagare la tangente e viceversa, anche se in questi casi si un occhio di riguardo”.

Poi sui rapporti coi Mallardo è chiaro: “In merito alla posizione dei giuglianesi nella guerra tra i De Rosa e i D’Alterio, pur avendo questi detto di non essere interessati alla faida e di non volersi schierare, io credo che, in realtà, aiutavano i De Rosa. I messaggi venivano inviati dai De Rosa tramite i Mallardo”. La gestione e l’acquisto della droga “veniva acquistata direttamente dai Mallardo la cocaina, che forniva lo stupefacente”. Poi sulle estorsioni ha raccontato che c’era un gruppo che effettuava dei controlli sul territorio e il loro compito era quello di ‘prelevare’ i soldi dai cantieri, e chi, invece, si rifiutava di pagare, il ‘gruppo’ doveva bloccare i lavori.

Rapporti tra i clan anche nelle dichiarazioni di Chianese. A raccontare i collegamenti tra il clan di Qualiano e i Mallardo fu anche il pentito Giovanni Chianese:“Il clan di De Rosa era strettamente in contatto con i Mallardo attraverso Biagio Micillo”, afferma il pentito in un verbale che ricorda come sia stato in contatto con la cosca di Giugliano per un’estorsione relativa alle opere di realizzazione di un edificio situato a Qualiano. “Dopo la morte di Sarappo e l’arresto di Paride De Rosa, nel marzo del 2008, il controllo del settore delle estorsioni era controllato dal clan Pianese-D’Alterio (ciò durò fino al maggio del 2008 in quanto il 6 giugno del 2008 furono tutti arrestati), pertanto anche l’estorsione di questo fabbricato era gestita dal clan Pianese-D’Alterio. In questa occasione l’estorsione fu gestita attraverso l’intermediazione di Micillo poiché l’impresa che costruiva era riferibile ad uno dei fratelli di Dell’Aquila”.

Criterio della territorialità. Secondo Chianese i clan rispettano il criterio della territorialità dei gruppi criminali, viene sempre corrisposta una somma per l’effettuazione di lavori o investimenti al clan operante nell’area dove l’investimento deve essere realizzato o il lavoro eseguito. Nel caso specifico, inoltre, il clan D’Alterio-Pianese si trovava anche in condizioni economiche disagiate a causa della crisi economica e dei continui sequestri ai cantieri edili, circostanza questa conosciuta anche dal clan Mallardo, per cui gli esponenti ritennero di andare incontro corrispondendo una somma in relazione alla realizzazione dello stabile. Insomma una sorta di accordo che prevedeva una delega da parte della cosca di Giugliano delle estorsioni su Qualiano. E dopo gli arresti dei mesi scorsi si potrebbe aprire un nuovo scenario, con i Mallardo pronti a gestire direttamente il business del racket. (M.F. Cronache di Napoli)
 

Truffa alla Totò con finti posti di lavoro

di Rosaria Capacchione
NAPOLI - Diamolo pure: non ha inventato niente. Ha scopiazzato a destra e a manca dal repertorio classico delle truffe di celluloide, ispirandosi un po’ a un film di Nanni Loy di vent’anni fa - Pacco, doppio pacco e contropaccotto - in cui, nella parte dell’autista dello studente, aveva recitato anche il padre; e molto al sempreverde Totò Truffa , pellicola di cinquant’anni fa sopravvissuta all’usura dei tempi.

Ma c’è sempre qualcuno disponibile a credere sulla parola a chi offre un posto in paradiso. Meglio, un posto qualsiasi, indorato con una rigorosa divisa da guardia giurata e magari i galloni da ispettore. Offerta a pagamento: dai settemila ai quindicimila euro, necessari a sdebitarsi nei confronti di un non meglio specificato «onorevole» (e chi non è disposto a credere che ci sia un onorevole sensibile al fascino delle mazzette?) che sul piatto aveva messo l’insperata sorpresa di un posto fisso.

Anzi, di un pacchetto di posti a tempo indeterminato nella coop di vigilanza e portierato «Gna service», con sede in piazza Cavour e location operativa nel centro storico e commerciale. Solo che il posto di lavoro era un pacco. E lo stipendio un paccotto. Falso il primo, ancor più falso il secondo, visto che era pagato con assegni ricettati o intestati a persone (e società) inesistenti. Alla fine, i lavoratori hanno perso lavoro e soldi (quelli spesi per ricompensare l’inesistente onorevole e quelli degli stipendi) e gli emuli di Totò truffa si sono ritrovati agli arresti domiciliari.

Le ordinanze di custodia cautelare, firmate dal gip Gabriella Pepe, hanno chiuso un’indagine della polizia municipale di Napoli e hanno riguardato il «capo delle guardie», e cioè Gennaro Gallo (primogenito del cantante napoletano Nunzio Gallo, morto qualche anno fa) e tre soci: Aurelio Amatista, Gaetano Severino e Nicol Castaldo. Indagate a piede libero altre sei persone (Mario Estate, Maria Luisa Fariello, Danilo Esposito, Antonio Affinito, Michele Bossa, Onofrio Dalfino) nei cui confronto il giudice ha invece rigettato la richiesta. Rispondono, a vario titolo, di truffa e ricettazione.

L’indagine, frutto della paziente e laboriosa ricerca delle vittime fatta dalla polizia municipale, che l’aveva avviata quando il comandante era Luigi Sementa, ha permesso di scoprire una truffa da quasi mezzo milione di euro in danno di una trentina di disoccupati napoletani che avevano trovato una speranza in Genny Gallo e nella Gna Service. Erano stati avvicinati e contattata da altre personaggi degni di entrare negli stessi film: sindacalisti e vigili urbani nelle vesti di procacciatori di lavoro. Avevano pagato l’obolo, erano stati assunti e dotati di divisa.

Dalla metà del 2007 fino alla fine del 2008 hanno vigilato negozi e piazze (anche la galleria Principe di Napoli, nei pressi del museo nazionale). Servizio che la Gna aveva offerto gratuitamente per sei mesi a scopo promozionale (così avevano detto) ai commercianti, garantendo (sulla carta) lo stipendio ai dipendenti. Che sono stati impiegati nella guardiania non armata della Galleria (per contare i piccioni, come nel film di Totò?) ma che dopo mesi e mesi di attesa, si sono ritrovati tra le mani pezzi di carta straccia, e cioè assegni rubati, riciclati, intestati a società di facciata o a ditte che avevano già chiuso i battenti. Facendo la somma (ancora parziale) di quanto ha incassato la banda dai disoccupati «assunti», la polizia municipale è arrivata a oltre trecentottantamila euro.

Soldi ai quali bisogna aggiungere i centomila euro in assegni insoluti. Sono stati gli stessi dipendenti truffati a raccontare le modalità del raggiro, dal momento del contatto alla richiesta di soldi (pagati spesso dai genitori che, pur di garantire un futuro al figlio, non hanno esitato a indebitarsi o cedere il quinto dello stipendio), dall’avviamento al lavoro alla scoperta di aver accumulato un arretrato fatto di carta straccia.

Metropolitana, la stazione europea più bella? Quella in via Toledo

NAPOLI - Aperta al pubblico da due mesi e mezzo, la stazione Toledo della metropolitana di Napoli è già considerata la più bella d'Europa. Il britannico Telegraph, in una fotogallery con le immagini delle 22 più affascinanti stazioni della metropolitana europee, inserisce proprio la stazione Toledo al primo posto.

Una scelta che ha una ricaduta in termini di immagine «importante», spiega il sindaco Luigi de Magistris che ricorda anche il riconoscimento alle cosiddette "stazioni dell'arte" della linea 1 della metro di Napoli da parte di esperti in occasione della Triennale di Milano, quando le stazioni finora concluse della linea 1 furono definite «la più bella d'Europa».

Nella 'top 20' del Telegraph figura anche la stazione di Materdei (16esima). Entrambi i riconoscimenti «devono essere di stimolo per tutti, Governo, Unione Europea e Regione per darci il massimo contributo per finire anche le altre stazioni nel più breve tempo possibile».

Il quotidiano londinese dedica alle stazioni una intera fotogallery/classifica sul suo sito web (Guarda).