venerdì 17 febbraio 2012

Cilento: riaprono le Grotte di Pertosa

Una chiusura durata più di un mese che ora volge al termine. Le suggestive Grotte dell’Angelo a Pertosa, settanta chilometri da Salerno, all’estremità settentrionale del Parco Nazionale del Cilento, sono state riaperte al pubblico con nuovi progetti e itinerari, tra cui la realizzazione di quattro piste audio e nuove scenografie luminose, nonché l’abbattimento delle barriere architettoniche per consentire l’accesso ai disabili.

UNA GROTTA PER TUTTI – “Saremo la prima grotta in Italia in cui un intero percorso potrà essere visitato da disabili motori – dichiara Francescantonio D’Orilia, presidente della Fondazione MIdA, che gestisce il sito – mentre ai disabili uditivi verranno consegnati dei palmari interattivi con i quali accederanno a filmati illustrativi in comunicazione non verbale per godere delle affabulazioni e delle notizie tecniche che il pubblico riceve dagli accompagnatori", prosegue il direttore Virgilio Gay.
LE INIZIATIVE – Fra i progetti per coinvolgere un numero crescente di visitatori, i martedì low cost con sconti e agevolazioni per tutto l’anno, la mostra “Insecta, universo a sei zampe” che durerà dal 15 marzo al 15 settembre, e i tour di rafting e speleo-rafting previsti sul fiume Tanagro.
UNA MERAVIGLIA DA 35 MILIONI DI ANNI – Già studiate nell’antichità da Plinio il Vecchio e nel Cinquecento da Leandro Alberti, le Grotte di Pertosa sono il risultato di un incessante lavorio naturale durate oltre 35 milioni di anni. Unico ipogeo al mondo a essere attraversato da un fiume sotterraneo, il Tanagro, le grotte si incuneano per 3 chilometri sotto il massiccio degli Alburni. Dotate di un innovativo impianto illuminotecnico e scenografico, considerato il primo di questo genere a livello mondiale per un sito speleologico, sono state riconosciute come Geoparco dall’Unesco per la loro bellezza e per le modalità gestionali di efficienza ed ecosostenibilità.

Casalesi, un patto con Al Quaeda per eliminare i pm scomodi

di Rosaria Capacchione
CASERTA - Li odia. Di un odio antico, profondo, radicato. Li odia perché gli hanno perquisito la casa, condannato all’ergastolo il padre, arrestato la madre. Li odia perché sono magistrati, uomini di legge, amministratori di quella giustizia che lui rinnega. Non perché anarchico ma perché camorrista, e di giustizia ha un altro concetto e un altro modello: l’amministra da sé, condanna senza appello, applica la pena di morte anche per la più piccola mancanza. E la morte aveva deciso per i suoi nemici: Federico Cafiero de Raho, prima di tutto, il capo del pool antimafia che indaga da quasi vent’anni sul clan dei Casalesi, e che insultava ogni volta che ne aveva l’occasione. E poi gli altri. Voleva ucciderli tutti, scatenando una guerra senza quartiere, senza confini, planetaria. Voleva un altro 11 settembre, e ai suoi amici di Al Qaeda aveva chiesto armi e uomini, offrendo supporto logistico e la sua eterna amicizia. Se il progetto è rimasto sulla carta è solo perché è stato arrestato. Se il progetto oggi è noto è perché il suo braccio destro ha iniziato a collaborare con la giustizia e l’ha raccontato: proprio al nemico, proprio ai pm della Dda di Napoli.

Lui, il pentito, si chiama Roberto Vargas. Era stato arrestato con l’accusa di triplice omicidio, tre manovali del clan che aveva disubbidito alla regola dettata da Nicola Schiavone, il primo figlio del boss chiamato Sandokan. Il 29 novembre, interrogato dal pm Giovanni Conzo, ha raccontato gli inquietanti retroscena delle stragi mancate. E la frattura nel cartello casalese, con il piano per uccidere anche il rivale Michele Zagaria. Vargas riferisce cose che avrebbe appreso direttamente dal suo capo che in quel periodo, tra il 2008 e il 2009, viveva - latitante volontario - in un appartamento a San Marcellino dal quale non usciva quasi mai.

È il 2009, verosimilmente tra marzo e aprile, comunque prima del 15 maggio, data dell’arresto di Roberto Vargas. Nel verbale, depositato nell’inchiesta a carico del sindaco di Casapesenna, Fortunato Zagaria, racconta la premessa di quella rivelazione: «Molti anni prima Nicola Schiavone mi aveva parlato di una lettera che Michele Zagaria aveva inviato a Raffaele Cantone, magistrato originario di Giugliano. In tale lettera Zagaria mandava a dire al dottor Cantone che lui personalmente non aveva niente contro lo stesso magistrato; ciò perché in quel periodo giravano voci di un imminente attentato ai danni del dottor Cantone da parte di Michele Zagaria ed Antonio Iovine». Il giovane Schiavone era molto arrabbiato con Michele Zagaria perché in quella lettera «parlava a titolo personale e non a nome dei “casalesi”, facendo così intendere che solo lui non aveva motivi di risentimento contro il dottor Cantone, senza includere anche “Casale”, ovvero l’organizzazione casalese. In questo modo sembrava che l’organizzazione dei casalesi e dunque in primis la famiglia Schiavone ce l’avesse con Cantone, mentre Zagaria non aveva nulla contro di lui».

Quindi, se Zagaria avesse fatto un attentato «la colpa sarebbe ricaduta sicuramente “su Casale” e non sullo stesso Zagaria. Infatti nel paese si vociferava che sia Zagaria Michele, che Antonio Iovine, dicessero in giro testualmente: ”I guai a Casale ed i soldi a San Cipriano e Casapesenna”».
Dunque, la rivelazione. «Nicola Schiavone mi confidò di aver avuto contatti con dei terroristi di “Al Qaeda” in quanto lui era intenzionato a colpire il giudice Cafiero de Rago, che era stato l’artefice di tutti gli ergastoli comminati a seguito di Spartacus 1. Schiavone mi confidò inoltre che aveva un forte astio per tutto il pool della Dda di Napoli, mi disse anche che da lì a poco sarebbero arrivati dei bazooka monouso da consegnare a questi terroristi che avrebbero dovuto compiere diversi attentati ai predetti magistrati del pool che si occupava della camorra casalese».

La rete islamica di Bin Laden? Addirittura? «Schiavone mi disse che l’alleanza con “Al Queda” era molto forte e che lui avrebbe dato appoggio logistico nel territorio aversano; in cambio queste persone gli avrebbero fatto gli attentati contro i magistrati del pool per fargli un piacere, come testimonianza della loro alleanza. Mi disse che lui non era come il padre, ma lui era peggio del padre. Nicola era infatti arrabbiato del fatto che il clan era stato oggetto di un altro Spartacus, ovvero Spartacus 3 (nel corso del quale fu arrestata la madre, Giuseppina Nappa, ndr)». Prima di uccidere i magistrati, doveva però eliminare il nemico interno, il potentissimo e ricchissimo Michele Zagaria. Racconta ancora Roberto Vargas: «Schiavone chiese a mio fratello Pasquale di fingersi deluso dalla famiglia Schiavone e così chiedere un avvicinamento a Michele Zagaria, lamentandosi del fatto che non gli mandavano abbastanza soldi per fare la latitanza. Appena al cospetto di Zagaria, mio fratello avrebbe dovuto ucciderlo all’istante, decapitarlo e buttarne la testa fuori al portone di casa a Casapesenna. Questo perché Michele Zagaria sarebbe stato un ostacolo ai suoi piani per gli attentati contro il pool dei magistrati». Successivamente, sarebbe toccata ad Antonio Iovine».

Nella casa di San Marcellino, Nicola Schiavone detta il cronoprogramma degli omicidi: prima Ernesto Bardellino e l’intera vecchia guardia del clan, poi «il pool di magistrati, per primo Cafiero de Raho e poi a seguire chi del pool, che si occupava della camorra casalese, saremmo riusciti a colpire. L’azione sarebbe stata portata a termine dai terroristi, mentre noi avremmo fornito gli appoggi logistici». Terroristi già addestrati «in quanto avevano preso parte a fatti di sangue all’estero» ma che siccome «avevano avuto alcuni problemi, si erano alleati con Nicola Schiavone al fine di ottenere dei rifugi sicuri nell’agro aversano», dove il giovane boss li aveva incontrati. Vargas doveva mantenere i contatti, il suo capo sarebbe andato a Modena per non dare nell’occhio.
Progetto ancora attuale? Non si sa, non lo sa nessuno, neppure Vargas. Che rivela: «Dopo l’arresto di Nicola Schiavone (nel giugno del 2010, ndr), Carmine Schiavone ha preso il posto del fratello maggiore quale capo del clan dei casalesi. Non so se Carmine abbia le capacità per portare in atto tali attentati contro il pool di magistrati del Dda».
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sabato 11 febbraio 2012

L’accusa di Saviano: «Un camorrista ospite di Raidue»

«Perché il boss Gaetano “McKay” Marino viene ospitato in Rai?». Lo scrittore denuncia su Facebook la presenza di un boss degli Scissionisti in un programma televisivo durante il quale la figlia di 12 anni gli dedica una canzone       

La figlia canta su Raidue mentre il padre, boss della camorra, siede in platea. «Questa è una storia passata inosservata. Strana, dura pochi minuti. Ma minuti televisivi. Arriva in milioni di case nei giorni che si preparano al Capodanno». Lo scrive Roberto Saviano in un post su Facebook nel quale denuncia la presenza, in una trasmissione andata in onda il 29 dicembre 2010, di Gaetano Marino, uno dei capi degli Scissionisti. La bambina di 12 anni, presentata come Mary Marino, viene invitata a chiudere il programma di capodanno “Canzoni e Sfide” condotto da Lorena Bianchetti.

IL BOSS CON LE MANI DI LEGNO – Privo di entrambe le mani, «Gaetano fu scovato nel dicembre 2004 in un albergo di lusso della costiera sorrentina - scrive Saviano - si nascondeva lì per sfuggire alla vendetta dei killer rivali che lo cercavano, ed era sempre accompagnato dal suo maggiordomo che aveva il compito di accudirlo».
SAVIANO: «PERCHE’ CELEBRARE UN CAMORRISTA» – «Naturalmente a stupire non è che una bambina ami suo padre e voglia dedicargli una canzone – prosegue l’autore di “Gomorra” – Ma alla fine dell’esibizione Lorena Bianchetti le si avvicina e le dice: “È bellissimo questo brano”. Poi continua, “Ti va di fare una sorpresa a papà? Ti va di dargli un bacino? Dov’è... signor papà, c’è Mary che vorrebbe darle un bacino”. E lì, in prima fila, ecco Gaetano Marino (ripreso senza inquadrare le mani di legno) che dà un bacio a sua figlia. Incredibile. Mi domando, perché questo omaggio? Perché il Politeama di Catanzaro ha tenuto Gaetano Marino come ospite d’onore in prima fila. Perché la Rai ha messo in scena questa celebrazione? Il mondo degli appalti che riguardano lo spettacolo è da sempre infiltrato. Prima o poi si riuscirà a svelare i legami tra mafie, televisioni, musica e spettacolo».
IL POST COMPLETO DI SAVIANO – «Questa è una storia passata inosservata. Strana, dura pochi minuti. Ma minuti televisivi. Arriva in milioni di case nei giorni che si preparano al Capodanno. Ma il racconto di questi minuti televisivi non avrebbe senso se non si conoscesse la storia di Gaetano McKay Marino. Gaetano Marino è ai vertici degli Scissionisti, detti anche Spagnoli, usciti vincitori della guerra interna al cartello dei Di Lauro. Hanno partecipato alla faida i Marino. Gaetano infatti è fratello di Gennaro Marino, promotore militare della faida. Sono detti i "McKay" perché il padre Crescenzo (ucciso dai Di Lauro come vendetta) somigliava a un vecchio personaggio di una serie televisiva western. Gaetano fu scovato nel dicembre 2004 in un albergo di lusso della costiera sorrentina, si nascondeva lì per sfuggire alla vendetta dei killer rivali che lo cercavano, ed era sempre accompagnato dal suo maggiordomo che aveva il compito di accudirlo. Gaetano Marino non può mangiare da solo, non può cucinare, non può aprire le porte, non può nemmeno bere da solo. Perse entrambe le mani per lo scoppio di un ordigno. Guerra di camorra con i Ruocco, anni '90, si voleva fargli saltare la villa e una bomba gli esplose in mano. Questa è una delle versioni. Altri dicono che perse le mani perché stava lanciando una bomba a mano esplosa prima del tempo. Gaetano Marino è stato per la camorra una sorta di ambasciatore dei sodalizi di Secondigliano con la mafia albanese, come dimostrato dall'inchiesta del Gico di bari dell'ottobre 2010. 

Il 29 dicembre del 2010 una bambina presentata come Mary Marino – piccola, di dodici anni – viene invitata a chiudere la trasmissione di capodanno "Canzoni e Sfide" condotta da Lorena Bianchetti e trasmessa da Raidue. La presentatrice annuncia l’ospite: "Vogliamo a questo punto proporvi un’esibizione veramente intensa. Lei è una bambina, ma ha voluto scrivere e dedicare una lettera al suo papà, davvero molto toccante". La bambina, ovviamente incolpevole, viene invitata a cantare un brano che è un inno a suo padre, Gaetano Marino. "Tu sei il padre più bello del mondo che non cambierei". Naturalmente a stupire non è che una bambina ami suo padre e voglia dedicargli una canzone. Non stupisce nemmeno che la figlia e nipote dell'aristocrazia del narcotraffico italiano, vada in televisione – in Rai – a cantare una canzone per suo padre. Per una figlia, per una bambina, un padre anche quando camorrista è soltanto un padre. Su tutto questo, si potrebbe sorvolare e superare l'imbarazzo. Ma alla fine dell’esibizione Lorena Bianchetti le si avvicina e le dice: "È bellissimo questo brano" poi continua, "Ti va di fare una sorpresa a papà? Ti va di dargli un bacino? Dov'è... signor papà, c'è Mary che vorrebbe darle un bacino". E lì, in prima fila, ecco Gaetano Marino (ripreso senza inquadrare le mani di legno) che dà un bacio a sua figlia. Incredibile. Mi domando, perché questo omaggio? Perché il Politeama di Catanzaro ha tenuto Gaetano Marino come ospite d'onore in prima fila. Perché la RAI ha messo in scena questa celebrazione? Il mondo degli appalti che riguardano lo spettacolo è da sempre infiltrato. Catering, palchi, concerti, teatri. Maurizio Prestieri, boss del Rione Monterosa e ora collaboratore di giustizia, conosce sin nel dettaglio questi meccanismi. Prima o poi si riuscirà a svelare i legami tra mafie, televisioni, musica e spettacolo.
Tutto questo mentre la piccola Mary Marino, cresciuta, ha smesso di cantare la lettera per il padre e canta "Allora mi vuoi". Indossa una kefia ed è truccatissima mentre canta il suo amore per Pino Giordano, anche lui cantante».

Operazione anticamorra, neomelodici indagati: inneggiavano al clan

ERCOLANO - I carabinieri della Compagnia di Torre del Greco hanno eseguito, nelle scorse ore, cinque ordinanze di custodia cautelare in carcere a carico di 41 affiliati a due clan camorristici in lotta per il controllo degli affari illeciti a Ercolano. Gli arrestati, tutti elementi di spicco dei clan Ascione-Papale e Iacomino-Birra, sono a vario titolo responsabili di associazione di tipo mafioso, estorsione, omicidio, violazione alla legge armi, rapina e spaccio di droga.

Nel corso delle indagini, coordinate dalla Direzione distrettuale Antimafia (Dia) di Napoli, i carabinieri hanno individuato i soggetti operanti nei clan e identificato gli autori dell'omicidio di Raffaele Filosa, eseguito a Ercolano l'8 luglio 2001, e del tentato omicidio di Vincenzo Durantini, avvenuto a Ercolano il 13 dicembre 2010 (fatto mai denunciato).

Inoltre, i militari dell'Arma hanno identificato i soggetti coinvolti nel traffico di armi durante la lotta tra i clan e hanno scoperto due filoni estorsivi ai danni di commercianti del luogo. Nel corso dell'operazione sono stati sottoposti a sequestro preventivo beni mobili e immobili per 10 milioni di euro.

Nell'ambito dell'inchiesta che ha portato alla notifica di 41 ordinanze di custodia cautelare nei confronti degli affiliati ai clan rivali di Ercolano (Napoli), Ascione-Papale e Iacomino-Birra, sono indagati due cantanti neomelodici accusati di istigazione a delinquere. Secondo la Procura di Napoli, infatti, con i testi delle loro canzoni e le immagini dei loro video, avrebbero inneggiato alla camorra esaltandone atteggiamenti e abitudini.

Uno degli indagati per concorso in istigazione a delinquere è il cantante neomelodico Lello Liberti, autore della canzone «Il capoclan».

Per lui la Procura aveva chiesto l'arresto, non concesso però dal gip. Secondo i pm, la canzone induce a ritenere che la camorra sia un fenomeno positivo, una fonte di sostentamento per le famiglie povere e sfortunate. Liberti, in particolare, canta che «per onore il capoclan nasconde la verità: è un uomo serio, non è vero che è cattivo». Per i pm, inoltre, la canzone spinge a ritenere giusto l'omicidio di chi tradisce o si pente.

L'operazione dei carabinieri contro i clan contrapposti di Ercolano è stata effettuata in un'atmosfera insolita: gli arresti, molti dei quali nella zona intorno al popolare quartiere di Resina, sono stati eseguiti sotto la neve che è caduta nella notte in tutta zona alle pendici del Vesuvio. Tra le persone arrestate, numerose donne affiliate ai clan. Una di loro, probabilmente anche a causa del freddo della notte, ha fatto sfoggia di una vistosa pelliccia con la quale è uscita da casa, accompagnata dai carabinieri per essere portata in auto alla compagnia di Torre del Greco.

Associazione mafiosa, estorsione, detenzione di armi, spaccio di droga, tutti aggravati dal metodo mafioso, sono i reati che a vario titolo sono contestati ai 41 destinatari delle ordinanze di custodia in carcere eseguite oggi dai carabinieri della compagnia di Torre del Greco. Un'operazione che coinvolge due clan da tempo in lotta per la gestione delle attività illecite a Ercolano, in provincia di Napoli, ovvero gli Ascione-Papale e i Iacomino-Birra. Molti arresti sono stati resi possibili grazie alla collaborazione delle vittime del racket, Il procuratore aggiunto Rosario Cantelmo, coordinatore della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, ha parlato di un «nuovo inarrestabile atteggiamento» delle vittime delle estorsioni che denunciano i camorristi, li riconoscono consentendo gli arresti e confermano le accuse nelle aule dei tribunali.

«Una rottura assoluta rispetto a un atteggiamento di paura e di omertà», ha detto il magistrato che ha definito il fenomeno «una primavera della legalita». Cantelmo ha sottolineato che nel territorio di Ercolano «c'è fiducia nelle istituzioni» anche perché i processi «si stanno svolgendo in tempi rapidi».

Un altro elemento emerso dall'inchiesta sono le cosiddette «quote rosa» dei clan, in riferimento al coinvolgimento di cinque donne alcune delle quali di «notevole spessore criminale». Come Enrichetta Cordua che, secondo quanto accertato dagli inquirenti, in casa dove era tornata dopo la concessione degli arresti domiciliari, gestiva le attività della sua cosca, curando la «cassa comune», custodendo le armi e organizzando nell'appartamento i vertici dell'organizzazione al cui cospetto venivano portate le vittime delle richieste estorsive.

Polemiche e proteste per i video dei clan ma cantori di malavita spopolano online
di Francesco Vastarella

NAPOLI - Il mondo dei neomelodici che cantano le gesta della camorra, portato alla luce dal blitz di ieri, ha suscitato attenzione e polemiche. Indagato il cantante, ma il video della canzone è cliccatissimo sul web.

>>> GUARDA IL VIDEO


Infallibile come il Papa: «’O capoclan no, nu sbaglia».
Devoto ma con superpoteri: «Dio, proteggi i miei figli (i guagliuni) ma se qualche volta non ti è possibile ci penso io».

Pronto al sacrificio: «Per quest’uomo non esiste la libertà, per onore nasconde la verità».

Affettuoso: «Con il cuore è sempre a casa».

Abile al comando: «I guagliuni sono fuori e sanno già che hanno da fa».

Inflessibile: «La condanna per chi ha sbagliato, è nu capo e sape che ha da fa, ci consente di essere rispettati e nuie l’avvimma rispettà. I suoi errori so pe’ necessità».

Brani dall’esegesi del capoclan cantata e suonata da Nello Liberti e dalla sua compagnia di autori, comparse e reclute nel video al momento più cliccato del web, che già tre anni fa ha avuto la sua ribalta mediatica e di inchiesta. Altro che Guapparia del tempo che fu, sentimentale e fascinosa nelle canzoni. Altro che sceneggiate alla Mario Merola o alla Pino Mauro «quando il guappo era nu re» e tra le lacrime intonava «pagliaricce ’e cancella...», oppure disperato si rivolgeva al «carceriere mio oi carceriere», riconoscendo alla giustizia ruolo e dignità, per invocare il ritorno dalla mamma morente.

«’O capoclan» di Nello Liberti, al secolo Aniello Imperato da Ercolano, classe 1977, nel finale del video compare minaccioso dietro le sbarre, pronto e sicuro di tornare fuori a esercitare il suo sinistro potere, a emettere sentenze come giudice supremo: «Guarda ’e stelle e parlo a Dio..., la condanna per chi ha sbagliato». E nel video si vedono guagliuni con le pistole pronti a sparare con fredda determinazione. Com’è lontana la Napoli della «Serenata calibro 9», quando la malavita era un po’ più artigianale e non si dava ad intendere nelle immagini che i guagliuni prima sniffano e poi sparano.

Oggi sul web c’è una camorra che si esalta e si alimenta di miti e note, con i video in internet e le mille minitv i boss investono per crearsi consensi, affari e soprattutto per lanciare nell’etere messaggi e minacce. Non solo Nello Liberti che cantava ai matrimoni e ai compleanni di figli dei boss senza mai essere stato affiliato. Si trova di tutto nel panorama di artisti o pseudotali che cantano la camorra. Dal video con la canzone di Liberti c’è chi on line ha ricavato una sequenza di tre minuti con immagini di padrini e boss, da Totò Riina a Raffaele Cutolo, da Luciano Liggio al Padrino interpretato da Marlon Brando e Al Pacino. Meno male che c’è in rete pure chi s’indigna e prende in giro ’o capoclan e il suo cantore, con tanto di maleparole in dialetto: «tu sì .... della società». Un gruppo di coraggiosi ragazzini s’è pure consentito il lusso di inviare tanto di pernacchie al boss e ai suoi amici.

Un altro clic ed ecco un album dal carcere duro (41 bis) con la giovane cantante che lancia strali contro il pentito «che a martiteme hai tradito» e si dichiara «femmena d’onore». E un cantante dello stesso genere nel cd «Lettere dal carcere» (quasi fosse Gramsci) rincuora i poveri guagliuni dietro le sbarre. Un altro brano di successo «’o latitante» è stato censurato da Youtube, ma è ancora reperibile in rete, dopo aver superato il mezzo milione di contatti. Audiovideo schifezze, che qualcuno s’è preso la briga di raccogliere in un sito, «Premio Saittella», fogna in napoletano, appunto, con tanto di sovrascritta: «Videoclip con contenuti da espurgo». Canta infatti «’o killer condannato», cantano e «guagliuni e miez a via» (eredi di quelli di malavita) «che campano dint a paura e nun song mai sicure». Insomma, artisti o similcamorristi, vallo a capire. Di certo, parole e note come piombo e sangue.
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Rifiuti italiani a Rotterdam

L’Olanda non ha rifiuti a sufficienza mentre a Napoli marciscono sei milioni di tonnellate di spazzatura. La soluzione: da questa settimana una centrale per il trattamento dei rifiuti di Rotterdam trasforma la spazzatura italiana in energia. “Napoli vuole liberarsene, noi ne abbiamo bisogno.
Opuscoli pubblicitari, imballaggi in plastica, avanzi di cibo. Duemila tonnellate di poltiglia grigiastra sono state scaricate lunedì nel porto di Rotterdam. Si tratta di rifiuti domestici, importati dalla città di Napoli. Qui in Olanda vengono smaltiti nello stabilimento di trattamento dei rifiuti della AVR a Rozenburg.
Napoli è alle prese con i suoi rifiuti da anni. La città e la provincia non riuscivano nemmeno a raccogliere la spazzatura domestica negli ultimi anni. Montagne di rifiuti si sono accumulate persino nel centro di Napoli. Una combinazione di malgoverno e corruzione, infiltrazioni mafiose e decisioni di investimento sbagliate hanno fatto sì che in città meno del 20 per cento dei rifiuti vengano differenziati e che sei milioni di tonnellate di rifiuti di dubbia natura e parzialmente tossici siano stati impacchettati in discariche all’aperto, in attesa di smaltimento definitivo.
L’unico inceneritore della regione – quello di Acerra – ha funzionato male per anni e bruciava anche materiali tossici mischiati ai rifiuti domestici. La ristrutturazione dell’installazione è durata così a lungo che l’impianto era già obsoleto prima che i forni venissero accesi e tuttora l’inceneritore è più spento che funzionante.
I cittadini delusi e diffidenti non accettano più le discariche accanto alle loro case. Sembra che per anni in molte discariche i rifiuti domestici siano stati mischiati a rifiuti industriali, e sostanze tossiche sono penetrate nelle falde acquifere.
Da maggio dello scorso anno il comune di Napoli ha un nuovo sindaco, che vuole affrontare i problemi in modo strutturale. Luigi De Magistris è costretto a farlo anche perché il commissario europeo per l’ambiente, Janez Potocnik, tiene il fiato sul collo a Napoli e all’Italia e minaccia multe milionarie, a causa della mancanza di soluzioni per l’emergenza rifiuti che si protrae in Campania da anni.
Per dare un po’ di respiro alla città e al circondario, De Magistris, in collaborazione con il Ministro dell’Ambiente Corrado Clini, ha stretto un accordo con gli olandesi. Spera di poter spedire settimanalmente tra le 4000 e le 5000 tonnellate di rifiuti a Rotterdam. Per farlo, Napoli paga quasi la metà di quello che la città avrebbe dovuto pagare nel proprio Paese. Inoltre, gli olandesi sono meno riluttanti a farsi carico dei rifiuti napoletani, mentre molte regioni italiane del Nord non vogliono più nemmeno accettarli.
Gli impianti olandesi per lo smaltimento dei rifiuti invece sono alla disperata ricerca di spazzatura dall’estero. Poichè sempre più olandesi differenziano i loro rifiuti, gli inceneritori hanno problemi di eccessiva capacità. Insieme, gli impianti possono trattare sette milioni di tonnellate di rifiuti. Ma la quantità annua di rifiuti in l’Olanda è di ‘appena’ sei milioni di tonnellate.
I gestori degli inceneritori vanno quindi a cercare rifiuti all’estero. Il leader di mercato Van Gansewinkel importa già rifiuti dall’Inghilterra e dall’Irlanda. E, da questa settimana, ora anche dall’Italia. “Una soluzione vantaggiosa per tutti”, spiega il direttore Pim de Vries. “Napoli vuole liberarsene, noi ne abbiamo bisogno.” Per De Vries i rifiuti urbani significano energia. Prendiamo per esempio il carico dall’Italia. Nelle prossime settimane verranno spedite 25.000 tonnellate di rifiuti. Secondo De Vries, dopo l’elaborazione verrà prodotta sufficiente energia per 17 milioni di docce. Questa energia viene venduta alle aziende della zona di Botlek (una zona industriale di Rotterdam, N.d.T).
Anche il calore rilasciato durante l’incenerimento presto si tradurrà in profitti. La scorsa settimana è stato dato il via alla costruzione di una tubatura di 26 metri [sic, ‘26 km’, N.d.T.] di lunghezza tra Rozenburg e Rotterdam Sud. La costruzione verrà completata nel 2013 e l’impianto di trattamento dei rifiuti sarà collegato alla rete di teleriscaldamento di Rotterdam. Acqua bollente fluirà attraverso i tubi, permettendo di riscaldare circa 50.000 case. “Diventeremo la stufa di Rotterdam”, afferma De Vries. Secondo il direttore, il piano rientra nella filosofia aziendale di Van Gansewinkel, che è quella di gestire i rifiuti in modo sostenibile. “Siamo alla ricerca di nuovi modi per integrare i rifiuti con un ambiente più pulito.”
Bendiks Jan Boersma, professore di tecniche energetiche presso la Technische Universiteit di Delft, ha dei dubbi sulla sostenibilità come motivazione dell’azienda. “È semplicemente un business molto redditizio”, spiega. “Anche se nei Paesi Bassi abbiamo già troppi impianti, si continua a costruirne di nuovi. Recentemente se ne è aggiunto un altro, ad Harlingen. Perché permettono di guadagnare un sacco di soldi.”
Boersma è critico riguardo all’importazione di rifiuti da altri paesi. Il professore mette in dubbio la ‘qualità’ dei rifiuti, e teme che l’Italia spedisca in Olanda spazzatura vecchia, a volte stoccata nelle discariche da anni.”Poiché si tratta di quantità talmente grandi di rifiuti, è difficile controllarli.”
Boersma rileva inoltre che così si dà “un impulso sbagliato”. “Stiamo risolvendo un problema italiano. La combustione dei rifiuti non è pulita. Da quel tubo fuoriesce aria sporca, lo sanno tutti, e l’inquinamento ce lo sorbiamo qui. E in un Paese così densamente popolato come l’Olanda non ne abbiamo proprio bisogno.”
Secondo De Vries, la sua azienda invece aiuta l’ambiente. “Se noi non li bruciassimo, i rifiuti marcirebbero in una conca nei pressi di Napoli, quindi per l’ambiente è meglio che noi ne ricaviamo energia.”
E la qualità dei rifiuti? Il direttore non ha preoccupazioni al riguardo. “Controlliamo accuratamente”, assicura lui. “I rifiuti italiani sono semplicemente la stessa spazzatura che anch’io butto nella pattumiera tutti i giorni. L’unica differenza è che ci sarà qualche scatola di pizza in più.”


Sant'Antimo. Inaugurata la nuova Isola ecologica

SANT'ANTIMO. Il Comune di Sant'Antimo ha inaugurato la nuova "Isola ecologica". Le rigide condizioni climatiche non hanno scoraggiato gli alunni delle scuole santantimesi e gli attesissimi ospiti per il taglio del nastro. La cerimonia si è aperta dapprima con l’esibizione di alunni delle scuole elementari che hanno giocato a bowling con birilli riciclati da loro stessi costruiti, e con balli; dopodiché si è passati al taglio del nastro da parte del sindaco Francesco Piemonte, affiancato da tutta l’amministrazione comunale e dall’assessore all’igiene del comune di Sant’Antimo Salvatore Castiglione; a cui hanno presenziato il coordinatore di area gestione rifiuti della Regione Campania Raimondo Santacroce, il presidente della provincia di Napoli l’On. Luigi Cesaro, l’assessore all’ambiente e qualità della vita della provincia di Napoli Giuseppe Caliendo, sua eccellenza Mons. Mario Milano ex vescovo della diocesi di Aversa, dal parroco don Antonio Diana ed i sindaci dei comuni di Cesa, Sant’Arpino, Arzano e Grumo Nevano. Dopo la benedizione alla struttura, tutti sono stati ospitati in una tensostruttura adibita per l’occasione, e dove in successione si sono esibite tutte le scuole che attraverso canzoni, recite e balli hanno portato in scena il tema dell’ambiente e dell’importanza della raccolta differenziata. Un evento importantissimo non solo perché l’isola ecologica di Sant’Antimo è la più grande situata in tutta la provincia nord di Napoli, ma soprattutto perché “dopo aver trascorso e superato brillantemente momenti critici durante l’emergenza rifiuti – ha dichiarato il sindaco Piemonte – adesso Sant’Antimo è arrivato al 40% di raccolta differenziata. Un traguardo bellissimo raggiunto grazie ai miei concittadini, ed ai quali chiedo di fare sempre meglio affinchè in pochissimo tempo possiamo raggiungere il 50% di raccolta differenziata”. Emozionato, l’on. Cesaro ha dichiarato di essere soddisfatto di questo evento, ma soprattutto di essere “soddisfatto della sinergia che si è creata tra Regione, Provincia e Comune e della partecipazione degli alunni, dei docenti e dei cittadini”. Entusiasta anche il dott. Santacroce che prima che si concludesse la cerimonia ha invitato l’amministrazione comunale a lavorare affinchè i cittadini imparino a riciclare loro stessi i rifiuti evitando così di produrne. Una mattinata allegra ed importante per una cittadina da sempre affrancata all’illegalità, che con iniziative come queste riesce a riscattarsi e ad distaccarsi da una realtà che proprio non le appartiene. (fonte: Comunicato Stampa)
 

A Napoli e provincia 2 negozianti su 3 non fanno scontrini

NAPOLI. In Campania i redditi sottratti a tassazione nel 2011 ammontano a circa 3 miliardi di euro, cifra riscontrata a seguito di circa 9mila verifiche patrimoniali e controlli fiscali effettuati. Questo il dato fornito dal comandante del Comando regionale Campania della Guardia di Finanza Generale, Giuseppe Mango, in occasione della presentazione dei risultati conseguiti lo scorso anno. Attenzione delle Fiamme Gialle sul fenomeno dell'economia sommersa che ha portato alla scoperta di 701 evasori totali che hanno celato all'erario redditi per un miliardo e 400mila euro, di 1.361 lavoratori a nero e 1.335 'irregolarì da cui il conseguente recupero di ritenute fiscali per oltre 26,3 milioni di euro e di contributi previdenziali per 3,5 milioni. Un'azione che, ha sottolineato il generale Mango, «è costante perchè la lotta all'evasione fiscale deve rifuggire da metodologie e strumenti sbrigativi, ma è anche vero che gesti simbolici come quelli di Cortina servono soprattutto quando riescono a scuotere la sensibilità pubblica provocando una modifica dei comportamenti della collettività e invocando virtù civiche spesso sopite e sacrificate se in conflitto con interessi personali». Dal generale, l'invito a non «circoscrivere il fenomeno e a non criminalizzare soltanto alcune categorie».

Secondo i dati forniti, infatti, non solo i commercianti evadono il fisco non emettendo gli scontrini, ma anche i liberi professionisti e i lavoratori autonomi. I dati, infatti, dicono che in Campania il 67,5 per cento dei commercianti non emette scontrino, pari dunque a due commercianti su tre, percentuale che sale nella provincia di Napoli attestandosi al 70 per cento, con punte del 90 per cento per alcuni tipi di servizi. Un comportamento che ha affermato il comandante del Comando provinciale della Guardia di Finanza di Napoli, generale Giuseppe Grassi, «è trasversale a tutte le categorie commerciali e in particolare ai piccoli esercizi». Situazioni che hanno portato alla proposta di chiusura temporanea dell'attività in 873 casi. Ma il quadro non migliora se ci si riferisce ai liberi professionisti da cui è stato recuperato a tassazione un imponibile di circa 90 milioni di euro su 228 controlli effettuati. In aumento, «nell'ultimo periodo», come evidenziato dal generale Mango, «le chiamate di cittadini». «Questo - ha affermato il generale - è segno che forse si è risvegliata una coscienza pubblica, in relazione al fenomeno dell'evasione fiscale. Credo che forse c'è maggiore condivisione da parte del contribuente, che l'indecenza di nullatenenti che possiedono auto di lusso e imbarcazioni di pregio abbia superato la soglia di tolleranza e che siano situazioni avvertite come un oltraggio a chi paga regolarmente le tasse su cui, di conseguenza, grava una maggiore pressione fiscale».

Incremento alla lotta all'evasione fiscale, intensificazione del controllo sulla spesa pubblica e potenziamento delle azioni di contrasto alla criminalità organizzata. Sono questi gli obiettivi che il Comando regionale della Campania della Guardia di Finanza si è posto per il 2012. Obiettivi e azioni in linea di continuità rispetto a quanto realizzato nel 2011, «un anno - ha detto il comandante generale Giuseppe Mango - ha portato a ottimi risultati che sono indice dell'efficacia dei nostri controlli effettuati con strumenti sempre più sofisticati e con personale sempre più professionale». Nel corso del 2011, secondo i dati forniti, le Fiamme Gialle campane hanno accertato 37.807 violazioni penali e amministrative, 9.693 denunce a piede libero e 886 arresti. Accanto al contrasto all'evasione, di rilievo le azioni per il controllo della spesa pubblica a tutela del bilancio dello Stato. In questo ambito, attenzione non solo verso «i falsi poveri», ma anche verso imprese contrastando, è stato sottolineato, «comportamenti illeciti volti a ottenere indebite concessioni, fondi o agevolazioni». In particolare, i finanziamenti comunitari e nazionali indebitamente percepiti e scoperti ammontano a oltre 31 milioni di euro, mentre sono stati scoperti prima dell'erogazione e bloccati finanziamenti per 15 milioni e sono stati sottoposti a sequestro beni per 9 milioni di euro. Le frodi al bilancio comunitario riguardano soprattutto i fondi strutturali con particolare riferimento al Fondo europeo di Sviluppo regionale e al Fondo Sociale europeo.

La lotta agli sprechi della pubblica amministrazione ha consentito di segnalare alla Corte dei Conti 252 milioni di euro di danni erariali. Numerosi i reati di corruzione, concussione e abuso d'ufficio scoperti dai finanzieri che hanno portato a 195 denunce e 44 arresti. In merito al contrasto alla criminalità organizzata, 148 le persone denunciate e 16 gli arresti cui si aggiungono 336 milioni di beni sequestrati. Lotta al crimine che si configura con azioni contro il riciclaggio, l'usura, il traffico di droga che ha visto il sequestro di oltre 2 tonnellate di stupefacenti, il contrabbando e giochi e scommesse illegali su cui ha detto il generale Mango «a breve dovremmo conseguire un grosso risultato a seguito di operazioni». Attenzione anche al fenomeno della contraffazione del 'made in Italy': 6 milioni il valore delle merci sequestrate e 76 gli opifici chiusi. Tra le azioni anche la tutela del patrimonio ambientale che ha prodotto il sequestro di 53 discariche.
Il Mattino 08/02/2012

Camorra, preso latitante dei Di Lauro inserito in elenco primi 100 ricercati

NAPOLI - I carabinieri del nucleo Investigativo e del Ros di Napoli hanno catturato, a Salsomaggiore Terme (Parma) , un latitante inserito nell'elenco dei 100 ricercati più pericolosi: Antonio Petrozzi, 44 anni, ritenuto affiliato al clan camorristico dei «Di Lauro» operante nell'area Nord del capoluogo campano.

L'uomo è un elemento di spicco del traffico di stupefacenti, cocaina, eroina e hashish per conto dei Di Lauro. Era uccel di bosco da tre anni, per l'emissione di un ordine di carcerazione emesso a suo carico nel 2009 relativo a una condanna definitiva di 10 anni di reclusione per traffico internazionale e spaccio di stupefacenti.

I militari dell’Arma lo hanno individuato in una casa a 2 piani in via Parma, a Salsomaggiore Terme, che era stata presa in fitto dalla cognata e dove il latitante si era rifugiato insieme alla famiglia, la moglie e 2 figli maschi, di 17 e 11 anni. Quando i carabinieri questa notte hanno bussato alla sua porta nessuno ha aperto, cercando così di fare intendere che in casa non c’era nessuno. I militari non hanno desistito e hanno fatto irruzione nell'appartamento, trovando i suoi familiari al primo piano. Tutti hanno detto ai carabinieri di non aver sentito il campanello, aggiungendo di non avere idea di dove potesse essere il latitante.

Gli inquirenti hanno pertanto esteso le ricerche all'intero edificio e, al secondo piano, i carabinieri hanno invece scovato un mini appartamento nascosto in una sorta di mansarda all’interno del quale si era rifugiato il latitante. Vistosi scoperto, Antonio Petrozzi non ha opposto resistenza e si è lasciato ammanettare. Da ulteriori accertamenti è emerso che il ricercato, insieme con la famiglia, si era rifugiato da tempo nel parmense: se ne stava quasi sempre chiuso in casa perché temeva di essere catturato; moglie e figli invece conducevano una vita tutto sommato normale: la donna aveva iniziato a lavorare saltuariamente in ristoranti o pizzerie della in zona mentre il figlio più grande aveva trovato lavoro come pizzaiolo.

m.cer.

Al Pacino: «Napoli mi ricorda il Bronx, felice di venire e aiutare i suoi giovani»

di Luigi Roano
NAPOLI - «Sono felice di venire a Napoli, mi ricorda il Bronx il quartiere dove sono cresciuto. Sono ansioso di fare qualcosa per i giovani di questa bellissima città». Firmato Al Pacino. Evidente il riferimento alla possibilità di installare in città una costola della più famosa scuola di drammmaturgia al mondo, gli «Actors Studio». Come anticipato da Il Mattino il grande attore sarà in città al più presto per la prima europea del suo ultimo film: «Wilde Salomè» che sarà presentato al San Carlo e in contemporanea con altre 2500 sale. Il messaggio di Al Pacino è stato recapitato a Palazzo San Giacomo dopo una call conference con Marta Bifano, la responsabile di Ichnos Network Project hd che distribuirà il film del grande attore.

«Abbiamo comunicato via skipe - spiega la Bifano - in piena notte perché lui è a Los Angeles, è entusiasta dell’iniziativa e non vede l’ora di essere qui tra noi». Dunque il cerchio si sta stringendo e presto ci saranno le date ufficiali. «Accetto con entusiasmo l’invito del sindaco Luigi de Magistris e sono felice che dall’Italia, da Napoli parta una nuova modalità di fare cinema» l’ultimo pezzo del messaggio dell’attore.

Infondata la notizia di installare nella villa che fu di Walter Schiavone - a Casal di Principe - la sede della scuola di teatro. Comune e ministero dell’Interno hanno sì intenzione di proporre come sede un bene confiscato alla camorra. Ma quella villa è già stata affidata al consorzio Agrorinasce. «Intanto quella villa non è più come quella di Scarface che volle il boss - spiega il resposanbile Gianni Allucci - Non esiste più nulla di quel disegno, oggi è un’altra cosa. Inoltre sono lavori ancora in corso, ma soprattutto è stato già assegnata a dei giovani per altri progetti. Preciso anche che al di là di ogni considerazione nessuno mi ha mai contattato».

Tornando ad Al Pacino la vera stranezza è che il suo film, presentato a Venezia, non è stato ancora distribuito. Una sfortuna per il grande attore una fortuna per la città che ha avuto modo di aprire con lui questo canale. Che nasce a Venezia in occasione del Festival del cinema con il sindaco che andò li in missione. La presenza del protagonista de «Il Padrino» in città potrebbe in un futuro prossimo essere più stanziale grazie questa specie di dependance dell’Actors Studio, scuola di recitazione di cui Al Pacino è direttore. Del resto la volontà di voler «fare qualcosa per i giovani di Napoli» è qualcosa in più di un semplice desiderio. «A Venezia - ricorda la Bifano - Donald Ranvaud, head of Quarter di Ichnos, proponemmo a de Magistris di costruire insieme un evento distributivo e mediatico senza precedenti ci sono interessi comuni, Donald Ranvaud è anche coproduttore con Enrica de Biasi del film ”Wilde Salomè”. Organizzare la prima europea del film al San Carlo, in contemporanea con altri networks europei legati ad Ichnos invece fa bene alla nostra città». I costi? Non ci sarà o non dovrebbe esserci un caso Vecchioni, nel senso che la quota di Palazzo San Giacomo è irrisoria rispetto all’evento: 20mila euro, ovvero la location, il San Carlo e il relativo patrocinio. Saranno sostanzialmente gli sponsor a foraggiare l’evento con la Regione pronta a intervenire.
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mercoledì 1 febbraio 2012

Melito. Un corteo per dire no alla camorra

MELITO. Melito si mobilità per dire no alla camorra. L'iniziativa organizzata dalle associazioni presenti sul territorio, tra cui il Cominato per la Legalità e l'associazione Melitonline, è scaturita dopo gli agguati di camorra sfociati all'interno del clan degli scissionisti delle ultime settimane. Un lungo corteo di centinaia di persone ha preso il via per il centro cittadino. Il messaggio che i partecipanti hanno voluto dare alle istituzioni è stato: “Insieme per riscattare l'orgoglio di essere melitesi” rivolto esclusivamente alla malavita organizzata che, come è noto, attanaglia la città da molti anni. Il corteo ha preso il via alle 10.30 da Via Don Raffaele Abete. Tra i partecipanti anche gli alunni delle scuole elementari, medie e superiori, le associazioni di categoria e le istituzioni cittadine, tra cui la fascia tricolore Venanzio Carpentieri. Il corteo è stato guidato dalle associazione che hanno promosso la manifestazione, tra cui Melitonline, la web radio Wrong, la locale Pro Loco, il circolo Interforze Coip, la Protezione Civile e il Centro Sociale Anziani.
In serata si è svolto il consiglio comunale monotematico sulla sicurezza, alla quale hanno preso parte anche i parlamentari del Pd della Commissione Antimafia Luisa Bossa, Teresa Amato, Salvatore Piccolo e Andrea Orlando e dell'Idv Nicola Marrazzo. Assenti gli esponenti del Popolo della Libertà.

Scampia, il clan impone il coprifuoco

di Marco Di Caterino
NAPOLI - I clan sono in guerra, la camorra impone il coprifuoco. A Scampia e Melito. L’ordine, perché di questo di tratta, è stato recapitato con un porta a porta, degno dei migliori addetti di come si faceva una volta il censimento. Le donne «devono» stare in casa. E limitare al massimo le uscite di giorno. Di notte mai. I negozi devono chiudere tra le sette e mezza e le 8. I bar, per le ventidue. E guai a chi trasgredisce. Non era mai accaduto. Nemmeno durante la fase più tragica di quel bagno di sangue criminale che fu lo scontro tra la cosca di Paolo Di Lauro e quella degli scissionisti o spagnoli che dir si voglia. La libertà contingentata per oltre duecentomila anime, è scattata subito dopo la mattanza dei primi giorni di quest’anno, con cinque morti ammazzati in pochi giorni.

Sotto coprifuoco sono finite le zone di via Monterosa, quella della 167 e quella del quartiere Ises (ex Ice Snei) e del rione Don Guanella, un intreccio di parchi e rioni tra Scampia e i territori di Secondigliano e Miano. A Melito, la libertà ad orario è scattata per i due quartieri nati nel post terremoto del 1980, che come dappertutto sono chiamati quelli della «219», dal nome della legge per la ricostruzione. E nessuno ha protestato, contro questo provvedimento che sa di truppe di occupazione. A dare retta a radio piazza, il coprifuoco è stato imposto dal cartello Abbinante–Abate, che cerca di serrare le fila, dopo aver contato cinque morti ammazzati tra Scampia e Melito.
Questi avrebbero chiesto un aiuto «militare» al clan Polverino di Marano, che avrebbe inviato gente spietata. Dalla pistola facile. E dai modi spicci. Hanno collaborato al piano del contrattacco. E deciso di attuare un cordone protettivo, con le strade sgombre, per individuare meglio e all’istante la presenza dei nemici. E colpirli. Senza che ci scappi il solito morto che non c’azzecca e che poi scatena l’attenzione intorno a tutto «‘o sistema» con polizia, carabinieri e altre divise a presidiare il territorio.
E da una settimana le «facce dei maranesi» girano, come vere e proprie pattuglie, per la zona. Soprattutto di notte. Come le truppe di occupazione. Il cartello Abbinante–Abate, che nella Faida, aveva voltato le spalle a Paolo Di Lauro, schierandosi con gli scissionisti, dopo la spaccatura di questa galassia criminale, avvenuta esattamente tra gennaio e marzo del 2011, è ritornato sui suoi passi. Sotto l’ombrello dei referenti di «Ciruzzo ‘o milionario». E allora si è trovato al centro di un fuoco incrociato. I vecchi scissionisti (il gruppo Amato–Pagano) quelli nuovi (che radio piazza indica come capo da tale «Joe Banana», latitante da mesi), e poi la storica cosca dei Licciardi (masseria Cardone) che propende per una possibile alleanza con i nuovi scissionisti, hanno scatenato l’inferno. Non solo per l’ennesimo voltafaccia, ma soprattutto per un prepotente ritorno della cosca Di Lauro, data per morta troppo presto, ma che in realtà era, e lo è ancora, impegnata in un lavoro «diplomatico», senza spargimenti di sangue, finalizzato al recupero dei vecchi pezzi della clan.
Chi vive da queste parti, dopo la mattanza dei primi giorni di gennaio, aveva già percepito quale pericolosa sterzata aveva preso vicenda della guerra tra le cosche di Scampia. E così hanno fatto buon viso a questo gioco. Cattivissimo, inaccettabile e anche truffaldino. In questa parte di Napoli, mortificata, offesa e ora occupata dalla criminalità, nessuno ha mai creduto, nemmeno per un istante, che i delinquenti avessero avuto un atto di riguardo per le donne. Loro volevano, ed hanno ottenuto, l’unico scopo prefissato: le strade libere e il controllo totale del territorio.
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Coprifuoco a Scampia, allarme Ascom
di Paola Perez
NAPOLI - Scampia, Secondigliano, Melito, Miano: nel quadrilatero della faida le saracinesche dei negozi si abbassano e le porte delle case si chiudono prima del calar del sole, vuoi per ordine esplicito di chi deve gestire con maggiore comodità qualche affare illecito, vuoi per paura. Un fenomeno allarmante che il presidente dell’Ascom, Pietro Russo, arricchisce di dettagli e numeri: «Purtroppo è tutto vero. La parte sana del commercio, che insiste soprattutto sul quartiere di Secondigliano, è costretta a ”inchinarsi” di fronte alla prepotenza dei clan. Questo vuol dire sottomettersi al diktat del coprifuoco ma anche limitare la propria attività. Resistere, in quelle zone di periferia, significa venire a patti con i meccanismi del business illegale. Chi non lo fa è costretto a cedere terreno. Nel giro di un anno il trenta per cento dei negozi ha chiuso i battenti. Ed è solo in parte colpa della crisi: tra Scampia, Secondigliano, Miano e Melito questo succede essenzialmente per la pressione della camorra, per l’impossibilità di vivere una vita normale».

Ma davvero tutto il male si annida nell’estremo margine nord tra città e provincia? Purtroppo no, prosegue il leader dei commercianti: «Lo stesso fenomeno di coprifuoco, imposto o spontaneo, si comincia a verificare nel centro di Napoli. Ho già ricevuto numerose segnalazioni dalla zona dello Spirito Santo».

Da dove ripartire? Russo ha la sua ricetta: «Dall’Esercito. Perché sul territorio servono pattuglie in continuo movimento, capaci di imprimere un forte effetto deterrente. L’esperienza già fatta ci insegna che funziona. Alle forze dell’ordine non posso imputare alcuna colpa, lavorano tantissimo e con impegno. Ma serve uno scatto in avanti, altrimenti la morte del commercio e della legalità diventerà irreversibile. Non possiamo combattere con la fionda squadre di criminali armate fino ai denti».
Intanto il caso approda in Parlamento, con una pioggia di interrogazioni al ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri annunciate dal Pd: «A Napoli esiste ancora lo Stato? - si chiede la deputata Pina Picierno - il ministro riferisca immediatamente sulla vicenda del coprifuoco. Sarebbe intollerabile che un intero territorio fosse sottratto alla normale giurisdizione senza alcuna reazione da parte dei più alti rappresentanti delle istituzioni».

Sollecita un intervento immediato anche la deputata Luisa Bossa, puntando sulla necessità di alzare una barriera sociale: «È necessario che i Comuni, gli enti locali, le associazioni organizzino subito iniziative per il tempo libero, nelle ore serali, per dimostrare che i quartieri restano aperti a dispetto dei clan». La senatrice Teresa Armato parla di «guerra di camorra» e sollecita «un immediato rafforzamento della presenza della forza pubblica e con il pieno sostegno alle attività di inchiesta». «Non consentiremo a nessuno di tenere in ostaggio i cittadini», conclude il deputato Salvatore Piccolo .

Da Scampia si leva però un’altra voce, una voce che respinge al mittente la «gogna mediatica» del territorio. È quella di Angelo Pisani, presidente dell’ottava municipalità: «Ogni sera, qualche volta anche molto tardi, attraverso in moto o in auto le strade di Scampia per far ritorno a casa e non mi sono mai reso conto di un coprifuoco in zona, né mi è mai accaduto nulla. Purtroppo la gente non affolla le strade per il freddo, la crisi economica e forse anche per paura ma come in tutti i quartieri di Napoli. Basta gettare fango su Scampia, lavoriamo per sviluppare le sue potenzialità».

Pisani deve comunque ammettere, con amarezza, che sulla via della legalità c’è ancora strada da fare. «Nel quartiere ci sono ragazzini che hanno sul cellulare la foto del boss - racconta - e a parlare di coprifuoco c’è il rischio di alimentare miti sbagliati, qualcuno addirittura già esulta per la vittoria del clan».

'Seconda faida': tre scissionisti arrestati

NAPOLI. I Carabinieri del Nucleo Investigativo di Napoli hanno dato esecuzione a un Decreto di Fermo emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia a carico di 3 affiliati di spicco a un gruppo camorristico strettamente legato al clan dei cosiddetti “Scissionisti”, ritenuti responsabili di associazione di tipo mafioso e di associazione finalizzata al traffico e allo spaccio di stupefacenti. L’attività investigativa, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, ha permesso ai Carabinieri, con indagini tradizionali e tecniche poi avvalorate da dichiarazioni di ben 10 collaboratori di Giustizia, di comprovare la gestione di una “piazza di spaccio” di eroina e cocaina nella Vanella Grassi, a Secondigliano, delineando l’organigramma del gruppo, composto da oltre 20 affiliati e documentare l’abbandono, durante la cosiddetta “faida di Secondigliano”, del precedente clan di appartenenza (i Di Lauro) per passare nelle fila dell’emergente clan “Scissionista” guidato dagli Amato-Pagano. Il gruppo della “vinella”, militarmente forte e ben organizzato, viene ritenuto in grado di spostare gli equilibri a favore di una delle fazioni che si stanno fronteggiando dall’inizio dell’anno nell’area a Nord di Napoli e che stanno originando quella che appare come una “seconda faida”, che ha già causato ben 5 omicidi.

Gli arrestati. Tra i nomi dei fermati, spicca quello di Salvatore Petriccione, 41 anni, conosciuto con il soprannome di ‘Totor ‘o marenar’ e indicato, anche da diversi collaboratori di giustizia, come il promotore del sodalizio criminale. L’uomo, già noto alle forze dell’ordine per i suoi trascorsi nelle fila dei Di Lauro, è stato fermato dai carabinieri di Roma, dove si trovava sottoposto al regime della libertà vigilate. Altro personaggio di primo piano finito nella rete dell’Arma, è Salvatore Frate, 36 anni, alias “o paparacianni’, in passato, fermato con l’accusa di essere l’esecutore materiale dell’omicidio di Lucio De Lucia, padre del più noto Ugo. Omicidio che avrebbe commesso per accreditarsi agli occhi degli ‘scissionisti’ dopo aver abbandonato le fila dei Di Lauro. Accuse, però, ritenute senza sufficienti elementi probatori e, per questo, fu scarcerato pochi giorni dopo. L’ultimo a finire in manette è stato, invece, Gaetano Cursale, 38 anni, il meno noto dei 3 fermati. Si tratta di un ‘fedelissimo’ del gruppo come dimostra una conversazione intercettata durante una sua precedente detenzione e in cui l’uomo, pur di favorire due esponenti apicali del sodalizio, si dichiara disposto a ‘accusarsi tutta la droga’ trovata dalle forze dell’ordine. Risultano, invece, irreperibili, Fabio Magnetti, 23 anni tra pochi giorni, Rosario Guarino, 28, conosciuto con il soprannome di ‘Jo Banana’, e il ventinovenne, Mario Pacciarelli. I fatti contestati, si legge nel provvedimento, si basano, oltre che sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia ma anche su attività intesa di investigazione.

Casalesi, arrestato il figlio di Sandokan

La camorra casertana e la mafia siciliana avevano stretto un accordo per il monopolio dei trasporti su gomma e della commercializzazione di prodotti ortofrutticoli. In manette anche Gaetano Riina, fratello di Salvatore, capo dei capi di Cosa Nostra.

Maxi operazione contro il clan dei Casalesi. La squadra mobile di Caserta e il Centro Operativo Dia di Roma hanno eseguito sei ordinanze di custodia cautelare in carcere, emesse dal gip del Tribunale di Napoli, nei confronti di elementi di spicco del gruppo Schiavone della cosca casertana e della famiglia mafiosa Riina-Messina Denaro.

MONOPOLIO NEI TRASPORTI – Le indagini hanno evidenziato la strategica alleanza tra la camorra casertana ed imprenditori siciliani organici alla cosca Riina-Messina Denaro, al fine di conquistare il controllo monopolistico dei trasporti su gomma e della commercializzazione all’ingrosso di prodotti ortofrutticoli provenienti dalla Sicilia in regime esclusivo sui mercati campani e del basso Lazio. Svelato anche un ingente traffico di armi, acquistate nell’Est Europa dai Casalesi, realizzato utilizzando gli autotreni delle imprese di trasporto controllate e gestite dalle organizzazioni camorristiche.
GLI ARRESTATI – Tra i destinatari delle misure restrittive figurano Nicola Schiavone, 32enne figlio di Francesco, soprannominato “Sandokan”, capo indiscusso dei Casalesi, e Gaetano Riina, 78 anni, fratello di Salvatore, capo dei capi di Cosa Nostra. In manette sono finiti anche Carmelo Gagliano, 45enne di Marsala (Trapani) e Pasquale Coppola, 24 anni, nato a Pollena Trocchia (Napoli). Tutti sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, intestazione fittizia di beni, illecita concorrenza, detenzione e porto illegale di armi da guerra, reati aggravati dalla metodologia mafiosa.
PROVVEDIMENTI ANNULLATI IN PRECEDENZA PER VIZI FORMALI – Ai destinatari delle misure restrittive erano già stati notificati analoghi provvedimenti lo scorso 15 novembre, annullati poi dal Tribunale del Riesame di Napoli per vizi formali, cioè «per mancanza delle motivazioni autonome» del gip rispetto alle richieste conclusive della Procura Antimafia di Napoli. Vizio formale poi superato che ha consentito di reiterarli lo scorso 20 gennaio sulla base dei gravi indizi di colpevolezza acquisiti.