giovedì 29 marzo 2012

Camorra, arrestato dalla polizia uno dei «capi» di Soccavo

NAPOLI - Avevano creato una "struttura" ramificata nel quartiere di Soccavo: arrestato dagli agenti della Squadra Mobile di Napoli, Antonio Viglia, detto «'O Stuorte», 43enne napoletano, per il reato di associazione per delinquere di stampo camorristico.

L'arresto è avvenuto sulla base di un provvedimento restrittivo emesso dal Tribunale di Napoli, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia. La misura cautelare è scaturita da una lunga ed articolata indagine condotta dai poliziotti della Squadra Mobile ed avviata nel 2005.

L'attività investigativa ha portato all'individuazione di un'organizzazione criminale i cui capi, tutti napoletani, hanno creato un'efficiente struttura associativa ben ramificata su tutto il Quartiere di Soccavo. Il sodalizio, oltre all'arrestato, annovera il fratello Alfredo, alias «'O Nire», tuttora latitante.

Antonio Viglia, che al momento annovera numerosi precedenti di polizia per associazione a delinquere finalizzata all'attività estorsiva, è stato sorpreso in un'abitazione di Soccavo presso una famiglia i cui membri sono stati denunciati per favoreggiamento.

Fli non parteciperà alle elezioni a Sant’Antimo

SANT'ANTIMO. « Il Coordinamento Provinciale di Napoli, d’intesa con l’Ufficio Politico Regionale, sentiti i vertici nazionali, ha deciso di non presentare la lista per le prossime elezioni amministrative del 6/7 Maggio, nel comune di Sant’Antimo.»Inizia così la nota diramata dall’ufficio stampa di Futuro e Libertà.«Non ci sono le condizioni di piena agibilità democratica per l’attività politica in quel comune. Troppi sono i condizionamenti ambientali e la dialettica tra i partiti è solo apparente, essendo questi, in larga misura, etero-diretti. I pochi uomini liberi, alcuni dei quali, in rappresentanza di FLI, hanno comunicato l’impossibilità di soluzioni largamente condivise per dare a Sant’Antimo un’alternativa seriamente rispondente al principio ed al metodo democratico che, oggi, risulta essere solo un simulacro. Futuro e Libertà – conclude la nota – verificate la fondatezza delle motivazioni ed il disimpegno da parte di altre forze politiche a perseguire scelte di alto profilo, coerentemente con quanto già da tempo fatto alla provincia di Napoli, ha deciso di non partecipare, nel comune di Sant’Antimo, alla prossima tornata amministrativa.»
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sabato 24 marzo 2012

Arrestato imprenditore del clan Bidognetti

CASERTA. La Guardia di finanza di Napoli ha arrestato l'imprenditore Paolo Diana, detto 'Scarpone', fiancheggiatore storico del boss Francesco Bidognetti, detenuto al 41 bis. Diana era gia' sottoposto a una misura di prevenzione del tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Sequestrati anche a suo carico beni mobili, immobili e disponibilita' finanziarie per circa 25 milioni di euro. L'imprenditore casertano arrestato e' attivo nel settore del commercio di autoveicoli e del trasporto merci, e le indagini mostrano che ha riciclato e reinvestito in attivita' commerciali i proventi illeciti dell'organizzazione criminale. I beni sequestrati, costituiti da societa', immobili, automezzi e rapporti finanziari, in alcuni casi risultano intestati anche a suoi familiari. La misura cautelare che lo riguarda gli contesta i reati di associazione a delinquere di stampo camorristico e trasferimento fraudolento di valori.

L’imprenditore Paolo Diana.Per Paolo Diana - l'imprenditore ritenuto dalla magistratura strutturale alla fazione Bidognetti del clan deiCasalesi - quello di stamattina e' il quarto arresto. Per tre volte, infatti, e' finito in manette per mano del Gico della Gdf e una volta, invece, e' stato arrestato dai carabinieri. E' titolare, tra l'altro, di una concessionaria di auto di lusso di Castel Volturno, nel Casertano, non molto lontana dall'abitazione dove stamattina gli uomini del Gico l'hanno arrestato. Dalle indagini e' emerso anche che Diana forniva automobili di lusso a elementi del clan e che li ospitasse in immobili di sua proprieta', o a lui riconducibili, in cerca di rifugio durante la latitanza.

Forniva agli uomini di ''Gomorra'' auto di lusso, come Ferrari e Maserati, e proprio per questo aveva ''carta bianca'' sulle richieste estorsive da imporre nell'area casertana di Castel Volturno. Cosi', Paolo Diana, viene descritto da almeno una decina di pentiti del clan dei Casalesi. Secondo i collaboratori di giustizia l'imprenditore - arrestato oggi dal Gico della GdF di Napoli nell'ambito di un blitz anti-riciclaggio - dava rifugio a latitanti e killer del clan ospitandoli in appartamenti a lui riconducibili direttamente, o attraverso prestanome. Ufficialmente Diana, dopo avere ampliato la sua attivita' e costruito una concessionaria in una palazzina da due piani ampia migliaia di metri quadrati, si occupava di compravendita di auto ma, secondo gli investigatori del Gico, tale attivita' era solo una copertura anche per giustificare l'enorme numero di auto di lusso in suo possesso.        

lunedì 19 marzo 2012

Festa regionale in ricordo di don Peppino Diana

CAMPANIA. «Per amore del mio popolo non tacerò». Alle 7.25 del 19 marzo 1994, giorno del suo onomastico, don Giuseppe Diana venne assassinato nella sacrestia della chiesa di San Nicola di Bari a Casal di Principe, mentre si accingeva a celebrare la Santa Messa. Un killer si presentò davanti a lui e i cinque proiettili andarono tutti a segno, due alla testa, uno in faccia, uno alla mano e uno al collo, Don Peppe morì all'istante. L'omicidio, di puro stampo camorristico fece scalpore in tutta Italia. Un messaggio di cordoglio venne pronunciato anche da Giovanni Paolo II durante l'Angelus. Il calendario scolastico varato nel 2009 dalla Regione Campania a firma dall’assessore regionale Corrado Gabriele, prevede da tre anni la ricorrenza del 19 marzo, che diventa festa regionale in ricordo di don Peppino Diana e «Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime delle mafie».

La nota stonata. Se chiedi ad un bambino, perché oggi, 19 marzo, non vai a scuola, se sei fortunato ti risponderà «perchè è la festa di San Giuseppe il papà di Gesù». E così via la mia curiosità è andata avanti per tutto il fine settimana, chiedendo dai più piccoli ai più grandi, dall’asilo alla scuola superiore, su una trentina di ragazzini e genitori, finalmente uno solo, primo anno di scuola superiore del liceo, mi ha risposto «…no no non si va a scuola, non perché è la festa del papà ma si ricorda 'unoooo' …mi sembra un prete ucciso dalla camorra». A quest’ultima risposta il mio sconcerto è arrivato al culmine. Come è possibile che lì dove la cultura e la conoscenza dovrebbe essere incentivata si tace una giornata così importante. I bambini sono il nostro futuro e da loro che bisogna iniziare per modificare il marcio che viviamo ogni giorno, altrimenti nulla mai cambierà. A questo punto mi chiedo ma quanti insegnanti e genitori sanno il perché di questa festa istituita già da tre anni dalla regione Campania e perché gli alunni non sanno il 'perché restano a casa'. Chiudere la scuola in questa giornata della memoria è un segnale forte per le nuove generazioni. Questa giornata dovrebbe servire a scegliere da quale parte stare e comprendere perchè qualcuno ha perso la vita per la sua scelta, ma se si ignora il significato di questa giornata a cosa serve restare a casa?

Massacrato perché amava la sua gente. Don Peppino Diana è una vittima innocente della camorra, massacrato perché amava la sua gente e in nome di quell’amore non ha mai taciuto, denunciando le malefatte che a Casal di Principe venivano compiute. L’omicidio maturò in un momento di crisi della camorra casalese. Una fazione del clan ordinò l’omicidio di don Peppino Diana, personaggio molto esposto sul fronte antimafia, per far intervenire la repressione dello Stato contro la banda che ormai aveva vinto la guerra per il controllo del territorio. Don Peppe visse negli anni del dominio assoluto della camorra casalese, legata principalmente al boss Francesco Schiavone detto Sandokan. Gli uomini del clan controllavano non solo i traffici illeciti, ma si erano infiltrati negli enti locali e gestivano fette rilevanti di economia legale, tanto da diventare "camorra imprenditrice".

Don Giuseppe Diana nasce a Casal di Principe, nei pressi di Aversa, da una famiglia di proprietari terrieri. Nel 1968 entra in seminario ad Aversa, vi frequenta la scuola media e il liceo classico. Successivamente intraprende gli studi teologici nel seminario di Posillipo, sede della Pontificia facoltà teologica dell'Italia Meridionale. Qui si licenzia in Teologiabiblica e poi si laurea in Filosofia alla Federico II. Nel 1978 entra nell'Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani (Agesci) dove fa il caporeparto. Nel marzo 1982 è ordinato sacerdote. Diventa Assistente ecclesiastico del Gruppo Scout di Aversa e successivamente anche Assistente del settore Foulards Bianchi. Dal 19 settembre 1989 era parroco della parrocchia di San Nicola di Bari in Casal di Principe, suo paese nativo. Successivamente diventa anche segretario del vescovo della diocesi di Aversa, monsignor Giovanni Gazza. Insegnava anche materie letterarie presso il liceo legalmente riconosciuto del seminario Francesco Caracciolo, nonché religione cattolica presso l'istituto tecnico industriale statale Alessandro Volta e l'Istituto Professionale Alberghiero di Aversa. Don Peppino Diana ha sempre cercato di aiutare la gente nei momenti resi difficili dalla camorra. Il Liceo Scientifico di Morcone dal 21 aprile 2010 prende il suo nome.

Beni confiscati alla criminalità, in testa Sicilia e Campania: boom a Napoli

NAPOLI - Sono 1.819, per un'incidenza del 14% sul totale nazionale, i beni confiscati alla criminalità organizzata in Campania, seconda regione in Italia per numero complessivo dopo la Sicilia. Al 1° febbraio 2012, secondo i dati dell'Agenzia del Demanio, gli immobili al netto di quelli non confiscati in via autonoma sono 1502: di questi, 456 sono in gestione, 890 destinati consegnati e 93 quelli non consegnati.

Gli immobili usciti dalla gestione sono 63. La maggior parte sono in provincia di Napoli: 843 immobili, di cui 459 sono quelli consegnati. Il primato va al capoluogo, Napoli, sul cui territorio insistono 135 immobili confiscati alla camorra (90 quelli consegnati), seguito da Giugliano in Campania, con 131. Nella provincia di Caserta sono 444 gli immobili confiscati ai clan: gran parte di questi si dividono tra i comuni di Castel Volturno e Casal di Principe, noti alle cronache per le vicende legate al clan dei Casalesi.

E proprio a Casal di Principe questa mattina è stata inaugurata Casa Lorena, centro di accoglienza per le donne vittime di violenza, progetto promosso da Eva Onlus e dall'agenzia Agrorinasce, società consortile costituita dai Comuni di San Cipriano d'Aversa, Casal di Principe, Santa Maria la Fossa, Casapesenna, San Marcellino e Villa Literno. Il centro, ex abitazione del capozona del clan dei Casalesi Dante Apicella, è dotato di una cucina industriale per attività di catering e produzione di alimenti.

Un progetto «di alto valore sociale», dichiara l'amministratore delegato di Agrorinasce, Giovanni Allucci. «Permetterà a giovani donne, spesso con minori, di essere accolte e avere allo stesso tempo una possibilità di reinserimento lavorativo. Il tutto in un bene confiscato alla camorra e a Casal di Principe, un ulteriore segnale che è possibile sperare in un futuro migliore».

La cooperativa sociale Eva Onlus è una realtà tutta femminile che opera sul territorio della provincia di Caserta sin dal 1999, gestendo centri antiviolenza per le donne a Santa Maria Capua Vetere e Maddaloni. Il presidente della cooperativa sociale è Raffaella Palladino, che vede nell'inaugurazione di Casa Lorena «la risposta concreta alla tutela dei diritti delle donne, al di là dell'enfasi sull'8 marzo. Per noi che quotidianamente lavoriamo per la prevenzione e il contrasto della violenza di genere - spiega - ampliare l'offerta dei servizi con un nuovo centro di accoglienza e una nuova struttura residenziale in un territorio come quello di Casal di Principe rappresenta un traguardo significativo e una grande sfida per la valenza simbolica che veicola».

Le difficoltà nel completare il riutilizzo del bene, una volta confiscato alla criminalità, sono diverse: la prima, spiega don Tonino Palmese, vicepresidente della Fondazione Polis, «è quella del recupero in quanto tale, che avviene quando purtroppo il bene è abbastanza malandato. Inoltre, non c'è ancora un accompagnamento vero per chi vuole recuperare il bene, ma questo dipende dalla legislazione nazionale. Per alcune realtà associative piccole, il bene a volte invece di un dono diventa un 'paccò inteso alla napoletana, cioè qualcosa di sgradevole dietro l'immagine del regalo».

Abolire Dante islamofobo e antisemita? Prima sbarazziamoci dell'Onu

di Valerio Capasa
È da ieri che i giornali danno spazio all’ultima trovata di alcuni consulenti Onu dell’associazione «Gherush92»: La divina commedia è intrisa di «razzismo», «presenta contenuti offensivi e discriminatori» nei confronti di ebrei, islamici, omosessuali.
Si tratta di «un’opera che calunnia il popolo ebraico», da Caifa (sommo sacerdote che «consigliò i Farisei che convenia» uccidere Gesù, e che Dante presenta «crocifisso in terra» e calpestato da tutti gli ipocriti), fino a Giuda, conficcato in fondo all’inferno in una delle tre bocche di Lucifero, mentre «’l capo ha dentro e fuor le gambe mena». Maometto, poi, «seminator di scandalo e di scisma», avendo spaccato l’unità del corpo cristiano, si ritrova per contrappasso diviso nel suo stesso corpo, «rotto dal mento infin dove si trulla» (cioè si scorreggia), mentre «tra le gambe pendevan» le interiora e lo stomaco («’l tristo sacco / che merda fa di quel che si trangugia»).
Caro Dante, i nuovi moralisti ti insegnano che così tu offendi Caifa, Giuda e Maometto con «termini volgari e immagini raccapriccianti»: «è uno scandalo che i ragazzi, in particolare ebrei e mussulmani, siano costretti a studiare opere razziste come la Divina Commedia». Da qui la richiesta al ministro dell’Istruzione «di espungere la Divina Commedia dai programmi scolastici ministeriali»: «la continuazione di insegnamenti di questo genere rappresenta una violazione dei diritti umani» e fomenta «le persecuzioni antiebraiche» addirittura «fino alla Shoah. Certamente la Divina Commedia ha ispirato i Protocolli dei Savi Anziani di Sion, le leggi razziali e la soluzione finale».
Dante ha ispirato Hitler, insomma. E in questo mondo in cui ormai siamo tutti tolleranti, va eliminato chi si permette di dire qualcosa di diverso da quanto piace alla mentalità comune. Pazienza se nessun altro più di Dante, proprio descrivendo lo stomaco di Maometto, ci lascia intravedere una possibilità della lingua poetica (ossia della ragione) così sorprendentemente realistica e lontana dai ragionamenti astratti.
Il popolo dei permalosi si offende per ogni parola non approvata dal politically correct: «cieco», «negro», «ignorante», «handicappato» sono state tutte immolate sull’altare degli dèi del bon ton. Dire poi che Giuda ha tradito Gesù, che Caifa lo ha fatto uccidere, che Maometto ha portato divisioni non sarebbero constatazioni ma insulti. Da oggi in poi, se qualcuno mi dirà che non so giocare a basket, non dovrei prenderla più come constatazione bensì come offesa alla mia sensibilità, e chiedere a qualche ministro di proteggere i diritti dei «diversamente giocanti».
C’è qualcuno che vorrebbe assimilare la poesia a una chiacchierata elegante ma vuota fra signorine col cagnolino ai bordi di un campo di golf: una poesia alla John Lennon («no heaven», «no countries», «no religion», «no possessions»), in cui non c’è spazio per nessun altro colore se non per i sette dell’arcobaleno, cioè per quello che la mentalità del momento suggerisce come ben accetto. La storia del messaggio positivo dell’opera d’arte nasconde una precisa ideologia, che cerca nell’altro soltanto la replica di se stesso: una noia mortale!
L’arte invece, come la vita, è un incontro, e non c’è bisogno di essere già d’accordo con chi scrive o con chi parla: porta con sé tutto il gusto del rapporto imprevedibile con qualcosa d’altro. Cosa cerchiamo leggendo Dante? Soltanto la conferma alle nostre idee o – che è lo stesso – la dialettica con esse? È questo il punto debole dei nuovi catechisti dei diritti universali: non riescono ad aprirsi alla possibilità di scoprire qualcosa che è diverso da loro. Ma leggere non è una liturgia, in cui sappiamo già cosa aspettarci, bensì l’incontro con qualcosa che ci sfida: cosa ha scritto Dante? perché lo ha scritto? cosa c’è di vero? Dall’incontro con un’opera non si esce in accordo o in disaccordo, ma sfidati.
Chi non accetta questa sfida, finisce per blaterare di rispetto per chi è diverso, ma non si accorge di desiderare un pianeta fatto di esseri tutti uguali, anziché ciascuno unico e irripetibile. A quel punto perfino Dante può finire davanti al tribunale delle proprie fissazioni conformistiche, che invocano sovieticamente epurazioni di Stato. Non è una lotta di principio, ma di potere: in fondo, non sono dispiaciuti né per Maometto né per Giuda, non conta la loro colpa né la loro salvezza; semplicemente, non avendo il talento artistico e conoscitivo di Dante, provano a vincerla a colpi di diritti, in modo da mettere nell’inferno non quelli che ci ha messo il poeta ma quelli che ci metterebbero loro. Per favore, però, «smettetela di pensare ai vostri diritti, smettetela di chiedere il potere» (Pasolini).
In un mondo di «puritani apostati» (C.S. Lewis), ci è ancor più necessaria la libertà di Dante, che non si è fatto problema di invocare nello stesso poema le Muse e la Madonna, di parlare di Dio e della zanzara, di condannare i papi e di salvare le prostitute. Forse non aveva pensato al sindacalismo dilagante: doveva aspettarsi la querela dei lussuriosi, dei papi, degli omosessuali e dei traditori, perché tutti hanno diritto a esprimere la loro opinione. A Dante, però, non interessava la categoria astratta ma il singolo uomo: chiamava peccato il peccato, ma salvava perfino un indiano che «muore non battezzato e sanza fede». Non si è preoccupato di come schierarsi nei confronti degli ebrei né quando ha fatto di Giuda il peggior peccatore né quando ha messo in Paradiso altri ebrei come Gesù, la Madonna, gli apostoli, Davide ed Ezechia.
Aveva ragione Giorgio Gaber: «Siamo talmente preoccupati per il sopruso fatto su un singolo individuo che non ci preoccupiamo affatto per il sopruso che subiscono tutti gli altri individui costretti a sorbirsi una valanga di cazzate». E «se abbiamo già sperimentato quanto faccia male una dittatura militare, non sappiamo ancora quanto possa far male la dittatura della stupidità».

CAMORRA E EDILIZIA

Speculazioni: patto tra Mallardo e Nuvoletta
GIUGLIANO. Un patto tra i clan Mallardo e Polverino per portare avanti affari milionari attraverso le speculazioni edilizie. E’ quanto emerge nell’inchiesta ‘King Kong’, che ha portato all’arresto di Domenico e Alfredo Aprovitola, padre e figlio, ritenuti vicini alla cosca dei Mallardo. Grazie alla disponibilità della Tecnocem, controllata anche dagli Aprovitola, il clan Mallardo avrebbe fornito calcestruzzo a ditte vicine ai Polverino per la realizzazione di affari milionari, come la costruzione di un grosso parco sulla fascia costiera di Giugliano. A confermarlo è il pentito Salvatore Izzo in una deposizione risalente all’aprile del 2010: “Il direttore dei lavori del complesso realizzato sulla fascia costiera aveva significativi legami con il clan Mallardo. Tale circostanza era il presupposto stesso per l’affidamento di un tale tipo di lavoro tecnico, ovvero la direzione dei lavori di una speculazione edilizia di specifico interesse dei clan operanti nell’area nord della provincia di Napoli, ovvero il clan Mallardo e i clan Nuvoletta e Polverino. Per ottenere l’affidamento di un lavoro tecnico di tale fatta, ovvero la direzione dei lavori, era indispensabile che il professionista fosse inserito stabilmente, conosciuto o, comunque, accreditato presso il clan che aveva interesse nella speculazione edilizia. Ciò in quanto per ricoprire questi incarichi occorre essere una persona di fiducia del clan”. Il servirsi da parte dei clan esclusivamente di professionisti di propria fiducia per la realizzazione di speculazioni edilizie di interesse della criminalità trova uno specifico riscontro proprio in relazione alla realizzazione del complesso sulla fascia costiera, in cui sono implicati anche dipendenti dell’ufficio tecnico comunale di Giugliano e professionisti, tutti legati al clan Mallardo. Anche il pentito Rosario Froncillo conferma la fusione criminale-economica tra i Mallardo e i Polverino per l’esecuzione di determinati affari. “E’ stata la Tecnocem di Aprovitola, legata al clan Mallardo, a rifornire il cantiere del calcestruzzo per far realizzare l’affare in quanto era stato proprio lui a fungere da contatto tra esponenti dei Polverino e e dei Mallardo”. Inoltre, secondo le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, esponenti del clan Mallardo riuscivano a acquistare terreni a destinazione agricola sapendo che poi tali terreni sarebbero diventati edificabili, come infatti poi avveniva.

Clan Mallardo, spunta il nome di Luigi Cesaro
Il pentito Tommaso Froncillo chiama in causa il consigliere regionale del Pdl Michele Schiano ed il presidente della Provincia di Napoli: «Cesaro aveva rapporti economici con Aprovitola che gli promise voti durante la campagna elettorale».
Nelle carte dell’inchiesta sul clan camorristico dei Mallardo di Giugliano spuntano i nomi del presidente della Provincia di Napoli Luigi Cesaro, appena riconfermato coordinatore provinciale del Pdl, e di Michele Schiano, consigliere regionale dello stesso partito. A fare i loro nomi è il pentito Tommaso Froncillo che ha dichiarato ai pm che Domenico Aprovitola, una delle due persone arrestate questa mattina dalla Guardia di Finanza, si vantava di avere rapporti molto stretti con i due esponenti politici: «In passato fu proprio Aprovitola a dirmi che riusciva ad ottenere buoni risultati nelle assunzioni proprio per i buoni rapporti che aveva con i sindaci che si erano succeduti alla guida del Comune di Giugliano – dice il collaboratore di giustizia – E si vantava di avere lo stesso tipo di rapporti anche con il sindaco del Comune di Qualiano, Michele Schiano, nonché ultimamente, con l’attuale presidente della Provincia di Napoli, Luigi Cesaro».

RAPPORTI ECONOMICI – Il pentito ha fornito ulteriori elementi sui rapporti tra Aprovitola e Cesaro: «Si trattava di rapporti economici in quanto Cesaro aveva in corso la realizzazione di insediamenti edilizi e si era accordato con Aprovitola affinché gli fornisse il calcestruzzo della Tecnocem. Domenico Aprovitola mi specificò che tra i vari investimenti immobiliari effettuati dal presidente della Provincia vi era anche quello relativo alla realizzazione di un complesso edilizio della nuova base Nato; egli non specificò la zona ma ne parlò precisando che la Tecnocem avrebbe fornito il calcestruzzo necessario».
APPOGGIO ELETTORALE – In un altro verbale, Froncillo parla dell’appoggio elettorale che gli Aprovitola avrebbero offerto a Luigi Cesaro: «Domenico Aprovitola non solo si vantava dell’amicizia con Cesaro, ma si impegnava anche direttamente per procurargli i voti necessari per farlo eleggere. Aprovitola faceva la campagna elettorale specificando che, votando Cesaro, avrebbero poi ottenuto una mano per risolvere i loro problemi».

Mallardo: preso il commercialista del clan
GIUGLIANO. Due ''colletti bianchi'' del clan Mallardo sono stati arrestati questa mattina dalla guardia di finanza. Posti i sigilli ai beni mobili e immobili per 71 milioni di euro. Questo è il risultato dell'operazione 'King Kong' condotta dal Gico della Guardia di Finanza di Napoli, coordinata dalla DDA partenopea. In manette sono finiti il commercialista Alfredo Aprovitola e suo padre Domenico. Sequestrate 87 unità immobiliari e 9 terreni, gran parte dei quali nel comune di Giugliano in Campania (Napoli); 5 societa' (Tecnocem srl, Serfinbank srl, Rocca Azzurra srl, Multi Project srl e Hotel Suisse srl) e rapporti finanziari.

L'operazione dei finanzieri, denominata ''King Kong'', ispirata al soprannome ''Scigno'' (''la scimmia'', ndr) della famiglia Aprovitola - ha preso di mira l'ala economica del clan Mallardo, attivo nell'area di Giugliano in Campania, a Nord di Napoli, ma anche in diverse regioni del Paese. Individuato, infatti, quello che e' ritenuto il commercialista del clan, Alfredo Aprovitola, soprannominato, appunto, ''il commercialista'', arrestato oggi insieme al padre Domenico, soprannominato ''il collocatore'' perche' in passato ha ricoperto il ruolo di funzionario dell'ufficio provinciale di collocamento. I reati contestati sono concorso esterno in associazione camorristica e concorso in estorsione aggravata. Il clan - scrive il facente funzioni di procuratore della Repubblica di Napoli Alessandro Pennasilico - imponeva agli esercizi commerciali il caffe' ''Seddio'': la ditta che lo produce, infatti, e' intestata ai D'Alterio, nipoti del capo clan Feliciano Mallardo. Accertato anche che il commercialista Alfredo Aprovitola, titolare, di fatto, di numerosi negozi, aiutava il clan ad imporre la fornitura di caffe' ''Seddio'', per fare gli interessi del clan. I Mallardo, la cui organizzazione interna e' molto simile a quella delle cosche mafiose, da anni hanno messo in atto una strategia di infiltrazione nel tessuto economico, amministrativo e politico giuglianese finalizzata al controllo di tutti gli aspetti della vita sociale. Attraverso gli Aprovitola, ingenti somme provento delle attivita' illecite del clan confluivano nelle aziende gestite dai due ''colletti bianchi'' ma intestate a prestanome. Accertato anche la riconducibilita' ai Mallardo - attraverso gli Aprovitola - della ditta di calcestruzzi ''Tecnocem''. Ricostruito dagli inquirenti il patrimonio immobiliare dei Mallardo di cui fanno parte hotel e bar, per circa cento unita' immobiliari.

False assunzioni per parenti e detenuti del clan. Secondo quanto accertato dal Gico delle Fiamme Gialle di Napoli, Domenico Aprovitola - uno dei due ''colletti bianchi'' del clan Mallardo arrestati oggi dalla Gdf - assicurava false assunzioni per mogli e parenti degli affiliati al clan detenuti o deceduti. Queste persone - spiega tenente colonnello Roberto Prosperi - venivano collocate in aziende costrette ad acconsentire: per un periodo percepivano lo stipendio, ma senza lavorare, poi venivano licenziate ottenendo anche l'indennita' di disoccupazione. Grazie a questo sistema, che ruotava intorno a Domenico Aprovitola, il clan Mallardo si alleggeriva delle incombenze di carattere economico per il mantenimento di chi era finito in carcere o era morto ''sul posto di lavoro''. Un ruolo che Domenico Aprovitola svolgeva con una certa competenza in quanto gia' funzionario dell'ufficio di collocamento provinciale a Giugliano in Campania (Napoli): sempre per conto del clan individuava anche le aziende alle quali veniva imposta l'assunzione di detenuti che, cosi', riuscivano ottenere gli arresti domiciliari. Accertato anche che, oltre al caffe', il clan imponeva anche la fornitura di calcestruzzo alle imprese edili della zona. (Ansa)        

Assicurazioni. Sconti ai napoletani virtuosi

NAPOLI - Ridurre le tariffe Rc auto a Napoli entro la prossima estate. La Giunta guidata dal Sindaco Luigi de Magistris ha dato oggi il via libera ai primi due protocolli finalizzati alla nascita di una convenzione tariffaria chiamata Rca Napoli Virtuosa.

A sottoscrivere le intese sono, con due accordi separati, la compagna britannica Admiral Gruop, attiva in Italia con il marchio ConTe.it, e la società specializzata in controlli satellitari Viasat. Gli accordi non hanno carattere di esclusiva e anzi il Comune auspica che presto si possano sottoscrivere analoghe intese con altre società per dare agli automobilisti la massima facoltà di scelta. Le prime polizze con tariffe calmierate dovrebbero partire la prossima estate.

«Ridurre le tariffe per i cittadini napoletani corretti - ha sottolineato l'Assessore Marco Esposito - aiuterà a spezzare il meccanismo diseducativo che vede adesso penalizzati con aumenti e disdette soprattutto i comportamenti regolari e spingerà l'insieme della comunità locale verso un atteggiamento responsabile. Si dimostrerà, insomma, che la correttezza paga». Come è noto, il settore delle polizze Rc auto e moto a Napoli presenta una notevole alterazione rispetto alla media nazionale con disagi per i cittadini napoletani che adottano comportamenti corretti e responsabili. Tra i fattori anomali sono da rilevare le disdette immotivate dei contratti anche nei confronti della clientela migliore, oppure l'elusione di fatto dell'obbligo a contrarre con un innalzamento spropositato dei premi assicurativi.

A causa dell'elevato livello delle tariffe si sta inoltre diffondendo il fenomeno delle false compagnie assicurative, con incremento dei veicoli che circolano privi di reale copertura assicurativa. L'elevato livello dei prezzi induce comportamenti irregolari che a loro volta alimentano i costi per le compagnie e quindi il livello dei prezzi stessi. Tra i fenomeni irregolari che appaiono più frequenti spicca a Napoli l'inopportuno ricorso all'attività di consulenza legale, anche nella fase stragiudiziale, con costi sociali decisamente preoccupanti. Alla luce di ciò, il Comune di Napoli, su proposta dell'assessore con delega alla Tutela dei Consumatori, Marco Esposito, ha lavorato per costruire una formula tariffaria e normativa che spezzi il vorticoso giro dei sinistri assicurativi e che mitighi gli effetti negativi del ricorso alla consulenza legale.

I lavori hanno visto in questi mesi il coinvolgimento di Isvap, Ania, Giudici di Pace, Forze dell'Ordine, rappresentanti dei consumatori, dei periti assicuratori, degli intermediari di assicurazione, la Polizia locale, le associazioni dei consumatori; sono stati consultati altresì autoriparatori, avvocati, broker assicurativi, Cnr e i sindacati di categoria, al fine di trovare soluzioni vicine ai cittadini virtuosi. Per «cittadino virtuoso» si intende il cittadino che soddisfi determinati requisiti che saranno specificati in Convenzione. In particolare, saranno considerati indicatori di virtuosità: l'essere residenti presso il Comune di Napoli e appartenere a nuclei familiari in regola con il versamento delle imposte, indipendentemente dall'età; appartenere a qualsiasi classe di merito bonus malus purchè non si sia stati coinvolti in un numero anomalo di sinistri negli ultimi anni, in base a parametri che saranno definiti tra le parti e inseriti nella Convenzione; la disponibilità ad installare sul veicolo, senza costi aggiuntivi, un dispositivo telematico che garantirà il servizio di assistenza remota, con l'obiettivo di accelerare i tempi per l'invio di soccorsi in caso di necessità, di accertare la dinamica dell'incidente e di avviare tempestivamente la ricerca del mezzo nei casi di furto qualora venga stipulata la relativa copertura; la disponibilità da parte dell'assicurato ad impegnarsi a non ricorrere all'assistenza legale o all'arbitrato finchè non decorrono i termini indicati nella Convenzione per la proposta di indennizzo.

S.Antimo. Nascondeva in casa un kalashnikov e una carabina

SANT'ANTIMO. Continuano senza sosta le attività delle forze dell'ordine nei confronti della criminalità organizzata sul territorio a Napoli nord. Dopo il ritrovamento, nei giorni scorsi, di armi a Qualiano, ora spunta a Sant'Antimo un nuovo caso di armi pericolose custodite da incensurati all'interno delle proprie abitazioni. I carabinieri della locale tenenza hanno arrestato per detenzione illegale di armi da fuoco e munizioni Stefano Tammaro di 58 anni, residente a Sant'Antimo e incensurato. I militari dell’Arma, dopo un’attenta attività investigativa, hanno perquisito l’abitazione dell’uomo, trovandolo in possesso di una carabina semiautomatica calibro 22 completa di serbatoio e di un fucile mitragliatore “kalashnikov” modello ak 47, calibro 7.62, completo di serbatoio con 20 cartucce, che teneva nascosto in un borsone dentro il ripostiglio di casa. Le armi, perfettamente efficienti, sono state sequestrate e saranno inviate presso il Ris di Roma per gli accertamenti tecnici balistici. L’arrestato è stato tradotto nel carcere di Poggioreale.

giovedì 15 marzo 2012

Spari a Sant'Antimo: carabiniere reagisce alla rapina e colpisce un malvivente

NAPOLI - Sparatoria e paure ieri sera a Sant'Antimo dove due malviventi hanno tentato di rapinare lo scooter a un carabiniere fuori servizio. Mentre percorreva via Cimarosa, il carabiniere è stato avvicinato da un ciclomotore sul quale viaggiavano due uomini con il volto protetto dal casco.

Puntando un'arma (poi rivelatasi giocattolo) verso il militare, gli hanno intimato di consegnare lo scooter. Il carabiniere ha reagito spingendo i due dal ciclomotore e facendoli rovinare a terra. Poi, quando hanotato che l'uomo con la pistola tentava di reagire, si è qualificato e ha estratto la sua arma di servizio con la quale ha esploso dei colpi verso il suolo. I due giovani sono riusciti a fuggire.

Uno dei due, però, è stato rintracciato all'ospedale San Giovanni di Dio di Frattamaggiore dove era andato per farsi curare una ferita da arma da fuoco con proiettile penetrato dal gluteo sinistro e uscito dalla coscia destra. Il malvivente è piantonato in ospedale in stato di arresto.
Mercoledì 14 Marzo 2012
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SANT'ANTIMO. Tentata rapina a Sant’Antimo. I carabinieri della locale tenenza hanno arrestato per tentata rapina aggravata Capitello Angelo Grimaldi, 29 anni, residente a Cardito, già noto alle forze dell’ordine. L’uomo, martedì sera, su via Cimarosa, in sella ad uno scooter, insieme ad un complice in via d’identificazione, con il volto travisato da casco ed armato di pistola, avvicinava un carabiniere, libero dal servizio e in abiti civili, in sella ad uno scooter, intimandogli di consegnargli il motociclo sul quale viaggiava, puntandogli contro l’arma. Il militare dell’arma reagiva, spingendolo lateralmente e dopo essersi qualificato estraeva la sua pistola d’ordinanza, esplodendo due colpi verso il basso. Il 29enne con il complice riusciva a darsi alla fuga, venendo successivamente rintracciato nel pronto soccorso dell’ospedale ”S. Giovanni di Dio” a Frattamaggiore, ove si era recato per farsi medicare dai sanitari per una ferita da arma da fuoco con foro di ingresso al gluteo sinistro e foro d’uscita nella faccia anteriore della coscia sinistra, guaribile in 7 giorni. Il rapinatore sul luogo del fatto ha abbandonato la sua arma che recuperata dai carabinieri si è rilevata essere una pistola scenica che è stata sequestrata. L’arrestato è rimasto in stato di arresto nell’ospedale, piantonato dai militari dell’arma.       
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sabato 10 marzo 2012

Preso in Spagna il boss Giuseppe Polverino

MARANO. Latitante dal 2006 il boss Giuseppe Polverino è stato arrestato nella serata di ieri in Spagna dai carabinieri del Nucleo investigativo di Napoli, diretti dal tenente Nicola Quartarone. Il boss della camorra di Marano era latitante dal 2006 per una condanna a due anni e ricercato dal 2011 per associazione camorristica. I carabinieri hanno bloccato Giuseppe Polverino, 53enne, in un appartamento di Jerez de la Frontera, vicino Cadiz, Siviglia. A maggio 2011 nei suoi confronti fu emessa un'ordinanza di custodia cautelare. Per individuare il suo nascondiglio i militari dell'Arma hanno lavorato giorno e notte su una serie di possibili covi in Andalusia e non è escluso che abbiano contribuito alle indagini le dichiarazioni degli ultimi pentiti del clan.

L'arresto. Al momento dell'arresto Giuseppe Polverino, era insieme a un affiliato di spicco del clan anch’egli ricercato, il 48enne Raffaele Vallefuoco, ha tentato di evitare l’arresto mostrando una carta d’identità intestata ad altra persona, ma il tentativo è andato a vuoto. A Polverino e Vallefuoco, che erano ricercati in tutta Europa, i Carabinieri hanno notificato un’Ordinanza di Custodia Cautelare in Carcere chiesta dalla Direzione Distrettuale Antimafia partenopea per associazione di tipo mafioso e associazione finalizzata al traffico e spaccio di stupefacenti aggravata dal metodo mafioso. Gli investigatori negli ultimi mesi hanno lavorato molto sulla camorra maranese, accertando l'esistenza di un patto tra i Polverino, i Nuvoletta e i Casalesi. Nel corso di una maxi operazione della Guardia di Finanza scattata alla fine di febbraio scorso è stato anche sequestrato un complesso turistico-alberghiero sul litorale domizio riconducibile ai Nuvoletta. L’arresto ieri sera poco dopo le 22. I militari in collaborazione con la guardia civil sono entrati in azione acciuffando il latitante maranese. In un primo momento, Giuseppe Polverino avrebbe negato di essere il 53enne ricercato dai carabinieri italiani, ma poi ad incastrarlo le impronte digitali che hanno confermato le sue generalità. Ora le procedure per l’estradizione e una volta in Italia Giuseppe Polverino dovrà rispondere di numerose accuse come: associazione mafiosa, estorsioni, usura, traffico internazionale di stupefacenti, spaccio di droga e riciclaggio dei proventi del clan. I dettagli sull’operazione che ha portato alla cattura di Polverino saranno resi noti dopo la conferenza Stampa organizzata nella Procura di Napoli.

Il tesoro del clan Polverino. Oltre 100 appezzamenti di terreni, 175 appartamenti, 19 ville, 141 tra box auto, negozi e magazzini. E ancora, 43 società tra cui alberghi, gioiellerie e aziende agricole oltre a 117 autovetture, 62 autocarri, 23 motocicli. È il tesoro da circa un miliardo di euro che i carabinieri del Nucleo investigativo di Napoli avevano sequestrato in via preventiva lo scorso maggio a personaggi ritenuti affiliati o prestanome del clan Polverino. La cosca è egemone nelle città di Marano di Napoli, Villaricca, Quarto, Qualiano, Pozzuoli e nel quartiere Camaldoli di Napoli. Sotto il suo controllo attività imprenditoriali e commerciali in Italia e in Spagna, in particolare a Barcellona, Alicante e Malaga. Secondo i Carabinieri del comando provinciale di Napoli «si tratta di attività commerciali e imprenditoriali che comprovano la centralità assunta da Polverino nello scenario criminale campano e la sua pervasiva capacità di infiltrazione nel mondo economico e imprenditoriale, per il controllo in regime pressoché monopolistico della produzione e in molti casi la distribuzione in numerose zone della provincia di prodotti alimentari (farine, pane, carni - pollame e bovini-, uova, caffè) nonchè di importanti attività nel settore delle costruzioni edili e del calcestruzzo. Tutte attività sostenute grazie al riciclaggio del denaro proveniente dal traffico di stupefacenti che vede il gruppo camorristico operare costantemente sull'asse Marano-Spagna meridionale».

La cattura del 'Barone' a Jerez de la Frontera
MARANO. Giuseppe Polverino è stato intercettato e arrestato, martedì 6 marzo, a Jerez de la Frontera (Spagna) in un complesso residenziale di lussuose ville, dal nucleo Investigativo dei Carabinieri di Napoli insieme all'UCO (Unidad CentraI Operativa) in collaborazione della Guardia Civil spagnola. Giuseppe Polverino, detto «'o Barone», era ricercato dal 2006 e inserito nell'elenco dei latitanti più pericolosi d'Italia nonché proposto per l'elenco dei latitanti di massima pericolosità, colpito da un ordine di carcerazione emesso dal GIP di Napoli su richiesta di questa Direzione Distrettuale Antimafia nell'ambito dell'operazione dei Carabinieri che nel maggio 2011 ha disarticolato il clan Polverino. Insieme a Polverino è stato catturato Raffaele Vallefuoco, esponente di spicco del clan, latitante dal 2002 e destinatario di due provvedimenti cautelari.

La figura de ‘O Barone’ .Giuseppe Polverino è considerato il potente capo e leader indiscusso dell' omonimo clan operante a Marano di Napoli, Quarto e in altre zone d'Italia e Spagna. Cresciuto all' ombra dei Nuvoletta, ha acquisito prestigio criminale dallo storico clan (tra i primi a stringere alleanza con la mafia palermitana) riuscendo a sostituirlo e trasformarlo in uno dei più influenti clan del panorama delinquenziale, non solo campano. Diventato leader indiscusso del traffico internazionale di hashish, 'O barone ha stabilito contatti stabili con trafficanti marocchini residenti in Spagna rivendendo all'ingrosso in Italia ingenti quantitativi di droga, riducendo al minimo i rischi e aumentando al massimo i profitti. Dotato di non comune intelligenza e capacità imprenditoriale, ha diversificato gli investimenti in attività apparentemente lecite del settore edilizio e dell'industria alimentare, stringendo alleanze con tutti i clan campani dei quali è diventato fornitore di ingenti partite di hashish, restando fuori dalle cruenti guerre di camorra degli ultimi anni che hanno indebolito la maggior parte delle compagini criminali. Il clan ha attualmente acquisito il monopolio nell' importazione dell'hashish, servendo anche il mercato gestito da alcuni gruppi mafiosi calabresi, pugliesi e siciliani. Inoltre è incontestabile che il gruppo criminale abbia attivato numerose attività imprenditoriali che spaziano dal tradizionale settore dell'imprenditoria edile a quello del comparto alimentare, con interessamento al settore turistico e alberghiero, soprattutto in Spagna.

L’arresto e le indagini. Martedì sera, alla vista di personale dell'UCO, i due latitanti, entrambi colpiti da mandato di arresto europeo e ricercati dalle polizie di tutta Europa, hanno tentato la fuga. Per comunicare con i suoi affiliati il boss usava la tecnica dei “pizzini”. In tasca gli è stato trovato un foglietto scritto in italiano contenente istruzioni chieste da un affiliato di spicco. Le prime parole agli investigatori che l'hanno catturato sono state: «è finita».Poiché le attività info investigative consentivano di monitorare Giuseppe Polverino e Raffaele Vallefuoco stabilmente in Spagna, sono stati attivati con rogatoria internazionale la locale magistratura e l'Unidad CentraI Operativa della Guardia Civil, che ha fornito un contributo fondamentale prezioso e importantissimo. Con l'UCO della Guardia Civil i Carabinieri hanno instaurato da tempo attiva e proficua collaborazione. Numerose le attività di osservazione, controllo e pedinamento in territorio iberico effettuate in collaborazione per periodi prolungati, necessari per localizzare il latitante in quello Stato. La cattura del potente capoclan e del maggiore broker internazionale per le importazioni di hashish dal Marocco rientra nell' ambito delle più complesse indagini durate oltre cinque anni effettuate dal nucleo Investigativo dei Carabinieri di Napoli e coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli.       

Camorra, bancarotta fraudolenta blitz contro il clan Gionta: 40 arresti

NAPOLI - Si dimostra sempre più capace di gestire aziende e finanza, la camorra, che tra il 2009 e il 2011 con l'aiuto di imprenditori compiacenti forniva efficienti servizi di gestione fraudolenta dei fallimenti alle aziende.

Un sistema studiato per occultare le componenti attive dei bilanci (beni mobili e immobili) a fronte di cospicui corrispettivi. Un meccanismo messo in piedi dalla famiglia Catapano insieme a elementi riconducibili ai clan Gionta e La Torre, rispettivamente di Torre Annunziata (Napoli) e Mondragone (Caserta).

La struttura, nell'arco di due anni, ha consentito a molte imprese in crisi o sull'orlo del fallimento, di non pagare le tasse per complessivi 5,5 milioni di euro (accertati 18 episodi di bancarotta fraudolenta e 13 di sottrazione fraudolenta di pagamento delle imposte). Il sistema è stato scoperto dalla GdF di Napoli nell'ambito di indagini culminate nell'operazione «Dummies» che oggi ha visto la notifica di 40 provvedimenti emessi dal gip del Tribunale di Padova. In carcere sono finiti 9 napoletani mentre per altre 13 persone sono stati disposti gli arresti domiciliari.
Diciotto, invece, i soggetti a cui è stato imposto l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Dei quaranta, 18 sono accusati di associazione a delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. In totale sono state indagate 146 persone.

I patrimoni aziendali occultati ammontano a 9,5 milioni di euro mentre 5,5 milioni di imposte non sono stati pagati al Fisco. A fronte dei «servizi» resi, l'organizzazione ha incassato oltre 24 milioni di euro. La prima fase delle indagini è stata diretta dalla DDA partenopea che poi ha trasferito la competenza all'autorità giudiziaria di Padova nella cui giurisdizione è stato accertato il primo caso di bancarotta fraudolenta.

Grazie a questa articolata struttura - con società sia in Italia che all'estero - le aziende in crisi riuscivano a evitare di pagare tasse e fornitori mettendo, nel contempo, beni al sicuro. Tutto ruotava intorno al cosiddetto «Gruppo Catapano», con sedi a Milano e Napoli, costituito da una serie di società finanziarie, di consulenza aziendale, editoria, compravendita immobiliare e merchant banking, facenti capo ai fratelli Giuseppe, Carmine e Vincenzo Catapano e a Gerardo Antonio Catapano, figlio di Giuseppe. Della rete facevano parte anche due società di diritto anglosassone, la «Victoria Bank ltd» e «Telegraph Road ltd».

Il patrimonio attivo dell'azienda in crisi veniva svuotato di beni mobili, valori, terreni edificabili e crediti, fatti confluire in società, soprattutto estere, create ad hoc. Infine l'azienda, con solo i passivi, veniva intestata a società fittizie, rappresentate da prestanome: pregiudicati e nullatenenti reclutati nelle aree di influenza dei clan. La documentazione amministrativo-contabile veniva distrutta.

Uno dei fratelli Catapano, Giuseppe, nella veste di presidente dell'associazione Osservatorio Parlamentare Europeo (Ope), con sedi a Napoli, Roma e Bruxelles, per accreditarsi, incontrava imprenditori e rappresentanti di istituzioni locali e nazionali presentandosi con autista e autovettura blu, dotata di lampeggiante simile a quello in uso alle forze di polizia.

Coppa America a Napoli

Cambia la mobilità in città

NAPOLI - Cambia la mobilità a Napoli in vista delle regate di Coppa America. Quattro le direttrici su cui si basa il piano presentato oggi dagli assessori del Comune di Napoli alla Mobilità e alla Sicurezza, rispettivamente, Anna Donati e Giuseppe Narducci: istituzione di una zona a traffico limitato straordinaria; istituzione di un'area pedonale urbana; potenziamento dell'offerta di trasporto collettivo su ferro e gomma; presidio delle aree di sosta esistenti e recupero di nuove aree.
Il piano entrerà in vigore dal 26 marzo e permarrà fino al 25 aprile, ma subirà maggiori restrizioni nella settimana di svolgimento delle regate e, dunque, dal 7 al 15 aprile. Dal 26 marzo chiuse via Caracciolo e viale Dohrn per consentire gli allestimenti e prende il via la zona a traffico limitato straordinario il cui perimetro è costituito da piazza Sannazaro, Corso Vittorio Emanuele, vico Trinità delle Monache, via Pasquale Scura, via Toledo, piazza Municipio, via Acton, via Partenope e via Caracciolo.
Istituito il doppio senso di marcia veicolare sulla Riviera di Chiaia e l'inversione del senso di marcia di via Arcoleo da piazza Vittoria alla Galleria Vittoria in cui si procederà con doppio senso di marcia. La ztl straordinaria sarà in vigore dal lunedì al giovedì dalle ore 7 alle 20; dal venerdì alla domenica H24 così come nella settimana dell'evento dal 7 al 15 aprile.
Gli unici veicoli autorizzati al transito all'interno della ztl sono i residenti, mezzi per carico e scarico merci, mezzi pubblici e taxi, autoveicoli con diversamente abili, forze dell'ordine e mezzi di soccorso, mezzi a due ruote ma soltanto sulla Riviera di Chiaia, veicoli destinati a parcheggi, autorimesse e alberghi previo controllo ai presidi e disponibilità all'interno dei parcheggi.
Dodici i presidi per il controllo dell'accesso all'area: viale Gramsci; via Bruno; salita San Nicola da Tolentino; piazza Amedeo lato via Colonna e lato via Martucci; piazza Municipio; via Partenope; via Serra; via Monte di Dio; piazza San Pasquale; vico Trinità delle Monache; piazza Gesù e Maria. Cambiano, inoltre, il senso di marcia in viale Gramsci e in via Caracciolo da piazza della Repubblica a piazza Sannazaro.
Altri provvedimenti riguardano l'obbligo di svolta a destra verso via Morelli per chi arriva dalla Galleria Vittoria; obbligo di svolta a destra sulla Riviera di Chiaia per chi proviene da via San Pasquale e divieto di svolta a sinistra verso via Dumo e corso Garibaldi per i mezzi privati che giungono da via Acton e via Marina.
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Si parte con la sfida Oracle – New Zeland

Sarà la sfida tra Oracle e New Zeland ad aprire sabato 7 aprile la Coppa America a Napoli. Il calendario è stato reso noto oggi dal comitato organizzatore. Le regate partiranno con dei match race (sfida tra due barche), mentre l’8 ci saranno tre regate di flotta di 15’ ciascuna. «Il weekend di apertura – si legge sul sito della Coppa America – rappresenterà un’opportunità da non perdere per i team, che avranno modo di verificare la loro preparazione in vista delle regate valide per il campionato».

LE NOVITA’ – Sul sito ufficiale della manifestazione, Iain Murray, direttore dell’America’s Cup World Series, spiega le novità del format dell’evento di aprile in programma nel Golfo di Napoli rispetto agli eventi precedenti delle World Series: «Abbiamo apportato alcune piccole modifiche al format dopo la conclusione dell’evento di San Diego, che ha chiuso il 2011. Ci siamo confrontati con i team e abbiamo messo a frutto l’esperienza maturata nel corso delle tappe dell’anno scorso. Credo che il programma ora sia più forte: ogni regata conterà ai fini del campionato e tutti i team saranno impegnati tutti i giorni, particolare che riteniamo molto importante».
LE REGATE DALL’11 AL 15 APRILE – Dopo due giorni di riposo, l’11 aprile partono le qualificazioni per il Match Racing Championship che si disputerà sabato. Tra mercoledì e sabato ci saranno quindi 11 regate di flotta dalle quali solo quattro team si qualificheranno alle semifinali e alle finali del match race. Domenica 15 aprile si aprirà invece, con gli AC500 Speed Trial, una sorta di gara contro il cronometro: ogni team navigherà su un percorso lungo 500 metri e vincerà l’equipaggio che coprirà il percorso nel minor tempo. A seguire ci sarà una regata “winner-takes-all” della durata di circa 40 minuti che assegnerà il titolo di vincitore del Fleet Race Championship.

giovedì 1 marzo 2012

Operazione contro i clan Nuvoletta e Polverino

MARANO. I Carabinieri del Nucleo Investigativo di Napoli in collaborazione con la Guardia Civil spagnola questa notte hanno dato esecuzione a un’Ordinanza di Custodia Cautelare in Carcere arrestando 23 persone nell’hinterland a Nord di Napoli, in Spagna e in varie località d’Italia per associazione finalizzata al traffico e allo spaccio di stupefacenti aggravate dall’aver agito per finalità camorristiche.
Nel corso di indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli i militari dell’Arma hanno scoperto nuove strategie messe in atto dai vertici dei clan camorristici “Polverino” e “Nuvoletta” per l’importazione di hashish e cocaina dal Marocco alla Spagna e poi in Italia con fornitori magrebini stanziati in penisola iberica e con un folto gruppo di corrieri Polacchi.

Maghrebini e polacchi «narcos» dei clan napoletanissimi dei Nuvoletta-Polverino. Il loro capo si chiamava «Armando», 34enne del Marocco. I carabinieri del Nucleo Investigativo di Napoli, in collaborazione con la Guardia Civil spagnola, hanno eseguito la scorsa notte una ordinanza di custodia cautelare in carcere, arrestando 23 persone nell'hinterland a nord di Napoli, in Spagna e in varie località d'Italia. Sono accusate di associazione per delinquere finalizzata al traffico e allo spaccio di stupefacenti, aggravata dall'aver agito per finalità camorristiche.

I TENTACOLI IN SPAGNA - Nel corso di indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, i carabinieri hanno scoperto nuove strategie messe in atto dai vertici dei clan camorristici Polverino e Nuvoletta per l'importazione di hashish e cocaina dal Marocco alla Spagna e poi in Italia, con fornitori maghrebini dislocati nella penisola iberica e con un folto gruppo di corrieri polacchi.

«ARMANDO» - Figura centrale del traffico di stupefacenti tra la Spagna e Marano, nel Napoletano, era «Armando», al secolo Rachid Echemlali Rahmani e arrestato ieri, venerdì sera, dalla Guardia Civil spagnola a Malaga, in collaborazione con i carabinieri di Napoli. Il narcotrafficante era ricercato in tutta Europa e, secondo gli investigatori, avrebbe anche legami con il fondamentalismo islamico. «Armando» era in grado di spostare enormi quantità di droga tra Marocco e Spagna, attraverso lo stretto di Gibilterra.

I SUB - Veloci barchini partivano carichi di stupefacente dal nord del Marocco e poi, nelle vicinanze della costa spagnola, scaricavano in mare la droga, confezionata in modo da poter resistere alle infiltrazioni d'acqua. A questo punto squadre di sub si recavano nei punti segnalati dai mandanti e recuperavano la sostanza stupefacente che veniva portata a riva per essere preparata per il viaggio verso l'Italia.

L'ANELLO DI CONGIUNZIONE CON I BOSS - Ruolo di collegamento per gli ordini e nel trasferimento della droga era invece Helena Zajac, cittadina polacca arrestata oggi dai carabinieri a Marano. Si trattava dell'anello di congiunzione tra i corrieri e i capi clan dei Nuvoletta e dei Polverino: quando giungeva la chiamata si organizzava per lo spostamento della droga recuperata dai fondali spagnoli. In Italia, infatti, la sostanza stupefacente giungeva via terra, a bordo di autovetture modificate nel Napoletano da meccanici compiacenti che ricavavano dei «doppi fondi» nella carrozzeria per nascondere la droga. Helena Zajac si occupava del trasferimento della auto modificate ai corrieri, tutti polacchi residenti in Polonia, i quali si recavano in Spagna per il carico. Lì la droga veniva nascosta nelle vetture che, sempre guidate dai corrieri polacchi, giungevano nel Napoletano lungo specifici percorsi. Una volta giunta a Marano, la droga veniva recuperata e i corrieri tornavano in Polonia, /in attesa di una nuova chiamata della Zajac. (tratto da corrieredelmezzogiorno.corriere.it - 18/02/2012)

Palestra su YouTube: 40 milioni di contatti per un napoletano

di Pietro Treccagnoli
NAPOLI - C’è sempre un garage. In California o al Vomero. C’è un garage, tana e cabina di lancio, da dove si conquista il mondo, quello virtuale che poi diventa reale e redditizio, molto redditizio. La parabola universale dello uomo della Mela morsicata è ormai un paradigma. E se Steve Jobs fosse nato a Napoli non è detto che avrebbe fatto la fame, anzi c’è un nome molto noto ai navigatori appassionati di benessere fisico e che, fatte le debite proporzioni, smentisce il pregiudizio convenzionale. È un marchio che ormai spopola YouTube.

Insomma, se Steve Jobs fosse nato a Napoli si sarebbe chiamato Marco Bottone. Lui, il giovanotto, sorride lusingato, ma poi ridimensiona: «Ho solo dimostrato che qualsiasi ragazzo può trasformare la propria passione in professione se ci crede». E proprio Passion4Profession (P4P) si chiama la sua idea, la sua ditta, il suo brand che in rete riesce a catturare fino a 40 milioni di contatti. Avete letto bene, non è un errore di stampa. Ma riavvolgiamo il nastro e cominciamo dall’inizio.
onta che a 14 anni ha cominciato a frequentare na palestra, sempre al Vomero, per mettere a posto un braccio che s’era rotto. È stata una folgorazione. Da allora non ha più smesso di darci dentro con attrezzi, bilancieri, tappetini, run, step e bike per tonificare e sviluppare addominali, deltoidi, pettorali, femorali, bicipiti e tricipiti. A diciotto anni ha capito che del fitness avrebbe voluto farne una professione vera. Prende i brevetti di istruttore, comincia a fare il personal trainer. Ma c’è un’altra passione che lo cattura: quella per la programmazione web.

La seconda folgorazione lo illumina a Orlando, in Florida. «In America mi sono imbattuto» continua «in alcuni video di 2 secondi, dei demo di esercizi fitness. Ho capito che si poteva fare meglio, aggiungendo lo stile made in Italy, creando un filone, qualcosa che potesse diventare sinonimo di benessere multimediale. Ho così inventato un logo, un cuore giallo e blu, che la gente potesse associare alla mela della Apple». Ambizioso? «Ho fatto mia la famosa frase di Walt Disney: ”Se lo puoi sognare, lo puoi fare”». Era a Orlando, inevitabile.

Ha cominciato a produrre i primi filmati. «Ho anche chiesto dei fondi a Sviluppo Italia per un progetto online in dieci lingue. Mi è stato risposto di no». Così ha fatto da solo. La svolta sei anni fa con YouTube. Appena è nato il portale di video sharing, Bottone ha condiviso i primi otto allenamenti. In due anni ne aveva già fatti una trentina.

Un’altra svolta, la terza, nel 2009. YouTube nota i suoi lavori e gli propone una partnership. L’affare, per chi non è pratico della Rete, è tutto nella pubblicità, attraverso gli spot che precedono i filmati e i banner che compaiono in basso. Allora i suoi esercizi avevano appena 300-400 contatti. Ma in pochi mesi c’è stato il prodigioso balzo in avanti: ai suoi corsi gratuiti, con filmati che durano anche molti minuti, accurati, chiari, in 3D, si sono abbonati diecimila persone.

«Ora sono 750mila, tra quelli iscritti solo su YouTube e quelli registrati sul portale» spiega Marco. I video prodotti, circa 650, sono in 13 lingue (arabo e cinese compresi). Il top è quello sugli addominali fatti in casa: ha avuto, a tutt’oggi, 40 milioni di contatti. «Ma la media delle visite per i miei allenamenti va dai 400mila ai 700mila al giorno». In un mese sono 15 milioni. Cifre da paura.

Da poco P4P è pure sbarcato nel magico mondo delle «app», le applicazioni per iPhone, iPad, mobile e tablet vari, sempre gratuite. Per scaricarle basta digitare «allenamento addominali». Ci sono già stati tre milioni di download Marco, intanto, si è trasferito a Posillipo, dove ha un ufficio in stretto contatto con i suoi sei dipendenti. Sì, perché, ha messo su una piccola impresa, tutta in Rete, che si estende dal Canada (dove ha i grafici) alla Russia e alla Moldavia (dove lavorano i programmatori). Ciascuno a casa sua, naturalmente.

Il fatturato, ottenuto grazie a un software che gli consente di creare animazioni video autonomamente tenendo molto bassi i costi di produzione, è a cinque zeri. «Ci vivo bene, ma guardo sempre avanti» continua l’emulo di Jobs. «Sto lavorando a una piccola tv fitness in streaming».

E aggiunge, orgoglioso: «Il mio esempio dimostra che si può creare lavoro con un’idea che funziona. Dovunque si vive. La Rete ha questo potere. Ma ci tengo ad aggiungere un particolare. Tutto quello che ho realizzato è dedicato a una persona che non c’è più». E qui spiega il logo-cuore, con un dettaglio molto napoletano. «Il simbolo è pensato per ricordare mio cugino Fabio, come me appassionato di sport. Giocava in A2 di basket. È morto a 18 anni in un incidente con il motorino vicino al Virgiliano». Ora viene da domandarsi: e se Marco Bottone fosse nato a San Francisco? «Non sarebbe cambiato nulla» taglia corto il giovanotto. «Ogni luogo è al centro di tutto, ormai».

Clan Mallardo: sequestro per 25 milioni

GIUGLIANO. I finanzieri del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Roma stanno eseguendo, su ordine della DDA di Napoli, nuovi sequestri di beni e di rapporti finanziari, per un valore di circa 25 milioni di euro, nei confronti dei fratelli Giuliano, Michele e Luigi Ascione, imprenditori di Formia contigui al clan camorristico Mallardo, egemone nell'area di Giugliano in Campania e con importanti propaggini nel basso Lazio. Gli Ascione erano gia' stati destinatari, lo scorso 15 dicembre, di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere e di ingenti sequestri disposti dal G.I.P. del Tribunale di Napoli su richiesta di questa Direzione Distrettuale Antimafia, per i reati di associazione a delinquere di stampo camorristico e di intestazione fittizia di beni aggravata dalle modalita' mafiose. Le indagini, svolte dal G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Roma, erano partite dalla famiglia Dell'Aquila, potentissimo braccio criminale ed economico del clan Mallardo, capeggiata da Giuseppe Dell'Aquila - detto ''Peppe ''o Ciuccio'' - arrestato lo scorso anno dopo un lungo periodo di latitanza. Proprio seguendo gli investimenti illeciti realizzati dai Dell'Aquila nel basso Lazio, le Fiamme Gialle sono giunte ad individuare i fratelli Ascione, originari di Giugliano in Campania e da tempo stabilitisi a Formia (LT), i quali, attraverso fiorenti imprese operanti nel campo edilizio-immobiliare e nel settore del commercio di autoveicoli, hanno consentito al clan giuglianese il reinvestimento nell'economia del sud-pontino di ingenti capitali frutto di attivita' illecite. Di qui l'arresto degli Ascione ed il sequestro del loro notevole patrimonio, eseguito lo scorso dicembre nel corso dell'operazione denominata dagli investigatori ''Tahiti'', dal nome dello stabilimento balneare di Fondi, presso il quale si incontravano alcuni sodali del clan. L'ordinanza e' stata confermata dal Tribunale del Riesame di Napoli. Proprio nel corso di tale operazione, la Guardia di Finanza ha individuato ulteriori beni e rapporti bancari riconducibili agli indagati. In particolare, oltre ad un'imbarcazione da diporto ed altri 41 immobili di pregio (6 terreni e 35 fabbricati) ubicati in provincia di Latina e di Napoli, sono stati rinvenuti presso diversi istituti di credito svariati conti bancari, sui quali erano depositati circa 6 milioni di euro. Un patrimonio di 25 milioni di euro che, unito a quello gia' oggetto del provvedimento di sequestro eseguito proprio il 15 dicembre scorso, non ha trovato alcuna giustificazione negli esigui redditi dichiarati dagli Ascione e dalle loro societa' e che, pertanto, e' stato sottoposto in data odierna a vincolo cautelare. Quest'ulteriore attivita' si colloca nell'ambito di una piu' ampia azione di contrasto che da tempo la DDA di Napoli con gli investigatori del G.I.C.O. del Nucleo PT di Roma sta perseguendo nei confronti del clan Mallardo.        

Caso Domitia Village: gli indagati si difendono

GIUGLIANO. Interrogati dagli inquirenti, gli imputati nell'operazione che ha visto il sequestro di un intero parco costruito sul lembo di terreno che separa il mare del litortale domizio e il Lago Patria a Giugliano, si difendono. Il primo a parlare è Alfonso Scalzone, fratello dell'ex sindaco di Castelvolturno. «Ero un messo del comune, quindi non ho fatto altro che svolgere il mio lavoro, cioe' atti pubblici». Così ha riferito al gip del tribunale di Napoli che lo ha interrogato ieri nel carcere a Poggioreale, dove si trova rinchiuso da mercoledì scorso dopo l'emissione di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 14 persone, tra cui l'ex sindaco di Casaluce, Proto Fedele. L'operazione anticamorra ha svelato un circuito di concessioni edilizie a Castelvolturno e Casaluce a imprese vicine al clan dei Casalesi.
Alfonso Scalzone, fratello dell'ex sindaco di Castelvolturno, Antonio, ha deciso di dare spiegazioni sugli atti formulati per la concessione edilizia del Domitia Village a Raffaele Giuliani, noto imprenditore considerato braccio imprenditoriale del clan dei Casalesi. "Mi prodigai nel fornire informazioni e atti a Giuliani per un vincolo di vecchia amicizia che mi legava a lui - ha spiegato Scalzone, difeso dall'avvocato Giovanni Cantelli - non per altro motivo. Per quanto riguarda la mia conoscenza con Gaetano Vassallo, e' stata tanto tempo fa, mentre Luigi Guida io non l'ho mai conosciuto". La prossima mossa dei legali di Scalzone, sara' quella di presentare istanza al tribunale del riesame di Napoli. L'ordinanza che ha spedito in carcere il funzionario del Comune, stando ai difensori, si baserebbe su dichiarazioni di collaboratori di giustizia. Gli interrogatori degli altri 13 indagati, e' prevista, invece, per questa mattina nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Su Scalzone pesano le pesanti parole di Vassallo, l'imprenditore dei rifiuti convertito ad albergatore, poi collaboratore di giustizia. " Iniziai la realizzazione dell'albergo (si riferisce al Vassallo Park Hotel) e Guliani mi chiese un aiuto per valorizzare un terreno che lui aveva nello stesso Comune. In sostanza mi chiese come avevo fatto ad avere la concessione e come poteva fare lui per ottenerla - spiega Vassallo in un interrogatori dell'aprile del 2008 - la mia concessione era stata rilasciata in conformita' agli strumenti urbanistici, tuttavia al Raffaele Giuliani presentai Alfonso Scalzone, dipendente comunale e fratello del sindaco dell'epoca Antonio". Era l'epoca in cui il Domitia Village, struttura costruita da Giuliani, stava per sorgere.


LAGO PATRIA. L'inchiesta ha scandagliato uno dei settori dell'attività camorristica più rilevanti, nel territorio della Campania, ossia la penetrazione nel mondo imprenditoriale, in particolare nel settore edilizio e le collusioni con le pubbliche amministrazioni locali, per realizzare imponenti speculazioni. Le indagini hanno consentito infatti di fare luce sulla struttura economica che investe, sostiene e alimenta le organizzazioni criminali attraverso la compiacente attività di imprenditori, amministratori pubblici e professionisti che utilizzano i proventi illeciti dei clan camorristici, per il facile arricchimento personale e per la conservazione dei medesimi clan. Sono state accertate delle vere e proprie joint venture dove alla convenienza ed alla speculazione imprenditoriale si affiancano interessi di natura squisitamente criminale, attinenti al riciclaggio e al reimpiego delle somme provenienti dalle illecite attività esercitate dai gruppi camorristici. Tali imprese "illecite", sfruttando l'enorme patrimonio nella disponibilità della criminalità organizzata, oltre a costituire, di fatto, una forma di concorrenza sleale, hanno determinato effetti destabilizzanti per le economie di intere province. A seguito dei preliminari riscontri, il Nucleo di Polizia Tributaria di Caserta, unitamente allo S. C. I. C. O. avviava una serie di attività tecniche e, contestualmente, procedeva all'acquisizione ed al riscontro delle dichiarazioni rese da diversi collaboratori di giustizia. Venivano, inoltre, sviluppati servizi di appostamento e pedinamento nonché l'analisi della documentazione acquisita presso gli uffici pubblici, anche con l'ausilio di consulenti.

L'attività investigativa durata tre anni ha fatto emergere chiaramente il ruolo determinante di Raffaele Giuliani, già condannato per il delitto di cui all'art. 416 bis c. p. per la sua affiliazione al clan dei casalesi, con sentenza passata in giudicato, che operava, malgrado la condanna, nella gestione di rilevantissime attività edilizie nell'agro aversano e domitio e nei paesi limitrofi di Caserta, reinvestendo gli ingenti proventi delle attività delittuose del gruppo camorristico con la forza di intimidazione derivante dalla sua appartenenza al Clan dei Casalesi e la capacità del clan di infiltrazione e condizionamento delle amministrazioni locali, in particolar modo dei Comuni di Castelvolturno e Casaluce. Utilizzando i suoi rapporti con i vertici di clan camorristici e l'influenza dei clan sugli amministratori comunali, il Giuliani, in particolare, condizionava pubblici amministratori e funzionari locali, che si rendevano suoi complici, rilasciando illegittime concessioni e autorizzazioni amministrative, anche viziate da falsità.

Nella prima fase delle indagini, il personale specializzato del Nucleo di Polizia Tributaria di Caserta, in sinergia con quello dello S. C. I. C. O. di Roma, avviava mirate attività tecniche individuando ed acquisendo importantissimi riscontri investigativi alle convergenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, sui principali "imprenditori camorristi" e referenti economici dei vertici dell'organizzazione criminale, disegnando in tale modo una vera e propria ragnatela di connivenze tra imprenditori, amministratori pubblici e vertici di clan camorristi, operanti nei comuni di Castelvolturno e Casaluce, ove sono state sottoposte a sequestro preventivo numerose unità abitative di notevole valore economico, sequestro allargato anche a costruzioni presenti nei comuni di Marcianise e San Marco Evangelista. Giuliani Raffaele era già stato condannato nel 2004, con sentenza passata in giudicato, per il reato di associazione per delinquere di tipo camorristico, unitamente a Vincenzo Zagaria, Alfredo Zara e altri soggetti rientranti fra i vertici camorristici dell'agro aversano e di S. Antimo, in quanto imprenditore organico alla camorra e diretta promanazione del clan dei "Casalesi", che partecipava in prima persona anche ad attività più direttamente riconducibili al piano "militare". Malgrado fosse ancora sottoposto a misure alternative alla detenzione, in esecuzione della pena, continuava a realizzare operazioni di speculazione edilizia, in sinergia con il clan dei casalesi.

Le indagini hanno, inoltre, consentito di accertare la realizzazione illecita, da parte del Giuliani, in società con Simeoli Angelo, imprenditore legato al gruppo Nuvoletta, nel Comune di Castelvolturno, di un'enorme attività edilizia consistita nel centro residenziale "Domitia Village" a Lago Patria, definito nella ordinanza cautelare "tanto imponente quanto spaventoso per l'orribile impatto ambientale, cosa che è stata possibile solo in virtù della forza economico - collusiva e di condizionamento del clan dei casalesi". La speculazione godeva dell'appoggio di Zagaria Vincenzo, noto elemento apicale del clan dei Casalesi, attraverso il quale sono stati raggiunti veri e propri patti con i referenti locali, Luigi Guida e Raffaele Bidognetti, e con gli amministratori comunali e tecnici del comune di Castelvolturno in cambio di ingenti somme di denaro. La stessa metodologia è stata utilizzata attraverso il costruttore Angelo Simeoli, imprenditore e braccio economico, nonché diretta espressione dei clan Nuvoletta e Polverino operanti nel territorio di Marano di Napoli, che ha realizzato materialmente il manufatto, come accertato dai militari del G. I. C. O. di Napoli. Il Simeoli (detto "Bastone"), pur non essendo organicamente inserito nelle compagini camorristiche, operava stabilmente con esponenti di spicco del clan Nuvoletta e, successivamente, del clan Polverino, nonché con Raffaele Giuliani del clan dei casalesi; il supporto stabile era prestato in maniera diversificata mediante enormi investimenti nel settore con la creazione di numerosissime società e mediante il sistematico reimpiego di provviste illecite nella realizzazione di complessi edilizi, tra cui, appunto, quello della DOMITIA VILLAGE, spunto investigativo della presente indagine .

Gli imprenditori Giuliani e Simboli. Diversi funzionari e tecnici del Comune di Castelvolturno, che hanno agevolato Giuliani e Simeoli nell'ottenere l'autorizzazione alla costruzione dell'opera, sono stati colpiti da ordinanza cautelare per reati di abuso e falso ideologico, aggravati perché compiuti al fine di agevolare il clan dei casalesi. Fra questi spicca la figura di Scalzone Alfonso, colpito da ordinanza cautelare in carcere anche per il reato di associazione mafiosa, per avere concretamente consigliato il Giuliani ed il Simeoli sulle modalità per la realizzazione della abusiva lottizzazione e per avere agito da tramite tra i predetti ed il fratello Scalzone Antonio, già Sindaco del Comune di Castelvolturno. Altrettante imponenti speculazioni edilizie, sotto l'egida del clan camorristico dei casalesi, sono state accertate dai finanzieri nel comune di Casaluce dove Giuliani si è avvalso per l'attuazione dei lavori sui propri terreni ed anche per la costruzione di "I. A. C. P.", oltre che di Simeoli Angelo, di altri imprenditori locali e della connivenza di funzionari e pubblici amministratori del predetto Comune, tra cui l'allora sindaco Fedele Proto Antonio, anch'egli colpito da ordinanza cautelare in carcere.

Giuliani Raffaele e la comunità terapeutica "L'Arcobaleno" di Castelvolturno. Durante le investigazioni è poi emersa la capacità di Giuliani Raffaele di ottenere trattamenti di favore da parte del personale della comunità terapeutica "L'Arcobaleno" di Castelvolturno, il cui vertice è stato sottoposto a misura cautelare; nella struttura, usufruendo dei benefici previsti dalla legge, in alternativa alla detenzione in carcere, il Giuliani scontava formalmente la condanna inflittagli nell'ambito del processo "Regi lagni", ma, simulando la partecipazione ad un percorso terapeutico - riabilitativo dalla tossicodipendenza, riusciva a gestire, indisturbato, le attività illecite. All'interno dello stesso Centro Assistenziale, per meglio agevolare la propria illecita attività di controllo e gestione delle vicende economiche per conto del Clan dei casalesi, il Giuliani aveva ottenuto che venisse assunto il cugino, da cui si faceva scortare durante gli spostamenti. Accanto a questo episodio, sono stati anche accertati molteplici episodi di cessioni di cocaina a Giuliani Raffaele e la frequentazione e la gestione "uti dominus" di un importante complesso termale della provincia di Napoli. Infine, all'esito degli accertamenti esperiti sulla situazione economico-patrimoniale di Giuliani, dei familiari e dei vari prestanome, è stato disposto ed eseguito il sequestro di numerose società, disponibilità e rapporti bancari, beni mobili e immobili, ubicati nei Comuni di Giugliano in Campania, Casoria, Crispano, Frattamaggiore, Salerno, Amorosi (BN) e Mandatoriccio (CS), nonché di autovetture di valore , riconducibili agli indagati". Napoli li 22 febbraio 2012
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Il “Pane 8 giorni” per combattere la crisi

Dopo il latte, anche il pane a lunga conservazione. Ma più che di una novità, è più corretto parlare di un gradito ritorno sulle tavole dei napoletani, che acquistavano il cosiddetto “pane 8 giorni” in tempi di crisi del portafoglio: cinque euro per un filone che dura più di una settimana, consentendo di risparmiare almeno due euro. Nessuno si stupirà, quindi, se con questi chiari di luna la storia si ripete: “La crisi economica sta spingendo i napoletani a risparmiare seriamente anche sul cibo e sui beni primari – sottolinea il commissario regionale dei Verdi, Francesco Emilio Borrelli – che sono davvero costosissimi per una popolazione sempre più al di sotto della soglia di povertà”.

“BUONO ED ECONOMICO” – A confermare la bontà del pane in questione è il presidente dei panificatori campani (Unipan), Mimmo Filosa, titolare di un panificio a San Sebastiano al Vesuvio, il primo a riportare in auge i filoni “otto giorni”: “La crisi economica ci ha spinti a produrre nuovamente questo pane, e devo dire che il successo è davvero clamoroso. Oltre a essere molto buono e particolarmente economico, è anche un modo per fronteggiare i panificatori abusivi della camorra, che continuano a imperversare a Napoli e provincia, incontrastati padroni di una quota enorme del mercato”.

Sgominato clan Casella-Circone di Ponticelli

L’organizzazione imponeva il pizzo anche ai Sarno, fino al 2009 egemoni della zona       

La magistratura napoletana ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di otto persone affiliate al clan Casella-Circone, attivo a Ponticelli e Cercola, ritenute responsabili di estorsione aggravata dal metodo mafioso. L’organizzazione criminale aveva addirittura soppiantato il più noto clan Sarno, che fino al 2009 era egemone nella zona e che è stato decimato da numerosi blitz dei carabinieri.

ESTORCEVANO DENARO A UN ALTRO CAMORRISTA – Nel corso delle indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia partenopea, i militari hanno identificato gli autori di un filone estorsivo ai danni di un ex esponente di spicco del clan Sarno. Negli ultimi tempi l’uomo era costretto a pagare il pizzo e aveva ceduto un’impresa di pulizia e un’agenzia di spettacolo agli appartenenti al nuovo gruppo criminale.

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Torre del Greco, incubo racket: bomba devasta un supermercato

di Francesca Mari
TORRE DEL GRECO - Mentre il «modello Ercolano» assume fama e importanza simbolica sempre maggiore, l’ombra del racket torna ad abbattersi sulla città corallina. Nella notte di venerdì una bomba carta è stata fatta esplodere davanti al minimarket «Hello Market. Punto Spesa Jolly» in via XX Settembre, nelle vicinanze della centralissima Piazza Luigi Palomba.

Un boato alle 3 di notte, avvertito anche nei quartieri periferici, ha svegliato gli abitanti della zona, tra cui anche i titolari dell’esercizio commerciale che sono scesi in strada a controllare. I danni sono pesantissimi. L’esplosione ha causato la totale distruzione della vetrina esterna del negozio e di una parte del muro, oltre che danni all’impianto di energia elettrica; i locali interni sono stati intaccati lievemente. Sul posto è giunta la polizia, allertata dai titolari, e in seguito la scientifica che ha individuato i residui dell’ordigno: secondo i primi rilievi si è trattato di una bomba carta.

Gli inquirenti hanno pochi dubbi sul fatto che si tratti di un avvertimento dei signori del racket. Tipiche le modalità dell’attentato, e soprattutto tristemente a rischio il periodo dell’anno in cui è avvenuto: si avvicinano infatti le festività pasquali e quanto accaduto potrebbe essere un segnale dell’avvio della corsa al pizzo. Fenomeno drammatico, più volte messo a nudo dalle indagini e dai racconti dei pentiti, con i commercianti costretti a soccombere alle minacciose pressioni dei clan a caccia di fondi «per i figli dei carcerati». Collette criminali che per i clan sono anche un sistema per esibire la capacità di controllare il territorio. E a Torre del Greco il territorio è conteso dai clan Falanga, Di Gioia-Papale e una fazione degli scissionisti. Ma naturalmente non si escludono altre ipotesi. D’altra parte il titolare, R.F., si è mostrato sorpreso dall’attentato che, secondo le sue prime stime, avrebbe apportato un danno di oltre 10mila euro. «Non abbiamo mai ricevuto richieste estorsive – ha detto – e non ci spieghiamo cosa sia accaduto anche perché siamo qui da 40 anni e non ci è mai successo nulla».

Il negozio è rimasto aperto, nonostante il raid: fin dalle 4 del mattino, dopo il sopralluogo delle forze dell’ordine, titolari e familiari hanno provveduto a ripulire e mettere in ordine i locali per poi riprendere alle 9 la regolare attività di vendita. Forse per una coincidenza, il raid è avvenuto a distanza di un anno esatto da quello che nel febbraio del 2011 danneggiò, sempre per l’esplosione di una bomba carta, il negozio di abbigliamento Original Marines in via Roma. Era stato l’ultimo episodio verificatosi in città, seguito, poi, da una serie di manifestazioni di protesta, e di numerose «passeggiate antiracket» alla presenza di Tano Grasso, presidente della Federazione Antiracket e Antiusura. Sull’onda della mobilitazione il 18 luglio del 2011 è nata in città la prima Associazione Antiracket e come presidente è stato scelto Giovanni Bottino, l’imprenditore coraggio che ha denunciato la camorra e vittima, nel marzo 2010, di un attentato che distrusse la sua rimessa di barche.

Altra coincidenza, l’attentato di ieri accoglie il ritorno in città di Tano Grasso, che presenzierà domani presso il liceo scientifico A. Nobel alla cerimonia conclusiva del progetto di Comune e scuole «Vivere la legalità», e terrà un convegno sulla lotta al racket delle estorsioni.
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