martedì 20 dicembre 2011

Napoli. Ecco la nuova Stazione Centrale

40 negozi aperti fino alle 22 - Nuove anche sedute e pensiline
NAPOLI - Ha un volto nuovo la stazione dei treni di Napoli centrale con 40 negozi aperti dalle 8 alle 22, tutti i giorni dell'anno, 136 nuove sedute e pensiline, nuova illuminazione e tabelloni al led.
Dopo cinque anni, lo scorso anno, i lavori della stazione di Napoli sono stati completati e presentati, oggi al pubblico, da Fabio Battaggia, amministratore delegato di Grandi Stazioni (che ha provveduto ai lavori), controllata al 60% da Ferrovie dello Stato e al 40 da Eurostazioni Spa.

L'investimento da parte di Grandi Stazioni per Napoli centrale è stato, per la parte interna, di 50 milioni di euro e i lavori sono il primo passo verso la riqualificazione di tutta l'area.

Per l'esterno, infatti, come ha fatto sapere Battaggia, sono in programma lavori di recupero di Palazzo Alto che domina la piazza. Si è già provveduto alla bonifica dall'amianto e, al piano terra, è in corso una ristrutturazione che consentirà l'accesso sia da piazza Garibaldi sia da corso Novara.

Alcuni piani saranno destinati agli uffici, altri ad ospitare un albergo. Creazione di due nuovi parcheggi e sistemazione delle aree limitrofe completeranno tutti gli interventi già avviati da Grandi Stazioni. La trasformazione dell'intera area sarà completata con la realizzazione dell'architetto Dominique Perrault. Un calendario ricco di eventi per la presentazione al pubblico della nuova stazione centrale di Napoli accompagnerà il periodo di avvicinamento al Natale, dal 12 al 23 dicembre.

«La nuova stazione di Napoli vuole diventare il nuovo salotto della città - ha commentato Battaggia - il luogo dove accogliere gli oltre 50milioni di viaggiatori che ogni anno passano di qui. Il 70% dei lavori sono pronti, il resto lo sarà a breve». Per l'assessore regionale ai Trasporti, Sergio Vetrella, la stazione è «la finestra d'ingresso della Campania». Grandi Stazioni lavora anche, fa sapere infine Battaggia, con il Comune di Napoli per realizzare, attraverso un project financing che servirà a realizzare la fermata della metropolitana della Linea 1 la quale, quando sarà completata, raggiungerà piazza Garibaldi.

Lotta al clan Mallardo

Sequestrati beni per 50 milioni di euro
GIUGLIANO. Ottantaquattro immobili (38 terreni edificabili e 46 fabbricati di pregio), ubicati in provincia di Latina, Napoli e Cosenza, 6 aziende, con sede nelle province di Napoli e Latina, operanti nel settore del commercio di autoveicoli e nel settore edilizio-immobiliare; quote societarie di un operatore economico operante nel settore della gestione di stabilimenti balneari; 15 auto e motoveicoli e 32 rapporti finanziari. Ammonta a 50 milioni di euro il valore dei beni sequestrati ieri nell’ambito dell’operazione ‘Tahiti’. I fratelli Giuliano, Michele e Luigi Ascione sono accusati dei reati di associazione a delinquere di stampo camorristico e di intestazione fittizia di beni aggravata dalle modalita’ mafiose. Effettuate 25 perquisizioni durante il blitz a cui hanno partecipato all’alba di ieri 16 reparti della guardia di finanza, impiegati 140 finanzieri, utilizzate 50 autovetture e un elicottero.

Il valore delle quote societarie ammontano a 219mila euro, sette le società, tra cui due ditte individuali, operanti nel settore del commercio di auto e nell’edilizia. Tra queste c’è il 20% del capitale sociale della ‘Tahiti administration service Srl’, società che gestisce lo stabilimento balneare di Fondi. Sotto chiave anche le ‘Autovia, Asci-1’, concessionarie di auto sia a Formia che a Giugliano sulla Circumvallazione esterna. In particolare, secondo gli inquirenti, la famiglia Ascione era legata a Domenico Dell’Aquila, uno dei fratelli di Giuseppe Dell’Aquila finito in carcere nel maggio dell’anno scorso.

‘Tahiti’ l’ultima delle 4 operazioni che hanno colpito al cuore il clan Mallardo.Arcobaleno. E’ la prima delle operazioni risalente al marzo 2010 furono eseguite 12 ordinanze di custodia cautelare in carcere e sequestrati beni per 500 milioni di euro di beni tra terreni, società, barche e conti corrente.
Caffe’ macchiato. Lo scorso maggio furono eseguite altre otto ordinanze e disposto il sequestro di altri 600 milioni di euro di beni nell’ambito dell’operazione ‘Caffè macchiato’ grazie a cui fu possibile accertare il coinvolgimento del capoclan Feliciano Mallardo nella gestione del caffè Seddio negli esercizi commerciali di Napoli e Provincia.
Aquila reale. Infine nello scorso ottobre fu arrestato un altro prestanome dei Mallardo ed eseguito un ennesimo sequestro pari a 200 milioni di euro di beni. In tutte quattro le operazioni è stata sottolineata dagli inquirenti la capacità speculativa dei Dell’Aquila, che, unita ad un’intensa forza intimidatoria, ha consentito al gruppo criminale investigato di infiltrarsi nel tessuto imprenditoriale non solo della Regione Campania, ma anche del basso Lazio e dell’Emilia Romagna, dove sono stati sistematicamente reimpiegati in vari settori economici ingenti capitali di provenienza illecita. Infatti, attraverso una serie di prestanome legati da vincoli affaristico-criminali ed anche da legami di parentela, la famiglia Dell’Aquila è riuscita ad investire notevoli risorse finanziarie, frutto delle svariate attività criminali del clan, nel settore immobiliare, edilizio, turistico-alberghiero, nel commercio di autovetture e nella gestione di parchi di divertimento, così inserendosi nei circuiti dell’imprenditoria legale e condizionando la libera concorrenza tra le imprese (regolari) operanti sul mercato.       
Mallardo: il sistema di un clan a due facce
GIUGLIANO. Cemento, commercio di autoveicoli e truffe assicurative. Sono i tre campi in cui operano insospettabili imprenditori al soldo del clan Mallardo per riciclare i soldi della cosca derivanti dalle attività illecite. Professionisti, colletti bianchi, imprenditori a cui sono intestate quote di società grandi e piccole. Così funziona il sistema del riciclaggio di denaro nel clan Mallardo, uno dei più potenti nell’area occidentale di Napoli come affermato solo pochi giorni fa dal procuratore Sandro Pennasilico, a capo della procura di Napoli ad interim dopo il pensionamento di Lepore. Un clan a due facce quello dei Mallardo, capace da una parte di racimolare ingenti somme di denaro attraverso il racket, il traffico di droga e le grosse speculazioni edilizie, grazie a una forte permeabilità nel tessuto socio-politico locale, come dimostrano le recenti inchieste, e dall’altra di ‘girare’ i soldi a persone insospettabili a cui vengono affidati i compiti di crescere il fatturato della cosca in modo ‘legale’. A penetrare nel basso Lazio con ingenti investimenti economici è stato il gruppo facente capo a Giuseppe Dell’Aquila. A Giugliano, invece, resta attiva la piovra dei Mallardo che forniscono denaro non solo a imprenditori e professionisti, ma anche a pensionati e personaggi con un reddito apparentemente normale a cui vengono affidate attività commerciali piccole e grandi. Negozi che aprono e chiudono nel giro di pochi anni, a volte mesi, che non pagano il pizzo poichè sono gestite, direttamente o attraverso interposte persone, direttamente dal clan. E proprio intrecciando i movimenti economici e bancari gli inquirenti sperano di individuare altri imprenditori al soldo del clan, proprio come erano i fratelli Ascione.

L'amarezza del Pm: i beni confiscati utilizzati solo al 10%.“E’ l’ultima di quattro operazioni condotte nell’ultimo anno e mezzo nei confronti del clan Mallardo, grazie alle quali si sono sequestrati beni per un valore di 1,3 miliardi di euro. Emerge ancora una volta la capacità dei sodalizi criminali di estendersi al di fuori dei confini della regione. Siamo preoccupati perchè abbiamo contezza del fenomeno. Serve l’impegno di tutti perchè si tratta di un problema su scala nazionale”. E’ quanto affermato dal procuratore aggiunto Alessandro Pennasilico nella conferenza stampa di ieri mattina in Procura. Il magistrato non nasconde “una punta di amarezza, perchè nonostante il massiccio ricorso ai sequestri, molti dei quali si traducono in confische, la capacità dello Stato di utilizzare queste risorse si riduce al 10%”. Pennasilico denuncia anche i tagli al settore “e le ristrettezze economiche e di personale nelle quali siamo costretti a operare. Nel lungo periodo, senza un inversione di tendenza, sarà difficile continuare a ottenere questi risultati. L’età media dei nostri amministrativi è di 58 anni e non c’èturn over”. Per il colonnello Virgilio Pomponi, comandante nucleo polizia tributaria di Roma, “l’operazione dimostra l’importanza dell’utilizzo delle indagini finanziarie per ricostruire i patrimoni dei clan e i rapporti con i prestanome”. Il gruppo facente capo ai fratelli Ascione, spiega tenente colonnello Andrea Fiducia della tributaria, operava nel basso Lazio con attività apparentemente estranee a logiche criminali. Era una costola del clan che si era infiltrata sul territorio grazie ai legami con Giuseppe Dell’Aquila, il boss arrestato nel corso di un’altra operazione contro la ‘famiglia’ di Giugliano in ambito laziale. “Si tratta di imprenditori dalla faccia apparentemente ‘pulita’ - precisa - ‘colletti bianchi’, che investivano a vantaggio dei clan nei settori delle costruzioni, della vendita di immobili e del commercio di autoveicoli”. E proprio sui colletti bianchi che si stanno concentrando le indagini della Dda di Napoli i quali stanno passando al setaccio conti correnti bancari di persone ritenute vicine al clan di Giugliano.
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L’arresto di Zagaria e l'omertà dei suoi concittadini

CASERTA. L’arresto di Michele Zagaria mercoledì in un covo ricavato in un villino sito nel pieno centro di Casapesenna ha creato, fra le altre cose, un interessante dibattito sul comportamento omertoso e/o connivente dei suoi concittadini. L’eccezionale servizio del giornalista Paolo Chiariello di Sky, con le sue interviste ai cittadini di Casapesenna subito dopo che si era sparsa la notizia dell’arresto, ha mostrato quanto ampio fosse il consenso di cui godeva il boss in paese; gli altri servizi dal luogo fatti dalle altre emittenti, con l’intervista anche di un parroco locale, hanno ulteriormente lasciato l’amaro in bocca, perché nemmeno dal sacerdote sono venute parole chiare di condanna per la camorra e per il boss super ricercato. Bene ha fatto, quindi, il direttore de Il Mattino Virman Cusenza ad evidenziare, nel suo fondo di giovedì, come gli arresti da soli appaiano incapaci di innestare un circolo virtuoso e come tantissimo sia il lavoro da fare per bonificare quelle terre, lavoro che non spetta solo a magistrati e poliziotti ma soprattutto alla politica ed alle istituzioni culturali. Pur essendo sicuro che c’è una parte dei cittadini di Casapesenna che – forse nel chiuso della loro abitazione e senza atti eclatanti - ha “festeggiato” il risultato investigativo non posso che sottoscrivere tutte le parole scritte dal direttore Cusenza, essendo io convinto da sempre che se non si prosciuga il “brodo di coltura” in cui i boss crescono e diventano potenti, gli arresti rischiano semplicemente di rendere più veloci soltanto i ricambi generazionali. Voglio, però, aggiungere a questo quadro certo a tinte non rosee, quanto ho verificato personalmente sia pure in contesti ed in ambienti diversi. Ho ricevuto, pur non occupandomi più da anni di indagini delle indagini sui casalesi e lavorando da oltre 4 anni in Cassazione, un numero incredibile di sms, mail o telefonate di persone, quasi tutte campane, con cui avevo avuto rapporti professionali o di conoscenza che intendevano parteciparmi la loro gioia per quanto accaduto. Alcuni, soprattutto quelli che non abitano a Napoli, hanno aggiunto che mai come in questi momenti si sono sentiti fieri della loro origine. Stessa cosa mi è capitato con le persone che ho incontrato; tantissimi mi hanno partecipato il senso di soddisfazione per l’arresto. So che la stessa cosa – ed in misura molto maggiore – sta capitando ai colleghi della DDA che si sono occupati delle indagini che hanno portato all’arresto dello Zagaria. Almeno a me non era mai successo di vedere, nelle nostre terre, una così corale ed ampia manifestazione di vero giubilo per un arresto di un boss; è un segnale positivo che forse non bilancia del tutto quelli di segno opposto che provengono dalle terre di Gomorra ma è comunque un segnale di grande speranza, per quell’impegno corale che potrà portarci a vincere davvero la lotta alle mafie.

Raffaele Cantone
Il Mattino il 09/12/11       

mercoledì 7 dicembre 2011

Arrestato Michele Zagaria: ha vinto lo Stato

CASERTA. Il boss Michele Zagaria, numero uno dei Casalesi, e' stato arrestato a Casapesenna, in provincia di Caserta. Quando, intorno alle 11.30, c'e' stata la certezza che nella villetta a Casapesenna di via Mascagni annessa a un fondo agricolo c'era il superaltitante Michele Zagaria, da oltre 15 anni la 'primula rossa' della camorra, l'entusiasmo ha preso i poliziotti che partecipavano all'operazione e si e' manifestato in grida, pacche sulle spalle e abbracci. Zagaria, uscito dall'abitazione, e' stato colto da malore. Per questo e' intervenuta un'ambulanza del 118. Detto 'Capastorta', il capo dei Casalesi e' l'ultimo del clan a essere catturato. A novembre 2010, infatti, era finita la latitanza di Antonio Iovine, detto 'o ninno', catturato dalla Mobile di Napoli, e a gennaio dell'anno precedente i carabinieri avevano preso Giuseppe Setola.

L'arresto di Michele Zagaria. Il boss ha tentatao la fuga, ma gli uomini della squadra Mobile di Napoli e di Caserta lo hanno inseguito scavando nei cunicoli del covo. Alle 12,22, su via Mascagni a Casapesenna ha iniziato a volteggiare l'elicottero della Polizia. In quel momento Michele Zagaria, capo del clan dei Casalesi, latitante da 17 anni e due giorni, è sbucato dal bunker dove si era nascosto nelle ultime ore. Si è affacciato alzando le mani in segno di resa: «Avete vinto voi, sono io». La cattura è arrivata dopo oltre un'ora di trattativa a distanza. Zagaria era stato individuato nel sotterraneo dal quale però, a causa di una interruzioine dell'energia elettrica procurata dalla stessa polizia non riusciva più a uscire, incastrato, come un topo, così come aveva vissuto dal 5 dicembre del 1995, data in cui si era sottratto al blitz dell'operazione Spartacus. Durante quell'ora, temendo che la polizia potesse aprire il fuoco, ha più volte ripetuto: «non sparate, non sparate, voglio uscire...».Sul posto, una stradina quasi nel centro del paese, sono arrivate decine di persone: curiosi, ma soprattutto poliziotti, carabinieri, finanzieri e tutti i magistrati della DDa che nel tempo si sono succeduti nel coordinamento delle indagini sulla cattura del latitante numero uno della camorra. Commosso, quasi in lacrime il pm Catello Maresca. Sorridente il coordinatore Federico Cafiero de Raho, accompagnato dai colleghi Marco del Gaudio e Raffaello Falcone. (Fonte Il Mattino)

CASERTA. Michele Zagaria, detto 'Capastorta' nato il 21 maggio 1958, e' soprannominato ''Capastorta'' ed era da tempo considerato l'ultimo grande latitante dei Casalesi. E' nato a San Cipriano d'Aversa, in provincia di Caserta ma e' residente a Casapesenna (Caserta). Era ricercato dal 1995. La sua specializzazione e' il settore edile ed e' accreditato di grande capacita' manageriale. E' stato in grado di mettere insieme, in un giorno di chiusura delle banche, 500 mila euro per l'acquisto di un immobile a Parma. Le sue imprese casertane sono riuscite ad imporsi sul mercato nazionale non solo praticando prezzi concorrenziali ma anche garantendo costantemente sui cantieri uomini e mezzi e tempi ridotti per la realizzazione delle opere. In uno dei processi che lo hanno visto imputato, e' stato condannato a 3 anni e 4 mesi di reclusione anche il suocero di Pasquale Zagaria, Sergio Bazzini, imprenditore di Parma del settore del cemento, con interessi a Milano, Parma e Cremona. Gli investigatori ritennero Bazzini - del quale Zagaria aveva sposato la figliastra - una testa di legno del boss per controllare gli interessi del clan tra Emilia Romagna e Lombardia. Il ''feudo'' di Zagaria e' il triangolo tra Casapesenna, San Cipriano d'Aversa e Casal di Principe, dove il boss e' proprietario di un impero di milioni di euro accumulati con la droga, le estorsioni ed il controllo degli appalti. Il potere del boss si fonda proprio sul controllo del territorio. ''A partire dal 2001 e fino a poco prima del mio arresto - ha messo a verbale un pentito dei Casalesi, Emilio di Caterino - per le grosse estorsioni, qualunque fosse il territorio in cui esse avvenivano e qualunque fosse la fazione dei Casalesi che aveva il controllo di quel territorio, il denaro comunque arrivava a Michele Zagaria, il quale provvedeva a distribuirlo fra tutti''. (Ansa)


sabato 3 dicembre 2011

Lotta ai casalesi

Sequestro per 8 milioni di euro ai Casalesi

CASERTA. I finanzieri del Nucleo di polizia tributaria di Roma e i poliziotti della Squadra mobile della Questura di Latina da alcune ore stanno eseguendo numerosi arresti e sequestri nei confronti di un gruppo camorristico operante nel basso Lazio, diretta espressione del clan dei Casalesi e attivo nel racket delle estorsioni. Tra i beni in mano al clan anche un ristorante sull'isola di Ponza, uno yacht e diverse societa'. I dettagli dell'operazione - ribattezzata "Golfo" - saranno illustrati dagli inquirenti nel corso di una conferenza stampa in programma alle 11 presso la procura della Repubblica di Napoli. Sono 8 le ordinanze di custodia cautelare in carcere per associazione di tipo mafioso eseguite da Guardia di finanza e Polizia di Stato impegnate nell'operazione "Golfo" tra Formia e Latina. Gli arrestati hanno come riferimento il clan Bardellino, del gruppo dei Casalesi, frangia Schiavone. Il valore dei beni sequestrati e' di circa 8,5 milioni di euro: si tratta di 12 immobili, di 5 societa' e di un noto ristorante sull'isola di Ponza. Nella rete degli investigatori sono caduti nomi eccellenti della camorra casalese, tra cui Angelo e Calisto Bardellino, nipoti dello storico boss 'dei casalesi' Antonio Bardellino ucciso in Brasile nel 1988, e figli di Ernesto, gia' Sindaco di San Cipriano d'Aversa (CE). Il valore complessivo dei beni sottoposti a sequestro e' stimato in circa 8,5 milioni di euro. (Agi)

Sette arresti nel clan dei casalesi ala Zagaria

CASERTA. Alle prime ore di oggi il Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato e le Squadre Mobili di Caserta e di Napoli hanno arrestato in esecuzione di un provvedimento cautelare, emesso dal GIP del Tribunale di Napoli, su richiesta della Direzione Investigativa Antimafia del capoluogo campano, sette persone affiliate al clan dei Casalesi-ala Zagaria, responsabili in concorso di associazione per delinquere di stampo mafioso ed estorsioni, aggravate dal metodo mafioso, a danno di imprenditori della provincia di Caserta e del basso Lazio. Le 7 ordinanze di custodia cautelare sono state eseguite nei confronti di esponenti di primo piano del clan dei Casalesi, in particolare della fazione che fa capo al latitante Michele Zagaria. Destinatari dei provvedimenti sono, tra gli altri, i fratelli del boss Pasquale e Carmine, il cugino Pasquale Fontana e l'attuale reggente del gruppo, Michele Fontana.
 Le indagini si sono avvalse delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Nicola Cangiano; quest'ultimo ha riferito, tra l'altro, di una riunione tra il killer Giuseppe Setola, il figlio di ''Sandokan'', Nicola Schiavone, e il capoclan Antonio Iovine, all'epoca latitante e oggi detenuto, in cui si decise di attentare alla vita di alcuni magistrati. Nel mirino dei Casalesi c'erano in particolare i pm Catello Maresca, Cesare Sirignano, Alessandro Milita e Franco Roberti, oggi procuratore di Salerno. Tra i reati contestati l'estorsione, ammonante a circa 450mila euro, a danno di un imprenditore edile casertano per la costruzione di uno dei centri commerciali piu' grandi della provincia di Caserta. Gli arrestati, dopo le formalita' di rito, sono stati portati alla Casa Circondariale di Secondigliano.
La maxi-tangente imposta dai Casalesi da 450mila euro riguarda la costruzione del Centro commerciale Campania. I sette provvedimenti restrittivi emessi dal gip, oltre che i fratelli del superlatitante Michele Zagaria, Carmine (gia' arrestato nei mesi scorsi e poi scarcerato dal Riesame) e Pasquale, riguardano anche il cugino Pasquale Fontana e il reggente del gruppo a Casapesenna Michele Fontana. Dalle intercettazioni ambientali e telefoniche si evince, sottolinea l'aggiunto Federico Cafiero de Raho, che coordina la Direzione distrettuale antimafia di Napoli, che il boss dalla latitanza ha delegato i suoi familiari alla gestione delle attività economico-criminali del gruppo, la cui forza e capacità di infiltrazione nel tessuto imprenditoriale sono tali da condizionarlo anche a livello nazionale.
Gli affiliati al clan si distinguono dal look.I fedelissimi di Michele Zagaria indossano solo scarpe Samsonite, quelli di Francesco Schiavone le Hogan: all'interno del clan dei Casalesi gli affiliati si distinguono dal look. Lo racconta il collaboratore di giustizia Nicola Cangiano, le cui dichiarazioni sono contenute nell'ordinanza di custodia cautelare notificata oggi a sette persone. ''Nell'ambiente - afferma Cangiano - certe cose si capiscono subito ed il gruppo Zagaria anche nel carcere ha un modo di comportarsi e di stare insieme che si nota subito ed è diverso da tutto il resto della platea dei detenuti. Peraltro è anche un gruppo all'interno del quale anche per noi alleati è difficile entrare''. ''Stanno sempre fra di loro - continua Cangiano - e tendono a non aprirsi con gli altri. Addirittura nel vestiario si distinguono. Vestono tutti scarpe Samsonite, vestiti di marca e finanche calzini di cachemire. Si vede in sostanza che continuano a percepire cospicui stipendi da parte del clan. Le Hogan sono prerogativa degli Schiavone come la barba curata e i capelli senza gelatina, come imposto da Schiavone Nicola (il figlio di 'Sandokan', ndr)''.

Preso il reggente del clan D’Agostino-Bottone

SANT'ANTIMO. Antonio D’Agostino di 39 anni, è ritenuto l’attuale reggente del clan D’Agostino-Bottone e, sino a la notte scorsa, era latitante da 8 mesi. A catturarlo, in un’abitazione a Sant'Antimo, sono stati gli agenti del Commissariato di polizia di Frattamaggiore. L’uomo si era reso irreperibile dal 25 marzo 2011, quando nei suoi confronti era stata emessa, dal Gip del Tribunale di Napoli un'ordinanza di custodia cautelare in carcere, perché indagato per il reato di associazione per delinquere di tipo mafioso. Gli agenti, nel corso dell’operazione di polizia, dopo aver circondato l’edificio dove l’uomo aveva trovato rifugio, hanno fatto irruzione in un appartamento ubicato al piano rialzato, sorprendendolo mentre tentava di guadagnare la fuga nel vano scale, al fine di raggiungere il piano superiore. Alla vista dei poliziotti, l’uomo ha desistito nel suo intento rientrando nell’appartamento.
Nel corso della perquisizione, all’interno dell’appartamento, arredato solo da un letto, un tavolo con una sedia ed un televisore, gli agenti hanno rinvenuto e sequestrato, una borsa in stoffa, contenente hashish utile al confezionamento di 90 dosi, il tutto occultato nell’intercapedine di una parete di una stanza in costruzione mentre, nel vano scale, ove l’uomo aveva tentato la fuga, nascosta tra alcune suppellettili, è stata rinvenuta una pistola beretta cal.9x21 completa di caricatore con 15 cartucce. I poliziotti hanno arrestato D'Agostino anche per i reati di detenzione abusiva di arma comune da sparo, detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente, denunciandolo in stato di libertà per i reati di detenzione abusiva di munizionamento comune da sparo e parabellum, ricettazione dell’arma e del relativo munizionamento.
Il proprietario dell’appartamento, S.V., è stato denunciato, in stato di libertà, perché responsabile del reato di favoreggiamento personale. Gli agenti hanno condotto l’uomo al Centro Penitenziario di Secondigliano.

Tangenti al clan per la raccolta e le ecoballe

di Leandro Del Gaudio
NAPOLI - Ventimila euro al mese a un capoclan di Acerra per garantire il deposito di ecoballe di rifiuti; altre ventimila euro al mese per dare il nulla osta alla raccolta dei rifiuti.
Anno 2011 (14.mo dall’inizio della crisi rifiuti) funziona ancora così il sistema nel Napoletano e in una fetta della Campania, almeno a leggere gli ultimi esiti investigativi di un’inchiesta della Dda di Napoli.
Traffico di armi, il progetto di un attentato contro pm e forze dell’ordine, poi i rifiuti. Poche righe, una traccia sul taccuino degli investigatori, per il momento uno spunto investigativo nell’ultima inchiesta sull’emergenza rifiuti. C’è un pentito che sta raccontando come funzionano le cose quando si tratta di autorizzare stoccaggi o di favorire la semplice raccolta della spazzatura. Si chiama Pasquale Di Fiore, classe 1982, da ottobre scorso ha abbandonato piani stragisti contro la Dda di Napoli e ipotesi revanchiste contro boss di antico lignaggio, per cominciare a raccontare il giro di denaro legato ai rifiuti.
Non c’entrano, almeno in prima battuta, i clan dei casalesi - i primi in Campania a trasformare l’immondizia in oro - o meglio non c’entrano per quanto riguarda la zona vesuviana.
Poche parole agli atti nell’ambito dell’inchiesta condotta dai pm Enzo D’Onofrio (finito al centro di un progetto di attentato a colpi di bazooka) e Francesco Valentini, possibile ricostruire lo scenario d’insieme: sui rifiuti, sulle grandi commesse messe in moto da siti di trasferenza, piazzolle di ecoballe, stoccaggi e raccolta, sembra che non ci siano rancori che tengano. I soldi arrivano ai clan delle rispettive zone di competenza. Niente spargimenti di sangue, niente allarme sociale, ma moneta corrente assicurata alla famiglia o allo schieramento che ha la gestione del territorio.
Di questa storia di rifiuti convertiti in denaro, il pentito Pasquale Di Fiore parla nell’interrogatorio in cui illustra il piano per colpire a morte il pm D’Onofrio («per il suo accanimento investigativo finalizzato alla distruzione di massa dei camorristi acerrani») e un maresciallo della compagnia dei carabinieri di Castello di Cisterna. Un piano originariamente a prova di pentiti, da trattare con pochi interessati, gli stessi che hanno le chiavi delle casse delle estorsioni sui rifiuti.
Ecco cosa racconta il pentito nel verbale trasmesso dalla Procura generale di Napoli alla Corte d’appello, dove è in corso il secondo grado di giudizio per una decina di presunti boss e gregari della zona vesuviana: «In quel periodo, per dimostrare la buona fede nell’accordo che cercavamo di raggiungere, ho fatto incontrare mio zio Michelangelo con Giuseppe Avventurato, che fa parte del gruppo di Antonio Aloia (uno che chiedeva lo svecchiamento delle gerarchie criminali a colpi di morti ammazzati, ndr). Dovevamo fare un incontro con il clan Moccia di Afragola (una famiglia che, tramite il suo penalista Saverio Senese, ha sempre rivendicato la propria estraneità rispetto alle accuse per fatti di camorra e malaffare, ndr), in relazione alla tangente di 20mila euro che io ricevevo mensilmente dai due fratelli per il deposito di ecoballe e poi altri ventimila euro al mese per la raccolta dei rifiuti».
Soldi cash, c’è l’ipotesi di una cassa comune, sulla falsariga si quanto avveniva negli anni Ottanta con la Nuova famiglia nella gestione delle grandi commesse post terremoto: i soldi arrivano a tutti, in relazione al peso specifico di un clan in una zona interessata da un appalto o da un’opera pubblica. Anche qui sembra che ci sia una joint venture del crimine capace di assicurare tangenti di ventimila euro mensile per il doppio ingombro: quello delle ecoballe depositate anche in una parte di territorio vesuviano e quello della raccolta dei rifiuti su una zona più circoscritta. Piazzate in un ampio territorio del Casertano, le ecoballe sono state per anni al centro di scontri politici e di indagini giudiziarie.
Oggi, c’è un collaboratore di giustizia di ultima generazione che sembra fare luce sull’indotto legato alla gestione di siti di stoccaggio e di conferimento. Inchiesta in corso, tanti omissis al centro di un verbale fresco di deposito. Non è impossibile immaginare le mosse degli inquirenti, a partire dallo spulcio degli imprenditori dell’area aversana interessata dai conferimenti di rifiuti. Armi, attentati e soldi, dicevamo. E imprese private: l’ultima fonte d’accusa è quella di un pentito di trent’anni non ancora compiuti, che probabilmente sa poco su cosa è accaduto nelle prime fasi dell’emergenza rifiuti, ma può fare i nomi dei signori della «monnezza» di ultima generazione.