mercoledì 23 novembre 2011

7 anni fa la tortura di Gelsomina Verde, vittima di camorra dimenticata. Clownterapia ai bimbi per ricordarla

di Giuseppe Crimaldi
NAPOLI - Da un lato il dolore, quello che resta e non si stempera mai, nemmeno con il passare del tempo. Dall’altro la speranza: il motore che aiuta ad andare avanti, un turbo salutare , soprattutto quando si riesce a coniugare concretamente impegno e solidarietà.
Sette anni fa veniva assassinata brutalmente Gelsomina Verde, la ragazza di San Pietro a Patierno finita senza colpa nel novero delle vittime della prima faida di camorra di Secondigliano, quella combattuta tra i Di Lauro e gli Amato-Pagano. Vittima innocente. Morta solo perché, tempo prima, aveva avuto la sventura di conoscere la persona sbagliata: un giovane finito nella lista nera dei killer di «Ciruzzo ’o milionario» considerato traditore e pertanto oggetto di vendetta immediata.
Gli aguzzini della camorra partiti dal Rione dei Fiori la sequestrarono per strada, attirandola in una trappola con l’inganno; poi la seviziarono, infliggendole sofferenze atroci, pur di ottenere dalla ragazza una verità che non avrebbe mai potuto rivelare: il luogo in cui si nascondeva il «traditore».
Sette anni dopo nulla è cambiato per la famiglia di Gelsomina Verde. La giustizia ha fatto un corso molto parziale (di tutti gli indiziati dell’omicidio uno solo è stato condannato con sentenza passata in giudicato); ma soprattutto di Gelsomina sembra si siano dimenticati tutti. A cominciare dalle istituzioni. Non una targa, non una sola commemorazione, nemmeno una corona di fiori della Municipalità a testimoniare la presenza dello Stato che - troppe volte - dimostra memoria cortissima soprattutto in zone nelle quali vivere continua a essere difficile. Soprattutto nell’area nord di Napoli.
Chi invece non dimentica sono i familiari della povera ragazza. A cominciare dal fratello Francesco, che stamattina - e qui il dolore si trasforma in speranza e impegno sociale - vorrà ricordare la data dell’uccisione di sua sorella con la sua organizzazione «Progetto per la vita Onlus», che da tempo si dedica ad alleviare le sofferenze dei bimbi negli ospedali pediatrici. La parola magica è: clownterapia. Tra le corsie della sofferenza degli ospedali pediatrici Francesco e il gruppo di ragazzi che con lui animano le giornate dei piccoli degenti ricorderà sua sorella, senza mai nominarla.
«È il modo più bello per farlo - spiega - che serve anche a superare le amarezze mie e dei miei genitori, ormai completamente abbandonati dallo Stato». Chi non ha mai abbandonato Francesco è invece il pubblico ministero Giovanni Corona, a suo tempo titolare dell’inchiesta sulla faida di Secondigliano. L’appuntamento è per le 10,30 nel reparto di pediatria dell’ospedale della Annunziata, diretto dal professor Antonio Correra. Ci sarà anche l’ex assessore comunale all’Ambiente Rino Nasti.
«Tinteggeremo tutte le stanze di degenza - spiega Francesco Verde - Sei locali sono già terminati, grazie alla contribuzione offerta dal dottor Gianfranco Lombardi che dirige l’Istituto vendite giudiziarie. Ne restano altrettanti da fare. Colori vivaci e forti alle pareti, perché la gamma cromatica quanto più è luminosa tanto più aiuta e solleva il morale dei piccoli degenti. Poi vi applicheremo figure di personaggi dei cartoni animati con carta lucida gommata: e avremo la stanza del re Leone, quella di Peter Pan e così via».
Particolare importante: tutto verrà fatto a spese dei ragazzi della Onlus. E peccato che domani all’appuntamento non ci sarà il sindaco di Napoli. «A de Magistris - dice Francesco - avevo portato io stesso l’invito in Comune. Ma non mi hai contattato, e questa è certamente una piccola delusione per tutti noi».
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Al Vomero una «piazza della legalità» intitolata a Giancarlo Siani

NAPOLI - Una «piazza della legalita» intitolata a Giancarlo Siani, giornalista de 'Il Mattinò ucciso dalla camorra il 23 settembre 1985. È il progetto annunciato dal sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, in occasione dell'inaugurazione della nuova biblioteca del Palazzo di Giustizia di Napoli intitolata a Girolamo Tartaglione, magistrato assassinato il 10 ottobre 1978 e il cui omicidio fu poi rivendicato dalle Brigate Rosse. «È un progetto molto ambizioso - spiega de Magistris - che lanceremo il 26 novembre, sarà esposta la macchina di Giancarlo per un giorno e lanceremo un concorso per i giovani sul tema della legalità». Il largo che sarà intitolato a Siani è quello noto come rotonda di Via Caldieri, nel quartiere Vomero, rinnovata di recente. «La legalità - aggiunge il sindaco di Napoli - è qualcosa di profondo, ha radici nella Costituzione e nei sacrifici che tante persone fanno ogni giorno, da chi ci ha rimesso la vita come Siani e Tartaglione come altri che pagano prezzi altissimi per difenderla». L'amministrazione, conclude, «ha attivato un percorso molto serio sulla legalità, di cui il 26 novembre sarà solo una delle tante tappe».

Arrestato uno dei killer di Flagiello boss che sfidò il clan Verde a S. Antimo

NAPOLI - I carabinieri hanno arrestato uno degli esecutori materiali dell' omicidio del pregiudicato Bruno Antimo Flagiello, affiliato al clan camorristico Verde, avvenuto il 16 novembre 2005 a Sant' Antimo.
Si tratta di Antonio Picciulli, 31 anni, genero del boss Antonio Verde, detto «capuzzella».

Alla sua identificazione si è giunti grazie alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia: Giannantonio Masella, Giuseppe Storace, Salvatore Tixon.

Secondo quanto appreso dagli investigatori l'omicidio di Flagiello sarebbe stato deciso all'interno dello stesso clan Verde per punire alcuni suoi comportamenti e l'insofferenza agli ordini dell' organizzazione criminale. Oltre ad aver avuto ad un litigio con Picciulli, la vittima aveva esploso colpi di pistola contro il negozio di Marta Puca, moglie di Antonio Verde, aveva minacciato con una pistola il figlio, Italo, ed avrebbe esploso colpi di pistola contro il cancello dell' abitazione di un altro esponente del cla, Antonio Verde, detto «'O Ferraro».

Picculli è stato trasferito nel carcere di Poggioreale in attesa dell' interrogatorio di garanzia che sarà fissato dal gip.

Bruno Antomo Flagiello, 37 anni, soprannominato «Scapece», pregiudicato per numerosi reati, fu raggiunto la sera del 16 novembre 2005 dai killer a bordo di una moto in via S. Anna, una traversa di via Trieste e Trento, periferia di Sant' Antimo, non lontano dalla sua abitazione.

Accortosi dell' arrivo dei sicari, il pregiudicato cercò di fuggire correndo a zig-zag, ma fu raggiunto e colpito da tre proiettili esplosi e distanza ravvicinata.

sabato 19 novembre 2011

Il Monte Faito come Colombia e Messico. I contadini cacciati dai narcotrafficanti

di Pietro Treccagnoli - INVIATO
GRAGNANO - Effettivamente visto da Castellammare il monte Faito incombe come un enorme canapone che, se sei portato allo sballo, te lo fumeresti tutto. Sarà stato anche questo ad averlo fatto eleggere a terra consacrata per le piccole piantagioni di canapa indiana , di orticelli di marijuana casalinga, quasi fossimo nella Colombia o nel Messico dei narcos, quelli trattano coca che è un altro pianeta.
A sentire il sindaco di Gragnano, Annarita Patriarca, ci siamo già. E da tempo. Lei l’ha denunciato pubblicamente: «I contadini delle nostre terre sono stati minacciati dai clan. Prima qui si coltivava il grano, ora la droga». Non è una novità, piuttosto una conferma politica. I carabinieri in questi anni hanno fatto centinaia di sequestri e hanno stilato raffiche di denunce.
Ma, c’è poco da fare: canna di montagna, il gusto ci guadagna. Stabia come Medellin? Sarà, sui Lattari le piantagioni (facciamo vivai, dai) proliferano, ma sono diffuse pure in pianura, nel Nolano, nel Giuglianese, nel Frattese, dove sessant’anni fa l’italianissimaa canapa era coltivata industrialmente ad uso tessile. Ora da quelle parti i contadini sono minacciati (o comprati) per chiudere un occhio sull’interramento dei rifiuti tossici. Dalla gloria mundi alla gloria immundi.
E risaliamola, allora, la montagna incantata, che regala qualche angolo segreto da dove godersi Napoli ancora più lontana di quanto le concede la geografia. Perché quassù ci si addentra in un altro territorio mentale tra i fazzoletti di vigneti, i piccoli orti dove le contadine con il fazzoletto stretto al mento si piegano a zappare, gli ulivi superstiti, i filari di castagni invadono le strade che diventano sempre più strette fino a scomparire e ti ritrovi in un prato come un terrazzo sul golfo, le chiesette dei borghi sopra Casola, Caprile, Aurano, gli altarini di giovani vite spezzate da un incidente, i ristoranti aperti solo di sera e nei weekend e che vanno oltre il panuozzo della gente di pianura, gli agriturismo e l’ultimo striscione maltrattato dal vento, davanti a un viottolo sterrato e a una staccionata fradicia, che promette «L’Angolo di Paradiso» e tu, per un attimo, speri di essere approdato alla metà, dove il mantra potrebbe essere «io sballo da solo», perché, tutt’attorno non c’è anima viva neanche a pagarla.
Diciamo che non sembra di essere penetrati in territorio controllato. Quindi è terra di nessuno, non fosse altro per la sua configurazione orografica, oltre che per il carattere dei nativi. Se chiedi in giro della faccenda della marijuana, nessuno ti contraddice. Confermano. La coltivano, certo. Ma non qui a Gragnano, ma ad Agerola o sul famigerato Monte Mègano. «Volete andarci?» chiede meravigliato Antonio, un contadino piccoletto e con i mobilissimi occhi azzurri sotto cappellino da baseball. «Ma ce l’avete l’elicottero o almeno un Suv?».
E se la ride. Poi racconta che lì sopra chiunque può fare quello che gli pare. «La droga» continua, provando a dirottare sospetti il più lontano possibile «la trattano i caprai delle montagne». Sembra roba di una novella di Verga, macché, parla sempre di Agerola: «Quelli recintano un campo, ci allevano gli animali, alla fine spianano il letame, che è un bel concime, e così le piante di droga crescono belle grosse». E chi lo ferma più: «Quelli sembrano cafoni, ma hanno la faccia tagliata. Sapete che mi ha detto uno di loro? Tu pianti le patate e le patate ti trovi».
E le minacce? «Dove c’è guadagno, spesso non serve nemmeno minacciare». Giù nella Valle dei Mulini, perché un tempo Gragnano era terra di pastai, ora sono solo ruderi che altrove avrebbero attirato investimenti turistici, ma qui servono per raccogliere sfravecatùre da abusi edilizi, tra le prime ombre accanto a un torrente secco, c’è pure chi confessa che coltivare erba da fumare può essere un affare senza rischi. Prendi, incarta e porta a casa. «E chi ti vede?» spiega, giusto per farti fare la figura del fesso, Eugenio un piccolo imprenditore che si occupa di coperture di tetti.
«Ma poi può capitare che ti ritrovi la droga in casa e nemmeno lo sai». Marijuana in incognito, mi faccia capire? «Qualche tempo fa ho trovato tre vasi con la canapa dietro il mio cantiere, in una zona appartata. Mica sono stato a chiedermi chi li aveva messi?». Chi li aveva messi? «E che ne so? Quelli la nascondono dove possono. E la spostano».
Sembra una barzelletta, mi scusi. «Io, comunque li ho presi, e li ho buttati giù nel vallone. Non voglio passare guai». Tutti sanno tutto. Ne parlano tranquillamente. E per qualcuno è un business come un altro. Ognuno è al corrente, ma nessuno va a denunciare. Non è solo omertà, c’è, neanche sotto sotto, qualche interesse. Di fronte ai soldi, che vuoi che sia uno spinello. È fenomeno così scoperto che nei ristoranti, alla sera, può capitare di vederti offrire un ammazzacaffé alla cannabis. «È successo proprio a me» confessa Paola, un’impiegata.
«Ero con degli amici e avevamo appena finito di cenare in un locale sopra il Faito, quando il gestore ci ha offerto un liquore speciale. Ha detto: se indovinate con che roba è fatto, vi regalo l’ultima bottiglia che mi è rimasta». Lei non l’ha bevuta, però. E i suoi amici non hanno avuto reazioni particolari. Quassù le guance sono rubizze. E non sempre è per il freddo che a novembre è già pungente. «La sera a me» riprende il saggio Antonio «basta una fetta di provolone, magari del Monaco, un pezzo di salame paesano e un bicchiere di Gragnano fresco. La droga mia è questa».
Sarà, ma l’impressione di essere burlati è forte assai. I vigneti sono sempre più raggrinziti e quei fumi che punteggiano la florida schiena del Faito, non saranno cannoni (sono solo rami secchi, infatti) eppure annebbiano la vista.

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venerdì 18 novembre 2011

Maxiblitz contro clan Di Lauro. Sequestrati 588 immobili

NAPOLI - Operazione della Guardia di finanza contro il clan Di Lauro. I militari del Comando provinciale di Napoli, con l'ausilio di elicotteri del reparto aeronavale, hanno eseguito il sequestro emesso dalla Dda di Napoli di 588 immobili , alcuni dei quali completati ed altri in fase di ultimazione (194 appartamenti, 194 box, 194 posti auto e 6 negozi), una vasta lottizzazione di oltre 50.000 mq. e quattro società di costruzioni ed immobiliari a Melito di Napoli. I beni oggetto di sequestro, per un valore commerciale di oltre 10 milioni di euro, fanno sapere le Fiamme Gialle, rappresentano il riciclaggio dei proventi delle attività delittuose del clan Di Lauro.
L'indagine vede coinvolte 29 persone tra amministratori comunali, componenti di organismi tecnici e gestori di società. Tra loro figurano due ex sindaci, uno dei quali, Alfredo Cicala, è già stato condannato in passato per associazione camorristica. I reati che il pm Maria Cristina Ribera contesta loro vanno dalla lottizzazione abusiva al falso in atto pubblico alla truffa edilizia aggravata. Gli investigatori hanno accertato che, per consentire la costruzione degli edifici, erano state emanate delibere illegali, non approvate dal consiglio comunale.
Melito: sequestrato il parco «Primavera»

MELITO. Operazione della Guardia di finanza contro il clan Di Lauro. I militari del Comando provinciale di Napoli, con l'ausilio di elicotteri del reparto aeronavale, hanno eseguito il sequestro emesso dalla Dda di Napoli di 588 immobili, alcuni dei quali completati ed altri in fase di ultimazione (194 appartamenti, 194 box, 194 posti auto e 6 negozi), una vasta lottizzazione di oltre 50.000 mq. e quattro societa' di costruzioni ed immobiliari aMelito di Napoli. I beni oggetto di sequestro, per un valore commerciale di oltre 10 milioni di euro, fanno sapere le Fiamme Gialle, rappresentano il riciclaggio dei proventi delle attivita' delittuose del clan Di Lauro.

L'operazione è stata battezzata "Primavera" dal nome che era stato dato al "parco", ossia all'insieme di immobili edificati illecitamente. Nel mirino delle Fiamme Gialle, in particolare, una delibera di Giunta attraverso la quale si dava il via libera alla lottizzazione, atto che però dovrebbe essere assunto dal Consiglio comunale. Tutta la lottizzazione, dunque, sia dal punto di vista negoziale sia giuridico, è stata il frutto di un abuso, senza tener conto nemmeno del piano regolatore comunale, e compiuta da ex sindaci, assessori e dipendenti degli uffici tecnici comunali.

L'indagine vede coinvolte 29 persone tra amministratori comunali, componenti di organismi tecnici e gestori di societa'. I 29 indagati nell'inchiesta contro il clan Di Lauro che ha portato al sequestro di 588 immobili sono in gran parte ex amministratori e tecnici del Comune di Melito (Napoli), dove la presenza del clan Di Lauro è da anni molto forte. Tra loro figurano due ex sindaci, uno dei quali, Alfredo Cicala, è già stato condannato in passato per associazione camorristica. I reati che il pm Maria Cristina Ribera contesta loro vanno dalla lottizzazione abusiva al falso in atto pubblico alla truffa edilizia aggravata. Gli investigatori hanno accertato che, per consentire la costruzione degli edifici, erano state emanate delibere illegali, non approvate dal consiglio comunale. (Fonte Ansa)

Preso a Mugnano il reggente degli scissionisti

MUGNANO. Un duro colpo alla camorra di Secondigliano è stato inferto questa mattina (domenica 13 novembre 2011, ndr) dagli agenti di polizia. La latitanza di Fortunato Murolo, reggente del clan Amato-Pagano, i cosiddetti “scissionisti”, è finita stamane, poco dopo le 8, in un villino di Mugnano. L’uomo, alla guida della cosca che diede inizio alla sanguinosa faida di Secondigliano e Scampia contro il clan Di Lauro, era sfuggito a una precedente retata del 19 maggio 2009, quando la polizia emise 109 ordinanze di custodia cautelare che misero in ginocchio la cosca. A far scattare le manette sono stati i poliziotti della sezione Narcotici della squadra mobile di Napoli. Murolo era ancora a letto, in una villetta di via Luca Giordano, nel comune a nord di Napoli, dove era andato per incontrare la moglie. L’accusa nei suoi confronti è associazione per delinquere di stampo mafioso. Murolo era da sempre un uomo di fiducia dei fratelli Raffaele ed Elio Amato, e di Cesare Pagano. Nel tempo ha scalato posizioni all’interno del clan. La sua ascesa è coincisa con gli arresti che hanno via via distrutto la cosca, con la cattura di Elio Amato e Cesare Pagano in provincia di Napoli, di Carmine Amato, ai Camaldoli, e di Domenico Antonio Pagano, reggente fino allo scorso febbraio. All’arresto dei capi è poi seguita la disarticolazione interna, con le varie retate della polizia, tra cui quella del 19 maggio, in cui furono arrestati 66 affiliati su un totale di 109 ordinanze di custodia cautelare.

A Mugnano per curare gli affari del clan
MUGNANO. Era sfuggito alla maxiretata del 19 maggio del 2009, 109 ordinanze di custodia cautelare che misero in ginocchio il clan Amato-Pagano (i cosiddetti 'Scissionisti'), diventando nel tempo l'attuale reggente della cosca di Secondigliano protagonista per anni a Napoli della sanguinosa faida di Scampia. La latitanza di Fortunato Murolo, 40 anni, è finita ieri mattina poco dopo le 8 in una villetta di Mugnano, in via via Luca Giordano. Ad arrestarlo sono stati i poliziotti della sezione Narcotici della Squadra Mobile di Napoli, da tempo sulle sue tracce. Gli agenti della Questura partenopea in seguito ad accuratissime e minuziose indagini hanno arrestato in esecuzione di un provvedimento di custodia cautelare in carcere Fortunato Murolo, 40anni, cognato di Elio Amato bloccato dagli stessi poliziotti nella primavera del 2009 sempre in esecuzione della stessa ordinanza. L’uomo aveva deciso di rincontrare la moglie dopo tre lunghissimi anni di latitanza e insieme a lei è stato trovato nella villetta di Via Giordano. Murolo ha sempre rivestito un ruolo di fondamentale importanza fin da prima degli arresti del 2009. Uomo di fiducia dei fratelli Raffaele ed Elio Amato e Cesare Pagano aveva il compito di ragioniere degli affari del clan, per poi ricoprire un ruolo di maggior responsabilità quale reggente in seguito agli arresti dei capo clan Raffale Amato avvenuto in Spagna mentre Elio Amato e Cesare Pagano nella provincia napoletana ed in ultimo Carmine Amato arrestato ai Camaldoli. Questo suo ruolo lo aveva portato ad avvicinarsi al territorio, lasciando un nascondiglio più sicuro, mettendo sulle sue tracce gli uomini della squadra mobile. Fortunato Mutolo è ritenuto responsabile dei reati di associazione per delinquere di tipo mafioso art. 416 bis.

sabato 12 novembre 2011

Operazione contro il clan dei Casalesi: 35 arresti

AVERSA. I carabinieri del comando provinciale di Caserta e del reparto territoriale di Aversa hanno eseguito un'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip presso il tribunale di Napoli, su richiesta dei pm della Direzione Distrettuale Antimafia. L'ordinanza e' stata consegnata a 35 presunti esponenti del clan Schiavone-Bidognetti. Gli indagati sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa, omicidio, estorsione, usura e traffico di droga. Duecento carabinieri di Caserta hanno eseguito gli arresti. Alla ricerca degli indagati hanno contribuito anche due elicotteri dell'Elinucleo dei carabinieri. Gli arresti sono stati eseguiti in diverse citta' italiane. I carabinieri tuttora stanno eseguendo decine di perquisizioni, non solo nelle abitazioni degli indagati. Tra i 35 destinatari del provvedimento restrittivo, ci sono anche il figlio del boss Francesco Bidognetti detto Cicciotto e'mezzanotte, Raffaele, il super-killer Giuseppe Setola e il suo "sergente" Alessandro Cirillo, tutti gia' in carcere e condannati. L'indagine che ha portato agli arresti odierni, coordinata dai pm Cesare Sirignano, Giovanni Conzo e Catello Maresca della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, ha svelato un traffico di droga che partiva dalla Campania e interessava diverse regioni d'Italia, tra cui la Calabria. In manette e' finito anche il nuovo presunto leader della camorra nell'Agro Aversano, Giacomo D' Aniello, che ha preso le redini in mano della criminalita' organizzata dopo l'arresto dei capizona Lorenzo Ventre e Luigi Chianese, detto Giggino 'o santo.        

Usura, prestiti con tassi fino al 1800%. Alunna minacciava maestra per conto del padre strozzino: papà ti vuole bene

NAPOLI - Dalle indagini sulla banda di usurai sgominata questa mattina dalla Guardia di Finanza è emerso che uno dei destinatari della misura cautelare, L. L., di 37 anni, aveva indotto la figlia, alunna di una scuola elementare, a minacciare la maestra, pesantemente indebitata. Queste le parole che la piccola (ovviamente non imputabile) ha rivolto all'insegnante, costringendola a ritrattare le deposizioni rese alla polizia giudiziaria: «Maestra, a proposito, ti voglio dire che papino ti vuole bene, ti saluta e mi ha detto che ti devo dire che nella cella con lui c'è anche Roberto la carogna»; «Maestra, stai proprio inguaiata, papà ti manda tanti saluti, statevi attenta».

La donna, oltre a lavorare in una scuola elementare, gestisce una galleria d'arte assieme al marito e alla figlia; proprio questa attività l'aveva fatta trovare in ristrettezze economiche dopo aver subito una truffa, inducendola a rivolgersi alla banda di usurai per avere denaro in prestito. Il suo contatto iniziale è stato un altro degli arrestati, Francesco Carotenuto, padre di un'ex allieva della maestra.

La Guardia di Finanza di Napoli ha smantellato un'organizzazione di usurai che, in varie regioni d'Italia, applicava tassi fino al 1800 per cento. I proventi delle estorsioni venivano investiti in società fiduciarie. Le Fiamme Gialle hanno arrestato
13 persone e sequestrato beni per 9 milioni di euro. Nell'operazione, coordinata dalla Procura di Torre Annunziata, sono stati impiegati oltre cento finanzieri.

La Procura di Torre Annunziata sottolinea che questo procedimento sia, tra l’altro, la dimostrazione di quanto sia necessario l’impiego dello strumento investigativo delle intercettazioni telefoniche. Ciò non solo in considerazione del fatto che è un mezzo d’investigazione efficace ma anche perché la spesa affrontata per l’effettuazione delle intercettazioni è stata di gran lunga inferiore rispetto al valore dei beni sottoposti a sequestro. Difatti, le intercettazioni telefoniche sono costate allo Stato la somma di euro 7.242,60 mentre il valore del patrimonio sottratto alla disponibilità degli indagati è stato stimato come ammontante ad euro 9.122.947,43.

La banda di usurai operava sull'intero territorio nazionale e, in particolare, in Campania, Lazio, Umbria, Lombardia, Friuli e Calabria. La Guardia di Finanza ha sequestrato beni (immobili, autovetture, polizze vita, conti correnti bancari) per un valore di circa 9 milioni di euro.

Tra gli indagati risulta coinvolto anche un dirigente bancario, responsabile di prestiti con tassi di interesse compresi dal 300% al 1000% annuo.

Le indagini hanno avuto inizio nel 2009 in forza delle evidenze emerse nell’ambito di un altro procedimento penale nel quale le vittime del reato - un intero nucleo familiare di imprenditori di Torre Annunziata - risultavano sottoposti a debiti di matrice usuraria da parte di Osvaldo Ferrucci. In quest’ultimo procedimento Ferrucci è stato condannato nel 2008 dal Tribunale di Torre Annunziata a 7 anni e 6 mesi di reclusione, pena poi ridotta in sede di Appello, ed è stata disposta la confisca di beni per circa 2 milioni di euro tra i quali due centri di raccolta scommesse.

Da quelle indagini sono stati sviluppati ulteriori accertamenti - eseguiti anche mediante intercettazioni telefoniche e tradizionali tecniche investigative quali accertamenti bancari e documentali - che hanno permesso di appurare come gli indagati sopra menzionati fossero dediti a traffici usurari facendo frequentemente ricorso a minacce estorsive nei confronti delle loro vittime per la restituzione dei prestiti.

Sul piano dei sequestri patrimoniali, le articolate e complesse indagini della Guardia di Finanza del Gruppo di Torre Annunziata hanno permesso di accertare beni intestati agli indagati o a loro familiari nettamente sproporzionati rispetto ai redditi leciti da questi dichiarati.

Il caso più eclatante ha riguardato l’intera famiglia degli arrestati Francesco Carotenuto e Teresa Manzillo che avevano intestato alle 4 figlie (Anna Carotenuto, Maria, Filomena e Carmela, tutte di Torre Annunziata) gli ingenti profitti dell’usura, risultando così, nel complesso, intestatari di un patrimonio sottoposto a sequestro dalle Fiamme Gialle stimato in oltre 4 milioni di euro tra immobili, polizze assicurative sulla vita, conti bancari, rapporti postali e investimenti in titoli finanziari.

Sono stati quindi rilevati fruttuosi reimpieghi dei proventi dell’usura in capo alle figlie degli arrestati Carotenuto/Manzillo, consistiti in investimenti per oltre 500 mila euro anche attraverso società fiduciarie, al fine di “schermare” i reali investitori dei fondi, impiegati nell’acquisto di titoli obbligazionari nazionali/esteri e nella sottoscrizione di polizze sulla vita. Alla maturazione dei profitti, quindi, dopo aver dato formale provenienza lecita degli stessi fondi affidati in gestione a società fiduciarie, gli investimenti sono tornati nella disponibilità delle figlie degli arrestati e sequestrati oggi su conti bancari e polizze sulla vita.

Nel complesso, gli imprenditori avevano la maggior parte dei loro debiti con i coniugi Francesco Carotenuto e Teresa Manzillo, circa 500.000 euro, con un tasso di interesse annuale più elevato pari a 521,43%. Si riportano di seguito l’ammontare complessivo dei prestiti per ciascun indagato e l’interesse più alto praticato: per oltre 100.000 euro con Osvaldo Ferrucci (120%), 40.000 euro con Vittorio Agnello (48%), 25.000 euro con Francesca Cirillo e Giuseppe Grassi (1.825%), per 120.000 euro con Luigi Icarne e Nunzia Ambruoso (180%), 21.000 euro con Luisa Flauto (120%), 140.000 euro con Michela Flauto (60%), circa 160.000 con Gennaro Siano (30%), 25.000 euro con Camillo Cirillo (1.010,77%).

Questi gli indagati:

►1. Francesco Carotenuto, alias Franchino e/o Pacchiotto, 66 anni di Torre Annunziata;
►2. Teresa Manzillo, alias ‘a cazettara, 65 anni di Torre Annunziata, moglie di Carotenuto Francesco,
entrambi sottoposti agli arresti in carcere;
►3. Osvaldo Ferrucci, 66 anni di Torre Annunziata;
►4. Vittorio Agnello, alias Vittorio ‘o nano, 56 anni di Torre Annunziata, responsabile anche di minacce;
►5. Ludovico L., 37 anni di Torre Annunziata, attualmente detenuto, indagato solo per minacce;
►6. Francesca Cirillo, alias ‘a pazza di Bosco, 53 anni di Boscotrecase, indagata anche per estorsione;
►7. Luisa Flauto, alias Luisina ‘a suricilla, 77 anni di Torre Annunziata;
►8. Michela Flauto, alias ‘a cummàra, 75 anni di Torre Annunziata;
►9. Luigi Icarne, alias Gigino ‘o pazzo, 47 anni di Torre Annunziata, indagato anche per estorsione;
►10. Gennaro Siano, 73 anni di San Gennaro Vesuviano, tutti destinatari degli arresti domiciliari;
►11. Giuseppe Grassi, 52 anni di Boscotrecase, marito di Francesca Cirillo;
►12. Cirillo Camillo, 56 anni di Torre Annunziata,
destinatari del provvedimento del divieto di dimora nei Comuni di Torre Annunziata e Torre del Greco;
►13. Nunzia Ambruoso, 44 anni di Boscotrecase, moglie di Luigi Icarne, destinataria del provvedimento di obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria;
►14. Carlo Caglione, 53 anni di Torre Annunziata;
►15. Lucia Palumbo, 40 anni di Torre Annunziata, moglie di Agnello Vittorio, indagata, unitamente a Carlo Caglione, per concorso in usura con l’arrestato Vittorio Agnello.

Metrò, nel cantiere Municipio spuntano le terme romane

NAPOLI - Basta scavare, a Napoli, e neanche tanto in profondità, per ritrovare la storia millenaria della città: due edifici termali di epoca romana e un intero quartiere medievale, risalente al XIV secolo dopo Cristo, sono emersi durante i lavori di scavo della Linea 1 del Metrò a piazza Municipio.

In prossimità di palazzo San Giacomo, a una quindicina di metri dall’attuale livello stradale, gli archeologi della Soprintendenza archeologica speciale di Napoli e Pompei, coordinati da Daniela Giampaola, hanno difatti intercettato due terme e una strada. I due edifici, risalenti all’età augustea - siamo in pieno periodo romano, tra la seconda metà del primo secolo avanti cristo e la prima metà del primo secolo dopo Cristo - affacciavano su quello che all’epoca era il porto della Neapolis romana.

Erano stati costruiti in quella zona proprio per servire chi, viaggiatore, commerciante o marinaio arrivava a Napoli e voleva trovare immediato ristoro dalle fatiche del viaggio prima di addentrarsi tra decumani e cardini della città. Le due terme, quasi certamente gestite da proprietari differenti, anche se non si esclude che in seguito possano aver avuto un padrone unico, erano situate in posizione scenografica (affacciavano sul Golfo, con di rimpetto il monte Vesuvio) proprio accanto alla strada che divideva la terraferma dalla battigia e dunque dal mare.

La strada intercettata, che era in terra battuta ed attrezzata con laterizi e pietre, era delimitata da un terrazzamento. «Questi nuovi rinvenimenti - sottolinea Giampaola - sono riferimenti importanti perché ci consentono di completare la comprensione dell’occupazione della linea di costa. Gli edifici rinvenuti, difatti, si affacciavano sul mare, dove abbiamo trovato le barche. E la strada, quasi certamente, era la famosa via ”per Cryptam”». Ovvero, la via che da Neapolis portava ai Campi Flegrei e a Puteoli, Pozzuoli, attraversando la Crypta Neapolitana, il tunnel scavato nella collina di Posillipo e lungo più di settecento metri.

Gli edifici era stati realizzati in opera reticolata (una tecnica di edilizia romana usata per costruire le murature posizionando i mattoni sugli spigoli) di buona fattura. Non si sono rinvenuti i marmi, che all’epoca erano stati usati per rivestire e impreziosire pareti e colonne, perché è possibile un loro riutilizzo in altre strutture e in epoche successive. Ma si sono trovati frammenti di piano pavimentale a mosaico, in opus spicatum (opera spicata, laterizi disposti a spina di pesce), anche se questi appaino quasi del tutto distrutti in epoche antiche.

Le terme vissero a lungo. E, altrettanto lungamente rimasero in attività. Sono state trovate, difatti, tracce di frequentazioni che arrivano sino al III secolo dopo Cristo. «E - come sottolinea la soprintendente Cinquantaquattro - presentano anche diverse fasi d’uso con cambiamenti della disposizione degli ambienti».

Vale a dire che gli edifici, nel corso del loro utilizzo, con ogni probabilità vennero ristrutturati dal punto di vista architettonico sia per migliorare le tecnologie impiegate per il riscaldamento degli ambienti sia per motivi squisitamente commerciali e finalizzati a incrementare la clientela. L’indagine archeologica ha anche consentito di trovare strutture portuali che risalgono al VI secolo dopo Cristo. Situati proprio al di sotto della strada, gli edifici, con ogni probabilità, dovrebbero essere dei magazzini utilizzati come deposito per le merci.

Non interessa strutture romane, invece, il ritrovamento avvenuto nell’area di Via De Pretis, ma edifici del XIV secolo dopo Cristo. «Stiamo analizzando le strutture per comprendere se esse facevano sistema tra loro sino a costituire uniche unità abitative» osserva Giampaola, sottolineando poi come il ritrovamento sia di «assoluta valenza storico scientifica perché sono emersi ambienti che fanno parte di ben tre isolati. Un momento storico importantissimo perché si tratta di un’epoca in cui il bacino era stato interrato e sopra di esso, nelle sue prossimità, vicino al Castello, si iniziava a costruire un segmento della Napoli medievale».

L'istituto «G.Moscati» e il progetto «Scuola si-cura»

SANT'ANTIMO. Si è svolto ieri, alle ore 10, presso l'Auditorium Biblioteca di S.Pietro a Patierno, il workshop illustrativo del Progetto “Scuola Si-Cura”, che vede in rete l'Istituto Superiore“Moscati” di Sant'Antimo, l'Istituto Superiore “Elsa Morante” di Napoli e l'IPSSCT “V.Veneto di Napoli. Il progetto è stato approvato, in seguito alla partecipazione al bando “Cittadinanza, Costituzione e Sicurezza” del MIUR-ANSAS, al dodicesimo posto tra i 48 approvati su 3000 presentati. Le cifre indicano da sole l'attenzione spesa dalle scuole e dall'Università coinvolte, nella stesura e elaborazione del percorso progettuale. Presenti i rappresentanti degli Enti Locali e Istituzionali, tra cui il presidente della VIII municipalità di S.Pietro a Patierno, i responsabili della sicurezza nelle scuole della URS Campania, il rappresentante del Collegio dei Periti Industriali Gennaro Pezzurro. Relatrici la prof.ssa Teresa Boccia, la prof.ssa Carmen Cioffi, entrambe dellaL.U.P.T.Università Federico II. Erano presenti una rappresentanza degli studenti, dei genitori e dei docenti delle tre scuole coinvolte. Il progetto è stato illustrato in tutte le sue fasi. Si tratta di un percorso sia teorico che laboratoriale, che intende informare ma soprattutto formare tutti gli operatori e fruitori della scuola nelle materie relative alle indicazioni ministeriali di Cittadinanza, Costituzione e Sicurezza. Durante le varie fasi, illustrate dalle relatrici, alunni, docenti, ma anche e soprattutto i genitori, seguiranno nel proprio territorio un vero e proprio percorso di analisi che evidenzi i rischi per la sicurezza, di vita e di lavoro, tentando di cercare delle soluzioni. Attraverso visite reali nei luoghi frequentati dai ragazzi, i giovani saranno guidati, anche attraverso la realizzazione di filmati, a cogliere elementi che diano il segnale del rispetto o meno di una situazione di legalità e sicurezza, a partire dai quartieri del proprio territorio. Il coinvolgimento dei genitori nella realizzazione di questo progetto sarà una conquista per la strada del cambiamento in campo di cittadinanza attiva e cultura della legalità, collegate al tema bollente delle Sicurezza.       

domenica 6 novembre 2011

Tenta di sfuggire ai rapinatori per proteggere la fidanzata: studente ucciso. Gli universitari:una taglia sugli assassini

CASTELLAMMARE DI STABIA - Uno studente di 27 anni, Carlo Cannavacciuolo è stato ucciso durante un tentativo di rapina compiuto da due malviventi a Santa Maria La Carità , in provincia di Napoli. Il giovane si era appartato in una Panda con la fidanzata venticinquenne dopo aver festeggiato il proprio onomastico, quando si sono avvicinati i banditi armati.

I rapinatori, a volto coperto e uno pistola in pugno, hanno intimato alla coppia di consegnare soldi, telefonini e oggetti di valore.

A questo punto Carlo Cannavacciuolo ha messo in moto l'auto e, ingranando la retromarcia, ha tentato di fuggire. Il bandito armato ha fatto fuoco e ha ucciso lo studente. I due malviventisi sono subito dileguati senza portare a termine la rapina. Sull'omicidio indagano i carabinieri di Castellammare di Stabia.

Dalla ricostruzione fatta ai carabinieri dalla fidanzata della vittima, si sono ricostruite le ultime ore del giovane: Carlo, neo-laureato in veterinaria, dopo aver festeggiato l'onomastico in famiglia, è poi uscito con la fidanzata, studentessa universitaria alla Federico II, ed aveva fermato l' auto in via Ponticelli, una stradina periferica, in campagna, scelta dalle coppie per appartarsi.

L' aggressione è scattata - secondo la ricostruzione dei carabinieri - poco dopo mezzanotte. I due banditi avevano il volto incappucciato e sono giunti e fuggiti a piedi. La fidanza del giovane, in forte stato di choc, è stata ascoltata dai carabinieri della compagnia di Castellammare di Stabia, che conducono le indagini. La salma di Cannavacciolo è stata trasportata all' obitorio di Castellammare, in attesa dell' autopsia.

Carlo Cannavacciuolo ha tentato invano una disperata fuga dai rapinatori che gli hanno sparato ma è riuscito a percorrere solamente una cinquantina di metri a retromarcia prima di morire. È quanto emerge dalla posizione dell'auto, così come ritrovata dai carabinieri. Via Ponticelli è una strada utilizzata solitamente dalle coppietta per appartarsi, ma anche dai tossicodipendenti che vanno a “bucarsi”. È un'arteria stretta che si trova in mezzo ad alcuni campi coltivati. Il giovane ha ingranato la retromarcia mentre i rapinatori sparavano ed è riuscito a percorrere solo un breve tratto prima che l'auto si bloccasse scavalcando il cordolo di protezione della strada.

«È partita una raccolta di fondi per mettere una taglia su questi delinquenti che hanno ucciso in modo barbaro il nostro collega, Carlo Cannavacciuolo». Lo dichiarano il presidente del Consiglio di Ateneo degli studenti dell'Università di Napoli 'Federico IÌ, Francesco Testa, e il presidente della confederazione degli Studenti Marcello Framondi. «Chi aiuterà le forze dell'ordine a catturarli - spiegano - riceverà un premio in denaro. Chiediamo al Rettore di proclamere il lutto universitario e di mettere le bandiere a mezz'asta. Non è giusto morire così e vogliamo che i delinquenti artefici di una tale barbarie siano assicurati alla giustizia». «Contribuiremo al fondo per la taglia istituita dagli studenti della Federico II - spiega il commissario regionale dei Verdi francesco Emilio Borrelli - perchè è giusto reagire contro la delinquenza anche in questo modo. Non si può morire a 27 anni per una rapina e rimanere fermi ad aspettare la prossima vittima. Siamo vicini e solidali alla famiglia del povero ragazzo. Purtroppo Napoli e provincia stanno vivendo una spirale di violenza e criminalità senza precedenti che nessuna istituzione o forza dell'ordine riesce ad arginare».

Casalesi: sequestro al clan per 25 milioni di euro

GIUGLIANO. Beni mobili, immobili, imprese e disponibilità finanziarie per un valore complessivo di circa 25 milioni di euro sono stati sequestrati preventivamente a 19 affiliati, anche esponenti di spicco, del clan dei Casalesi fazione Bidognetti. Il provvedimento emesso dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere è stato eseguito dai finanzieri del comando provinciale di Finanze e dallo Scipo di Roma. Il sequestro è stato deciso nel corso del procedimento penale in fase dibattimentale che vede i 19 esponenti dell'organizzazione criminale attualmente imputati, insieme ad altri, dopo essere stati destinatari di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere eseguita il 17 aprile 2008 nell'ambito dell'operazione 'Dominum'. Nel corso del blitz sono state anche eseguite perquisizioni e sequestrati conti correnti, quote societarie, fabbricati anche di pregio e terreni in diverse province campane, auto e moto. Il provvedimento si inserisce nell'ambito delle indagini utili a individuare le disponibilità economiche e finanziarie del capoclan Francesco Bidognetti detto 'Cicciotto 'e mezzanotte' che, nonostante sia in carcere da diverso tempo avrebbe continuato a tenere le fila dell'organizzazione criminale e a coordinare le attività illecite soprattutto sul litorale domizio e nei territori dell'agro aversano. Il fine dell'organizzazione - secondo quanto riporta in una nota il procuratore aggiunto della Dda partenopea, Federico Cafiero de Raho - era gestire le attività estorsive, imporre il metodo mafioso nella gestione monopolistica nella distribuzione di video-pocker, caffè e pubblicità oltre a perpetrare agguati nei confronti dei rivali. La caratterista fondamentale di quest'indagine è di aver scoperto, attraverso l'impiego dell'applicativo 'Molecola' (sistema ideato dallo Scico in collaborazione con la Direzione nazionale antimafia che permette di incrociare notizie e dati di oltre 1.300 persone), l'esistenza di ingenti capitali che erano ancora nella disponibilità dei parenti di alcuni camorristi.

Gli indagati.Per la vicenda ci sono 37 persone indagate a piede libero. L’azione delle fiamme gialle, diretti dal generale Giuseppe Grassi, il colonnello Roberti Prosperi, il comandante del nucleo operativo Nicola Altiero e il capitano Antonio Riccardeffi, si inserisce nell’ambito di una più complessa attività investigativa finalizzata ad individuare le disponibilità economiche e finanziarie illecitamente accumulate nel tempo da diversi soggetti riconducibili, anche in virtù di legami familiari, al capoclan Francesco Bidognetti, il quale, nonostante fosse recluso da oltre un decennio, continua a tenere le fila dell’organizzazione criminale ed a coordinare le attività illecite perpetrate dalla compagine, soprattutto sul litorale domizio e nei territori dell’agro aversano, come di recente documentato dal tribunale di Santa Maria Capua.

Le indagini . In particolare, le indagini hanno permesso di accertare che il fine del sodalizio criminale era quello di gestire le attività estorsive, di imporre il metodo mafioso nella gestione monopolistica di determinate iniziative imprenditoriali, come, ad esempio, la distribuzione dei videopoker, del caffè e della pubblicità, nonché quello di imporre il proprio predominio sul territorio, oltre che con agguati contro i concorrenti.

I beni sequestrati.I beni sequestrati sono sul territorio di Mugnano, Giugliano e il Caserta. Vi era stata la proposta di sequestro anche di altri beni dei 37 indagati, però il tribunale ha disposto i sigilli solo ai beni di Vincenzo Caterino, Francesco Cerullo, Alessandro Cirillo, Pasquale Cristofaro, Giosuè Fioretto, Giovanni Gesmundo, Armando Letizia, Angela Incandela, Giovanni Letizia, Giuseppe Setola, Enrico Martinelli, Maria Tamburrino, Salvatore Spenuso, Antonio Verde, Giovanni Venosa e Biagio Sciorio. I sequestri hanno riguardato sia beni mobili e che immobili che negli ultimi anni nonostante i massicci interventi degli ultimi anni erano ancora nella disponibilità dei camorristi. “Nei confronti di Giuseppe Setola,- si legge nel provvedimento- sussistono gravi indizi di colpevolezza per il reato ascrittogli. Quanto al requisito della sproporzione patrimoniale, i redditi dichiarati dal nucleo familiare dell’imputato si appalesano al di sotto della soglia di sopravvivenza, il che determina la sussistenza dei presupposti per il sequestro preventivo del motociclo Honda SH acquistato nel 2008 da parte della coniuge Stefania Martinelli “.

Giovani, ricchi e sfrontati i rampolli del clan Mallardo

GIUGLIANO. Sono i 23 indagati nell'operazione messa a segno dagli agenti del Gico di Roma il 27 ottobre scorso ai danni del clan Mallardo operante a Giugliano e comuni limitrofi. Molti di loro sono giovani, alcuni giovanissimi e ricchissimi, tra cui i familiari del boss Giuseppe Dell'Aquila arrestato nel maggio scorso al termine di un'altra operazione ai danni del clan. Gli inquirenti hanno passato al setaccio tutte le attività del boss e anche grazie al racconto dei pentiti, hanno ricostruito i metodi che l'organizzazione criminale utilizzava per riciclare il danaro sporco, coinvolgendo anche attività imprenditoriali del territorio. Nel blitz, lo ricordiamo, è finito anche il parco giochi Girabilandia sito sulla circumvallazione esterna e molto frequentato non solo da famiglie locali, ma in molti casi da persone provenienti in gran parte dal capoluogo e dall'intera Provincia di Napoli. Il parco giochi Girabilandia fu già oggetto di sequestro da parte dell'autorità giudiziaria nel 2007, ma non per motivi legati ad attività camorristiche, il parco giochi finì sotto chiave per motivi legati alla concessione edilizia. Oggi invece gli inquirenti lo hanno sequestrato poichè legato al clan Mallardo e al riciclaggio di denaro proveniente dalle attività illecite.

Il potente clan Mallardo. I pentiti hanno fatto i nomi di professionisti, esperti nel truccare bilanci e far nascere ed estinguere società da un giorno all'altro. L'indagine del Gico di Roma, ha portato al sequestro di oltre 200 milioni di euro di beni. Tutto ciò dimostra quanto sia ancora potente il clan nonostante i colpi e gli arresti subiti negli ultimi anni. Per capire cosa renda i Mallardo uno dei clan più ricchi e potenti della camorra napoletana, è bastato fare un salto nelle campagne di Qualiano, alle 5 del mattino, gli uomini del Commissariato di Formia bussano al cancello, supportati dai finanzieri del Gico. Risponde una donna in pigiama, la voce mezza assonnata, l'aria confusa di chi non se l'aspettava. Il suo nome è nell'elenco dei 23 indagati. Ai poliziotti ed ai finanzieri ha risposto che "in fondo non c'è niente di male a mettere una firma". E' suo infatti il 50% delle quote di una delle società finite sotto sequestro.

Ecco i nomi delle 23 persone indagate. Gennaro Antonio Delle Cave 40 anni di Giugliano (detenuto), Giuseppe Cerqua 47 anni di Giugliano, Giulia Chiariello 40 anni di Giugliano, Salvatore Cicatelli 21 anni di Fondi (LT), Paolo Cremonini 43 anni di Bologna, Vittorio Emanuele Dell'Aquila 24 anni di Giugliano, Domenico Dell'Aquila 46 anni di Giugliano, Giuseppe Dell'Aquila 49 anni di Giugliano, Giovanni Dell'Aquila 52 anni di Giugliano, Pietro Paolo Dell'Aquila 44 anni di Giugliano, Roberto Garzelli 47 anni di Melito, Mariantonia Granata 38 anni di Qualiano, Massimo Imparato 40 anni di Giugliano, Antionio Maisto 36 anni di Giugliano, Carmine Maisto 24 anni di Giugliano, Concetta Maisto 26 anni di Giugliano, Francesco Maisto 59 anni di Giugliano, Pasquale Maisto 53 anni di Giugliano, Assunta Mattiello 29 anni di Giugliano, Gemma Mattiello 33 anni di Giugliano, Gennaro Mattiello 24 anni di Giugliano, Giovanni Rovai 39 anni di Giugliano e Antonietta Volpicelli 54 anni di Giugliano.

Casalesi. La moglie del boss minaccia il parroco

CASAL DI PRINCIPE. I casalesi minacciano il parroco di Casal di Principe. Così come accadde 20 anni fa a Don Peppe Diana, anche oggi è difficile essere prete in “Terra di lavoro”. La notizia è stata rilanciata dal Corriere in un articolo pubblicato poche ore fa e firmato da Marilena Mincione. La moglie del boss Sandokan, avrebbe detto al parroco di Casal di Principe: «La tua omelia non mi è piaciuta». Un segnale da non sottovalutare secondo gli esperti. Il clan tenta di rialzarsi dopo anni di umiliazioni da parte delle forze dell'ordine che hanno praticamente decimato il gruppo di comando. La Chiesa ha fatto molto dopo la morte di Don Peppe Diana e ora è diventata un fastidio ed ecco che la moglie del boss invia segnali inequivocabili. Altrimenti perchè la moglie del boss dovrebbe far sapere al prete che non l'è piaciuta la sua omelia?

Dal Corriere.it.

«Ai preti nostri pastori e confratelli chiediamo di parlare chiaro nelle omelie e in tutte quelle occasioni in cui si richiede una testimonianza coraggiosa». Era il Natale del 1991, l'invito campeggiava nel documento diffuso nelle chiese di Casal di Principe e dell'Agro aversano «Per amore del mio popolo non tacerò». Roberto Saviano non aveva ancora consegnato alla ribalta non solo nazionale, con «Gomorra», gli affari del clan casalesi fino a quel momento noti solo agli addetti ai lavori. Non c'era l'esercito nelle strade, non c'era il «modello Caserta». Don Peppe Diana però, giovane parroco autore del manifesto, si era già schierato contro la camorra e proprio per le sue parole dal pulpito fu assassinato. Era consapevole, il coraggioso sacerdote, dell'importanza per quella lotta anche del commento dei spreti alle letture del giorno. Chissà se immaginava che proprio un'omelia, venti anni dopo, avrebbe provocato la reazione contrariata della moglie di un boss come Schiavone-Sandokan.

LA MOGLIE DEL BOSS IN SAGRESTIA - Invece è successo ancora: «Qualche giorno fa la moglie di Sandokan, dopo una funzione religiosa, è venuta in sagrestia e mi ha detto: la tua omelia non mi è piaciuta. Io le ho risposto: non devo piacere a lei. Lei si è arrabbiata ed è andata via». Don Carlo Aversano, parroco della chiesa del Santissimo Salvatore di Casal di Principe, riferisce l'episodio riguardante Giuseppina Nappa, moglie di Francesco Schiavone detto Sandokan, nel ribattere a una giornalista che ha parlato di «silenzio della chiesa nelle terre di camorra, chiesa che benedice le case dei boss e fa partecipare le loro mogli alle funzioni religiose».

IL RUMORE E IL SILENZIO - Il parroco ha fatto l'inquietante rivelazione durante una tavola rotonda — moderata dalla giornalista dell'Avvenire Valeria Chianese — che si è tenuta sabato nella curia di Aversa con i giornalisti, organizzata dalla locale diocesi. Un evento che di per sé ha un altissimo valore simbolico, perché denota la volontà della chiesa di aprire un dialogo con la comunità e la stampa locale. Lo si evince già dal titolo: «Il rumore, il silenzio e la parola».

LA MADRE DELL'AFFILIATO - Don Carlo riferisce un altro episodio che riguarda la madre di Salvatore Cantiello, soprannominato Carusiello, pluripregiudicato quarantunenne originario di Casal di Principe, ritenuto affiliato al clan dei casalesi: «La mamma di Carusiello prega tutte le mattine in chiesa per il figlio condannato all'ergastolo, non possiamo dirle di andare via. Il nostro compito è curare le anime. La chiesa è aperta a tutti». Anche monsignor Angelo Spinillo, vescovo di Aversa da gennaio, interviene sull'argomento, commentando che «chi nella comunità vive il peccato, può essere guidato dalla parola di Dio. I miracoli avvengono e bisogna credere nel valore della parola che trasmette vita, e sperare che tocchi anche loro».

LA TV DELLA DIOCESI - Il vescovo crede così tanto nella comunicazione da aver promosso un programma televisivo sui temi della vita pastorale, «Diocesi di Aversa tv», che sarà trasmesso da alcune televisioni locali. «La parola è un dono, ciò che fa l'uomo a immagine e somiglianza di Dio — commenta il presule — quando comunichiamo noi stessi trasmettiamo vita. Dobbiamo liberarci dalla tentazione di fare rumore e usare il silenzio per riorganizzare ciò che accade intorno. Ritengo che qualunque ministro della Chiesa avverta il bisogno urgente di essere in contatto coi membri della comunità». Il concetto è ribadito anche da don Carlo Villano, responsabile dell'ufficio comunicazioni sociali della diocesi: «Tutte le realtà della diocesi — spiega don Carlo — devono conoscersi e poi proporre all'esterno una parola, un impegno di testimonianza della chiesa per la legalità e contro la camorra».

IL VESCOVO: CAMORRISTI? FALSA RELIGIOSITÀ - Impegno annunciato un anno e mezzo fa anche dal vescovo di Caserta Pietro Farina che, in un'intervista al Corriere del Mezzogiorno, aveva definito la religiosità dei camorristi «una falsa religiosità perché non porta a una conversione del cuore: entrano in chiesa con una coscienza errata». E aveva invitato i parroci a rifiutare le offerte per i festeggiamenti religiosi se «notoriamente di cattiva provenienza».

Marilena Mincione
Corriere.it – 31/10/2011       

Madre e figlio arrestati per droga, lei prosciolta

SANT'ANTIMO. Madre e figlio furono arrestati per produzione di stupefacenti, detenzione illecita di armi da fuoco, munizioni e ricettazione lo scorso 13 aprile. Il Riesame ha disposto gli arresti domiciliari per Antimo Puca, 27enne, del luogo ed incensurato. Fu arrestato insieme alla madre, la cui posizione è stata stralciata e prosciolta. Puca è stato condannato a 4 anni e mezzo. A luglio, dopo appena 6 mesi, è stato scarcerato e sottoposto ai domiciliari presso il fratello a Castelgrande in provincia di Potenza. Difeso dagli avvocati Antonio Russo e Matteo Casertano ha ottenuto gli arresti domiciliari. I fatti risalgono allo scorso aprile. Dopo indagini i militari dell'Arma perquisirono in via Palazzeschi un casolare agricolo, scoprendo una piantagione di 40 piante di marijuana, del peso complessivo di 12 chili, abilmente attrezzata con sistemi elettrici automatici, composti chimici e guide tecniche per la coltivazione. Inoltre la successiva perquisizione domiciliare consentì ai militari di trovare nello scantinato le seguenti armi e munizioni: una pistola mitragliatrice skorpion calibro 7,65; una pistola calibro 38 special rubata il 15.4.2005 ad un 64enne di somma vesuviana; 2 carabine calibro 300 entrambi rubate il 22.11.2005 ad un 48enne di Avezzano; un fucile automatico calibro 12 rubato il 6.9.2007 ad un 54enne di Lusciano; 2 pistole a salve modificate calibro 18k e calibro 8k; un fucile calibro 12, legalmente detenuto; un coltello a serramanico di genere vietato: 200 cartucce di vario calibro. Tutto il materiale fu sequestrato.