venerdì 27 gennaio 2012

Camorra, così la gente di Posillipo spiava i magistrati

di Leandro Del Gaudio
NAPOLI - Li spiavano, li tenevano sotto controllo, seguivano i loro spostamenti. E lo facevano senza particolari accorgimenti tecnici, senza utilizzare strumenti da 007, in un modo antico ed efficace: la raccolta di informazioni sul territorio grazie a confidenze, notizie, «imbasciate». Così, la camorra dell’area occidentale riusciva a controllare gli spostamenti dei pm che si sono avvicendati nel corso degli ani nelle indagini sulle cosche radicate tra Fuorigrotta e Bagnoli.

Lo ha raccontato un collaboratore di giustizia, un ex esponente del clan D’Ausilio, che sembra aver svelato il trucco: controllare gli spostamenti dei magistrati grazie a gente insospettabile, persone che, almeno da un punto di vista formale, niente hanno a che spartire con logiche criminali. Sono i fiancheggiatori della porta accanto, camorristi dal volto pulito. Avveniva dagli anni Novanta ad oggi, a Fuorigrotta come a Posillipo.

Il pentito fa i nomi. Ascoltato di recente dal pm anticamorra Michele Del Prete, ha raccontato la «rete» della camorra per acquisire informazioni, notizie della vita privata dei pm che hanno di volta in volta macinato arresti e sequestri contro la camorra flegrea. Da Fuorigrotta a Posillipo, dalla periferia al centro. È così che la nuova fonte d’accusa tira in ballo un imprenditore napoletano: si tratta di un commerciante di Posillipo che si sarebbe prestato a raccontare o ricostruire le abitudini del pm. Chiacchiere sugli orari in cui il magistrato entra e esce di casa, il numero di agenti di scorta, le auto utilizzate dalla sua famiglia.

Notizie utili, ma a fare cosa? Attentati, vendette? Inchiesta in corso, emergenza sicurezza all’ordine del giorno. Ma a chi si riferisce il nuovo pentito di Bagnoli? Verbali top secret, si parte dai dati recenti per risalire agli anni passati. Più in particolare, il pentito ricorda il ruolo di un commerciante di Posillipo che avrebbe fornito notizie sul magistrato anticamorra Luigi Alberto Cannavale, il titolare delle indagini che nel 2007 hanno sgominato i clan Zazo-Baratto (per altro ottenendo importanti confische di natura patrimoniale), e che hanno duramente colpito anche la camorra flegrea, riconducibile ai D’Ausilio.

Traffico di informazioni, dunque: il luogo di residenza, l’orario di arrivo della scorta, il rientro a casa. Oro per chi punta ad alzare il tiro, notizie in questo caso acquisite grazie a un soggetto apparentemente pulito ma al servizio della camorra. E sarebbe accaduto più o meno lo stesso negli anni passati, almeno stando al racconto del collaboratore di giustizia, quando a firmare gli accertamenti investigativi sui clan di Napoli ovest erano altri pm: è così che la camorra seppe in tempo reale di un incidente stradale capitato all’allora pm anticamorra Luciano D’Angelo.

E non è tutto. C’era stata una raccolta di informazioni sull’indirizzo di casa dell’ex pm (oggi sostituto pg) Giuseppe Lucantonio, prima di passare a prendere di mira la vita del pm Cannavale. Su quest’ultimo magistrato poi, un’attenzione quasi morbosa, al punto da maturare l’idea (mai realizzata) di incendiargli l’auto di famiglia. Pressioni e intimidazioni rese comunque possibili grazie alle notizie raccolte da informatori «borghesi», quelli della sempre più spessa zona grigia che separa crimine organizzato e società civile.

Indagine in corso, facile intuire la strategia investigativa del pool anticamorra: la verifica delle parole messe a verbale dal pentito, la ricerca di riscontri, mentre è scontato pensare sul piano dell’ordine pubblico si alza il livello di allarme sui pm citati dal collaboratore di giustizia. E ancora: nomi e cognomi da passare al setaccio, indagine sul network di controllori insospettabili al servizio del crimine organizzato - i fiancheggiatori che non ti aspetti - quelli che ti stringono la mano o ti salutano, magari solo per appuntare il numero di targa dell’auto privata o per mettere a fuoco il volto degli agenti di scorta.

Scissionisti Spa, ogni socio guadagna 40mila euro al mese

di Giuseppe Crimaldi
Quarantamila euro al mese. In questi, che sono tempi di crisi per tutti, basta investire in droga e trovare le chiavi che aprono le porte di «Sesamo», capaci di custodire il tesoro dei proventi del clan degli scissionisti di Scampia.
Investire nel traffico di droga - in quella che è diventata oramai una vera e propria holding criminale, nelle terre di Gomorra - può fruttare guadagni altissimi. Lo sostiene l’ultima inchiesta dei magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, che porta la firma del pubblico ministero Stefania Castaldi e del procuratore aggiunto Sandro Pennasilico. Quarantamila euro mensili: ecco il ritorno economico garantito a chi investiva nell’importazione di hashish dal Marocco a Napoli. Altro che titoli di Stato o «bund».

Scatta all’alba di ieri l’operazione della Squadra mobile guidata da Andrea Curtale che porta in carcere 14 presunti affiliati ai clan Amato-Pagano e Polverino. Le accuse per tutti sono di associazione per delinquere di stampo camorristico finalizzata al traffico di droga, detenzione e spaccio di stupefacenti. Gli arrestati non sono però legati ai recenti fatti di sangue a Secondigliano, Scampia e nell’area nord di Napoli, che hanno fatto temere una ripresa della «faida di Scampia» (che faida non è, sostiene la Procura di Napoli). Le indagini si sono giovate delle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia ed intercettazioni che hanno consentito agli investigatori di ricostruire il ruolo del clan nel traffico di hashish da Spagna e Marocco.

In Spagna, dove veniva stoccata la droga prima del trasferimento in Italia, è stato arrestato il cittadino del Marocco Karim Ikdouden, che risiedeva stabilmente nel Paese. Agli uomini del clan degli scissionisti le indagini hanno consentito di sequestrare preventivamente ai fini della confisca beni mobili ed immobili, quote societarie, auto, moto e conti correnti per centinaia di migliaia di euro. Due pentiti, in particolare, hanno contribuito a ricostruire il quadro investigativo: Maurizio Prestieri, ex affiliato al clan Di Lauro, e Domenico Verde, ex fedelissimo dei Polverino di Marano.

È la prima volta che in un fascicolo d’inchiesta si parla dei rapporti diretti tra la cosca di Secondigliano un tempo egemone nell’area nord di Napoli (i Di Lauro vennero sconfitti dagli scissionisti al termine di due sanguinosissime guerre intestine di camorra) e quella di Marano, gli eredi naturali dei Nuvoletta.
I pentiti hanno svelato anche il sistema delle cosiddette «puntate»: ossia della materiale raccolta e consegna ai componenti delle cosiddette «paranze» di ingenti capitali in denaro contante da reimpiegare nell’acquisto di grandi partite di hashish che sarebebro finite poi nel Lotto P, meglio noto come «Case dei Puffi», una delle enclave degli scissionisti.

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Addio alle Vele di Scampia. I «mostri» saranno abbattuti

di Gerardo Ausiello
NAPOLI - C’è un piano in due mosse per liberare e demolire le Vele di Scampia. A metterlo in campo è l’assessore regionale all’Urbanistica Marcello Taglialatela che dichiara guerra agli ecomostri dell’area nord. Il punto di partenza è la norma inserita all’interno della finanziaria regionale , approvata dal Consiglio a fine dicembre, che ha fatto infuriare la giunta de Magistris: «I Comuni hanno la possibilità di sanare le occupazioni abusive che si sono verificate fino al 2009» recita il testo.

Una misura, questa, che coinvolge decine di famiglie residenti nelle Vele senza averne titolo. Da qui la proposta di Taglialatela: applicare la sanatoria per trasformare gli abusivi in legittimi assegnatari. A quel punto gli abitanti delle Vele potrebbero essere trasferiti in altri alloggi di edilizia residenziale pubblica. Così si spianerebbe la strada all’abbattimento degli ecomostri.

Ma l’ultima parola spetta al Comune, dove la parola d’ordine è prudenza: «Con il collega Giuseppe Narducci abbiamo già chiarito la nostra netta contrarietà a qualsiasi sanatoria perché rappresenterebbe l’ennesimo regalo a chi vive nell’illegalità» sottolinea l’assessore al Patrimonio Bernardino Tuccillo.

Ora che la norma è legge, però, a Palazzo San Giacomo ci si interroga sull’opportunità o meno di applicarla per risolvere il problema di Scampia: «Le Vele sono una vergogna nazionale - tuona - È evidente, dunque, che siamo impegnati senza sosta per individuare una soluzione efficace nell’interesse dei cittadini. Peraltro diversi consiglieri comunali, sia di centrodestra che di centrosinistra, si stanno adoperando in questa direzione. Ma la questione appare molto delicata e complessa».

Nonostante la decisione di abbattere le Vele sia condivisa da tutti, in questi anni - complice la carenza di fondi - le ruspe sono entrate in azione solo per tre dei sette edifici a forma triangolare. Nati a seguito della legge 167 del 1962, i fabbricati si ispirarono ai princìpi delle unitès d’habitations di Le Corbusier e alle strutture «a cavalletto» proposte da Kenzo Tange. Il progetto iniziale messo a punto dall’architetto Franz Di Salvo prevedeva la realizzazione di grandi unità abitative dove centinaia di famiglie avrebbero potuto integrarsi e creare una nuova comunità, gettando le basi per il riscatto sociale. Accanto alle Vele, avrebbero dovuto vedere la luce centri sociali, spazi di gioco per bambini ed altre attrezzature collettive. Il sogno si è però trasformato in un incubo poiché il complesso residenziale è diventato un ghetto, regno della spaccio e della delinquenza nonché simbolo di degrado, insicurezza e illegalità. Anche il regista Matteo Garrone ha scelto di ambientare nelle Vele molte scene del film «Gomorra».

«È la certificazione del fallimento della filosofia diffusasi negli anni Sessanta» commenta il presidente nazionale di Federcasa, Luciano Cecchi, che auspica una svolta immediata per avviare la riconversione di Scampia e dell’intera area nord. «Basta con i ghetti - aggiunge - bisogna finalmente aprire questi quartieri sfruttando le misure, previste nel piano casa della Campania, che consentono abbattimenti e ricostruzioni con maggiori volumetrie».
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Sequestro per 50 milioni al clan «Puca»

SANT'ANTIMO. Vasta operazione dei carabinieri, sequestrati beni per 50 milioni di euro che la camorra aveva intestato a prestanome. I Carabinieri del Nucleo Investigativo di Castello di Cisterna (NA) hanno effettuato una serie di sequestri a carico del clan camorristico dei “Puca”, operante per il controllo delle estorsioni, dell’usura e del riciclaggio a Sant’Antimo e nell’hinterland a Nord del capoluogo campano. Nel corso del blitz sono stati sottoposti a sequestro beni per un valore stimato 50 milioni di euro tra i quali discoteche, un centro scommesse, centri estetici, società immobiliari, terreni e abitazioni e circa un centinaio di conti correnti bancari e postali. Con l’indagine, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, i militari dell’Arma hanno disarticolato il sodalizio criminale e denunciato i numerosi incensurati insospettabili che facevano da prestanome al clan. I beni sequestrati a Sant’Antimo, Napoli, Frattamaggiore, Marano, Cesa (Ce), Frosinone, Perugia, Budrio (Bo) e Milano, i carabinieri del nucleo investigativo di Castello di Cisterna hanno dato esecuzione a una ordinanza di custodia cautelare in carcere e a un decreto di sequestro preventivo.

L’ordine restrittivo, emesso per trasferimento fraudolento di valori aggravato dall’aver agito per favorire l’attività della camorra, e’ a carico di Pasquale Puca, 47 anni, residente a Sant’Antimo, già noto alle forze dell'ordine e ritenuto a capo dell’omonimo clan camorristico operante a sant’antimo, casandrino e grumo nevano nonchè indirizzato anche all’attuale reggente e a un elemento di spicco del clan, che sono ricercati.

L’ordinanza e’ stata notificato al “boss” nel centro penitenziario di secondigliano ove l’uomo e detenuto poiché ritenuto mandante ed esecutore dell’omicidio del capo del clan rivale, verde francesco, detto “ ‘o negus”, perpetrato il 28 dicembre 2008. Durante le indagini, coordinate dalla dda partenopea, i militari dell’arma hanno identificato i capi del sodalizio e individuato numerosi altri soggetti, in particolare 15 incensurati insospettabili che avevano fatto da prestanome ai “puca” acquisendo fittiziamente la titolarità di quote societarie e di un considerevole numero di beni provento delle attività illecite del clan.

I beni sequestrati . Contestualmente all’esecuzione dei provvedimenti restrittivi e di notifica, e’ stato eseguito un decreto di sequestro preventivo dei seguenti beni, del valore complessivo stimato 50 milioni di euro: 2 discoteche, 1 punto Snai, 2 centri estetici, 3 società immobiliari, 72 appartamenti, 8 terreni agricoli, 8 autovetture di media cilindrata, 100 conti correnti accesi in agenzie bancarie e uffici postali di Sant’Antimo, Frattamaggiore, Marano, Frosinone, Perugia, Budrio (Bo) e Milano.