domenica 30 dicembre 2012

Sette arresti per omicidio, colpiti gli «Scissionisti» in guerra a Scampia


NAPOLI - Sette presunti esponenti del clan Abate-Abbinante-Notturno, coinvolto nella cosiddetta faida di Scampia, sono stati fermati dalla squadra mobile di Napoli. la polizia ha eseguito un provvedimento emesso dalla Dda. Sono stati catturati Arcangelo Abbinante, ritenuto il capo dell' omonima cosca, Giovanni Carriello, Giuseppe Ambra, Armando Ciccarelli, Vincenzo Brandi, Costantino Raio e Alessandro De Falco, tutti accusati di associazione camorristica; Abbinante e Ciccarelli anche di un omicidio avvenuto nell'agosto scorso.

I fermati farebbero parte del cartello di clan in guerra contro i cosiddetti Girati (Vinella Grassi-Leonardi-Marino). Le indagini hanno messo in luce come il clan si sarebbe riorganizzato sotto la guida di Arcangelo Abbinante e Giuseppe Montanera (indicato come reggente delle famiglie Abete e Notturno), attraverso la composizione di commandi di killer (i «gruppi di fuoco»). 

L'inchiesta, basata sulle rivelazioni di collaboratori di giustizia, ha anche ricostruito un omicidio attribuito al gruppo di fuoco dei Sette Palazzi. Vittima dell'agguato, avvenuto alla Vela Celeste il 28 agosto scorso quando fu ucciso Gennaro Ricci e rimasero feriti Vincenzo La Sorte e Salvatore Piedimonte. Per questo delitto, avvenuto nell'ambito della faida contro gli Girati, sono indiziati Arcangelo Abbinante e Armando Ciccarelli.
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venerdì 28 dicembre 2012

Camorra, aiutarono il boss Setola per falsa cecita’: arrestati avvocato e medico

Un medico ed un avvocato sono stati arrestati dai carabinieri del nucleo investigativo di Caserta per aver agevolato il boss dei casalesi Giuseppe Setola ad evadere da un clinica di Pavia nel 2008 per darsi poi alla latitanza durata circa un anno.


L’attività d’indagine, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, ha consentito di individuare in un avvocato, Gerri Casella di Casagiove (Caserta), ed un medico oculista, dottor Aldo Fronterré, di Pavia, coloro che attestarono falsamente la condizione di cecità di Setola, grazie alla quale lo stesso venne ammesso nel 2007 al beneficio degli arresti domiciliari a Pavia, dai quali evase il 7 aprile 2008, assumendo poi, in latitanza, il comando della cosiddetta “ala stragista” del clan dei casalesi, responsabile di efferati omicidi.

 Casella, attivo anche in politica (è esponente del Pd ed assessore, a Casagiove, con delega ai lavori pubblici), è accusato di associazione camorristica, il medico di concorso esterno. Fu un collegio del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, però, a scarcerare Setola sulla base semplice della perizia di parte.

Le altre misure cautelari sono state notificate in carcere allo stesso Setola e altri due componenti del suo gruppo stragista. Tra il 2 maggio ed il 12 dicembre 2008, in poco più di sette mesi, furono consumati 18 omicidi e ferite otto persone. Una lunga scia di sangue che investì familiari di pentiti, imprenditori che avevano denunciato il racket ed immigrati, culminata il 18 settembre 2008 nella strage di Castel Volturno dove persero la vita cinque cittadini ghanesi.

Dalle indagini è anche emerso come l’avvocato di Setola abbia fornito un consapevole e stabile apporto all’organizzazione camorristica, attraverso il recapito di disposizioni e messaggi che il latitante inviava ai suoi sodali in libertà. Indagati lo stesso Setola e altri due elementi del suo gruppo stragista, Massimo Alfiero Gabriele Brusciano, che finanziarono materialmente la realizzazione dei falsi documenti.

Lunedì scorso, nell’ambito di una diversa inchiesta, era stato arrestato, con l’accusa di millantato credito, un altro avvocato di Setola, Salvatore Maria Lepre, che, secondo gli investigatori, avrebbe chiesto forti somme di denaro ai clienti facendo loro credere di dover corrompere magistrati, soprattutto giudici di Cassazione.

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Arrestato il superlatitante dei «girati» Antonio Leonardi

SCAMPIA. Venti uomini per braccarlo, praticamente la punta di diamante del commissariato Vicaria-Mercato, oltre alla sezione catturandi della Squadra mobile della Questura di Napoli, guidata da Luigi Merolla. Lo braccavano da almeno quattro giorni. La trappola è scattata ieri sera a due passi dall’hotel Mercure di piazza Garibaldi, in via Ricciardi, in un appartamento al terzo piano. È finita la latitanza anche per Antonio Leonardi, 52enne iscritto dal Viminale nell’elenco dei quattro super-ricercati nell’ambito della faida di Scampia. Ne restano da prendere solo tre. E prima o poi arriverà anche per loro il tempo. Cinque giorni di appostamenti, per trovare la conferma. I poliziotti - il merito va dato tutto - si sono dati i turni anche la Vigilia e il giorno di Natale per stringere il cerchio intorno a quest’uomo, il cui nome e la cui foto sono tutto sommato comparse tardi nel super-elenco delle primule rosse dei super-latitanti di camorra, e che - invece - a quel che sembra pare sia il vero artefice della faida sanguinosa scatenata dai clan in lotta per il controllo del mercato degli stupefacenti nei quartieri settentrionali del capoluogo campano. La trappola è scattata seguendo i passi di sua moglie, che condivideva con il marito questo modesto appartamentino che per l’occasione era stato diviso in due alla Ferrovia. Il proprietario, un anziano (che aveva precedenti per droga) e sua moglie (le loro generalità non sono state ancora rese note) è in stato di fermo: verrà arrestato in nottatata con l’accusa di favoreggiamento. È stato infatti seguendo i movimenti della donna, che andava a fare la spesa ieri mattina e che - pare - avesse acquistato numerose buste di alimenti in vista della Vigilia del Capodanno, che i poliziotti diretti dai primi dirigenti della Mobile Ferdinando Rossi e del titolare del commissariato Vicaria Mercato hanno avuto conferma che al terzo piano di quell’anonimo stabile di via Giuseppe Ricciardi si nascondesse il super-ricercato. Seguendola, gli agenti sono riusciti a fare irruzione nel covo. Un rifugio modesto. Una camera da letto che disponeva solo di una branda a due piazze, di un frigorifero e di un paio di mobili. Leonardi non era armato. Alla vista dei poliziotti si è limitato a dire: «Sono io la persona che state cercando». Cade così una delle teste pensanti, forse la più raffinata, tra quelle dei latitanti di camorra ricercati per la faida di Scampia. Gli pendono addosso due accuse molto pesanti: associazione per delinquere di stampo camorristico finalizzata al traffico di droga. Ma gli inquirenti della Dda sanno bene che lui è uno dei principali protagonisti della nuova faida. Leonardi è considerato infatti uno dei capi del gruppo della Vannella Grassi: è amico da sempre di Paolo Di Lauro, e - seppur tra alterne vicende che gli hanno consentito di barcamenarsi in questa tragica parentesi di fatti che si stanno alternando tra Secondigliano e Scampia - quell’amicizia pare non l’abbia mai tradita. Il boss era ricercato dal 15 ottobre scorso. Nelle prossime ore Leonardi - detto “Chiappellone” - verrà interrogato dal gip. Difficile ipotizzare l’atteggiamento che assumerà, anche se sono in molti a giurare che difficilmente potrà decidere di avviare un percorso di collaborazione con la giustizia. Intanto ieri sera - alla notizia della sua cattura - sono giunti al questore Merolla i messaggi del ministro della Giustizia, Paola Severino, e del procuratore di Napoli Giovanni Colangelo, che si sono complimentati per l’arresto. «La cattura di Leonardi - ha dichiarato il ministro Paola Severino - è un fatto importantissimo che rappresenta un ulteriore passo avanti nella lotta alla guerra di camorra di Scampia».
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giovedì 20 dicembre 2012

Arrestato il reggente del clan Puca


Puntandogli una pistola alla testa avevano chiesto a un professionista una tangente di seimila euro. Due pluripregiudicati del clan Puca: Ferdinando Puca, 26 anni, detto «Nanduccio», ritenuto il reggente della cosca,di S. Antimo, ed Angelo Puca, 49, sono stati arrestati dalla polizia con l' accusa di tentativo di estorsione. 

Il 12 settembre i due si sono recati nello studio di un professionista, minacciandolo con una pistola. Ferdinando Puca si era qualificato come capo del clan ed aveva detto al professionista che a Sant'Antimo comandava lui. Impaurita, nei giorni seguenti la vittima degli estortori non si era recata al lavoro per paura di ricevere nuove visite degli uomini del clan, ma i due avevano cominciato a seguirlo. 

Il professionista, a quel punto ha deciso di rivolgersi alla polizia e si è recato al commissariato di Frattamaggiore. Ferdinando Puca ha precedenti penali per omicidio, resistenza a pubblico ufficiale, violazione della legge sulle armi ed altri reati minori. Il giovane - secondo gli investigatori - regge le fila del clan per conto del cugino, Pasquale Puca, attualmente detenuto dopo la condanna in primo grado per l'omicidio di Francesco Verde detto «Ò Negus». Angelo Puca, parente di Ferdinando, e soprannominato «Ò Fotografo», è un sorvegliato speciale con obbligo di soggiorno nel Comune di Sant'Antimo. I due sono stati trasferiti nel carcere di Secondigliano.
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I Puca in cella, esplode la gioia dei taglieggiati e del clan rivale

di Marco Di Caterino
Il Natale a Gomorra. Giorni di attività frenetica dei clan, che passano a incassare una delle terze rate (la più consistente) del pizzo, dopo quella di Pasqua e Ferragosto. 

Ma anche la polizia non se ne sta con le mani in mano. Ieri mattina, in pieno centro a Sant’Antimo, hanno arrestato sotto gli occhi di centinaia di persone Ferdinando Puca, 28 anni, detto «Nanduccio» ma anche «‘o puorco» per la sua stazza, nipote del boss Pasquale Puca, detto «’o minorenne», che, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Francesco Verde, ha lasciato in mano al nipote la direzione del clan. 

Con il reggente è finito in manette un cugino, Angelo Puca, 49 anno, meglio noto come «‘o fotografo». I due sono stati arrestati a bordo di una potente Bmw X6 dagli agenti del commissariato di Frattamaggiore, diretto dal vice questore Angelo Lamanna, che hanno eseguito un fermo disposto dalla Dda di Napoli, per concorso in tentata estorsione, aggravata dalla circostanza di aver favorito il clan. Uno smacco per Ferdinando Puca che si vantava di avere la città sotto scacco.

Boss violento, capace di imporre il pizzo anche agli «amici». Uno che faceva paura solo a nominarlo, e che invece è stato denunciato dalla stessa vittima, e arrestato in piazza. Un senso di impunità tale da sovvertire le regole di camorra. Invece di mandare emissari del clan a imporre il pizzo, agiva in prima persona, terrorizzando le vittime. Lo scorso 12 dicembre, armi in pugno, spalleggiato dal cugino, ha fatto irruzione nello studio di un professionista, uno stimato consulente del lavoro. I due camorristi lo hanno sollevato di peso dalla poltrona, e mentre Angelo Puca lo teneva bloccato, il reggente del clan ha sfoderato la pistola, e puntando l’arma alla fronte della vittima ha sbottato: «A Sant’Antimo comando io. Domani mi dai seimila euro, altrimenti di uccido e mai nessuno saprà chi è stato». Poi sono andati via. In preda al terrore, la vittima, per un paio di giorni, è stata barricata in casa. E non ha aperto nemmeno lo studio. Il professionista sperava così di evitare altre minacce. I due pregiudicati, invece, lo aspettavano al varco. Tanto che, appena uscito di casa, è stato immediatamente seguito dai due estorsori. 

Di fronte a questa situazione, la vittima si è precipitata nel commissariato di Frattamaggiore, dal vice questore Lamanna. Ha chiesto aiuto. E ha denunciato, senza se e senza ma, in modo dettagliato, quanto aveva dovuto subire. Le indagini, davvero molto rapide, svolte dagli agenti della sezione investigativa (gli stessi che il mese scorso arrestarono Joe Banana, il capo dei girati), ha consentito agli inquirenti di identificare con certezza sia il reggente del clan che il suo complice. E rapida è stata anche la risposta dei magistrati della Dda, che in appena quattro giorni hanno formulato le prove, finite in un’ordinanza di una cinquantina di pagine, che ha portato alla emissione del fermo di polizia giudiziaria.

Poi l’arresto in pieno giorno e sotto gli occhi di un’intera città. Al centralino della polizia sono giunte decine di telefonate di commercianti e artigiani, «felici» per l’arresto e il mancato salasso economico. La zona d’ombra di Sant’Antimo ha festeggiato a suo modo. Nel rione 219 (regno incontrastato del clan Verde – rivali acerrimi dei Puca) al calare delle ombre sono stati esplosi per una decina di minuti i fuochi artificiali, accompagnati da grida di giubilo, per «o puorco» che invece di finire al macello, era finito in cella.
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domenica 16 dicembre 2012

Controlli nelle piazze di spaccio: 3 arresti

MARANO. Controlli nelle piazze di spaccio. A Marano, Melito e a Sant’Antimo, durante un servizio straordinario di controllo del territorio finalizzato a reprimere lo spaccio di stupefacenti, i carabinieri della compagnia di Giugliano con l'ausilio di colleghi dei battaglioni Campania e Sicilia e del nucleo cinofili di Napoli hanno tratto in arresto in flagranza di reato per detenzione e spaccio di stupefacenti Vincenzo Tecchio, 33enne, residente a Giugliano, incensurato, sorpreso nel parco Monaco mentre insieme a un complice era intento a spacciare. Alla vista dei carabinieri l’uomo si è dato alla fuga ma è stato bloccato dopo un breve inseguimento a piedi. Nel corso dell’operazione sono state rinvenute e sequestrate 180 dosi di cocaina del peso complessivo di circa 80 grammi, 2 confezioni di marijuana e 2 stecchette di hashish, il tutto abbandonato dal complice riuscito a darsi alla fuga.
Nel corso delle attività sono stati rintracciati e arrestati: Antonio Iar, 38 anni, residente a Marano, volto già noto alle forze dell’ordine, raggiunto da ordine di carcerazione in detenzione domiciliare emesso il 6 dicembre dalla procura di Napoli, dovrà espiare un anno e 4 mesi di reclusione per reati inerenti gli stupefacenti; Gennaro Vitale 24 anni, residente a Sant’Antimo in Via Saturno, già noto alle forze dell’ordine, raggiunto da ordine di carcerazione in detenzione domiciliare emesso il 6 dicembre dalla procura di Napoli dovendo espiare 10 mesi e 6 giorni di reclusione per reati inerenti gli stupefacenti; Gaetano Tufo 50 anni, residente Marano in via Parrocchia, già noto alle forze dell’ordine, raggiunto da ordine di carcerazione in detenzione domiciliare emesso il 5 dicembre dalla procura di Napoli dovendo espiare un anno di reclusione per falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico. Tecchio dopo le formalità di rito e’ stato tradotto nella casa circondariale di Poggioreale.

Arrestato il figlio di Carmela Attrice, la donna uccisa dal clan Di Lauro

È stato arrestato a Casavatore Francesco Barone, ritenuto affiliato al clan Marino, satellite del neo gruppo camorristico della Vanella Grassi operante a Napoli nord e al centro della sanguinosa faida con gli Scissionisti. Barone, che è stato fermato per resistenza a pubblico ufficiale, è il figlio di Carmela Attrice, la donna uccisa in un agguato avvenuto alle Case Celesti il 15 gennaio del 2005, nel pieno della guerra tra gli Scissionisti e gli uomini del clan Di Lauro per il controllo delle piazze di spaccio della droga a Napoli.

L’AGGUATO RACCONTATO ANCHE NEL FILM “GOMORRA” – L’episodio destò particolare clamore: Carmela Attrice fu fatta scendere in strada con un pretesto e uccisa con diversi colpi d’arma da fuoco. La sua unica colpa era proprio quella di essere la mamma di Francesco Barone, che secondo gli uomini dei Di Lauro si stava avvicinando ad un esponente del clan degli Scissionisti. La vicenda è stata raccontata anche nel film “Gomorra” di Matteo Garrone.
 
 

Presentato il mega-corno per difendersi dalla catastrofe della profezia Maya

NAPOLI - «Non è vero, ma ci credo», diceva Peppino De Filippo in una sua commedia teatrale degli anni '50. Il titolo descrive bene l'atteggiamento dei napoletani che, a nove giorni dalla profezia dei Maya, si sono attrezzati con un corno di ben 270 centimetri di altezza da toccare, per allontanare la fine del mondo.

In realtà nella città scaramantica per eccellenza ogni riferimento alla profezia si evita accuratamente, visto che la scaramanzia prevede proprio di ignorare una disgrazia in arrivo. Ma il corno c'è ed è dell'artista Lello Esposito, che qualche settimana fa ha donato alla città un Pulcinella e oggi rilancia un altro simbolo popolare facendolo diventare cultura.

Il corno di Esposito è stato scoperto alla presenza del presidente della Camera di Commercio, Maurizio Maddaloni, che ha ospitato l'evento, oggi, 12/12/12 alle 12.12 per opporsi al 21, data della profezia Maya.
Il corno farà poi parte di una mostra dal titolo Corno Show che si svolgerà da marzo nelle piazze della città. Un modo per sdrammatizzare, anche se «potremmo pure drammatizzare per poi uscirne con rinnovata forza», spiega Patrizio Rispo, attore di «Un posto al sole» che ha preparato anch'egli un corno che sarà però in commercio a Pasqua, scaramanticamente molto dopo la profezia degli antichi.

«In fondo - aggiunge Rispo - tutti siamo convinti che alla fine succederà niente, ma a Napoli si dice 'non è vero ma ci credò, per cui abbiamo preparato un grande corno per affrontare queste paure». La città aspetta la data con lo stesso fatalismo con cui convive con il Vesuvio.

E la sventura in arrivo diventa anche l'opportunità per fare qualche affare, con lo stesso spirito con cui, qualche anno fa, al mercato della frutta si vendevano le arance per guarire dall'influenza cinese: per Capodanno quest'anno è già pronta la «Bomba Maya», un vero e proprio ordigno esplosivo che pesa due chili e può provocare danni nel raggio di cinquanta metri.

Ma a risentire della sciagura incombente potrebbero essere anche le tradizioni gastronomiche. Al mercato della Pignasecca, in pieno centro storico, alcuni comprano già il capitone, il pesce che tradizionalmente si mangia, fritto, la sera di Natale: «A me piace molto - spiega la signora Raffaella - ma rispetto sempre la tradizione e aspetto il 24. Quest'anno, però, rischio di non poterlo mangiare e quindi ne preparo uno qualche giorno prima».

Ma Napoli è anche terra di grande sartoria e infatti Ugo Cilento ha preparato nella sua maison di moda la cravatta dei Maya: una cravatta scaramantica per elegantoni che non temono catastrofi e che, in barba a qualunque profezia, quel giorno indosseranno con classe una raffinata sette pieghe in pura seta, cucita a mano.

La cravatta, prodotta in soli 100 pezzi, ha un fondo blu e piccoli motivi che rappresentano il Sole del calendario Maya: c'è in due versioni, con la scritta «Napoli 21-12-2012» oppure con l'ironica frase "contro la fine del mondo" sul codino. E intanto nelle ricevitorie è già caccia al terno del Maya: tra i più gettonati c'è 12-21-90. Con la speranza che la profezia sia sbagliata, altrimenti la vincita non servirà a molto.
 

Qualiano: processo agli affiliati al clan Pianese

I componenti del clan alla sbarra:
(in alto) Nicola Pianese jr, Caterina Pianese, Vioncenzo Guadagno e Salvatore Pianese
(In basso) Luigi Iuffredo, Luigi Murolo, Alfonso Formisano e Bruno D'Alterio



QUALIANO. Rinviato di una settimana il processo con rito abbreviato per gli affiliati al clan Pianese. Ieri, in aula, il gip ha rigettato la richiesta degli avvocati di non acquisire agli atti le deposizioni dei tre nuovi collaboratori di giustizia Bruno D’Alterio fratello di Raffaella vedova del defunto boss Nicola Pianese, e dei fratelli Vito e Vincenzo Guadagano. Udienza rinviata alla settimana prossima: si tratta del secondo atto del processo con rito abbreviato scelto da 51 persone ritenute affiliate al clan Pianese di Qualiano. Tutto passa alla settimana prossima dove gli avvocati delle 51 persone imputate dovranno scegliere se o meno continuare con il rito abbreviato o optare per quello ordinario. Due settimane fa, il giudice Cananzi, nell’aula ‘bunker Ticino’ presso il carcere di Poggioreale, aveva acquisito i verbali degli interrogatori dei collaboratori di giustizia, rinviando di fatto l’udienza a ieri per poi discutere, con gli avvocati degli imputati, i tempi di deposito dei verbali. Intanto, a metà dicembre, partirà il processo con rito ordinario che vede alla sbarra ventidue persone, tra cui il ras del clan Mallardo di Giugliano Biagio Micillo. Gli imputati devono rispondere delle accuse di associazione mafiosa, estorsioni aggravate dall’articolo 7 e di altri reati. Alla sbarra 51 persone: Francesco Astuccia (36 anni di Qualiano), Zacaria Bara (36 anni di Qualiano), Salvatore Campanile (56 anni di Marano), Raffaele Campochiaro (40 anni di Piscinola), Biagio Cante (31 anni di Villaricca), Domenico Cante (31 anni di Villaricca), Agostino Ciccarelli (38 anni di Giugliano), Angelo Conte (28 di Qualiano), Maria Coppola (34 di Qualiano), Giovanni Correale (26 anni di Qualiano), Antonio D’Alterio (27 anni di Qualiano), Bruno D’Alterio (60 anni di Qualiano), Bruno D’Alterio (40 anni di Qualiano), Domenico D’Alterio (43 anni di Qualiano), Raffaella D’Alterio (50 anni di Qualiano), Giuseppe De Cario (33 anni di Qualiano), Giuseppe De Fenza (33 anni di Marano), Ciro De Meo (46 anni di Qualiano), Paride De Rosa (47 anni di Mugnano), Salvatore Di Marino (46 anni di Mugnano), Vincenzo Di Maro (23 anni di Qualiano), Salvatore di Palma (44 anni di Qualiano), Francesco Esposito (34 anni di Villaricca), Salvatore Ferrara (36 anni di Qualiano), Immacolato Fiorillo (46 anni di Qualiano), Alfonso Formisano (32 anni di Scampia), Vincenzo Guadagno (32 anni di Villaricca), Vito Guadagno (37enne di Villaricca), Fortuna Iovinelli (46 anni di Villaricca), Paolo Iovinelli (47 anni di Qualiano), Luigi Iuffredo (27 anni di Qualiano), Maurizio Lanna (46 anni di Giugliano), Luigi Mallardo (49 anni di Villaricca), Filippo Mastrantuono (27enne di Qualiano), Agostino Migliaccio (56enne di Qualiano), Anna Miraglia (41enne di Qualiano), Luigi Murolo (27 anni di Villaricca), Sergio Palumbo (52enne di Qualiano), Angelo Passarelli (38enne di Qualiano), Nicola Perillo (35enne di Qualiano), Costanza Pianese (30enne di Qualiano), Diego Pianese (55enne di Qualiano), Nicola Raffaele Pianese (23enne di Qualiano), Ramon Pizzo (29enne di Qualiano), Luigi Poerio (44 anni di Qualiano), Giuliano Quaranta (52enne di Milano), Domenico Russo (41enne di Giugliano), Giuseppe Scoglio (40enne del Rione Alto), Massimo Scoglio (37enne del Rione Alto) e Gerardo Strazzulli (41enne di Villaricca). A dicembre la prossima udienza che vedrà in aula gli imputati (il collegio difensivo è composta, tra gli altri, dagli avvocati Pasquale Pianese, Pietro Ciccarelli, Michele Giametta, Pasquale Russo ed Emilio Martino). (Fonte Cronache di Napoli)

sabato 1 dicembre 2012

Imponevano esibizioni di neomelodici: 12 arresti contro clan dei casalesi

CASERTA. 10 persone sono finite in carcere e due agli arresti domiciliari in un’operazione compiuta dai carabinieri del nucleo investigativo di Caserta, coordinati dai magistrati della Dda di Napoli, poiché ritenute responsabili di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione in concorso, porto e detenzione illegale di armi da fuoco e cessione di sostanze stupefacenti, reati aggravati dalla finalità mafiosa. I provvedimenti restrittivi costituiscono il risultato di un’articolata e complessa indagine avviata nel gennaio 2009 allo scopo di contrastare le agguerrite compagini facenti capo, all’epoca, a Nicola Schiavone, 33 anni, primogenito di Francesco detto “Sandokan”, ed operanti ad Aversa e comuni limitrofi.

 
I primi risultati investigativi avevano già consentito l’emissione di un decreto di fermo, disposto dai magistrati della Dda ed eseguito il 7 giugno 2010, nei confronti di dieci appartenenti al medesimo clan, essendo emersi, all’epoca, oltre al pericolo di fuga, sia l’assoluta necessità ed urgenza di interrompere una pervicace attività estorsiva nei confronti di operatori commerciali della zona di Aversa, sia l’improcrastinabilità di catturare l’ala militare del gruppo, resasi nel frattempo responsabile del tentato omicidio di due affiliati per dissidi interni.

GLI ARRESTATI. In carcere: Pietro Falcone, 32 anni, di Trentola Ducenta; Gaetano De Biase, 54, di Teverola; Alfonso Iacolare, 31, di San Cipriano d’Aversa (cugino di Nicola Schiavone); Ivo Capone, 42, di Casaluce; Giuseppe Esposito, 54, di Casaluce; – questi cinque già detenuti – Silvana Limaldi, 55, di Trentola Ducenta, Giuseppe Esposito, 25, di San Marcellino; Giovanni Menale, 49, di Aversa; Gennaro Musto, 45, di Aversa; Carlo Tavoletta, 40, di Alife. Ai domiciliari: Roberto Mallardo, 64 anni, di Giugliano; Carmen Marino, 24, di Trentola Ducenta.

Il METODO ESTORSIVO.
L’indagine, proseguita anche dopo l’esecuzione del provvedimento di fermo, ha permesso di accertare che molti degli indagati, capeggiati da Gaetano De Biase, 45 anni, di Teverola, e Pietro Falcone, 32 anni, di Trentola Ducenta, entrambi già detenuti, non si limitavano soltanto all’imposizione delle tangenti con metodo “classico” (ovvero con minaccia espressa o velata degli emissari del clan, cui consegue la dazione della somma estorta), ma si erano specializzati nel seguire un percorso più “raffinato”, pur sempre originato dalla minaccia insita nell’appartenenza al clan.
Infatti, dietro il “paravento legale” di alcune imprese/agenzie specializzate, più o meno direttamente riconducibili ad affiliati, veniva imposto:a titolari di attività commerciali, l’acquisto di gadget pubblicitari (calendari, agende, penne, accendini, ecc.) ad un prezzo di gran lunga superiore a quello di mercato, al fine di far conseguire al clan un elevatissimo profitto, grazie ad un rincaro, rispetto all’ordinaria fornitura, di circa il 150% del costo del prodotto. Grazie a tale attività, nel solo periodo natalizio, nelle casse del clan entravano dai 150mila ai 200mila euro.
Inoltre, ad altri operatori (principalmente ristoratori, organizzatori di comitati per feste patronali o di piazza e titolari di emittenti televisive locali) si imponeva la scritturazione per prestazioni canore di cantanti neomelodici - tra cui, oltre la compagna di De Biase, ovvero Rita Ferrara (in arte “Ida D’amore”), anche altri cantanti tra i quali Franco D’Amore, cugino di Ida, Nico Desideri, Ciro Riggione, Nico D’Ambrosio, Tony Calise, Mauro Landi, Flavio Marino, Giovanna Romano. Il relativo compenso veniva solo in parte devoluto all’“artista”, essendo invece in gran parte destinato alle casse del clan o a singoli affiliati.
LA VEDOVA DEL BOSS. Le indagini hanno, inoltre, evidenziato il ruolo di primo piano rivestito da Silvana Limaldi, vedova di Ettore Falcone, boss di Aversa ucciso a Parete nel 1990, e madre di Pietro Falcone. La donna, nella cui disponibilità erano state rinvenute e sequestrate munizioni e una pistola marca S&W calibro 9x21 con matricola abrasa, oltre a detenere le armi del clan, offriva agli affiliati supporto logistico consentendo l’utilizzazione della propria abitazione per riunioni, alle quali presenziava e partecipava attivamente anche nel ruolo decisionale.
I PENTITI. L’attività investigativa è stata corroborata anche alle dichiarazioni rese dai numerosi collaboratori di giustizia, tra i quali spiccano i nomi di Salvatore Laiso, Raffaele Piccolo, Roberto Vargas, Nicola Cangiano, Salvatore Caterino.
LA DROGA. Nel corso delle indagini sono anche emerse responsabilità sulla cessione di cocaina da parte di Roberto Mallardo, 54 anni, di Giugliano, Giuseppe Esposito, 26 anni, di San Marcellino, e Carmen Marino, 24 anni, di Trentola Ducenta, i quali acquistavano lo stupefacente per poi cederlo a Salvatore Laiso o consumarlo insieme a lui. Quest’ultima vicenda ha evidenziato la facilità di reperimento della droga da parte degli affiliati potendo contare su individui totalmente assoggettati nel soddisfare ogni sorta di loro volere.
 

Clan Pianese - Il pentito D'Alterio: ecco gli affari del clan

QUALIANO. Prime dichiarazioni del neo pentito Bruno D’Alterio, fratello di Raffaella e cognato del defunto boss Nicola Pianese. Risale a settembre uno dei primi interrogatori del collaboratore di giustizia che ha ricostruito gli affari illeciti della cosca e gli accordi coi Mallardo di Giugliano. “I rapporti tra i clan di Qualiano e di Giugliano sono sempre, almeno apparentemente, stati buoni - si legge nei verbali -. Tuttavia, come succede per ogni clan esistente il limite territoriale, nel senso che ogni attività illecita e in particolare le estorsioni devono essere fatte dal clan che ha influenza sul territorio. Pertanto, questa regola, valida coi giuglianese comporta che per eventuali lavori fatti su Qualiano da esponenti del clan Mallardo, anche questi devono pagare la tangente e viceversa, anche se in questi casi si un occhio di riguardo”.

Poi sui rapporti coi Mallardo è chiaro: “In merito alla posizione dei giuglianesi nella guerra tra i De Rosa e i D’Alterio, pur avendo questi detto di non essere interessati alla faida e di non volersi schierare, io credo che, in realtà, aiutavano i De Rosa. I messaggi venivano inviati dai De Rosa tramite i Mallardo”. La gestione e l’acquisto della droga “veniva acquistata direttamente dai Mallardo la cocaina, che forniva lo stupefacente”. Poi sulle estorsioni ha raccontato che c’era un gruppo che effettuava dei controlli sul territorio e il loro compito era quello di ‘prelevare’ i soldi dai cantieri, e chi, invece, si rifiutava di pagare, il ‘gruppo’ doveva bloccare i lavori.

Rapporti tra i clan anche nelle dichiarazioni di Chianese. A raccontare i collegamenti tra il clan di Qualiano e i Mallardo fu anche il pentito Giovanni Chianese:“Il clan di De Rosa era strettamente in contatto con i Mallardo attraverso Biagio Micillo”, afferma il pentito in un verbale che ricorda come sia stato in contatto con la cosca di Giugliano per un’estorsione relativa alle opere di realizzazione di un edificio situato a Qualiano. “Dopo la morte di Sarappo e l’arresto di Paride De Rosa, nel marzo del 2008, il controllo del settore delle estorsioni era controllato dal clan Pianese-D’Alterio (ciò durò fino al maggio del 2008 in quanto il 6 giugno del 2008 furono tutti arrestati), pertanto anche l’estorsione di questo fabbricato era gestita dal clan Pianese-D’Alterio. In questa occasione l’estorsione fu gestita attraverso l’intermediazione di Micillo poiché l’impresa che costruiva era riferibile ad uno dei fratelli di Dell’Aquila”.

Criterio della territorialità. Secondo Chianese i clan rispettano il criterio della territorialità dei gruppi criminali, viene sempre corrisposta una somma per l’effettuazione di lavori o investimenti al clan operante nell’area dove l’investimento deve essere realizzato o il lavoro eseguito. Nel caso specifico, inoltre, il clan D’Alterio-Pianese si trovava anche in condizioni economiche disagiate a causa della crisi economica e dei continui sequestri ai cantieri edili, circostanza questa conosciuta anche dal clan Mallardo, per cui gli esponenti ritennero di andare incontro corrispondendo una somma in relazione alla realizzazione dello stabile. Insomma una sorta di accordo che prevedeva una delega da parte della cosca di Giugliano delle estorsioni su Qualiano. E dopo gli arresti dei mesi scorsi si potrebbe aprire un nuovo scenario, con i Mallardo pronti a gestire direttamente il business del racket. (M.F. Cronache di Napoli)
 

Truffa alla Totò con finti posti di lavoro

di Rosaria Capacchione
NAPOLI - Diamolo pure: non ha inventato niente. Ha scopiazzato a destra e a manca dal repertorio classico delle truffe di celluloide, ispirandosi un po’ a un film di Nanni Loy di vent’anni fa - Pacco, doppio pacco e contropaccotto - in cui, nella parte dell’autista dello studente, aveva recitato anche il padre; e molto al sempreverde Totò Truffa , pellicola di cinquant’anni fa sopravvissuta all’usura dei tempi.

Ma c’è sempre qualcuno disponibile a credere sulla parola a chi offre un posto in paradiso. Meglio, un posto qualsiasi, indorato con una rigorosa divisa da guardia giurata e magari i galloni da ispettore. Offerta a pagamento: dai settemila ai quindicimila euro, necessari a sdebitarsi nei confronti di un non meglio specificato «onorevole» (e chi non è disposto a credere che ci sia un onorevole sensibile al fascino delle mazzette?) che sul piatto aveva messo l’insperata sorpresa di un posto fisso.

Anzi, di un pacchetto di posti a tempo indeterminato nella coop di vigilanza e portierato «Gna service», con sede in piazza Cavour e location operativa nel centro storico e commerciale. Solo che il posto di lavoro era un pacco. E lo stipendio un paccotto. Falso il primo, ancor più falso il secondo, visto che era pagato con assegni ricettati o intestati a persone (e società) inesistenti. Alla fine, i lavoratori hanno perso lavoro e soldi (quelli spesi per ricompensare l’inesistente onorevole e quelli degli stipendi) e gli emuli di Totò truffa si sono ritrovati agli arresti domiciliari.

Le ordinanze di custodia cautelare, firmate dal gip Gabriella Pepe, hanno chiuso un’indagine della polizia municipale di Napoli e hanno riguardato il «capo delle guardie», e cioè Gennaro Gallo (primogenito del cantante napoletano Nunzio Gallo, morto qualche anno fa) e tre soci: Aurelio Amatista, Gaetano Severino e Nicol Castaldo. Indagate a piede libero altre sei persone (Mario Estate, Maria Luisa Fariello, Danilo Esposito, Antonio Affinito, Michele Bossa, Onofrio Dalfino) nei cui confronto il giudice ha invece rigettato la richiesta. Rispondono, a vario titolo, di truffa e ricettazione.

L’indagine, frutto della paziente e laboriosa ricerca delle vittime fatta dalla polizia municipale, che l’aveva avviata quando il comandante era Luigi Sementa, ha permesso di scoprire una truffa da quasi mezzo milione di euro in danno di una trentina di disoccupati napoletani che avevano trovato una speranza in Genny Gallo e nella Gna Service. Erano stati avvicinati e contattata da altre personaggi degni di entrare negli stessi film: sindacalisti e vigili urbani nelle vesti di procacciatori di lavoro. Avevano pagato l’obolo, erano stati assunti e dotati di divisa.

Dalla metà del 2007 fino alla fine del 2008 hanno vigilato negozi e piazze (anche la galleria Principe di Napoli, nei pressi del museo nazionale). Servizio che la Gna aveva offerto gratuitamente per sei mesi a scopo promozionale (così avevano detto) ai commercianti, garantendo (sulla carta) lo stipendio ai dipendenti. Che sono stati impiegati nella guardiania non armata della Galleria (per contare i piccioni, come nel film di Totò?) ma che dopo mesi e mesi di attesa, si sono ritrovati tra le mani pezzi di carta straccia, e cioè assegni rubati, riciclati, intestati a società di facciata o a ditte che avevano già chiuso i battenti. Facendo la somma (ancora parziale) di quanto ha incassato la banda dai disoccupati «assunti», la polizia municipale è arrivata a oltre trecentottantamila euro.

Soldi ai quali bisogna aggiungere i centomila euro in assegni insoluti. Sono stati gli stessi dipendenti truffati a raccontare le modalità del raggiro, dal momento del contatto alla richiesta di soldi (pagati spesso dai genitori che, pur di garantire un futuro al figlio, non hanno esitato a indebitarsi o cedere il quinto dello stipendio), dall’avviamento al lavoro alla scoperta di aver accumulato un arretrato fatto di carta straccia.

Metropolitana, la stazione europea più bella? Quella in via Toledo

NAPOLI - Aperta al pubblico da due mesi e mezzo, la stazione Toledo della metropolitana di Napoli è già considerata la più bella d'Europa. Il britannico Telegraph, in una fotogallery con le immagini delle 22 più affascinanti stazioni della metropolitana europee, inserisce proprio la stazione Toledo al primo posto.

Una scelta che ha una ricaduta in termini di immagine «importante», spiega il sindaco Luigi de Magistris che ricorda anche il riconoscimento alle cosiddette "stazioni dell'arte" della linea 1 della metro di Napoli da parte di esperti in occasione della Triennale di Milano, quando le stazioni finora concluse della linea 1 furono definite «la più bella d'Europa».

Nella 'top 20' del Telegraph figura anche la stazione di Materdei (16esima). Entrambi i riconoscimenti «devono essere di stimolo per tutti, Governo, Unione Europea e Regione per darci il massimo contributo per finire anche le altre stazioni nel più breve tempo possibile».

Il quotidiano londinese dedica alle stazioni una intera fotogallery/classifica sul suo sito web (Guarda).
 
 
 

sabato 24 novembre 2012

Pulcinella Days, tre giorni di festa per la maschera simbolo di Napoli

NAPOLI. E’ la maschera per antonomasia di Napoli: Pulcinella. E da domani la città che le ha dato i natali le dedicherà un giorno di festa.

Anzi, tre giorni di festa. Sono i “Pulcinella days” che si svolgeranno venerdì, sabato e domenica tra il Teatro instabile (Tin), l’Istituto per gli Studi Filosofici, il conservatorio di Musica San Pietro a Majella e la chiesa Santa Maria delle anime del Purgatorio ad Arco. Una kermesse culturale a costo zero, promossa dal Comune di Napoli, aperta a tutti e gratuita. “Pulcinella è un messaggero di vita – dice lo scrittore Jean Nol Schifano, ospite della rassegna – Un essere ermafrodito, Horus del popolo, figura esemplare del barocco esistenziale”.
L’evento si apre domani alle 11 all’ingresso di vico Fico al Purgatorio ad Arco, angolo via Tribunali, dove sarà inaugurata una grande scultura in bronzo di Pulcinella donata dall’artista Lello Esposito, con progetto dall’architetto Andrea Florio, istallata in uno spazio ripulito dal degrado e liberato dalle auto in sosta. All’inaugurazione sono annunciate le presenze del sindaco di Napoli Luigi de Magistris, dell’assessore all’Urbanistica, Luigi De Falco, dello scultore Lello Esposito, del regista Michele Del Grosso e dello scrittore Jean Noel Schifano.
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Iniziative contro la camorra


«Contro la camorra senza prudenza» Il 7 dicembre iniziativa contro i clan

NAPOLI - Il 7 dicembre il Comune di Napoli promuoverà «una grande iniziativa» contro la camorra. Ad annunciarlo il sindaco Luigi De Magistris a margine della presentazione di una mostra al Pan. Slogan della manifestazione "Contro la camorra senza prudenza" frase che, come ha riferito il sindaco, gli è stata detta da Rosanna, la fidanzata di Lino Romano ultima vittima innocente della criminalità organizzata a Napoli.

«Oggi nel 2012 - ha detto de Magistris - il "fuitvenne" di Eduardo noi lo diciamo alla camorra. Chi non si vuole convertire se ne vada da questa città in cui la stragrande maggioranza dei cittadini sono brave persone».

«Facciamo un “pacco” alla camorra» l'idea per Natale del comitato don Diana
NAPOLI - Fare un “pacco” alla camorra utilizzando i prodotti agricoli tipici coltivati nelle terre confiscate alle mafie: è l'idea del comitato don Peppe Diana per Natale. Che vuole in questo modo raccogliere fondi, valorizzare le produzioni no-camorra, e diffondere la cultura della legalità. 
L'idea è di proporre i cesti natalizi firmati Nco, Nuovo commercio organizzato. Dentro i prodotti tradizionali: fagioli, olio extravergine, cioccolato, pasta, pomodoro. Tutto però prodotto nelle terre confiscate alla malavita, inserito nel paniere della filiera etica nata in Campania.

Tre le tipologie di cesto disponibili: pacco Impegno, pacco Responsabile e pacco Memoria. «L'anno scorso - spiega Valerio Taglione, referente di Libera Caserta e presidente del Comitato don Peppe Diana - abbiamo venduto quasi 5 mila pacchi. E molti in altre regioni d'Italia. La novità di quest'anno è che il pacco cresce: sono infatti 16 le cooperative e due imprenditori che hanno denunciato il racket, ad entrare nel pacco. Quattro anni fa le cooperative erano solo due. Con il nuovo marchio Nco i produttori non perdono la loro identità ma fanno parte di una sfida più grande». 

«Facciamo un pacco alla camorra» è stato presentato oggi con la collaborazione di Libera e Polis alla presenza di numerosi produttori e parenti delle vittime della criminalità organizzata.

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Faida Scampia, catturato il giovane boss Mariano Abete

NAPOLI. I carabinieri hanno catturato Mariano Abete, 21enne, residente in via Ghisleri, a Napoli, reggente dell’omonimo gruppo camorristico.


Il latitante è stato catturato dal nucleo operativo Stella e dalla stazione quartiere 167. Abete era uno dei ricercati per la nuova faida di Scampia.
Il giovane boss, arrestato all’alba, è stato scovato in un nascondiglio nella casa della madre, ricavato tra due pareti alle quali si accedeva tramite una parete mobile con apertura azionata a telecomando. Era ricercato per un'ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip di Napoli, per associazione mafiosa e associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti.
L'identikit di Abete era stato diffuso lo scorso 20 ottobre da carabinieri e polizia insieme con gli altri quattro latitanti che secondo gli investigatori hanno un ruolo di primo piano nella riesplosione della faida di camorra a Scampia.
"Aspettate, apro io, sono Mariano Abete", così il boss si è arreso nelle mani dei carabinieri della compagnia Stella del comando provinciale di Napoli. Quando i militari hanno intuito che nell'abitazione della madre di Abete era stato ricavato un nascondiglio tra le intercapedini di due pareti, hano iniziato ad abbatterle. A quel punto il latitante eccellente si è reso conto che per lui era finita, ha preferito arrendersi ed aprire con il telecomando la parete mobile. Abete è stato ammanettato intorno alle 5.30 sotto gli occhi della madre che lo teneva nascosto in casa da tempo.
Circa cento carabinieri avevano circondato poco prima l'edificio per dare inizio alla perquisizione. Ogni giorno, ed anche più volte in una sola giornata i carabinieri arrivano in forza a Scampia ma anche a Secondigliano e a Melito e in tutti i luoghi 'sensibili' dove è in atto la faida per perquisire edifici, garage e cantine.
Nelle scorse settimane la procura aveva deciso di rendere pubbliche le foto di cinque latitanti più pericolosi della faida di Scampia.  TRa questi Mariano Abete, seppur giovane, già potente e pericoloso. Una decina di giorni fa era stato arrestato un altro dei cinque latitanti più pericolosi, Rosario Guarino, 29 anni. Tra gli altri è ancora ricercato il giovane boss Marco Di Lauro, figlio del boss Paolo, detto “Ciruzzo 'o milionario”', protagonista con l'ala degli scissionisti della prima faida di Scampia. Restano ancora liberi anche Mario Riccio, di 21, Antonio Mennetta, di 27.
Calca di parenti davanti la caserma dei carabinieri “Pastrengo” a Napoli per salutare Mariano Abete, il ventunenne reggente dell'omonimo clan catturato questa mattina all'alba. Tra questi anche la giovane convivente. Vani i tentativi dei familiari di avvicinarsi al boss, che è uscito dalla caserma per essere accompagnato in carcere in tuta di acetato, leggermente ingrassato rispetto alle foto segnaletiche in possesso degli inquirenti.
Il procuratore della Repubblica di Napoli, Giovanni Colangelo, si è congratulato con il comandante generale dei carabinieri, generale Leonardo Gallitelli, e con i comandanti regionale della Campania e provinciale di Napoli per “l'esito brillante dell'operazione che ha portato alla cattura del latitante Mariano Abete'', reggente dell'omonimo gruppo camorristico. Il procuratore ha pregato di ''estendere le proprie congratulazioni” a tutti i militari che hanno operato. L'operazione - ha detto il procuratore Colangelo - dimostra “l'alto livello dell'impegno delle forze dell' ordine e la tensione che anima il loro lavoro quotidiano”.
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Clan dei Casalesi


CASERTA. La Squadra Mobile della Questura di Caserta, nell'ambito dell'operazione ''Thunderball 2'', ha arrestato Antonio Zagaria, fratello del boss Michele, ritenuto il reggente del clan dei Casalesi. In manette anche il nipote di Zagaria, Filippo Capaldo, e notificate in carcere provvedimenti ad altri due fratelli: Carmine e Pasquale. Il nipote dei Zagaria era stato scarcerato da circa un mese. Complessivamente sono nove, e riguardano elementi ritenuti di vertice del clan dei Casalesi, le ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip del Tribunale di Napoli su richiesta della Dda partenopea, nell'ambito dell'operazione 'Thunderball 2'. Le accuse sono di estorsione aggravata dal metodo mafioso. Le indagini hanno consentito di fare luce, in particolare, su due diverse vicende estorsive subite da un imprenditore che, oberato da debiti usurari, e' stato costretto dalle minacce dei membri del clan camorrista a vendere attrezzature e beni strumentali della propria azienda agricola per restituire il denaro. I provvedimenti sono stati eseguiti dalla Squadra Mobile della Questura di Caserta, diretta dal vicequestore aggiunto Angelo Morabito, che contribuirono alla cattura del superlatitante Michele Zagaria, avvenuto il 7 dicembre 2011, dopo una latitanza di oltre 16 anni. 
Sono accusati di estorsioni aggravate dal metodo mafioso. In tutto sono nove gli arrestati nell'ambito delle indagini su una serie di estorsioni commesse ai danni dell'imprenditore Roberto Battaglia, titolare di un'azienda bufalina a Capua che ha denunciato pressioni e richieste di pizzo da parte del clan dei Casalesi. Battaglia, il giorno dopo la cattura del boss Zagaria aveva chiesto di essere ascoltato dai magistrati della Dda di Napoli ai quali, in un primo interrogatorio del 2 febbraio 2012, aveva riferito di richieste estorsive pregresse da parte del clan. Destinatari dell'ordinanza sono Carmine, Pasquale e Antonio Zagaria di 52, 48 e 50 anni, i cognati di Zagaria, Filippo, Francesco e Raffaele Capaldo, Nicola Diana, Pasquale Fontana e Ciro Benenati.
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Clan Pianese, depositati gli interrogatori dei pentiti

QUALIANO. Udienza rinviata a dicembre. Si tratta del primo atto del processo con rito abbreviato scelto da 51 persone ritenute affiliate al clan Pianese di Qualiano. Ieri, in aula, i pm hanno depositato gli interrogatori dei tre nuovi collaboratori di giustizia: Bruno D’Alterio (nella foto) fratello di Raffaella vedova del defunto boss Nicola Pianese, e dei fratelli Vito e Vincenzo Guadagano. Il giudice Cananzi, nell'aula Bunker 'Ticino 1' presso il carcere di Poggioreale, ha acquisito i verbali degli interrogatori dei collaboratori di giustizia, rinviando di fatto l'udienza per poi discutere, con gli avvocati degli imputati, i tempi di deposito dei verbali depositati. Intanto, a metà dicembre, partirà il processo con rito ordinario che vede alla sbarra ventidue persone, tra cui il ras del clan Mallardo di Giugliano Biagio Micillo. Gli imputati devono rispondere delle accuse di associazione mafiosa, estorsioni aggravate dall'articolo 7 e di altri reati. Alla sbarra 51 persone: Francesco Astuccia (36 anni di Qualiano), Zacaria Bara (36 anni di Qualiano), Salvatore Campanile (56 anni di Marano), Raffaele Campochiaro (40 anni di Piscinola), Biagio Cante (31 anni di Villaricca), Domenico Cante (31 anni di Villaricca), Agostino Ciccarelli (38 anni di Giugliano), Angelo Conte (28 di Qualiano), Maria Coppola (34 di Qualiano), Giovanni Correale (26 anni di Qualiano), Antonio D’Alterio (27 anni di Qualiano), Bruno D’Alterio (60 anni di Qualiano), Bruno D’Alterio (40 anni di Qualiano), Domenico D’Alterio (43 anni di Qualiano), Raffaella D’Alterio (50 anni di Qualiano), Giuseppe De Cario (33 anni di Qualiano), Giuseppe De Fenza (33 anni di Marano), Ciro De Meo (46 anni di Qualiano), Paride De Rosa (47 anni di Mugnano), Salvatore Di Marino (46 anni di Mugnano), Vincenzo Di Maro (23 anni di Qualiano), Salvatore di Palma (44 anni di Qualiano), Francesco Esposito (34 anni di Villaricca), Salvatore Ferrara (36 anni di Qualiano), Immacolato Fiorillo (46 anni di Qualiano), Alfonso Formisano (32 anni di Scampia), Vincenzo Guadagno (32 anni di Villaricca), Vito Guadagno (37enne di Villaricca), Fortuna Iovinelli (46 anni di Villaricca), Paolo Iovinelli (47 anni di Qualiano), Luigi Iuffredo (27 anni di Qualiano), Maurizio Lanna (46 anni di Giugliano), Luigi Mallardo (49 anni di Villaricca), Filippo Mastrantuono (27enne di Qualiano), Agostino Migliaccio (56enne di Qualiano), Anna Miraglia (41enne di Qualiano), Luigi Murolo (27 anni di Villaricca), Sergio Palumbo (52enne di Qualiano), Angelo Passarelli (38enne di Qualiano), Nicola Perillo (35enne di Qualiano), Costanza Pianese (30enne di Qualiano), Diego Pianese (55enne di Qualiano), Nicola Raffaele Pianese (23enne di Qualiano), Ramon Pizzo (29enne di Qualiano), Luigi Poerio (44 anni di Qualiano), Giuliano Quaranta (52enne di Milano), Domenico Russo (41enne di Giugliano), Giuseppe Scoglio (40enne del Rione Alto), Massimo Scoglio (37enne del Rione Alto) e Gerardo Strazzulli (41enne di Villaricca). A dicembre la prossima udienza che vedrà in aula gli imputati (il collegio difensivo è composta, tra gli altri, dagli avvocati Pasquale Pianese, Pietro Ciccarelli, Michele Giametta, Pasquale Russo ed Emilio Martino). (Mariano Fellico – 24/11/2012 – CdN)

Clan Mallardo praticamente sgominato

Mallardo: clan praticamente sgominato, ma all'appello mancano ancora i due latitanti: Moraca e Amicone
GIUGLIANO. Quattro boss catturati, oltre 50 tra affiliati, fiancheggiatori e prestanomi arrestati, oltre 100 le persone indagate a piede libero accusate di favorire le attività del clan, sequestro di un ingente patrimonio di beni mobili e immobili per un valore stimato di 1,3 miliardi di euro. Tutto in due anni e mezzo. Numeri impressionati quelli riguardanti il clan Mallardo, organizzazione criminale che per potenza economica e criminale - secondo gli inquirenti - è seconda solo al clan dei Casalesi. Da marzo 2010 a oggi, grazie a un’attività della procura di Napoli, che ha coordinato le operazioni eseguite dal Gico di Roma, Squadra Mobile e Comando Provinciale dell’Arma di Napoli, il clan Mallardo può considerarsi smantellato. Almeno nei suoi vertici. In cella, in due anni, sono finiti infatti i capi dell’organizzazione criminale che avevano presto il controllo della cosca dopo l’arresto dei super boss eccellenti Francesco e Giuseppe Mallardo, richiusi al 41 bis. In cella anche Feliciano Mallardo, che aveva preso le redini del clan dopo l’arresto dei cugini e anche lui rinchiuso al 41bis. Dopo qualche mese a finire in manette anche Francesco Napolitano, uno dei vertici del clan, e Biagio Micillo, ritenuto dagli inquirenti il luogotenente dei Mallardo nel territorio di Qualiano. Adesso gli inquirenti danno la caccia a Giuliano Amicone, uno dei fedelissimi dei Mallardo, e a Mauro Moraca, sfuggito al blitz di mercoledì scorso.
Clan Mallardo: arresti e sequestri della GdF
GIUGLIANO. Estorsione, intestazione fittizia di beni, perfino l'imposizione di una determinata marca di caffe': sono soprattutto questi i reati contestati alle cinque persone - una e' latitante - destinatarie di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere e considerate affiliate al clan Mallardo, nell'ambito della cosiddetta operazione 'Crash' che oggi ha portato anche al sequestro di beni per un valore di cinque milioni di euro. Arresti, quelli di oggi, che segnano le conclusioni di una indagine coordinata dalla direzione distrettuale antimafia della Procura di Napoli ed eseguita dal Gico della Guardia di Finanza. 

Gli arresti. Tra le persone destinatarie dell'ordinanza di custodia cautelare in carcere, spicca Feliciano Mallardo, già in carcere, e considerato reggente pro tempore del clan. Ordinanze anche per Mauro Moraca, genero di Feliciano Mallardo, organizzatore nel settore delle estorsioni; Giuliano Amicone, considerato affiliato e uomo di fiducia dei Mallardo. Ed ancora, provvedimenti anche per Carlo Antonio D'Alterio, anche lui già in carcere e nipote di Feliciano Mallardo e per Silvio Diana, ritenuto uomo di assoluta fiducia del capo clan. Grazie alle intercettazioni ambientali, definite dal procuratore aggiunto Alessandro Pennasilico, ''determinanti e cruciali'' e grazie anche ai collaboratori di giustizia si e' ricostruito il sistema delle estorsioni messe in atto dai Mallardo, in particolare in due diverse vicende ai danni di due imprenditori edili giuglianesi. Svariate le operazioni economiche e imprenditoriali realizzate da Mauro Moraca, tra l'altro, per conto dei Mallardo. Non solo, Carlo Antonio D'Alterio, e' risultato componente di una cellula connessa al clan Mallardo, con particolare riferimento alla gestione nella distribuzione del caffe' Seddio rivelatasi poi un'autentica imposizione di tipo estorsivo del clan Mallardo nei confronti degli esercizi commerciali giuglianesi. Tra i beni sequestrati, otto immobili, terreni e quote societarie, beni strumentali, rapporti finanziari e beni immobili nella misura del 35% della 'Dream House'. 

Le indagini della Procura partenopea si inseriscono in un filone che ha già' portato a due operazioni con arresti e si sono avvalse di dichiarazioni di collaboratori di giustizia, ma anche di intercettazioni ambientali, ha ricostruito l'operatività di una 'cellula' del clan, gestita dal genero del boss che, attraverso le estorsioni, acquisiva in modo diretto o indiretto il controllo di attività economiche, per poi consentire a ditte del clan la partecipazione a appalti in ospedali ed enti pubblici. Nel corso dell'inchiesta, infatti sono state eseguite anche perquisizioni negli uffici della Asl Napoli 2 Nord accertando l'infiltrazione dei Mallardo in diversi settori. Come ad esempio la partecipazione di imprese 'amiche' a gare pubbliche, fra cui un appalto all'ospedale Cardarelli di Napoli, l'affidamento del servizio di derattizzazione, la vendita di terreni di proprieta' dell'Asl Napoli 2 nord, l'inserimento di imprese 'amiche' nell'elenco delle ditte accreditate dell'Asl Napoli 2 Nord, permettendo di procurare ai Mallardo ingenti profitti, da utilizzare per effettuare investimenti o per il reimpiego di soldi del clan. 

Tra i metodi estorsivi praticati, anche l'imposizione del caffè agli esercizi commerciali del giuglianese. Perquisizioni degli uomini del Gico della Guardia di Finanza nei locali degli uffici dell'Asl Napoli 2 Nord, sede di Giugliano di Campania. Accertata l'infiltrazione del clan Mallardo attraverso personaggi referenti: in particolare un dipendente, nei confronti del quale non è stato attuato alcun provvedimento penale, avrebbe fornito al gruppo camorristico informazioni relative a gare di appalto. Non e' escluso, ed e' in fase di accertamento, che il clan sia riuscito a partecipare se non a vincere qualcuna di queste gare.

Clan Mallardo: racket sui lavori al San Giuliano
GIUGLIANO. Costruzione di grandi parchi, ristrutturazione di ospedali, vendita di terreni di proprietà di enti pubblici. Il clan Mallardo, attraverso una dettagliata organizzazione, controlla il settore edilizio in città. E non solo quello privato ma anche quello pubblico. E laddove non riusciva a infiltrarsi con ‘ditte privilegiate’ negli appalti imponeva il pagamento del pizzo. Come avvenuto per esempio nei confronti di due imprenditori che hanno realizzato un complesso residenziale in via degli Innamorati a cui è stato imposto il versamento della somma complessiva di 115mila euro. Somma pagata in tre rate da 75mila euro nel novembre 2009, 20mila euro nel dicembre 2009 e altri 20mila euro nel febbraio 2010. Vittima del racket anche un altro imprenditore che ha effettuato lavori di ristrutturazione all’interno dell’ospedale San Giuliano di Giugliano. Il boss, attraverso la ‘talpa’, si informava degli appalti che l’Asl Napoli 2 preparava, i reparti da aprire e quelli da ristrutturare. Come avvenuto nel maggio 2009 quando Feliciano Mallardo diede incarico a Silvio Diana e Carlo Antonio D’Alterio di convocare un imprenditore che stata effettuando lavori di ristrutturazione all’ospedale San Giuliano. La vittima fu costretta a sborsare la somma di 60mila euro, di cui 55mila per la costruzione di 12 unità immobiliari e 5 mila euro, appunto, per alcune ristrutturazioni edilizie eseguite presso l’ospedale di Giugliano, tra cui il reparto di Radiologia. A darne conferma sono le intercettazioni ambientali eseguite presso l’agenzia di assicurazioni di via San Vito. Qui Feliciano convocò l’imprenditore che aveva da poco avviato l’esecuzione di lavori di costruzione degli appartamenti e aveva iniziato la realizzazione di interventi edili presso il presidio ospedaliero San Giuliano commissionati alla ditta dall’Asl Napoli 2 Nord, senza essersi prima recato dal Mallardo Feliciano al fine di conoscere l’entità della somma di danaro da corrispondere al clan. “Sta a fare pure un lavoro all’ospedale e non è venuto a dire niente, eh…”, commentano Feliciano Mallardo, Silvio Diana e Carlo Antonio Mallardo in attesa dell’arrivo dell’imprenditore nell’agenzia in via San Vito. La vittima precisa che aveva già ricevuto la visita di D’Alterio Carlo Antonio, nipote di Feliciano, il quale gli aveva ordinato di non iniziare in alcun modo l’attività edilizia prima di essersi recato al cospetto dello zio al fine di stabilire la somma di danaro da versare al clan. La somma fissata da Feliciano fu 25mila euro “…ci dai venticinquemila euro…”, disse. A quel punto il boss chiese chiese informazioni anche riguardo gli interventi edili che aveva di già iniziato presso al San Giuliano, rimproverandolo per il fatto che lo stesso non si fosse prima recato da lui “…poi stai lavorando nell’ospedale…tu me lo devi dire prima, ‘o frat’…io devo sapere prima queste cose qua…”, fu ‘il rimprovero’ del boss. “Ho peccato sopra a questa cosa…”, ammise a capo chino la vittima che così fu costretta a pagare in totale 60mila euro. A quel punto fu lo stesso imprenditore a chiedere al boss una mano per aggiudicarsi lavori per la ristrutturazione dell’impianto fognario al Cardarelli. “Te la do io una mano, basta che dopo la dai a me”, replico il boss facendo capire che qualora avesse vinto la gara avrebbe dovuto pagare la mazzetta al clan.

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sabato 17 novembre 2012

Preso il capo dei 'girati': «Joe Banana»


SCAMPIA. I poliziotti del commissariato di polizia di Frattamaggiore (Napoli) hanno arrestato Rosario Guarino, detto "Joe Banana", 29 anni, latitante dal marzo 2011, ritenuto al vertice del clan dei cosiddetti "Girati" di Scampia. Gli agenti hanno rintracciato l’uomo in un covo segreto al Vico Santa Giustina, ad Arzano. L’uomo era nell’elenco dei cinque latitanti, diffuso lo scorso 20 ottobre, con le relative foto, come invito rivolto alla cittadinanza napoletana al fine di collaborare per le ricerche degli stessi.
Dormiva quando i poliziotti del commissariato di Frattamaggiore, coordinati dal dirigente Angelo La Manna, lo hanno sorpreso nel suo covo. Guarino, capo della cosca della Vanella Grassi, ha detto subito “non sparate”, temendo più che i poliziotti l’arrivo di un gruppo di fuoco dei rivali Notturno-Abete-Abbinante-Mennella. La polizia è arrivata al boss in poco tempo, con una indagine tradizionale, cominciata due giorni fa con l'arresto di un altro affiliato al gruppo, un 29enne che era già ai domiciliari. Nella sua abitazione hanno trovato un bigliettino, consegnato da S.L., 18 anni, incensurato, ora denunciato per favoreggiamento. L’appartamento di Arzano in cui si rifugiava Guarino, 30 metri quadrati a piano terra in un vecchio fabbricato, è del padre. Il ragazzo faceva da collegamento tra il capo e i suoi affiliati. Guarino in persona non ha lasciato nel dubbio gli agenti: “Sono Joe Banana”, ha detto subito.
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Faida Scampia/ Joe Banana confida: «Questa guerra durerà altri 50 anni»
NAPOLI - Le braccia muscolose le ha piene di tatuaggi. Parla in dialetto in slang stretto, alternato a frasi forzate in italiano. Rosario Guarino fa parte della generazione figlia di quei capi che animarono la prima faida di Scampia. A Vanella Grassi lo chiamano Joe Banana da quando era adolescente. Niente a che vedere con il famoso boss americano Joseph Bonanno, detto Bananas, dei primi del Novecento. Il soprannome affibbiatogli dai «compagni» è legato al film di Steno del 1982 Banana Joe, interpretato da Bud Spencer. Mangiava molte banane, Guarino, ed era anche molto grasso, così gli amici gli dissero: «Uà, ti stai facendo troppo chiatto. Mangi troppe banane, come a Bud Spencer nel film». 
Il soprannome è etichetta duratura, che identifica in certi ambienti più di un nome anagrafico. Da anni, Rosario Guarino è Joe Banana. Quando gli agenti lo hanno arrestato, non si è scomposto. Si è lasciato però andare, con pacatezza, a considerazioni. Forse per stemperare la tensione. Considerazioni da capo: «Quando io uscirò, voi sarete andati tutti in pensione, lo so». 

Poi su Scampia e la faida: «Questa è una guerra trasversale che andrà avanti per altri 50 anni, senza regole. Non stiamo comandando più un cazzo, siete voi poliziotti che ci state distruggendo». E poi Secondigliano, il quartiere che con il clan Licciardi riuscì negli anni Novanta a diventare egemone nelle geografie della camorra cittadina prima dominata dai gruppi del centro storico, come i Giuliano di Forcella. L’area nord, periferia del degrado della 167 e della disperazioni di drogati in cerca di dosi nei pressi del Sert aperto in quell’area per la distribuzione del metadone ai tossicodipendenti da disintossicare. Periferia nord, dominio di gruppi di spaccio in aree assegnate, sotto il controllo dei clan. 

Chi ci è nato e ci è cresciuto, attratto dai guadagni della droga e dalla sottocultura dei clan, si è nutrito del mito del quartiere. Joe Banana ne è figlio e ricorda un’altra Secondigliano, quella dei Licciardi o di Aniello La Monica, poi anche di Paolo Di Lauro. Allora era un ragazzino, ma con gli agenti Guarino si è sfogato: «C’è una guerra tra noi di Secondigliano, ma prima eravamo davvero tutti uniti. Una cosa sola».

Nei documenti giudiziari, viene considerato un capo con Mario Riccio e Antonio Mennetta. Nell’ordinanza di custodia cautelare del marzo scorso, i magistrati lo accusano di essere tra i promotori dei «girati» che si contrappongono al clan Amato, storico gruppo di scissionisti. Sono i rampanti, i giovani di Vanella Grassi una volta legati al clan Di Lauro. Poi divennero scissionisti e in seguito scissionisti degli scissionisti, alleati di nuovo dei Di Lauro. 

Rosario Guarino è tra i più decisi. Nelle informative di polizia e nelle indagini della Dda napoletana lo considerano responsabile, mandante o esecutore, di non meno di una decina di omicidi. Per ora, nell’unica ordinanza firmata nei suoi confronti, quella per cui era latitante, figura solo l’accusa di associazione camorristica. 

Per interrogarlo, il pm Maurizio De Marco è tornato da una missione in Spagna. È la dimostrazione che l’arresto di Joe Banana viene considerato tappa importante nelle indagini sulla seconda faida di Scampia. All’appello, però, mancano ancora gli altri quattro.
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Tenta di rapire bambina su un'auto. La mamma lo mette in fuga, arrestato


NAPOLI - Un uomo di 57 anni, di origine bulgara, è stato arrestato dai carabinieri a Sant'Antimo, in provincia di Napoli.L'uomo, incensurato e senza fissa dimora, è accusato del tentato rapimento di una bambina di 3 anni e di minacce aggravate dall'uso di un bastone nei confronti della madre della minore.

Verso le 20 di ieri, la donna ha parcheggiato la sua auto in viale degli Oleandri, una strada scarsamente illuminata, ed è scesa dal mezzo per citofonare a una scuola di ballo dove stava portando la bambina. A quel punto il 57enne, armato di un bastone, si è avvicinato allo sportello posteriore dell'auto e dopo averlo aperto, avrebbe provato a portare via la bambina, che era seduta nella vettura. La mamma è intervenuta ed è riuscita a mettere in fuga l'uomo, sebbene minacciata con il bastone. 


Il 57enne è stato bloccato poco dopo e disarmato dai carabinieri, arrivati sul posto dopo una richiesta di aiuto al 112. I carabinieri hanno portato l'uomo nel carcere di Poggioreale.

Il cittadino bulgaro - A.A.I. - è stato bloccato e disarmato dai carabinieri, giunti sul posto dopo la richiesta di aiuto «112». L'uomo si è rifiutato di parlare sia con i carabinieri, sia con un interprete fatto giungere in caserma. Ancora oscure le motivazioni del tentativo rapimento. «È stato solo un giochetto tra grandi». Così, i carabinieri di Giugliano hanno provato a rassicurare la piccola di tre anni, che avrebbe subito un tentativo di rapimento ieri sera a Sant'Antimo mentre si trovava sull'auto della mamma: la donna era scesa per citofonare ed uno sconosciuto era stato sorpreso dalla donna ad introdursi nell'abitacolo.

E' stato arrestato grazie al coraggioso intervento della madre, peraltro minacciata dall'uomo con un bastone di legno. Il bulgaro è stato poi rintracciato e arrestato dai militari con l'accusa di sequestro di persona. La piccola, riferiscono i carabinieri, non ha pianto. Giunti sul posto con la loro gazzella l'hanno abbracciata .
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Uno schizzo di champagne basta a uccidere.Inseguito fino a Scampia e freddato

NAPOLI - Potrebbe essere stato uno schizzo di champagne a provocare la rissa tra coetanei scoppiata nelle prime ore di oggi in una discoteca di Sant' Antimo, nel Napoletano.

Lite poi finita tragicamente con l'uccisione di Vincenzo Priore, 21 anni, raggiunto alla schiena da un colpo pistola esploso da ignoti. Il corpo del giovane è stato trovato alle 4 di oggi in via Cupa delle Vedove, in località masseria Cardone di Scampia, a Napoli, ad alcuni chilometri da dove è cominciato il diverbio.

Nei pressi del luogo del delitto la polizia ha trovato tre bossoli. Nella lite sono rimaste ferite altre due persone: un 28enne, sfiorato da un colpo di pistola alla testa, giudicato guaribile in cinque giorni, e un 23enne colpito alla testa con un corpo contundente. Il più giovane è stato medicato e dimesso dai sanitari dell'ospedale partenopeo di San Giovanni Bosco. Lì entrambi si sono recati, sempre intorno alle 4 di oggi, per farsi soccorrere.

L'ipotesi sulla genesi della lite è quella ormai classica: serata in discoteca tra coetanei, forse un bicchiere di troppo, forse qualche pasticca, e poi dalle parole si è passati ai fatti. Qualcuno non ha saputo lasciare impunita un'offesa e ha pensato di farsi giustizia nel peggiore dei modi: usando una pistola. Il luogo del ritrovamento del cadavere è abbastanza lontano dalla discoteca dove ha avuto inizio il litigio. La circostanza fa presupporre agli inquirenti che all'omicidio si sia giunti al termine di un inseguimento.

Però non si esclude che chi ha sparato - probabilmente senza l'intenzione di uccidere ma solo di spaventare - sapesse dove rintracciare i rivali. La Squadra Mobile di Napoli, che indaga sull'accaduto, ha ascoltato i due giovani per cercare di ricostruire la dinamica dell'accaduto e ritiene poco plausibile l'ipotesi che l'omicidio del giovane Priore sia avvenuto nell'ambito della faida di camorra che sta insanguinando le strade napoletane di Secondigliano e Scampia.

Dai rilievi effettuati sembrerebbe che i tre siano stati colpiti da colpi di pistola esplosi da un'auto in movimento e, in definitiva, che la morte di Priore sia verosimilmente avvenuta nell'ambito di uno scontro tra coetanei forse alticci poi tragicamente degenerato in omicidio.
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