sabato 24 novembre 2012

Pulcinella Days, tre giorni di festa per la maschera simbolo di Napoli

NAPOLI. E’ la maschera per antonomasia di Napoli: Pulcinella. E da domani la città che le ha dato i natali le dedicherà un giorno di festa.

Anzi, tre giorni di festa. Sono i “Pulcinella days” che si svolgeranno venerdì, sabato e domenica tra il Teatro instabile (Tin), l’Istituto per gli Studi Filosofici, il conservatorio di Musica San Pietro a Majella e la chiesa Santa Maria delle anime del Purgatorio ad Arco. Una kermesse culturale a costo zero, promossa dal Comune di Napoli, aperta a tutti e gratuita. “Pulcinella è un messaggero di vita – dice lo scrittore Jean Nol Schifano, ospite della rassegna – Un essere ermafrodito, Horus del popolo, figura esemplare del barocco esistenziale”.
L’evento si apre domani alle 11 all’ingresso di vico Fico al Purgatorio ad Arco, angolo via Tribunali, dove sarà inaugurata una grande scultura in bronzo di Pulcinella donata dall’artista Lello Esposito, con progetto dall’architetto Andrea Florio, istallata in uno spazio ripulito dal degrado e liberato dalle auto in sosta. All’inaugurazione sono annunciate le presenze del sindaco di Napoli Luigi de Magistris, dell’assessore all’Urbanistica, Luigi De Falco, dello scultore Lello Esposito, del regista Michele Del Grosso e dello scrittore Jean Noel Schifano.
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Iniziative contro la camorra


«Contro la camorra senza prudenza» Il 7 dicembre iniziativa contro i clan

NAPOLI - Il 7 dicembre il Comune di Napoli promuoverà «una grande iniziativa» contro la camorra. Ad annunciarlo il sindaco Luigi De Magistris a margine della presentazione di una mostra al Pan. Slogan della manifestazione "Contro la camorra senza prudenza" frase che, come ha riferito il sindaco, gli è stata detta da Rosanna, la fidanzata di Lino Romano ultima vittima innocente della criminalità organizzata a Napoli.

«Oggi nel 2012 - ha detto de Magistris - il "fuitvenne" di Eduardo noi lo diciamo alla camorra. Chi non si vuole convertire se ne vada da questa città in cui la stragrande maggioranza dei cittadini sono brave persone».

«Facciamo un “pacco” alla camorra» l'idea per Natale del comitato don Diana
NAPOLI - Fare un “pacco” alla camorra utilizzando i prodotti agricoli tipici coltivati nelle terre confiscate alle mafie: è l'idea del comitato don Peppe Diana per Natale. Che vuole in questo modo raccogliere fondi, valorizzare le produzioni no-camorra, e diffondere la cultura della legalità. 
L'idea è di proporre i cesti natalizi firmati Nco, Nuovo commercio organizzato. Dentro i prodotti tradizionali: fagioli, olio extravergine, cioccolato, pasta, pomodoro. Tutto però prodotto nelle terre confiscate alla malavita, inserito nel paniere della filiera etica nata in Campania.

Tre le tipologie di cesto disponibili: pacco Impegno, pacco Responsabile e pacco Memoria. «L'anno scorso - spiega Valerio Taglione, referente di Libera Caserta e presidente del Comitato don Peppe Diana - abbiamo venduto quasi 5 mila pacchi. E molti in altre regioni d'Italia. La novità di quest'anno è che il pacco cresce: sono infatti 16 le cooperative e due imprenditori che hanno denunciato il racket, ad entrare nel pacco. Quattro anni fa le cooperative erano solo due. Con il nuovo marchio Nco i produttori non perdono la loro identità ma fanno parte di una sfida più grande». 

«Facciamo un pacco alla camorra» è stato presentato oggi con la collaborazione di Libera e Polis alla presenza di numerosi produttori e parenti delle vittime della criminalità organizzata.

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Faida Scampia, catturato il giovane boss Mariano Abete

NAPOLI. I carabinieri hanno catturato Mariano Abete, 21enne, residente in via Ghisleri, a Napoli, reggente dell’omonimo gruppo camorristico.


Il latitante è stato catturato dal nucleo operativo Stella e dalla stazione quartiere 167. Abete era uno dei ricercati per la nuova faida di Scampia.
Il giovane boss, arrestato all’alba, è stato scovato in un nascondiglio nella casa della madre, ricavato tra due pareti alle quali si accedeva tramite una parete mobile con apertura azionata a telecomando. Era ricercato per un'ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip di Napoli, per associazione mafiosa e associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti.
L'identikit di Abete era stato diffuso lo scorso 20 ottobre da carabinieri e polizia insieme con gli altri quattro latitanti che secondo gli investigatori hanno un ruolo di primo piano nella riesplosione della faida di camorra a Scampia.
"Aspettate, apro io, sono Mariano Abete", così il boss si è arreso nelle mani dei carabinieri della compagnia Stella del comando provinciale di Napoli. Quando i militari hanno intuito che nell'abitazione della madre di Abete era stato ricavato un nascondiglio tra le intercapedini di due pareti, hano iniziato ad abbatterle. A quel punto il latitante eccellente si è reso conto che per lui era finita, ha preferito arrendersi ed aprire con il telecomando la parete mobile. Abete è stato ammanettato intorno alle 5.30 sotto gli occhi della madre che lo teneva nascosto in casa da tempo.
Circa cento carabinieri avevano circondato poco prima l'edificio per dare inizio alla perquisizione. Ogni giorno, ed anche più volte in una sola giornata i carabinieri arrivano in forza a Scampia ma anche a Secondigliano e a Melito e in tutti i luoghi 'sensibili' dove è in atto la faida per perquisire edifici, garage e cantine.
Nelle scorse settimane la procura aveva deciso di rendere pubbliche le foto di cinque latitanti più pericolosi della faida di Scampia.  TRa questi Mariano Abete, seppur giovane, già potente e pericoloso. Una decina di giorni fa era stato arrestato un altro dei cinque latitanti più pericolosi, Rosario Guarino, 29 anni. Tra gli altri è ancora ricercato il giovane boss Marco Di Lauro, figlio del boss Paolo, detto “Ciruzzo 'o milionario”', protagonista con l'ala degli scissionisti della prima faida di Scampia. Restano ancora liberi anche Mario Riccio, di 21, Antonio Mennetta, di 27.
Calca di parenti davanti la caserma dei carabinieri “Pastrengo” a Napoli per salutare Mariano Abete, il ventunenne reggente dell'omonimo clan catturato questa mattina all'alba. Tra questi anche la giovane convivente. Vani i tentativi dei familiari di avvicinarsi al boss, che è uscito dalla caserma per essere accompagnato in carcere in tuta di acetato, leggermente ingrassato rispetto alle foto segnaletiche in possesso degli inquirenti.
Il procuratore della Repubblica di Napoli, Giovanni Colangelo, si è congratulato con il comandante generale dei carabinieri, generale Leonardo Gallitelli, e con i comandanti regionale della Campania e provinciale di Napoli per “l'esito brillante dell'operazione che ha portato alla cattura del latitante Mariano Abete'', reggente dell'omonimo gruppo camorristico. Il procuratore ha pregato di ''estendere le proprie congratulazioni” a tutti i militari che hanno operato. L'operazione - ha detto il procuratore Colangelo - dimostra “l'alto livello dell'impegno delle forze dell' ordine e la tensione che anima il loro lavoro quotidiano”.
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Clan dei Casalesi


CASERTA. La Squadra Mobile della Questura di Caserta, nell'ambito dell'operazione ''Thunderball 2'', ha arrestato Antonio Zagaria, fratello del boss Michele, ritenuto il reggente del clan dei Casalesi. In manette anche il nipote di Zagaria, Filippo Capaldo, e notificate in carcere provvedimenti ad altri due fratelli: Carmine e Pasquale. Il nipote dei Zagaria era stato scarcerato da circa un mese. Complessivamente sono nove, e riguardano elementi ritenuti di vertice del clan dei Casalesi, le ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip del Tribunale di Napoli su richiesta della Dda partenopea, nell'ambito dell'operazione 'Thunderball 2'. Le accuse sono di estorsione aggravata dal metodo mafioso. Le indagini hanno consentito di fare luce, in particolare, su due diverse vicende estorsive subite da un imprenditore che, oberato da debiti usurari, e' stato costretto dalle minacce dei membri del clan camorrista a vendere attrezzature e beni strumentali della propria azienda agricola per restituire il denaro. I provvedimenti sono stati eseguiti dalla Squadra Mobile della Questura di Caserta, diretta dal vicequestore aggiunto Angelo Morabito, che contribuirono alla cattura del superlatitante Michele Zagaria, avvenuto il 7 dicembre 2011, dopo una latitanza di oltre 16 anni. 
Sono accusati di estorsioni aggravate dal metodo mafioso. In tutto sono nove gli arrestati nell'ambito delle indagini su una serie di estorsioni commesse ai danni dell'imprenditore Roberto Battaglia, titolare di un'azienda bufalina a Capua che ha denunciato pressioni e richieste di pizzo da parte del clan dei Casalesi. Battaglia, il giorno dopo la cattura del boss Zagaria aveva chiesto di essere ascoltato dai magistrati della Dda di Napoli ai quali, in un primo interrogatorio del 2 febbraio 2012, aveva riferito di richieste estorsive pregresse da parte del clan. Destinatari dell'ordinanza sono Carmine, Pasquale e Antonio Zagaria di 52, 48 e 50 anni, i cognati di Zagaria, Filippo, Francesco e Raffaele Capaldo, Nicola Diana, Pasquale Fontana e Ciro Benenati.
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Clan Pianese, depositati gli interrogatori dei pentiti

QUALIANO. Udienza rinviata a dicembre. Si tratta del primo atto del processo con rito abbreviato scelto da 51 persone ritenute affiliate al clan Pianese di Qualiano. Ieri, in aula, i pm hanno depositato gli interrogatori dei tre nuovi collaboratori di giustizia: Bruno D’Alterio (nella foto) fratello di Raffaella vedova del defunto boss Nicola Pianese, e dei fratelli Vito e Vincenzo Guadagano. Il giudice Cananzi, nell'aula Bunker 'Ticino 1' presso il carcere di Poggioreale, ha acquisito i verbali degli interrogatori dei collaboratori di giustizia, rinviando di fatto l'udienza per poi discutere, con gli avvocati degli imputati, i tempi di deposito dei verbali depositati. Intanto, a metà dicembre, partirà il processo con rito ordinario che vede alla sbarra ventidue persone, tra cui il ras del clan Mallardo di Giugliano Biagio Micillo. Gli imputati devono rispondere delle accuse di associazione mafiosa, estorsioni aggravate dall'articolo 7 e di altri reati. Alla sbarra 51 persone: Francesco Astuccia (36 anni di Qualiano), Zacaria Bara (36 anni di Qualiano), Salvatore Campanile (56 anni di Marano), Raffaele Campochiaro (40 anni di Piscinola), Biagio Cante (31 anni di Villaricca), Domenico Cante (31 anni di Villaricca), Agostino Ciccarelli (38 anni di Giugliano), Angelo Conte (28 di Qualiano), Maria Coppola (34 di Qualiano), Giovanni Correale (26 anni di Qualiano), Antonio D’Alterio (27 anni di Qualiano), Bruno D’Alterio (60 anni di Qualiano), Bruno D’Alterio (40 anni di Qualiano), Domenico D’Alterio (43 anni di Qualiano), Raffaella D’Alterio (50 anni di Qualiano), Giuseppe De Cario (33 anni di Qualiano), Giuseppe De Fenza (33 anni di Marano), Ciro De Meo (46 anni di Qualiano), Paride De Rosa (47 anni di Mugnano), Salvatore Di Marino (46 anni di Mugnano), Vincenzo Di Maro (23 anni di Qualiano), Salvatore di Palma (44 anni di Qualiano), Francesco Esposito (34 anni di Villaricca), Salvatore Ferrara (36 anni di Qualiano), Immacolato Fiorillo (46 anni di Qualiano), Alfonso Formisano (32 anni di Scampia), Vincenzo Guadagno (32 anni di Villaricca), Vito Guadagno (37enne di Villaricca), Fortuna Iovinelli (46 anni di Villaricca), Paolo Iovinelli (47 anni di Qualiano), Luigi Iuffredo (27 anni di Qualiano), Maurizio Lanna (46 anni di Giugliano), Luigi Mallardo (49 anni di Villaricca), Filippo Mastrantuono (27enne di Qualiano), Agostino Migliaccio (56enne di Qualiano), Anna Miraglia (41enne di Qualiano), Luigi Murolo (27 anni di Villaricca), Sergio Palumbo (52enne di Qualiano), Angelo Passarelli (38enne di Qualiano), Nicola Perillo (35enne di Qualiano), Costanza Pianese (30enne di Qualiano), Diego Pianese (55enne di Qualiano), Nicola Raffaele Pianese (23enne di Qualiano), Ramon Pizzo (29enne di Qualiano), Luigi Poerio (44 anni di Qualiano), Giuliano Quaranta (52enne di Milano), Domenico Russo (41enne di Giugliano), Giuseppe Scoglio (40enne del Rione Alto), Massimo Scoglio (37enne del Rione Alto) e Gerardo Strazzulli (41enne di Villaricca). A dicembre la prossima udienza che vedrà in aula gli imputati (il collegio difensivo è composta, tra gli altri, dagli avvocati Pasquale Pianese, Pietro Ciccarelli, Michele Giametta, Pasquale Russo ed Emilio Martino). (Mariano Fellico – 24/11/2012 – CdN)

Clan Mallardo praticamente sgominato

Mallardo: clan praticamente sgominato, ma all'appello mancano ancora i due latitanti: Moraca e Amicone
GIUGLIANO. Quattro boss catturati, oltre 50 tra affiliati, fiancheggiatori e prestanomi arrestati, oltre 100 le persone indagate a piede libero accusate di favorire le attività del clan, sequestro di un ingente patrimonio di beni mobili e immobili per un valore stimato di 1,3 miliardi di euro. Tutto in due anni e mezzo. Numeri impressionati quelli riguardanti il clan Mallardo, organizzazione criminale che per potenza economica e criminale - secondo gli inquirenti - è seconda solo al clan dei Casalesi. Da marzo 2010 a oggi, grazie a un’attività della procura di Napoli, che ha coordinato le operazioni eseguite dal Gico di Roma, Squadra Mobile e Comando Provinciale dell’Arma di Napoli, il clan Mallardo può considerarsi smantellato. Almeno nei suoi vertici. In cella, in due anni, sono finiti infatti i capi dell’organizzazione criminale che avevano presto il controllo della cosca dopo l’arresto dei super boss eccellenti Francesco e Giuseppe Mallardo, richiusi al 41 bis. In cella anche Feliciano Mallardo, che aveva preso le redini del clan dopo l’arresto dei cugini e anche lui rinchiuso al 41bis. Dopo qualche mese a finire in manette anche Francesco Napolitano, uno dei vertici del clan, e Biagio Micillo, ritenuto dagli inquirenti il luogotenente dei Mallardo nel territorio di Qualiano. Adesso gli inquirenti danno la caccia a Giuliano Amicone, uno dei fedelissimi dei Mallardo, e a Mauro Moraca, sfuggito al blitz di mercoledì scorso.
Clan Mallardo: arresti e sequestri della GdF
GIUGLIANO. Estorsione, intestazione fittizia di beni, perfino l'imposizione di una determinata marca di caffe': sono soprattutto questi i reati contestati alle cinque persone - una e' latitante - destinatarie di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere e considerate affiliate al clan Mallardo, nell'ambito della cosiddetta operazione 'Crash' che oggi ha portato anche al sequestro di beni per un valore di cinque milioni di euro. Arresti, quelli di oggi, che segnano le conclusioni di una indagine coordinata dalla direzione distrettuale antimafia della Procura di Napoli ed eseguita dal Gico della Guardia di Finanza. 

Gli arresti. Tra le persone destinatarie dell'ordinanza di custodia cautelare in carcere, spicca Feliciano Mallardo, già in carcere, e considerato reggente pro tempore del clan. Ordinanze anche per Mauro Moraca, genero di Feliciano Mallardo, organizzatore nel settore delle estorsioni; Giuliano Amicone, considerato affiliato e uomo di fiducia dei Mallardo. Ed ancora, provvedimenti anche per Carlo Antonio D'Alterio, anche lui già in carcere e nipote di Feliciano Mallardo e per Silvio Diana, ritenuto uomo di assoluta fiducia del capo clan. Grazie alle intercettazioni ambientali, definite dal procuratore aggiunto Alessandro Pennasilico, ''determinanti e cruciali'' e grazie anche ai collaboratori di giustizia si e' ricostruito il sistema delle estorsioni messe in atto dai Mallardo, in particolare in due diverse vicende ai danni di due imprenditori edili giuglianesi. Svariate le operazioni economiche e imprenditoriali realizzate da Mauro Moraca, tra l'altro, per conto dei Mallardo. Non solo, Carlo Antonio D'Alterio, e' risultato componente di una cellula connessa al clan Mallardo, con particolare riferimento alla gestione nella distribuzione del caffe' Seddio rivelatasi poi un'autentica imposizione di tipo estorsivo del clan Mallardo nei confronti degli esercizi commerciali giuglianesi. Tra i beni sequestrati, otto immobili, terreni e quote societarie, beni strumentali, rapporti finanziari e beni immobili nella misura del 35% della 'Dream House'. 

Le indagini della Procura partenopea si inseriscono in un filone che ha già' portato a due operazioni con arresti e si sono avvalse di dichiarazioni di collaboratori di giustizia, ma anche di intercettazioni ambientali, ha ricostruito l'operatività di una 'cellula' del clan, gestita dal genero del boss che, attraverso le estorsioni, acquisiva in modo diretto o indiretto il controllo di attività economiche, per poi consentire a ditte del clan la partecipazione a appalti in ospedali ed enti pubblici. Nel corso dell'inchiesta, infatti sono state eseguite anche perquisizioni negli uffici della Asl Napoli 2 Nord accertando l'infiltrazione dei Mallardo in diversi settori. Come ad esempio la partecipazione di imprese 'amiche' a gare pubbliche, fra cui un appalto all'ospedale Cardarelli di Napoli, l'affidamento del servizio di derattizzazione, la vendita di terreni di proprieta' dell'Asl Napoli 2 nord, l'inserimento di imprese 'amiche' nell'elenco delle ditte accreditate dell'Asl Napoli 2 Nord, permettendo di procurare ai Mallardo ingenti profitti, da utilizzare per effettuare investimenti o per il reimpiego di soldi del clan. 

Tra i metodi estorsivi praticati, anche l'imposizione del caffè agli esercizi commerciali del giuglianese. Perquisizioni degli uomini del Gico della Guardia di Finanza nei locali degli uffici dell'Asl Napoli 2 Nord, sede di Giugliano di Campania. Accertata l'infiltrazione del clan Mallardo attraverso personaggi referenti: in particolare un dipendente, nei confronti del quale non è stato attuato alcun provvedimento penale, avrebbe fornito al gruppo camorristico informazioni relative a gare di appalto. Non e' escluso, ed e' in fase di accertamento, che il clan sia riuscito a partecipare se non a vincere qualcuna di queste gare.

Clan Mallardo: racket sui lavori al San Giuliano
GIUGLIANO. Costruzione di grandi parchi, ristrutturazione di ospedali, vendita di terreni di proprietà di enti pubblici. Il clan Mallardo, attraverso una dettagliata organizzazione, controlla il settore edilizio in città. E non solo quello privato ma anche quello pubblico. E laddove non riusciva a infiltrarsi con ‘ditte privilegiate’ negli appalti imponeva il pagamento del pizzo. Come avvenuto per esempio nei confronti di due imprenditori che hanno realizzato un complesso residenziale in via degli Innamorati a cui è stato imposto il versamento della somma complessiva di 115mila euro. Somma pagata in tre rate da 75mila euro nel novembre 2009, 20mila euro nel dicembre 2009 e altri 20mila euro nel febbraio 2010. Vittima del racket anche un altro imprenditore che ha effettuato lavori di ristrutturazione all’interno dell’ospedale San Giuliano di Giugliano. Il boss, attraverso la ‘talpa’, si informava degli appalti che l’Asl Napoli 2 preparava, i reparti da aprire e quelli da ristrutturare. Come avvenuto nel maggio 2009 quando Feliciano Mallardo diede incarico a Silvio Diana e Carlo Antonio D’Alterio di convocare un imprenditore che stata effettuando lavori di ristrutturazione all’ospedale San Giuliano. La vittima fu costretta a sborsare la somma di 60mila euro, di cui 55mila per la costruzione di 12 unità immobiliari e 5 mila euro, appunto, per alcune ristrutturazioni edilizie eseguite presso l’ospedale di Giugliano, tra cui il reparto di Radiologia. A darne conferma sono le intercettazioni ambientali eseguite presso l’agenzia di assicurazioni di via San Vito. Qui Feliciano convocò l’imprenditore che aveva da poco avviato l’esecuzione di lavori di costruzione degli appartamenti e aveva iniziato la realizzazione di interventi edili presso il presidio ospedaliero San Giuliano commissionati alla ditta dall’Asl Napoli 2 Nord, senza essersi prima recato dal Mallardo Feliciano al fine di conoscere l’entità della somma di danaro da corrispondere al clan. “Sta a fare pure un lavoro all’ospedale e non è venuto a dire niente, eh…”, commentano Feliciano Mallardo, Silvio Diana e Carlo Antonio Mallardo in attesa dell’arrivo dell’imprenditore nell’agenzia in via San Vito. La vittima precisa che aveva già ricevuto la visita di D’Alterio Carlo Antonio, nipote di Feliciano, il quale gli aveva ordinato di non iniziare in alcun modo l’attività edilizia prima di essersi recato al cospetto dello zio al fine di stabilire la somma di danaro da versare al clan. La somma fissata da Feliciano fu 25mila euro “…ci dai venticinquemila euro…”, disse. A quel punto il boss chiese chiese informazioni anche riguardo gli interventi edili che aveva di già iniziato presso al San Giuliano, rimproverandolo per il fatto che lo stesso non si fosse prima recato da lui “…poi stai lavorando nell’ospedale…tu me lo devi dire prima, ‘o frat’…io devo sapere prima queste cose qua…”, fu ‘il rimprovero’ del boss. “Ho peccato sopra a questa cosa…”, ammise a capo chino la vittima che così fu costretta a pagare in totale 60mila euro. A quel punto fu lo stesso imprenditore a chiedere al boss una mano per aggiudicarsi lavori per la ristrutturazione dell’impianto fognario al Cardarelli. “Te la do io una mano, basta che dopo la dai a me”, replico il boss facendo capire che qualora avesse vinto la gara avrebbe dovuto pagare la mazzetta al clan.

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sabato 17 novembre 2012

Preso il capo dei 'girati': «Joe Banana»


SCAMPIA. I poliziotti del commissariato di polizia di Frattamaggiore (Napoli) hanno arrestato Rosario Guarino, detto "Joe Banana", 29 anni, latitante dal marzo 2011, ritenuto al vertice del clan dei cosiddetti "Girati" di Scampia. Gli agenti hanno rintracciato l’uomo in un covo segreto al Vico Santa Giustina, ad Arzano. L’uomo era nell’elenco dei cinque latitanti, diffuso lo scorso 20 ottobre, con le relative foto, come invito rivolto alla cittadinanza napoletana al fine di collaborare per le ricerche degli stessi.
Dormiva quando i poliziotti del commissariato di Frattamaggiore, coordinati dal dirigente Angelo La Manna, lo hanno sorpreso nel suo covo. Guarino, capo della cosca della Vanella Grassi, ha detto subito “non sparate”, temendo più che i poliziotti l’arrivo di un gruppo di fuoco dei rivali Notturno-Abete-Abbinante-Mennella. La polizia è arrivata al boss in poco tempo, con una indagine tradizionale, cominciata due giorni fa con l'arresto di un altro affiliato al gruppo, un 29enne che era già ai domiciliari. Nella sua abitazione hanno trovato un bigliettino, consegnato da S.L., 18 anni, incensurato, ora denunciato per favoreggiamento. L’appartamento di Arzano in cui si rifugiava Guarino, 30 metri quadrati a piano terra in un vecchio fabbricato, è del padre. Il ragazzo faceva da collegamento tra il capo e i suoi affiliati. Guarino in persona non ha lasciato nel dubbio gli agenti: “Sono Joe Banana”, ha detto subito.
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Faida Scampia/ Joe Banana confida: «Questa guerra durerà altri 50 anni»
NAPOLI - Le braccia muscolose le ha piene di tatuaggi. Parla in dialetto in slang stretto, alternato a frasi forzate in italiano. Rosario Guarino fa parte della generazione figlia di quei capi che animarono la prima faida di Scampia. A Vanella Grassi lo chiamano Joe Banana da quando era adolescente. Niente a che vedere con il famoso boss americano Joseph Bonanno, detto Bananas, dei primi del Novecento. Il soprannome affibbiatogli dai «compagni» è legato al film di Steno del 1982 Banana Joe, interpretato da Bud Spencer. Mangiava molte banane, Guarino, ed era anche molto grasso, così gli amici gli dissero: «Uà, ti stai facendo troppo chiatto. Mangi troppe banane, come a Bud Spencer nel film». 
Il soprannome è etichetta duratura, che identifica in certi ambienti più di un nome anagrafico. Da anni, Rosario Guarino è Joe Banana. Quando gli agenti lo hanno arrestato, non si è scomposto. Si è lasciato però andare, con pacatezza, a considerazioni. Forse per stemperare la tensione. Considerazioni da capo: «Quando io uscirò, voi sarete andati tutti in pensione, lo so». 

Poi su Scampia e la faida: «Questa è una guerra trasversale che andrà avanti per altri 50 anni, senza regole. Non stiamo comandando più un cazzo, siete voi poliziotti che ci state distruggendo». E poi Secondigliano, il quartiere che con il clan Licciardi riuscì negli anni Novanta a diventare egemone nelle geografie della camorra cittadina prima dominata dai gruppi del centro storico, come i Giuliano di Forcella. L’area nord, periferia del degrado della 167 e della disperazioni di drogati in cerca di dosi nei pressi del Sert aperto in quell’area per la distribuzione del metadone ai tossicodipendenti da disintossicare. Periferia nord, dominio di gruppi di spaccio in aree assegnate, sotto il controllo dei clan. 

Chi ci è nato e ci è cresciuto, attratto dai guadagni della droga e dalla sottocultura dei clan, si è nutrito del mito del quartiere. Joe Banana ne è figlio e ricorda un’altra Secondigliano, quella dei Licciardi o di Aniello La Monica, poi anche di Paolo Di Lauro. Allora era un ragazzino, ma con gli agenti Guarino si è sfogato: «C’è una guerra tra noi di Secondigliano, ma prima eravamo davvero tutti uniti. Una cosa sola».

Nei documenti giudiziari, viene considerato un capo con Mario Riccio e Antonio Mennetta. Nell’ordinanza di custodia cautelare del marzo scorso, i magistrati lo accusano di essere tra i promotori dei «girati» che si contrappongono al clan Amato, storico gruppo di scissionisti. Sono i rampanti, i giovani di Vanella Grassi una volta legati al clan Di Lauro. Poi divennero scissionisti e in seguito scissionisti degli scissionisti, alleati di nuovo dei Di Lauro. 

Rosario Guarino è tra i più decisi. Nelle informative di polizia e nelle indagini della Dda napoletana lo considerano responsabile, mandante o esecutore, di non meno di una decina di omicidi. Per ora, nell’unica ordinanza firmata nei suoi confronti, quella per cui era latitante, figura solo l’accusa di associazione camorristica. 

Per interrogarlo, il pm Maurizio De Marco è tornato da una missione in Spagna. È la dimostrazione che l’arresto di Joe Banana viene considerato tappa importante nelle indagini sulla seconda faida di Scampia. All’appello, però, mancano ancora gli altri quattro.
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Tenta di rapire bambina su un'auto. La mamma lo mette in fuga, arrestato


NAPOLI - Un uomo di 57 anni, di origine bulgara, è stato arrestato dai carabinieri a Sant'Antimo, in provincia di Napoli.L'uomo, incensurato e senza fissa dimora, è accusato del tentato rapimento di una bambina di 3 anni e di minacce aggravate dall'uso di un bastone nei confronti della madre della minore.

Verso le 20 di ieri, la donna ha parcheggiato la sua auto in viale degli Oleandri, una strada scarsamente illuminata, ed è scesa dal mezzo per citofonare a una scuola di ballo dove stava portando la bambina. A quel punto il 57enne, armato di un bastone, si è avvicinato allo sportello posteriore dell'auto e dopo averlo aperto, avrebbe provato a portare via la bambina, che era seduta nella vettura. La mamma è intervenuta ed è riuscita a mettere in fuga l'uomo, sebbene minacciata con il bastone. 


Il 57enne è stato bloccato poco dopo e disarmato dai carabinieri, arrivati sul posto dopo una richiesta di aiuto al 112. I carabinieri hanno portato l'uomo nel carcere di Poggioreale.

Il cittadino bulgaro - A.A.I. - è stato bloccato e disarmato dai carabinieri, giunti sul posto dopo la richiesta di aiuto «112». L'uomo si è rifiutato di parlare sia con i carabinieri, sia con un interprete fatto giungere in caserma. Ancora oscure le motivazioni del tentativo rapimento. «È stato solo un giochetto tra grandi». Così, i carabinieri di Giugliano hanno provato a rassicurare la piccola di tre anni, che avrebbe subito un tentativo di rapimento ieri sera a Sant'Antimo mentre si trovava sull'auto della mamma: la donna era scesa per citofonare ed uno sconosciuto era stato sorpreso dalla donna ad introdursi nell'abitacolo.

E' stato arrestato grazie al coraggioso intervento della madre, peraltro minacciata dall'uomo con un bastone di legno. Il bulgaro è stato poi rintracciato e arrestato dai militari con l'accusa di sequestro di persona. La piccola, riferiscono i carabinieri, non ha pianto. Giunti sul posto con la loro gazzella l'hanno abbracciata .
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Uno schizzo di champagne basta a uccidere.Inseguito fino a Scampia e freddato

NAPOLI - Potrebbe essere stato uno schizzo di champagne a provocare la rissa tra coetanei scoppiata nelle prime ore di oggi in una discoteca di Sant' Antimo, nel Napoletano.

Lite poi finita tragicamente con l'uccisione di Vincenzo Priore, 21 anni, raggiunto alla schiena da un colpo pistola esploso da ignoti. Il corpo del giovane è stato trovato alle 4 di oggi in via Cupa delle Vedove, in località masseria Cardone di Scampia, a Napoli, ad alcuni chilometri da dove è cominciato il diverbio.

Nei pressi del luogo del delitto la polizia ha trovato tre bossoli. Nella lite sono rimaste ferite altre due persone: un 28enne, sfiorato da un colpo di pistola alla testa, giudicato guaribile in cinque giorni, e un 23enne colpito alla testa con un corpo contundente. Il più giovane è stato medicato e dimesso dai sanitari dell'ospedale partenopeo di San Giovanni Bosco. Lì entrambi si sono recati, sempre intorno alle 4 di oggi, per farsi soccorrere.

L'ipotesi sulla genesi della lite è quella ormai classica: serata in discoteca tra coetanei, forse un bicchiere di troppo, forse qualche pasticca, e poi dalle parole si è passati ai fatti. Qualcuno non ha saputo lasciare impunita un'offesa e ha pensato di farsi giustizia nel peggiore dei modi: usando una pistola. Il luogo del ritrovamento del cadavere è abbastanza lontano dalla discoteca dove ha avuto inizio il litigio. La circostanza fa presupporre agli inquirenti che all'omicidio si sia giunti al termine di un inseguimento.

Però non si esclude che chi ha sparato - probabilmente senza l'intenzione di uccidere ma solo di spaventare - sapesse dove rintracciare i rivali. La Squadra Mobile di Napoli, che indaga sull'accaduto, ha ascoltato i due giovani per cercare di ricostruire la dinamica dell'accaduto e ritiene poco plausibile l'ipotesi che l'omicidio del giovane Priore sia avvenuto nell'ambito della faida di camorra che sta insanguinando le strade napoletane di Secondigliano e Scampia.

Dai rilievi effettuati sembrerebbe che i tre siano stati colpiti da colpi di pistola esplosi da un'auto in movimento e, in definitiva, che la morte di Priore sia verosimilmente avvenuta nell'ambito di uno scontro tra coetanei forse alticci poi tragicamente degenerato in omicidio.
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domenica 11 novembre 2012

Faida di Scampia/ Doppio gioco con il clan dei girati. La vittima dell'omicidio al bar ha pagato il suo tradimento


di Giuseppe Crimaldi
NAPOLI - Un ruolo ambiguo assunto recentemente, forse addirittura nell’ambito di un grave fatto di sangue. O, comunque, quel che si definisce uno “sgarro” portato a chi proprio non si aspettava atteggiamenti doppiogiochisti. La chiave di lettura dell’ultimo omicidio targato “faida di Scampia” sarebbe nel ruolo ricoperto dalla vittima, Ciro Esposito, assassinato con lucida brutalità e freddezza da due killer entrati in azione venerdì sera all’interno di un bar del rione Berlingieri, a Secondigliano.

Le indagini. Come era chiaro dal primo momento, non porta molto lontano la pista intrapresa dagli investigatori subito dopo l’ultimo omicidio. Dal riserbo nel quale sono immerse le indagini della Squadra mobile di Napoli filtra un’indiscrezione: a decretare la morte di Esposito – piccolo pregiudicato il cui nome finora non era mai stato accostato a quelli inseriti in una presumibile “lista nera” di potenziali bersagli per questa o quella fazione criminale che si contendono il predominio delle piazze dello spaccio di stupefacenti nell’area nord di Napoli – potrebbero essere stati proprio i suoi “amici”. Amicizie pericolose, mai come in questo momento. 

Doppio gioco? Da una serie di approfondimenti è infatti è emerso che il 48enne assassinato nel bar Mary di via Monte Tifata avesse da qualche tempo iniziato a frequentare brutti personaggi, gente di primo livello che compone il clan dei “girati”. Con quelli di Vannella Grassi Esposito si sarebbe legato a doppio filo: tanto che si sospetta possa aver svolto un ruolo indiretto (ma prezioso, al fine del raggiungimento dell’obiettivo) nell’ambito dell’agguato teso il 10 ottobre scorso a Salvatore Barbato. Il 27enne venne ucciso a largo Macello, Secondigliano; si trattò di una feroce missione di morte e nel fuoco incrociato venne ferito in maniera grave anche un secondo uomo. Barbato era considerato un uomo del clan Di Lauro. Se le premesse investigative sono esatte, a Ciro Esposito il gruppo dei “girati” potrebbe non aver perdonato un presunto ruolo nella commissione del delitto (ma non quello di autore diretto dell’omicidio).

Ipotesi. Ma questa resta solo un’ipotesi, nel caos interno che si sta generando tra le cosche criminali di Secondigliano e Scampia. Un fatto, tuttavia, appare abbastanza evidente: il gruppo della Vannella Grassi appare quanto mai debole e lacerato, e questo può essere anche conseguenza delle iniziative giudiziarie che ne hanno decapitata almeno la metà della sua cupola. Certo, ci sono ancora pericolosissimi esponenti che dirigono il gruppo dai covi della loro latitanza. Ma resta la sensazione netta che gli scissionisti abbiano in queste ultime settimane allungato il passo nell’azione offensiva contro chi avrebbe “osato” di sottrarre loro il controllo delle piazze di spaccio. 

Rimedi. Intanto cresce lo sconcerto dell’opinione pubblica di fronte a tanta recrudescenza criminale. E ci si aspetta iniziative forti, frutto di indagini serrate che polizia e carabinieri – sotto il coordinamento di pubblici ministeri esperti della Dda – stanno portando avanti non senza difficoltà, perché la collaborazione della gente sui fatti di sangue che stanno investendo l’area nord di Napoli resta debolissima. Eppure qualcosa bisognerà pur fare per ristabilire le regole di un gioco che da tempo, ormai, ha superato tutti i livelli di guardia. Bene le operazioni di controllo del territorio ad alto impatto: ma, da sole, non possono certo bastare e sicuramente non sono in grado di evitare la commissione di futuri omicidi. Anche ieri è stata una giornata di controlli. La polizia ha arrestato due pregiudicati per spaccio di sostanze stupefacenti denunciandone altri due per occupazione abusiva di alloggi di edilizia popolare di proprietà dell’Istituto case popolari e sono stati catturati due pregiudicati ricercati per precedenti ordinanze emesse a Pescara. Importanti i ritrovamenti di armi fatti dai carabinieri della compagnia Stella, diretta dal capitano Orlando Narducci: i militari hanno scoperto un arsenale di armi e munizioni nella Vela Celeste: in un appartamento disabitato ove abita un affiliato di Vannella Grassi sono state trovate quattro pistole, una calibro 7.65, una calibro 38 special e due calibro 9x21, oltre a 200 munizioni e tre passamontagna.

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Processo troppo lento, scarcerati cinque esponenti del clan Licciardi


di Leandro Del Gaudio
Cinque presunti esponenti del clan Licciardi lasciano la cella per decorrenza termini, mentre - nel corso di un’altra inchiesta - viene scarcerato l’uomo indicato come killer in un delitto della faida di Scampia. Carte rimescolate, doppia spallata per le indagini che incidono su un territorio - siamo a Secondigliano e Scampia - mai come in questo periodo ad alto rischio criminalità. Ma andiamo con ordine, a partire dalla decisione assunta ieri mattina dal Tribunale del Riesame di Napoli, che ha scarcerato Gennaro Puzella, il presunto esecutore materiale dell’omicidio di Massimo Marino, delitto consumato nel 2004 nel corso del primo atto della guerra tra il clan Di Lauro e gli scissionisti.

Sono stati i giudici della decima sezione ad accogliere la ricostruzione difensiva del penalista Gennaro Pecoraro, annullando la misura firmata dal gip venti giorni fa. Una decisione che rende ancora più intricata l’inchiesta sull’omicidio Marino, diventata in questi anni una sorta di caso giudiziario: come è noto, da otto anni è in cella per il delitto Marino Giovanni De Luise (condannato a 22 anni in via definitiva), per il quale è stata di recente la Procura di Napoli a tornare sui propri passi: De Luise non c’entra nell’omicidio Marino - hanno spiegato i pm - è in cella per le accuse di un teste oculare poi smentite da altre testimonianze.

Ma Gennaro Puzella non è l’unico a lasciare il carcere in queste ore. Avviene qualcosa di simile per cinque presunti esponenti del clan Licciardi (alcuni dei quali agli arresti domiciliari), che vengono scarcerati per decorrenza termini, in seguito a un intervento della Cassazione che ha rimandato un processo per camorra e droga a una nuova valutazione della Corte d’appello: lasciano così il carcere Paolo Abbatiello, Giuseppe Barbato, Giovanni Esposito, Gaetano Scancariello (tutti difesi dal penalista Giuseppe Biondi) e Gianfranco Leva (difeso dai penalisti Biondi e Eduardo Cardillo).

Arrestati a ottobre del 2008 nel corso di una maxinchiesta per associazione per delinquere e droga, i cinque imputati hanno ottenuto un intervento favorevole della Cassazione, che ha disposto un nuovo processo in appello, in uno scenario in cui la clessidra si è rimessa in moto: tre anni dopo le manette, non c’è ancora una sentenza definitiva, i cinque presunti narcos del clan di Masseria Cardone possono tornare in libertà.

Poi c’è una nuova svolta sul caso Marino, una storia che si era riaperta un mese fa a distanza di otto anni dal delitto: dopo la condanna di Giovanni De Luise - sentenza diventata ormai definitiva -, quando arriva un nuovo provvedimento di arresto. Finisce in cella Gennaro Puzella, dopo la improvvisa decisione di un altro indagato - l’ex killer reo confesso Vincenzo Lombardi - di collaborare con la giustizia e raccontare episodi finora inediti: Lombardi ricorda di aver visto Puzella partire assieme a un altro killer, armi in pugno, per consumare l’omicidio; ammette inoltre di aver svolto un ruolo come organizzatore dell’agguato.
Una volta in cella Puzella, viene così depositata in Corte d’Appello a Roma una istanza di revisione del processo in favore di De Luise (firmata dal penalista Carlo Fabozzo), anche sulla scorta del parere favorevole espresso dalla Dda di Napoli. Un caso che sembra chiuso, almeno fino a ieri mattina, quando i giudici della decima sezione - Cosentino, Ordituro e Pandolfi - accolgono la ricostruzione della difesa di Puzella, che aveva battuto su un punto in particolare: Lombardi ha una conoscenza diretta di una fase antecedente alla commissione del delitto, riferisce cose apprese de relato.

Non può bastare la conversione spirituale di Lombardi per inchiodare in cella un presunto killer, ora però la parola torna alla Dda, mentre in Corte d’appello pende una richiesta di revisione per De Luise.
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Sepe: i camorristi non possono entrare in chiesa neppure da morti


INTERNAPOLI. Ancora un'invettiva del cardinale Crescenzio Sepe contro i camorristi. «Chi semina morte raccoglierà solo morte. Se gli uomini dei clan non si pentono, così ho detto ai miei sacerdoti, non potranno entrare in chiesa neanche da morti».

NIENTE SACRAMENTI - Un ulteriore affondo dell'arcivescovo che ha aggiunto: «I cammorristi sono anticivili, antiumani, e anticristiani. È per questo che ho detto che ai cammorristi non do i sacramenti! Niente battesimi, comunioni, nemmeno l'estrema unzione se non c'è stato precedentemente un pentimento»
L'ALTRA INVETTIVA - Non è la prima volta che il presule di Napoli tuona contro i clan e i loro affiliati. Già qualche giorno fa, in occasione della morte dell'innocente Lino Romano a Marianella, un quartiere a nord di Napoli, l'arcivescovo aveva scagliato il suo anatema «Chi sono questi camorristi, questi mafiosi? Sono dei seminatori di morte, ma chi semina morte raccoglierà morte e distruzione». (corriere.it - 10/11/2012)

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Sant'Antimo. Opere pubbliche: l'argomento in assise giovedì

SANT'ANTIMO. Il presidente del consiglio comunale Francesco Di Lorenzo ha convocato il civico consesso in seduta ordinaria di prima convocazione per giovedì 15 novembre, alle 11 ed in seconda convocazione per lunedì 19, alle 11. L’Assise è convocata all’aula consiliare presso la Scuola Media Giovanni XXIII, con ingresso da Corso Unione Sovietica, per la trattazione dei seguenti punti all’ordine del giorno: approvazione verbali delle sedute precedenti; approvazione della convenzione di Segreteria Comunale tra i comuni di Sant’Antimo e Boscoreale; ricognizione e rimodulazione dei piani delle Opere pubbliche dall’anno 2005 al 2009; estinzione anticipata di mutui accessi presso la Cassa Depositi e Prestiti; articolo 151, comma 7, ed articolo 227 del D.lgs 18/08/2000 numero 267. Approvazione del Rendiconto della gestione dell’esercizio finanziario 2011 e dei relativi atti allegati. Nella precedente seduta consiliare del 29 ottobre, con sedici voti favorevoli ed un solo astenuto, il consiglio comunale di Sant’Antimo ha aderito al Patto dei sindaci (covenant of Mayor) ed alla struttura di supporto della Provincia di Napoli. E’ stato il primo cittadino Francesco Piemonte a proporre l’adesione al Patto dei Sindaci nell’ambito delle politiche di risparmio energetico e per lo sviluppo delle energie alternative. Nella stessa seduta, si è anche discusso della questione della recrudescenza della criminalità e dell’apertura di un tavolo istituzionale con le forze dell’ordine per aumentare la presenza di polizia e carabinieri sul territorio comunale. Nella seduta del 26 ottobre, il consiglio comunale si è espresso in modo favorevole sulle tre mozioni presentate dal consigliere comunale Giuseppe Italia, di Italia dei Valori che riguardavano: la diretta web delle sedute di consiglio comunale, l’istituzione dell’isola pedonale domenicale e l’attuazione di una campagna di sensibilizzazione all’uso del casco. (Teresa Cerisoli - CdN - 10/11/2012)

mercoledì 7 novembre 2012

Dai Casalesi ai Terracciano: ecco come i camorristi diventano imprenditori – REPORTAGE

Libera pubblica un rapporto sulle aziende italiane strozzate, o addirittura acquisite, dalla criminalità organizzata. Il procuratore aggiunto di Milano, Ilda Boccassini: «La classe imprenditoriale preferisce rivolgersi ai clan piuttosto che allo Stato».
 
In tempi come questi, c’è chi la crisi la combatte e c’è chi se ne approfitta per arricchirsi. Qualche giorno fa Navi Pillay, Alto Commissario ONU per i Diritti Umani, ha bocciato senza mezzi termini le politiche di austerità dell’Unione Europea perché violano i diritti economici, sociali e culturali dei cittadini. Non è difficile immaginare le motivazioni che hanno spinto la Pillay a sporgere denuncia: basta guardare per esempio ai fondi tagliati in Italia per i malati di SLA. Ma negli stessi giorni un cui la Pillay bocciava la politica UE, l’organizzazione Libera pubblicava un rapporto sull’Italia dal titolo fortemente emblematico: “L’usura: il BOT delle mafie. Fotografia di un paese strozzato”.
 
CHI STROZZA CHI? – Un imprenditore in difficoltà, uno dei tanti del Nord-Est, un tempo culla della produttività e della ricchezza italiana, di fronte al rischio di perdere tutto: lavoro, soldi, vita, cosa fa? Di fronte al “no” delle banche che concedono credito sempre più difficilmente e in preda alla disperazione, potrebbe spuntare la tentazione di rivolgersi a qualcuno “molto ricco”, che con fare tranquillizzante ti presta del denaro. Una pacca sulla spalla e via. Tutto e subito. Fiumi di denaro contante che finalmente risolvono i tuoi problemi e ti restituiscono il sonno. Almeno così credi.
E POI CHE SUCCEDE? – Succede che quei soldi li devi restituire, un po’ alla volta, ma li devi restituire. E per la riscossione non c’è crisi che tenga, non riceverai lettere ufficiali, avvisi di pagamento, di pignoramento, ufficiali giudiziari che bussano alla porta a prima mattina per rovinarti la giornata. Qui gli avvisi sono altri: si chiamano minacce, sono fisiche e psicologiche, e sono tutte fuori dal mercato, ovviamente.
L’ITALIA AFFAMATA E L’ITALIA ARRICCHITA – «Ritornerei a restituirgli quello che gli ho dato, se non fosse stato per loro il mio negozio sarebbe scomparso», racconta a un giudice una vittima di usura a Castellammare di Stabia, che al clan D’Alessandro ha restituito interessi pari al 120%. E la quantità di denaro sequestrato ai clan testimonia che l’usura ai danni degli imprenditori è tutt’altro che rara. Oltre 41 milioni di euro sono stati sequestrati al clan Terracciano, originari di Napoli ma emigrati in Toscana. 70 milioni sono stati tolti al clan Moccia, anche loro napoletani. E ancora 7 milioni di euro sono stati sequestrati all’ex contrabbandiere napoletano Mario Potenza, grazie alle dichiarazioni del boss pentito della camorra Salvatore Lo Russo.
DELOCALIZZAZIONE – La parola d’ordine è: delocalizzare. I clan entrano nei territori vergini e li sporcano con milioni e milioni di euro da riciclare. E così l’economia pulita resta un vago ricordo anche nei territori virtuosi, quelli che non hanno una tradizione mafiosa. I Casalesi si muovono dalla Campania e vanno a fare affari in Veneto e in Toscana; la ‘ndrangheta se ne va in Lombardia, Piemonte ed Emilia, mentre l’unica che resta legata alla sua terra è Cosa Nostra. Nel mirino ci sono le attività commerciali che in tempi di crisi hanno bisogno di accedere al credito per non perdere le commesse e restare fuori dal mercato. Ecco dove si insinua l’usuraio mafioso, che insieme alla valigia dei soldi porta con sé anche minacce di violenza fisica e psicologica, grazie alle quali si compra l’azienda del povero imprenditore e la trasforma nella propria lavanderia di denaro. Per questo tipo di illecito i rischi sono vicini allo zero perché l’usura, di solito, non si denuncia: la vittima, anche se a prezzi un po’ alti, pensa solo di stare facendo “tutti gli sforzi possibili” per salvare la sua azienda.
LA SITUAZIONE IN CAMPANIA – Qui, secondo l’ultima Relazione Annuale della Direzione Nazionale Antimafia, la dislocazione della camorra legata al clan dei casalesi prosegue anche se il loro leader, Antonio Iovine, è stato arrestato a fine 2010. «Non pensare che perché Iovine è stato arrestato non c’è nessuno che faccia le sue veci. Tu, i soldi, ce li devi restituire …», dicono gli emissari a una delle tante vittime. A Castellammare di Stabia il clan D’Alessandro opera addirittura su input di alcuni politici locali, come rivelano le inchieste della magistratura. Se ci spostiamo di qualche chilometro arriviamo nell’hinterland napoletano, ad Afragola, dove i commercianti chiedono aiuto al clan Moccia, che nella zona non solo estorce ma riesce anche a riciclare aprendo nuove attività commerciali. Non c’è un pezzetto di attività produttive in Campania che non sia raggiunto dalla longa manus dei clan. In provincia di Avellino spadroneggiano i Pagnozzi, i Cava e il clan Russo, di Nola. Nella Piana del Sele lavorano gli epigoni del clan Marandino, famosi per aver influenzato l’andamento della produzione e della distribuzione dei prodotti agricoli e lattiero caseari. Il Battipagliese invece appartiene ai cosiddetti “Garibaldi”.
E POI CI SONO I CASALESI – I Casalesi se ne vanno n Veneto. 25 persone furono arrestate ad aprile 2011 per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso. Avvalendosi del vincolo associativo, i criminali sfruttavano la condizione di assoggettamento e omertà degli imprenditori veneti per commettere vari reati, tra cui il delitto di usura, l’esercizio abusivo di attività finanziarie, falsi in scritture private e per acquisire il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni e per finanziarie persone detenute in Campania. La camorra ha delle mire imprenditoriali ben precise: sfruttando la crisi, punta ad acquisire imprese pre-esistenti e invece di farle morire per insolvenza le fa continuare a vivere sotto il proprio controllo.Una volta si pensava che la mala al Nord investisse i soldi acquisiti illegalmente al Sud. Come dire: al Sud il sangue e al Nord i soldi. Le nuove inchieste della magistratura invece svaleno che le teniche usate sono sempre le stesse e sono quelle tradizionali, sia al Nord che al Sud: aggressioni, percosse, sequestro di persona a scopo di estorsione, sottrazione di beni e documenti, anche con l'uso di armi, per diffondere paura e costruire muri di omertà. E siccome il numero di imprese in difficoltà sta aumentando considerevolmente, aumenta anche il numero dei lavoratori colpiti dalla mala, mentre stordisce il loro silenzio, quasi come se nei loro aguzzini vedessero, invece, i loro salvatori.
STATO O ANTISTATO? – Sono emblematiche le dichiarazioni del procuratore aggiunto di Milano, la napoletana Ilda Boccassini: «È evidente che la classe imprenditoriale italiana preferisce rivolgersi alla criminalità piuttosto che allo stato e questa situazione non cambierà finché non capiranno che rivolgersi allo Stato è più pagante che stare con l’antistato».
 
Micol Conte
 
 

venerdì 2 novembre 2012

«Caffè macchiato» e «Sfregio»: Libera si costituisce parte civile

GIUGLIANO. Libera (Associazioni, Nomi e Numeri contro le mafie) e l’Associazione per la lotta contro le illegalità e le mafie ‘Antonino Caponnetto’ hanno presentato richiesta di costituirsi parte civile nel processo iniziatomartedì mattina, presso la VII sezione penale del Tribunale di Napoli (presidente Romano), che vede alla sbarra 52 imputati coinvolti nelle operaziono ‘Caffè macchiato’ e ‘Sfregio’. Tra i 52 imputati, il boss Feliciano Mallardo, alcuni tra gli affiliati al clan giuglianese e gli imprenditori del Caffè Seddio. Il tribunale di Napoli dovrà esprimersi il 10 novembre sulla richiesta di costituzione di parte civile da parte dell’associazione Libera di don Luigi Ciotti e valutare eventuale eccezioni sollevate dagli avvocati della difesa. Nessuna decisione, invece, è stata presa dal Comune di Giugliano su una sua eventuale costituzione in giudizio, necessaria per chiedere in caso di condanna degli imputati, un risarcimento dei danni. Nella prossima udienza, la Corte si esprimerà dunque sulle questioni preliminari avanzate dalla difesa degli imputati e sulle richieste di costituzione di parte civile. Una richiesta che se accolta potrebbe sancire una vera svolta nella lotta alla camorra nella terza città della Campania dove il clan Mallardo è egemone da 30 anni. Secondo l’inchiesta e quanto riportato nei fascicoli delle indagini la camorra giuglianese aveva trasferito i soldi provento delle estorsioni imposte ai commercianti e imprenditori giuglianesi, nel Lazio dove aveva messo in piedi attività dal volto pulito, attività proiettate in modo particolare nel settore immobiliare. Sul territorio operava stabilmente una “cellula” del clan già finita sotto i riflettori della magi stratura inquirente nel 2010 con l’inchiesta “Arcobaleno” che diede una prima spallata alla famiglia giuglianese. Le operazioni ‘Caffè macchiato’ e misero a nudo anche un’altra realtà economicaimprenditoriale del clan, quella della produzione e della distribuzione del caffè “Seddio” tra Giugliano e Castelvolturno. Sette persone finirono in manette con le accuse, contestate a vario titolo, di associazione di stampo mafioso, concorso esterno in associazione di stampo mafioso, estorsione, violenza privata, intestazione fittizia di beni ed esercizio abusivo di attività finanziaria. Agli atti dell’inchiesta, coordinata dai pubblici ministeri antimafia Maria Cristina Ribera, Antonello Ardituro, Paolo Itri e Giovanni Conso, ci sono le intercettazioni telefoniche e ambientali che hanno consentito di scattare una radiografia perfetta dell’assetto criminale e patrimoniale del sodalizio.

Comitati Fuochi, depositate le denunce: «Ora diciamo basta»

Le querele dei cittadini verso le istituzioni locali sono state presentate al Parlamento Europeo. La lotta contro i roghi tossici continua: «Non è più tempo di girarci dall'altra parte. La Campania smaltisce rifiuti industriali senza averne le strutture adeguate»

La lotta dei cittadini campani per il diritto alla salute, contro i roghi tossici, va avanti. Il Coordinamento Comitati Fuochi ha depositato, alla Commissione Petizioni del Parlamento Europeo, le denunce verso le istituzioni locali (Regione, Provincia e 42 Comuni) per il loro ventennale immobilismo sulla disastrosa situazione ambientale in Campania. Una regione trasformata in pattumiera industriale, dove l'incidenza dei tumori aumenta di anno in anno, dove i cittadini vedono avvelenarsi l'aria che respirano, la terra che coltivano, l'acqua che bevono e il cibo che mangiano. La Campania In-Felix è ferita a morte dalla malapolitica e dagli interessi delle eco-mafie. «Ma non è più tempo di girarci dall'altra parte – dice Antonio Marfella, tossicologo e oncologo dell'ospedale Pascale di Napoli – oggi, per la prima volta, leggo sui giornali che un camorrista si è pentito per aver distrutto la propria terra. Ora vogliamo anche il pentimento delle istituzioni che dovevano agire e non l'hanno fatto».
RIFIUTI INDUSTRIALI – Il problema è quello che Marfella denuncia ormai da anni: non parliamo di semplici scarti urbani, quelli che escono dalle nostre case, ma di ben più pericolosi rifiuti industriali, dai materiali tessili agli pneumatici, dati alle fiamme nei campi tra Napoli e Caserta. Uno smaltimento “in casa” che ha provocato considerevoli danni alla salute dei cittadini: «La Campania è l'unica regione d'Italia che smaltisce rifiuti industriali propri e di altre regioni, senza avere sul territorio gli impianti adatti – continua il dottori Marfella, che lancia anche una frecciatina non troppo velata al ministro della Sanità Balduzzi – non vogliamo più sentir dire che in Campania si muore per la nostra alimentazione sbagliata o perché abbiamo stili di vita poco salutari. La veritò è che nessuno vuole affrontare il più grande disastro ambientale del nostro Paese».
ASSENZA DELLE ISTITUZIONI – Alla conferenza, oltre al dottor Marfella, erano presenti anche Lino Chimenti del Coordinamento Comitati Fuochi, l'avvocato Ambrogio Vallo e padre Maurizio Patriciello, che rileva amaramente: «Mentre presentavamo le denunce a Judith Merkies, presidente della Commissione Petizioni del Parlamento Europeo, non c'era nessuna autorità locale. Non abbiamo avuto la possibilità di avere interlocutori cui poter esporre il problema dei roghi tossici, che non è un disastro ambientale, ma un dramma umanitario».