domenica 30 ottobre 2011

Arrestato Giuseppe Felaco, è il cognato di Nuvoletta

MARANO. E' stato arrestato a Marano di Napoli da i carabinieri della locale tenenza Giuseppe felaco, detto "Peppe Nazzaro", di 57 anni, già noto alle forze dell'ordine e ritenuto elemento di vertice del clan camorristico Nuvoletta, operante in zona. L'uomo è stato raggiunto da un mandato di arresto europeo emesso il 20 ottobre dall'autorità spagnola, per traffico di stupefacenti, estorsione, corruzione e riciclaggio. L`arrestato, a causa delle sue gravi condizioni di salute, su disposizione della corte di Appello di Napoli, è attualmente piantonato dai carabinieri nella sua abitazione in attesa di una adeguata misura cautelare.Felaco, 57 anni detto 'Peppe Nazzaro', è già noto alle cronache giudiziarie per associazione per delinquere semplice e di tipo mafioso, violazione della legge sugli stupefacenti, ricettazione continuata, furto, falso, emissione di assegni a vuoto. Ritenuto dagli inquirenti un personaggio di "elevata pericolosità sociale", è stato di recente condannato dal Tribunale di Napoli a 3 anni e 6 mesi di reclusione perché ritenuto parte integrante nell'organizzazione camorristica dei Nuvoletta. Dalle attivita investigative e dalle risultanze processuali è emerso che Felaco aveva il delicato compito di reimpiegare ed investire, in particolare nell'edilizia, gli ingenti capitali ricavati dalle attività illecite del clan, in particolare traffico di stupefacenti e armi ed estorsioni. Nel corso degli anni, l'uomo ha vissuto lunghi periodi di latitanza anche in Spagna. Il 13 settembre 2004 fu arrestato a Santa Cruz di Tenerife, per poi essere successivamenteestradato in Italia. Nel maggio 2007 gli è stata inflitta anche la sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, misura a cui si è sempie sottratto, rifugiandosi ancora in Spagna.       

Don Guanella proclamato Santo. Festa a San Pietro e a Miano

di Rosanna Borzillo

NAPOLI - Stamattina, alle 4.30, in cinquecento si sono mossi da Miano (Napoli) per raggiungere piazza San Pietro: qui, alle 10, don Luigi Guanella, il «Garibaldi della carità» è stato proclamato santo da Benedetto XVI.
Accostato simbolicamente all’Eroe dei due mondi per il coraggio con cui ha affrontato ogni genere di impresa, don Luigi è nato il 19 dicembre 1842 in provincia di Sondrio.

In Vaticano troverà a fargli festa oltre 12mila pellegrini provenienti da ogni continente e i tanti religiosi delle due congregazioni da lui fondate: i Servi della Carità e le Figlie di Santa Maria della Provvidenza.

Accanto a loro il ragazzo per il quale don Luigi viene canonizzato: il giovane William Glisson, miracolosamente guarito nel marzo 2002 a Springfield, Philadelphia, dopo aveva riportato un trauma cranico, cadendo in skateboard.

Per «l’apostolo dei sofferenti», così come viene definito, Miano esulta. Qui, dal 1963 c’è la Casa dell’Opera Don Guanella che è punto di riferimento per bambini e famiglie. Qui, da cinquant’anni si lavora nel nome di don Luigi, nel rione a lui intitolato, a ridosso di Scampia.

«È un giorno di festa - commenta don Enzo Bugea Nobile, superiore e direttore dell’Opera Don Guanella - ci siamo messi in cammino con la speranza nel cuore». Con don Enzo i tanti ragazzi che frequentano il Centro diurno di Miano e la parrocchia di S. Maria della Provvidenza, i membri delle associazioni e i volontari di «Obiettivo Uomo»: una rete di persone, uomini e volontari che lavorano con e a fianco dei ragazzi per sperimentare «e vivere ogni giorno gli insegnamenti di don Guanella: “educare è essenzialmente cosa di cuore”, “tutti sono educabili, basta circondarli d’affetto, valorizzare i doni di natura, incoraggiare sempre senza avvilire, accompagnare nella crescita”», ricorda don Enzo.

La canonizzazione di don Luigi - aggiunge il superiore - «deve essere un’ulteriore spinta al rinnovamento della nostra città, del nostro quartiere, deve spingerci ad una maggiore attenzione ai più poveri perché ognuno impari a prendersi cura degli altri come una mamma prende sul cuore il proprio bambino».

«Oggi a Roma vivremo un momento di condivisione e comunione - dice don Enzo - con tutti i fratelli della famiglia guanelliana - e pregheremo perché San Luigi Guanella ci aiuti a continuare ad essere uno strumento nelle mani di Dio per realizzare quel bene, perché tutte le persone che incontriamo abbiano davvero un sentimento di gratitudine e un sorriso nei confronti della vita».

Don Guanella sentì molto il legame con la Campania, dove si recò per cinque volte. La prima, nel novembre del 1893, quando da Roma affrettò i suoi passi per venerare la Madonna del Rosario di Pompei di cui era molto devoto. Da Napoli, nel settembre del 1902, salpò per un pellegrinaggio in Terra Santa. A Napoli fu concluso il viaggio dal paese di Gesù e don Guanella non si lasciò sfuggire l’occasione per una seconda visita a Pompei: era il 20 ottobre 1902.

Il 22 febbraio 1913, sbarcava nuovamente a Napoli dopo il un faticoso viaggio in America. Appena due mesi dopo, don Guanella era di nuovo nella città partenopea per accompagnare le sue suore in partenza per le Americhe dove cominciava la sua opera. Anche in questa occasione il suo sguardo era fisso sull’effige della Madonna del Rosario di Pompei dove si recò nuovamente a far visita al suo amico Bartolo Longo.

Oggi la «truppa» di don Guanella è davvero nutrita. Il ramo maschile è presente con circa 450 religiosi in 19 nazioni, di 4 continenti ed è attiva nelle aree dell’educazione, riabilitazione, sanità e assistenza, promozione culturale delle persone senza istruzione di base. Il ramo femminile è presente con 900 religiose in 14 nazioni di 3 continenti.
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Sorpresi mentre litigavano: carabiniere colpito al volto

SANT'ANTIMO. A Sant’Antimo tre arresti per rissa in un bar, lesioni e resistenza a pubblico ufficiale. I carabinieri della locale tenenza hanno arrestato in flagranza per rissa aggravata, lesioni personali e resistenza a pubblico ufficiale: Ettore Comella, 47 anni, già noto alle forze dell’ordine, di professione barista; Vincenzo Badalamenti, 19 anni, incensurato, operaio; Francesco Raiano, 18 anni, studente incensurato tutti residenti a Sant’Antimo. Il trio è stato sorpreso e bloccati in via della libertà nel bar dello Sport mentre era in atto tra loro una violenta colluttazione nata per futili motivi. Il 47enne per sottrarsi all'arresto ha colpito un carabiniere con una gomitata al volto, tanto che il militare dell’arma e i due giovani hanno riportato le seguenti lesioni: 12 giorni per “frattura primo molare superiore sinistro” per il carabiniere; 2 giorni per “escoriazioni agli arti superiori” per Comella; un giorno per “escoriazioni al volto” per Badalamenti; 2 giorni per “escoriazione alla base anteriore dell’emitorace” per Raiano. Gli arrestati sono in attesa di rito direttissimo.

Sequestri per il clan Mallardo: 23 indagati

GIUGLIANO. La Polizia di Stato di Latina coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Napoli, unitamente al G.I.C.O. della Guardia di Finanza di Roma sta conducendo un imponente operazione di polizia giudiziaria nei confronti di esponenti del clan Mallardo. Circa 250 tra poliziotti e finanzieri stanno procedendo all'esecuzione di 20 perquisizioni, di un arresto e di svariati sequestri di immobili e societa' per un importo complessivo di oltre 200 milioni di euro nei confronti di un gruppo camorristico facente capo a Giuseppe Dell'Aquila, alias Peppe 'O ciuccio, esponente di spicco del clan Mallardo, egemone nell'area di Giugliano in Campania e con importanti propaggini nelle province di Napoli e Caserta, nel basso Lazio ed in Emilia Romagna. I reati contestati alla cellula camorristica vanno dall'associazione per delinquere di stampo mafioso al concorso esterno in associazione camorristica alla fittizia intestazione di beni e coinvolgono complessivamente 23 indagati.

Il sequestro dei beni operato questa notte dalle forze dell'ordine tra Lago Patria e Giugliano, due localita' in provincia di Napoli. Il 'colpo' e' stato assestato ai danni del clan Mallardo e in particolare ai fratelli del capoclan Giuseppe Dell'Aquila, detto Peppe 'o ciuccio, uno dei piu' potenti boss della camorra napoletana, arrestato il 25 maggio in una villa bunker e ricercato dal 2002. Il sequestro e' di beni mobili e immobili, in particolare sono stati sequestrati interi edifici e societa'. Sigilli anche al parco giochi Girabilandia, di Giugliano situato sulla circumvallazione esterna alle spalle del parco commerciale Auchan. L'arrestato è Gennaro Delle Cave, 40 anni, imprenditore attivo nella provincia di Bologna, accusato di portare avanti attività riconducibili agli interessi del clan. Sequestrati anche l'albergo 'Il Giardino degli deì a Castel Volturno, una concessionaria di auto a Fondi ed una impresa edile, in provincia di Bologna.

Nuovi cedimenti a Pompei, i due muri crollati non hanno valore archeologico

POMPEI - Nella mattinata di oggi, all'interno del sito archeologico di Pompei, si sono verificati due cedimenti di murature di epoca moderna. Lo rende noto l'ufficio stampa del sottosegretario Riccardo Villari. Più precisamente si tratta di un muro nell'area fuori Porta Ercolano lungo la via dei Sepolcri e di un altro nella zona occidentale del sito.

Sopralluogo della soprintendente Teresa Cinquantaquattro con i Carabinieri della Procura di Torre Annunziata.

I due muri interessati dal crollo a Pompei sono stati realizzati in epoca moderna e non hanno nessun valore archeologico. Lo rendono noto fonti della Sovrintendenza ai beni archeologici di Napoli e Pompei al termine del sopralluogo compiuto in mattinata. Si tratta di un muretto che delimita la necropoli esterna a Porta Ercolano,in via de Sepolcri, e di un muro a contenimento di un terrapieno retrostante. In seguito ai crolli - dovuti probabilmente alle piogge non ci sono altre vie chiuse al passaggio dei visitatori. Le due zone interessate dai crolli sono state sequestrate dai carabinieri per disposizione della Procura di Torre Annunziata.

Domani alle 13 nella sala stampa di Palazzo Chigi, il ministro Fitto insieme al commissario europeo per le Politiche regionali, Johannes Hahn, al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta, al Ministro per i Beni e le attività Culturali, Giancarlo Galan e al Presidente Caldoro illustreranno nel dettaglio gli interventi immediatamente cantierabili per gli scavi di Pompei finanziati con fondi comunitari e nazionali.

Pompei, sopralluoghi dopo il cedimento. La Procura accusa: «Crollo colposo». Villari: «Negli scavi c'è anche la camorra»

POMPEI - È giallo sul brogliaccio scomparso. Gli investigatori sono alla ricerca del registro delle segnalazioni su cui è stato annotata la data e l’ora della scoperta del crollo, di cui si sono perse le tracce. Su chi e perché lo abbia fatto sparire indaga la procura oplontina.

«Ho delegato la ricerca ai carabinieri di Torre Annunziata», spiega il procuratore capo Diego Marmo, dicendosi sconcertato: «Ci troviamo di fronte a un caso ai limiti tra il lecito e l’illecito» commenta accusando la Soprintendente di aver segnalato per l’ennesima volta il crollo in ritardo. «È la terza volta che vengo a sapere che c’è stato un crollo all’interno degli scavi dopo 24 o 48 ore dalla scoperta. Non mi spiego perché nascondere una verità che prima o poi salta fuori. È la prima volta nella mia carriera che mi trovo di fronte a persone che si sono chiuse in un mondo incomprensibile. Non capisco perché hanno assunto quest’atteggiamento di ostruzionismo verso gli inquirenti per i quali, è bene chiarire, è più facile indagare su un omicidio che su un reato dai contorni sfuggenti, per il quale è difficile individuare le responsabilità ma che è comunque grave per provocato un grave danno all’umanità».

Un nuovo fascicolo d’inchiesta è stato aperto sul crollo che ha interessato un muro di contenimento nei pressi di Porta Nola. Il sostituto procuratore titolare dell’inchiesta è Emilio Prisco, che segue anche le indagini sul Teatro Grande. Il reato ipotizzato è lo stesso che ha interessato i crolli della Schola Armaturarum e della casa del Moralista: crollo colposo. «C’è da stabilire le cause del crollo - continua il capo della procura - se l’incuria, l’omissione o l’usura del tempo e se c’è una disponibilità economica e non viene sfruttata per impedire che ciò avvenga».

Sabato mattina Marmo si è recato negli Scavi per verificare di persona i danni che il crollo ha arrecato alla città antica. «Ho fatto una specie di sopralluogo - ha precisato il procuratore capo - per constatare con i miei occhi gli accadimenti, visto che la soprintendente non è collaborativa». Ma il procuratore addebita responsabilità anche al governo. «Non dovrebbe essere la procura a intervenire a tutela del patrimonio, ma il ministero dei Beni Culturali», afferma. E ieri sulle possibili cause dei crolli si è registrata un’altra polemica.

La soprintendente Teresa Elena Cinquantaquattro ha sostenuto che «visto che nella città nuova non ci sono le fogne, le acque dell’area archeologica non hanno scoli». Il sindaco Claudio D’Alessio replica a stretto giro, e non esita a parlare di «menzogne». «Pompei - spiega il primo cittadino - ha un sistema fognario valido e funzionante. Come al solito la soprintendente, non avendo argomentazioni valide per giustificare i propri fallimenti, addebita ad altri le sue responsabilità».

E rincara la dose: «Se il Comune avesse la disponibilità economica della soprintendente, la Pompei moderna sarebbe un gioiello. La persona capace è chi riesce a risolvere i problemi che rientrano nella sfera delle proprie competenze e non chi offende gli altri per distogliere l’attenzione dal problema vero».

«A Pompei ci sono i soldi e il personale: quello che manca è il management. E poi c'è la camorra che va rimossa». Lo ha detto il sottosegretario ai Beni e alle Attività Culturali Riccardo Villari intervenendo a Napoli alla ventesima convention mondiale delle camere di commercio italiane all'estero. Villari è tornato sull'ultimo crollo verificatosi nel sito archeologico sabato scorso: «Quello che è accaduto - ha detto - dipende da un terrapieno che preme: saranno i tecnici a stabilire come si deve intervenire. Non ci sono responsabilità della politica, di soldi ne sono stati messi a disposizione nel tempo e non sempre sono stati spesi bene oppure sono rimasti in cassa. Spetta ai manager amministrare bene le risorse che la politica mette a disposizione». Successivamente Villari è tornato sulla denuncia in merito a presunti interessi della malavita sul sito archeologico: «Da sempre - ha spiegato - dove ci sono soldi e interessi c'è sempre una vischiosità contro la quale bisogna reagire».
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sabato 22 ottobre 2011

Lotta alla camorra

Catturato esponente del clan dei Polverino
GIUGLIANO. I Carabinieri del nucleo investigativo di Napoli nel corso d'irruzione in un ristorante di Varcaturo, sul litorale dominio, hanno catturato il latitante Carmine Carputo, 54 anni, per gli inquirenti elemento di spicco del clan Polverino, sfuggito a un blitz a maggio che ha portato in carcere 40 affiliati alla 'famiglia' di camorra della zona Nord del napoletano, e' stato rintracciato e arrestato in un ristorante di Varcaturo, sul litorale domitiano. L'uomo era in possesso di una carta di identita' e patente false e di una ingente somma di denaro. A Carputo e' stata notificata una ordinanza di custodia cautelare in carcere con le accuse di associazione a delinquere di stampo mafioso, traffico internazionale e spaccio di droga, riciclaggio. Secondo le indagini, Carputo riciclava denaro del clan in attività edilizie e commerciali. Nell'operazione di maggio furono sequestrati beni per un miliardo di euro. Carputo è ritenuto elemento di spicco nel riciclaggio in attività edilizie e commerciali del clan.       

Droga e edilizia: Carputo abile imprenditore del clan
MARANO. Era ricercato dal 3 maggio scorso quando, durante l’operazione denominata ‘Polvere’ finirono in manette decine di persone ritenute affiliate al clan Polverino. Domenica notte, i carabinieri del comando provinciale di Napoli coordinati dal maggiore Lorenzo D’Aloia, hanno scovato Carmine Carputo, detto 'o piccirillo' in un ristorante a Varcaturo, il «Maroder Antica cucina Napoletana». Carmine Carputo, 54 anni è considerato dalla Dda di Napoli, un affiliato di spicco dei Polverino.

Il blitz al ristorante il «Maroder».I militari sono entrati in azione, in via Madonna del Pantano dopo aver avuto la certezza che il 54enne era all’interno del ristorante. Una volta circondato il locale sono entrati e hanno stretto le manette ai polsi dell’uomo tra l’incredulità di tanti clienti che erano all’interno del ristorante. Carputo è stato trovato in possesso di una carta di identità e patente false e di una ingente somma di denaro, che secondo gli inquirenti serviva per la sua latitanza. Gli è stata notificata una ordinanza di custodia cautelare in carcere con le accuse di associazione a delinquere di stampo mafioso, traffico internazionale e spaccio di droga e riciclaggio. Secondo le indagini, Carputo riciclava denaro del clan in attività edilizie e commerciali. Nell'operazione di maggio furono sequestrati beni per un miliardo di euro. Il 54enne è ritenuto elemento di spicco nel riciclaggio in attività edilizie e commerciali del clan. Secondo quanto riportato sul quotidiano ‘Cronache di Napoli’ denunciate a piede libero anche due donne cassiere dei bar riconducibili al 54enne, uno a Napoli e un altro a Marano.

Le indagini. Secondo l’Antimafia ad interessare il 54enne, Carmine Carputo era l’investimento di grosse somme di denaro per l’acquisto di importanti partite di droga in Spagna. Presso i suoi cantieri, inoltre, sarebbero stati “stoccati” temporaneamente i quantitativi di hashish giunti dalla penisola iberica. Ad inchiodare il 54enne le dichiarazioni di due pentiti Domenico Vere e Salvatore Izzo: «Oltre al campo delle costruzioni, il Carputo è coinvolto nel traffico di droga ed ha partecipato spesse volte alle cosiddette 'puntate’. Ricordo che in passato il camion contenente l’hashish veniva scaricato nella villa del Carputo. Aveva creato inoltre nella sua proprietà una botola all’interno della quale veniva occultato lo stupefacente». Il profilo di Camine Carputo delineato dalle indagini è quello di un abile imprenditore capace di investire quantità di denaro e farlo fruttare sia nella droga che nel campo dell’edilizia

Qualiano. Bruno D'Alterio: arrestato e poi rilasciato
QUALIANO. Sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, Bruno D’alterio 40 anni di Qualiano, è stato arrestato con l’accusa di aver violato la sorveglianza a cui era stato sottoposto. E’ stato bloccato dai carabinieri della stazione di Qualiano, diretti dal maresciallo Carlo Barresi, immediatamente dopo che aveva omesso di presentarsi nella caserma dei carabinieri, all’orario prestabilito, per adempiere alla prescrizione dell’obbligo di firma. Innanzi al giudice il 40enne, tramite il suo legale ha presentato un certificato medico e il giudice non ha convalidato il fermo. Si tratta di Bruno D’Alterio, cognato del defunto boss Nicola Pianese. Era attualmente sottoposto agli obblighi della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno. La condanna un anno fa per estorsione al titolare di un caseificio per conto della camorra, insieme a D’Alterio alti sei affiliati al clan Pianese che ottennero lo sconto di pena nel processo di appello con rito abbreviato. La “parziale rinuncia ai motivi degli imputati”, una sorta di patteggiamento portò ad una condanna rideterminata in maniera “più favorevole” per gli imputati con pene ridotte di oltre due anni. Dai cinque anni e quattro mesi comminati nella sentenza di primo grado ai 3 anni, 2 mesi e 20 giorni nell’appello. Bruno D’Alterio (difeso dagli avvocati Pasquale Russo e Claudio Davino) fu condannato a 3 anni e 8 mesi rispetto ai sei anni inflitti in primo grado dove furono condannati a 38 anni di cella totali. Fu questo l’esito del processo con rito abbreviato dell’ottobre dello scorso anno presso la terza sezione gup del tribunale di Napoli (giudice De Gregorio). Per tutti ci fu l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e la confisca delle telecamere del sistema di videosorveglianza al ras D’Alterio. Erano ritenuti responsabili di aver preteso il pagamento di una tangente da un imprenditore, Ciro Pianese (indagato come mandante nell’omicidio dell’ex assessore di Villaricca, Roberto Landi).

Camorra, boss del «pallonetto» preso dopo inseguimento a Fuorigrotta
NAPOLI - Un boss del «Pallonetto» di Napoli - zona popolare della città che divide piazza del Plebiscito dal borgo marinari di Santa Lucia - è stato arrestato oggi dai carabinieri in via Scarfoglio, ai confini tra i comuni di Napoli e Pozzuoli.

Arnaldo Nocerino, 36 anni, ritenuto l'attuale reggente del clan camorristico degli «Elia» è stato individuato all'alba, armato con passamontagna e guanti di lattice calzati, mentre, insieme a un complice, era a bordo di uno scooter senza targa nei pressi di una discoteca.

L'arma in possesso di Nocerino aveva il colpo in canna, circostanza che ha fatto presupporre l'imminenza di un raid criminale. Nonostante i numerosi stop intimati dai militari i due sono comunque fuggiti, uno a piedi per le campagne circostanti, riuscendo così a dileguarsi, e l'altro, Nocerino, sullo scooter.

Ne è nato un inseguimento ad alta velocità che è proseguito fino a viale Augusto, nel vicino quartiere di Fuorigrotta, dove Nocerino è stato bloccato con l'ausilio di altra pattuglia fatta convergere per bloccare la via di fuga. Una volta immobilizzato, i carabinieri hanno sottoposto Nocerino a una perquisizione personale: addosso aveva due pistole semiautomatiche con colpi in canna e caricatori pieni (una da guerra del tipo di quelle in uso alle forze dell'ordine e l'altra calibro 9x21).

L'arma da guerra è risultata rapinata nel 2008, nel Giuglianese, a un carabiniere mentre l'altra è risultata con la matricola cancellata. Oltre alle armi sono stati sequestrati anche i passamontagna e i guanti di lattice. Le due pistole saranno inviate al Racis di Roma per accertare se siano già state usate mentre il boss del Pallonetto è stato chiuso nella casa circondariale di Poggioreale: è accusato di detenzione e porto illegale di armi da guerra clandestine e ricettazione.

Pochi giorni fa, il 7 ottobre, un ragazzo di 18 anni, Ciro Elia figlio di Luciano, capoclan del quartiere Pallonetto di Santa Lucia, è stato ucciso in un agguato avvenuto in Via Trinità delle Monache.

Preso a Villaricca il boss del Vomero e Arenella
VILLARICCA. Antonio Caiazzo, di 53 anni, storico capo del clan operante nei quartieri Vomero ed Arenella, si nascondeva in un appartamento a Villaricca. Nella giornata di ieri dopo una laboriosa attività di indagine, coordinata dalla locale DDA, gli agenti della Sezione Narcotici della Squadra Mobile di Napoli gli hanno stretto le manette ai polsi. Con lui Salvatore Pellecchia, pregiudicato di 42 anni, anch’egli inserito nel clan, perché responsabile di favoreggiamento personale, la sua posizione è al vaglio degli inquirenti. Il boss dei quartieri della Napoli bene non ha opposto resistenza e si è fatto ammanettare. E’ stato trovato in possesso di un documento d’identificazione falso, e secondo quanto riportato dalla nota stampa della polizia, per questo motivo gli viene contestato anche l’art 397 c.p. aggravato dall’art.7 circostanza aggravata d’aver agito con metodo mafioso. Attualmente Antonio Caiazzo, è l’indiscusso capo clan camorristico che agisce principalmente nei quartieri del Vomero, dell’Arenella e dei Camaldoli e che, non disdegna di allargare il suo raggio d’azione verso la periferia a nord di Napoli ed i paesi immediatamente confinanti forte, soprattutto, così come accennato, dell’alleanza con il potente clan Polverino, facente capo a Giuseppe Polverino detto O’ barone, attualmente pur latitante.

Antinio Caiazzo latitante e storico capo indiscusso. era inserito nell’elenco dei 100 latitanti più pericolosi d’Italia, latitante da 8 mesi, a seguito di scarcerazione per un vizio di forma nella procedura di estradizione, attivata dopo il suo arresto, avvenuto in Spagna nel dicembre del 2008. L’uomo risulta destinatario di un’ ordinanza di custodia cautelare in carcere, estesa in ambito internazionale, a seguito di condanna in primo grado a 26 anni di reclusione per associazione a delinquere di stampo mafioso, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti ed estorsione. Risulta, inoltre, destinatario di altri provvedimenti minori. I poliziotti, infatti, hanno arrestato l’uomo perché destinatario anche di un ordine di esecuzione, emesso dalla Procura della Repubblica, presso il Tribunale di Ascoli Piceno, per il quale dovrà scontare 7 mesi di reclusione perché responsabile di danneggiamento. Lo stesso, oltre ad aver a suo carico numerosi precedenti penali, già affiliato al clan camorristico “Alfano” facente capo a Giovanni Alfano, agli inizi degli anni 90, a seguito di un riassetto interno, formava un proprio gruppo criminale e grazie ai legami di amicizia con il clan “Polverino” operante a Marano di Napoli, ingaggiava una vera e propria guerra proprio con il clan camorristico promosso da Giovanni Alfano. Nel corso del conflitto, si registravano agguati che culminavano con la morte di numerosi affiliati in seno sia alla “nuova” che alla “originaria” consorteria criminale. Uscito vincente da questa faida, Caiazzo, di fatto, scacciava Alfano dal territorio il quale, con pochi fedelissimi, si spostava fisicamente nella zona della “Torretta”.La cruenta faida ebbe il suo apice nella primavera del 1997, allorquando, nel corso di un raid omicida, fu erroneamente uccisa Silvia Ruotolo. Le dichiarazioni di Rosario Privato, divenuto collaboratore di giustizia, portarono quindi all’arresto dell’Alfano spianando, di fatto, la strada al Caiazzo il quale, unitamente ad un altro emergente e suo alleato nella faida, Luigi Cimmino , divenne gestore delle illecite attività nella zona dell’Arenella e del Vomero. L’ulteriore scissione interna che vedeva, questa volta, contrapporsi Caiazzo al Cimmino, oltre a provocare un ulteriore e cruenta faida dava oggettiva conferma all’attuale operatività del clan.        

Polverino beni sequestrati per 40 milioni di euro
MARANO. Nell'ambito di complessa attività di indagine di natura patrimoniale, tesa all'aggressione dei patrimoni di mafia, la sezione Misure di Prevenzione Patrimoniali della Divisione Anticrimine della Questura di Napoli unitamente a personale del Commissariato P.S. di Giugliano ha dato esecuzione, nella giornata di ieri, al decreto di sequestro beni emesso dal Tribunale nei confronti di Giuseppe Felaco, 57 anni di Calvizzano, detto ‘Peppe Nazzaro’, pluripregiudicato per associazione per delinquere semplice e di tipo mafioso, violazione legge stupefacenti, ricettazione continuata, furto, falso e emissione di assegni a vuoto. Giuseppe Felaco, è considerato un elemento di elevata pericolosità sociale, è stato di recente condannato dal Tribunale di Napoli alla pena di anni 3 e mesi 6 di reclusione per aver violato l’articolo 416 bis cp. Felaco è ritenuto parte integrante del clan camorristico Nuvoletta, potente organizzazione egemone nel territorio del comune di Marano. Dalle attività investigative e dalle risultanze processuali è emerso che la posizione del 57enne in seno al sodalizio camorristico è quella dell'imprenditore con il delicato compito di reimpiegare ed investire, in particolare nell'attività edilizia, gli ingenti capitali derivanti dallo svolgimento delle illecite attività del clan, in particolare traffico di stupefacenti e di armi ed estorsioni.

La sua vita tra la Spagna e Marano.Nel corso degli anni il predetto ha vissuto lunghi momenti di latitanza anche in Spagna, essendo stato tratto in arresto il 13 settembre 2004 a Santa Cruz di Tenerife, per poi essere successivamente estradato in Italia. In considerazione dell'elevato grado di pericolosità qualificata, al Felaco è stata irrogata nel maggio 2007, la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale della PS con obbligo di soggiorno per il periodo di anni 3 e mesi 6, alla cui esecuzione si è però sempre sottratto, restando in Spagna.

Il decreto di sequestro beni è stato emesso in accoglimento di articolata proposta del Questore di Napoli, formulata a seguito di intensa, capillare e prolungata attività di indagine svolta dalla Sezione Misure di Prevenzione Patrimoniali nel corso degli ultimi anni, che ha consentito di svelare l'esistenza di un ingente patrimonio, soprattutto immobiliare e societario, nella disponibilità del Felaco, ma intestato nella gran parte a suoi familiari, di cui le indagini hanno accertato il ruolo di prestanomi. In particolare, sono stati posti sotto sequestro beni tra Marano e Como per un valore complessivamente di 40 milioni di euro. Tra i beni sequestrati un fabbricato con terreno di circa 500 mq sul lago di Como con accesso esclusivo dal lago. Sigilli a ville immobili e terreni al Castel Belvedere, contrada Grifone e via Vicinale. Sotto chiave anche una Harley Davidson e due conti correnti uno a Como e l’altro a Marano. Infine la totalità delle quote societarie e patrimonio aziendale della Construenda srl, società in stato di liquidazione con sede in Capiago Intimiano (Co) .

domenica 16 ottobre 2011

Roberto Saviano vince il premio coraggio PEN/Pinter

Dato che vive sotto la minaccia di morte, Roberto Saviano non ha potuto ritirare il premio letterario vinto lunedi scorso, ma il giornalista e scrittore italiano ha inviato un messaggio per ringraziare i lettori di Gomorra che lo hanno sostenuto nella denuncia della criminalità organizzata napoletana.
Saviano, il cui scottante reportage ha venduto quattro milioni di copie nel mondo, ma che è costretto a vivere sotto scorta 24 ore al giorno, è stato proclamato vincitore del premio internazionale PEN/Pinter, dedicato agli scrittori di coraggio da parte del drammaturgo David Hare. Lo stesso Hare ha vinto il premio PEN/Pinter lo scorso agosto e ha lavorato insieme alla commissione PEN – Scrittori in Prigione per scegliere un autore perseguitato con cui condividere il riconoscimento.
Nell’annunciare Saviano come sua scelta, Hare ha dichiarato di sperare che il premio, “possa, seppur in minima parte, rendergli la vita più semplice”. “Roberto Saviano ha raccontato della camorra in Gomorra prima e nel film omonimo, poi. Ha realizzato il tutto a suo grande rischio” ha aggiunto Hare. “Saviano ha dichiarato che quando l’informazione si unisce all’immaginazione a quel punto ‘la letteratura parla al lettore e ne invade gli spazi’. Non potrei essere più d’accordo.”
Attualmente sotto scorta dopo aver ricevuto numerose minacce di morte, Saviano, 32enne, ha inviato un messaggio alla cerimonia di premiazione, non potendo ritirare il premio di persona. “La mia gratitudine va a tutti coloro che hanno reso possibile che le mie parole diventassero pericolose per alcuni poteri che invece richiedono silenzio e ombra, e a coloro che le hanno assimilate, testimoniando che appartengono a tutti. Questo premio va ai miei lettori. Devo a loro se stasera state leggendo queste mie parole, se ho portato quello che mi sta a cuore fuori dalle pagine e dentro i media e se l’ho fatto senza troppe esitazioni. Perchè quando senti che tanti hanno il bisogno di vedere, di sapere e di cambiare e non solo di essere intrattenuti o consolati, allora vale la pena continuare a scrivere.”
Il premio è stato consegnato a suo nome alla giornalista e documentarista Annalisa Piras, che alle pagine del Guardian ha dichiarato: “Il fatto stesso che le sue parole vengano lette è incredibilmente importante, perchè se il suo lavoro dovesse finire nell’ombra allora probabilmente lo ucciderebbero. Non lo uccideranno finchè resterà sotto i riflettori, per cui tutti noi dovremmo sentire la responsabilità di continuare a leggere le sue parole, altrimenti rischierebbe di morire.”
“Sono molto onorata di ritirare il premio per Roberto, perchè in questo momento è particolarmente importante per gli italiani perchè racconta la verità. Tantissimi italiani ritengono che lui sia tra i più coraggiosi del paese ed è davvero triste sapere che uno scrittore che racconta la verità diventi un condannato a morte”.
“Dalla pubblicazione di Gomorra nel 2006” ha proseguito “Saviano ha vissuto in una prigione (…) a Napoli lo definiscono ‘cappotto di legno’ che significa vivere con una bara. Non è qualcosa che puoi cancellare. Ci sono condanne a morte messe in atto 40 anni dopo l’evento scatenante.”
Christopher Maclehose, che lo scorso maggio ha pubblicato ‘La bellezza e l’inferno’ una raccolta di articoli, storie e notizie firmate da Saviano e tradotta in inglese (Beauty and the Inferno), ha raccontato che “tutti vennero perquisiti da capo a piedi dalla polizia” quando l’anno scorso lo scrittore partecipò alla fiera del libro di Torino. “Parteciparono all’evento dalle 600 alle 700 persone e quando lui apparve tutto il pubblico si alzò in piedi ad acclamarlo, fu davvero commovente, perchè c’era una giovane Italia a celebrare questo magnifico italiano” ha commentato. “La mia speranza è che in futuro Saviano abbia la possibilità di ricoprire un ruolo politico, perchè è un uomo di immenso coraggio: sa che il proprio paese deve cambiare ed è pronto ad essere colui che lotta per riuscirci. E non è solo l’Italia ad avere bisogno di persone preparate a farlo”.
Lo scorso anno, lo scrittore Hanif Kureishi vinse il premio PEN/Pinter, condividendolo con la giornalista e attivista per i diritti umani Lydia Cacho, messicana. Antonia Fraser, vedova di Pinter, ha dichiarato che il marito sarebbe stato orgoglioso di avere il suo nome accanto a quello di Hare e Saviano, aggiungendo di aver comprato una copia di Gomorra subito dopo aver ascoltato la Piras parlare “dell’importanza di tenere vive le parole di Saviano”.

Il nuovo identikit di Pasquale Scotti super criminale evaso e latitante dall'84: Era fedelissimo di Cutolo nella Nco

NAPOLI - Un nuovo identikit, attualizzato ad oggi in base alle moderne tecnologie, per il ricercato Pasquale Scotti. Si tratta, all'interno dell'elenco dei dieci latitanti di massima pericolosità indicati dal ministero dell'Interno di quello ricercato da più tempo.
Scotti, infatti, è riuscito a sfuggire alla cattura, estesa anche in campo internazionale, dalla vigilia di Natale dell'84, da quando evase clamorosamente dall'ospedale civile di Caserta dove era stato ricoverato per ferite alla mano riportate durante un conflitto a fuoco.

Le due immagini create dalla Polizia scientifica di Napoli presentano il latitante così come potrebbe apparire oggi, una con i capelli bianchi e un'altra con capelli più scuri.

Scotti è stato un elemento di spicco del cartello camorristico della Nco, capeggiato dal superboss Raffaele Cutolo, di cui è sempre stato considerato uno dei 'fedelissimi', protagonista della cruenta faida intrapresa negli anni '80 con clan avversari ricompattatisi nel cartello antagonista denominato 'Nuova Famiglia'.

Via libera della provincia per l'inceneritore

GIUGLIANO. Via libera della provincia di Napoli alla costruzione di un impianto tra Giugliano e Villa Literno per smaltire le ecoballe di Taverna del Re. L’Ente di piazza Matteotti ha approvato un documento, spedito alla Regione Campania dove il presidente Stefano Caldoro viene invitato ad attivarsi per la realizzazione di un inceneritore (detto di seguito impianto di trattamento termico). Nel documento viene sottolineata “la necessità che la Regione Campania, o un Commissario all’uopo nominato dal Presidente della Regione, predisponga in tempi brevissimi, oltre a tutte le azioni necessarei a chiarire gli aspetti giuridico-amministrativi relativi alla definizione della “proprietà” di tali rifiuti, anche un avviso per manifestazione alla realizzazione di un impianto di trattamento termico per lo smaltimento dell’intero ammontare di tali rifiuti. Le aziende eventualmente interessate dovranno indicare anche i dati analitici sui rifiuti da trattare che ritengono indispensabili per poter garantire un trattamento efficiente, che garantisca allo stesso tempo la sicurezza dei cittadini e la tutela dell’ambiente circostante”. Nel documento si legge ancora che gli incontri che hanno determinato questa scelta, ovvero quello di un impianto di Incenerimento a Taverna del Re hanno avuto luogo dal dicembre 2009 a maggio 2010. Il presidente della provincia di Napoli Luigi Cesaro ha sottolineato come sia necessario costruire: “Un inceneritore, ma con caratteristiche diverse, perché deve tener conto dell’esistente. La situazione è veramente difficile. Con i comuni e la provincia di Caserta quando era Commissario Giliberti abbiamo deciso un lavoro di concertazione. È fondamentale costruire un inceneritore nell’area tra Villa Literno e Giugliano, che sono contigue, in cui c’è questo deposito di ecoballe”. L’intenzione è dunque fare un protocollo d’intesa in comunione tra la provincia di Caserta e la provincia di Napoli per la realizzazione. “Con i comuni di Giugliano e di Villa Literno. Ci stiamo già lavorando, ma purtroppo c’è stato anche il periodo elettorale nella provincia di Caserta” - afferma Cesaro.

Preso l'esattore di Setola per l'area aversana

AVERSA. Operazione anticamorra dei carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Caserta. Ieri mattina sette persone sono finite in manette. Si tratta del pregiudicato Giuseppe Cantile, 39 anni detto 'Pepp'o russo', esponente del clan dei casalesi, ritenuto l’uomo di fiducia del boss Setola per l’area aversana. In manette anche sua moglie e di altre cinque persone (di cui due coppie di coniugi dell'agro aversano) queste ultime accusate di aver favorito la latitanza dello stesso Cantile. Ricercato dal dicembre 2007 perchè colpito da un ordine di carcerazione emesso dalla Procura di Napoli, che aveva unificato più pene da scontare per associazione per delinquere di tipo mafioso ed estorsione fino ad un cumulo di un anno e otto mesi, era stato arrestato nel gennaio 2009 dopo un'irruzione in un'abitazione di Casaluce, nel Casertano. L'uomo era stato affiliato prima al gruppo della camorra che faceva capo a Francesco Biondino (da tempo detenuto), quindi si era avvicinato alla fazione guidata da Giuseppe Setola. Nella circostanza fu arrestato per favoreggiamento anche il proprietario dell'abitazione. Scontata la pena, Cantile aveva lasciato il carcere nell'ottobre 2010. Durante il periodo di latitanza sono state però accertate numerose condotte di favoreggiamento poste in essere dai cinque arrestati: questi gli avevano fornito un nascondiglio stabile, permettendogli di eludere le investigazioni delle forze dell'ordine e consentendogli così di mantenere il suo ruolo operativo nel clan. Giuseppe Cantile e la moglie Antonietta Cangiano sono stati arrestati per il reato di ricettazione di documenti d'identità falsificati per intestare schede telefoniche sim utilizzate dallo stesso Cantile e da suoi fiancheggiatori.

Gli arrestati.Gli altri destinatari della misura cautelare sono i coniugi Beniamino D'Aniello e Carolina Cipresso di Aversa; i coniugi Guido Nocchiero e Giuseppina Fabozzi di Teverola; Irene Laiso di Cesa. Carolina Cipresso e Antonietta Cangiano sono state sottoposte ai domiciliari in quanto madri di minori di 6 anni, mentre gli altri cinque sono stati associati al carcere di Santa Maria Capua Vetere.

Le indaginipartono sul presunto ruolo di "ambasciatore" svolto, secondo la magistratura partenopea, dall'avvocato Carmine D'Aniello, difensore del boss Francesco Bidognetti detto Cicciotto e mezzanotte, arrestato nel giugno 2010, In particolare, nel corso delle intercettazioni e' emerso che Cantile, da latitante, intratteneva rapporti con il legale non solo per informarsi delle proprie vicende giudiziarie, ma anche per segnalargli persone coinvolte in operazioni di polizia al fine di fargli assumere la difesa. Il processo su D'Aniello, in realta', e' alle battute finali davanti alla prima sezione del tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Cantile - gia' arrestato a Casaluce il 30 gennaio del 2009 assieme al proprietario dell' abitazione - era ricercato dal dicembre 2007 perche' colpito da un ordine di carcerazione emesso dalla procura generale della Repubblica di Napoli che aveva unificato piu' pene da scontare per associazione per delinquere di tipo mafioso ed estorsione fino ad un cumulo di anni 1 e 8 mesi. Cantile era affiliato prima al gruppo di Francesco Biondino, boss di Trentola Ducenta condannato a 30 anni nel processo Spartacus I, ma si era avvicinato, stando alle indagini, alla fazione guidata da Giuseppe Setola.

Rifiuti tossici

Casalesi: discarica illegale sotto un parcheggio
CASTELVOLTURNO. Ritrovata una discarica abusiva seppellita al di sotto di un parcheggio secondario del complesso Hyppokampos di Castelvolturno. I vigili del fuoco insieme ai tecnici dell'Arpac hanno effettuato le indagini e dopo aver scavato hanno ritrovato materiale organico. Ora si attende l'esito delle analisi per scoprire che tipo di materiale è stato nascosto tra il 1993 e il 1994 dai casalesi. E' stato il pentito Emilio Di Caterino, che 17 anni fa aveva allestito la discarica, a condurre sul posto gli agenti della squadra mobile, consentendo di individuare finalmente il sito di cui molti parlavano (collaboratori di giustizia inclusi) ma che era sempre rimasto misterioso. Al pm Catello Maresca e al vicequestore Alessandro Tocco il pentito ha fatto un racconto agghiacciante, che corrisponde in tutto e per tutto alle scene del film ''Gomorra''. I Tir carichi di rifiuti pericolosi (in particolare scarti della lavorazione dell'alluminio e dell'ammoniaca) arrivavano a Castelvolturno dalle regioni del nord e di notte scaricavano nell'enorme invaso proprio a ridosso della pineta. Quando l'alveo fu colmo, venne chiuso con un tappo di cemento spesso una decina di centimetri, su cui infine venne sparso del terreno. E sotto terra, con conseguenze che nessuno può al momento valutare per le falde acquifere, i veleni sono rimasti 17 anni. Per molte ore, nel corso del pomeriggio, i tecnici dell'Arpac, l'Agenzia regionale per l'ambiente, hanno compiuto prelievi a campione sulle sostanze riemerse dal terreno e ormai così indurite che le ruspe hanno fatto fatica a spostarle. Occorreranno settimane prima che si sappia con certezza di che cosa si tratta; nel frattempo l'area è stata sequestrata. Gli stessi addetti ai lavori, tecnici Arpac e vigili del fuoco, nonostante fossero dotati di mascherine e tute speciali non hanno nascosto la preoccupazione per la vicinanza ai rifiuti portati dalla camorra. L'inchiesta della Dda dovrà ora chiarire quali industriali del nord pagavano il clan dei casalesi per smaltire i veleni in questo modo e soprattutto se nel Casertano ci sono altre discariche degli orrori. La bonifica dell'area dovrebbe spettare all'attuale proprietario dell'Ippocampos, che però è del tutto estraneo al traffico dei rifiuti: acquistò il terreno nel 2003 a un'asta fallimentare. Secondo quanto riportato dal quotidiano Repubblica che ha intervistato Sergio Pagnozzi, amministratore unico della società che gestisce il resort Hyppokampos di Castel Volturno, nel cui parcheggio sono stati rinvenuti rifiuti tossici interrati dalla camorra nei primi anni 90: «Sono state scavate quattro buche di circa un metro e mezzo di profondità. In tre di queste sono state ritrovati rifiuti tossici in sacchi di iuta». Il luogo della scoperta è stato posto sotto sequestro.        
Rifiuti tossici a Castelvolturno ritrovati dopo 17 anni
CASTELVOLTURNO. Ricordo la prima Commissione parlamentare d’inchiesta sul traffico di rifiuti tossici provenienti dal nord verso il sud Italia ed in particolare verso un territorio, il nostro, quello del basso casertano e del napoletano che poteva essere paragonato senza esagerazione ad un paradiso. Oggi si scopre un nuovo ma vecchio sito a Castelvolturno pieno di rifiuti pericolosi (poi della pericolosità e della natura dei rifiuti attenderemo le analisi più approfondite). Il frutto di quella che fu definita “rifiuti connection” un intreccio maledetto tra la criminalità organizzata, le organizzazioni massoniche, l’imprenditoria del nord Italia e come cerniera e collante alcuni pezzi della politica dell’epoca. Ricordo “Pluto”, il nome che si era dato al sommergibile che avrebbe dovuto scoprire i fusti tossici ed i veleni nei laghetti di Castelvolturno. Ma fu un flop. Nulla di fatto all’epoca (1997). Così come andarono a vuoto le ricerche dei rifiuti tossici al di sotto della superstrada denominata “Nola – Villa Literno”.Serviva qualcuno che conosceva bene i luoghi di sversamento, altrimenti sarebbe stato come cercare un ago in un pagliaio. E così è stato e così sarà ! Solo chi ha partecipato direttamente alle operazioni di massacro ambientale di quegli anni poteva sapere. Ma ora chi farà la bonifica dei luoghi e soprattutto quando ??? Questo interrogativo ho iniziato a porlo già a partire dal 1994/1995, cioè da quando si iniziò a svelare all’opinione pubblica che il territorio che prima avevo definito paradiso nel frattempo era diventato un inferno. E i diavoli non sono solo i soliti noti, criminali del sud, ma sono soprattutto quei nomi, di industriali del nord Italia, che inchieste come “Cassiopea”, della Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere (CE), avevano messo in evidenza e che nel frattempo sono stati “graziati” da una prescrizione per decorrenza termini…
Comunicatop stampaa Alessandro Gatto
Presidente WWF Campania

Il figlio del boss ucciso ai Quartieri, due clan in lotta per il potere:segnali di guerra nel centro di Napoli

di Leandro Del Gaudio

NAPOLI - Aveva lavorato per un supermercato, era attento a conservarsi pulito dinanzi alla legge. Era incensurato, era uno che poteva camminare tranquillo, senza incappare in conseguenze giudiziarie.
Aveva passato gli ultimi anni ad occuparsi del caso giudiziario del padre, di Luciano Elia, finito agli arresti per un concorso in tentato omicidio di un pentito del Pallonetto di Santa Lucia.

Erede diretto di Michele Elia - meglio noto come Michele dei Tribunali - il giovanissimo Ciro sapeva di portarsi addosso un cognome pesante, specie se collocato nella interminabile guerra di posizione combattuta tra i vicoli di Pallonetto e Quartieri Spagnoli. Colpi di pistola in aria, auto incendiata, segnali di intimidazione. Poi ieri l’agguato che ha spezzato la vita di Ciro Elia, vicenda di difficile lettura: un agguato di camorra o una vendetta dopo un litigio? Difficile usare il bisturi, difficile tenere distinti due moventi possibili.

Di sicuro ai Quartieri qualcosa è cambiato negli ultimi mesi. C’è aria di riapertura delle ostilità, la tregua vacilla e non è impossibile intuire gli schieramenti in campo: da un lato gli Elia, arroccati in via Pallonetto di Santa Lucia, radicati a ridosso di Pizzofalcone e capaci di interagire con i traffici che avvengono sul Lungomare; dall’altro quelli della famiglia Ricci, rafforzati negli ultimi mesi dalla scarcerazione di un paio di esponenti di spicco.

Resta sullo sfondo invece la posizione di Marco Mariano, a sua volta erede della famiglia egemone negli anni Ottanta degli affari illeciti a Montecalvario e di una buona parte di Chiaia. È tornato in cella, l’erede dei «picuozzi», ma è destinato a essere scarcerato a breve.

Due famiglie, dunque - gli Elia e i Ricci - che mostrano segni di insofferenza reciproca. Un braccio di ferro che va avanti da tempo, stando alle indagini della Dda di Napoli. È il 17 aprile del 2007, quando in vico Conte di Mola viene ammazzato Giuseppe Todisco, al termine di un litigio maturato proprio con alcuni esponenti della famiglia Elia.

Stando alla ricostruzione del pool anticamorra, volarono ceffoni nei confronti di alcuni ragazzi della famiglia Elia e dopo qualche ora Todisco venne ucciso non lontano dalle abitazioni della famiglia Ricci, all’epoca ritenuti in ascesa grazie al solido rapporto con gli ex potentissimi del clan Sarno di Ponticelli.

Una guerra di posizione per la conquista di droga, mercato del falso e altri affari sospetti in una piazza (quella dei Quartieri Spagnoli) che da sempre fa gola a tutti i clan del centro.

Chi governa qui, a Pizzofalcone o a Montecalvario, ha in scacco buona parte della città che conta. È forse uno dei motivi che ha spinto il giovanissimo Ciro Elia a camminare armato, a mostrare i muscoli in una zona divenuta sempre meno sicura.

Suo cugino Michele (altro nipote del boss Michele dei Tribunali) ha imparato a usare le armi che era appena quindicenne. Siamo nel 2006, quando fa fuoco contro un coetaneo e ferisce un turista americano che provava ad avventurarsi per via Gennaro Serra, lasciandosi alle spalle il Plebiscito, magari alla ricerca dei primi insediamenti greci di Monte Echia.

Una volta arrestato, Michele jr si limita a poche parole rigorosamente registrate da una telecamera nascosta: «Mi era venuta la ’nziria, facevo bum bum ma non lo colpivo». Come a dire: volevo uccidere il rivale, ma l’ho mancato più di una volta. Scenario caldo quello della collina di Montecalvario, alcune famiglie storiche stanno provando a serrare le fila interne anche in vista di interessi sempre più diversificati: non solo droga e bancarelle abusive, da queste parti, c’è dell’altro come è emerso dalle inchieste sui finti invalidi di Chiaia. Un business fiutato anche dai Mazzarella del rione Mercato, che non a caso hanno bussato alle porte della municipalità di Santa Caterina per poter entrare nel business.

«Il territorio di Chiaia è sotto assedio tra sparatorie e falsi invalidi, subito un consiglio straordinario con sindaco, prefetto e questore», chiede il capogruppo di Verdi e Riformisti Diana Pezza Borrelli, mentre polizia e carabinieri puntano a smorzare sul nascere nuovi focolai di violenza.

La scena è mutata. Pochi mesi fa la scarcerazione di Giacomo Ricci (detto «fragolella») e il figlio Gennaro. Hanno lasciato il carcere per decorrenza dei termini di custodia cautelare, causa lungaggini in un processo per associazione camorristica contro il clan Sarno. La loro presenza non è passata inosservata, sono in tanti a temere nuove vendette incrociate.

Due anni fa, fu una spedizione dimostrativa a provocare l’omicidio di Petru Birladeanu, il musicista colpito per errore, morto tra le braccia della moglie e l’indifferenza di tanti passanti. Tra i presunti killer, anche Marco Ricci, uno dei figli del boss «fragolella», oggi in Assise in attesa della sentenza per l’ultima faida dei Quartieri.

Immobiliare camorra

Case del Comune, il diritto alla casa rivenduto in nero per 40mila euro
di Daniela De Crescenzo
NAPOLI - Vuoi «vendere» la casa del Comune? Il modo c’è. Basta mettere nello stato di famiglia un estraneo e poi chiedere la voltura del contratto, cioè il cambio del nome dell’intestatario.
Lo permette l’articolo 6 della legge 13 del 2000. E sono novemila gli inquilini che hanno avanzato la richiesta.
Solo duemila, però, le pratiche esaminate. Seimila, invece, sono le richieste di sanatoria: anche in questo caso le pratiche esaminate sono un’esigua minoranza. E il rischio di sgombero è veramente minimo: nel 2011 le famiglie cacciate da un edificio di proprietà comunale sono state meno di quaranta.
Quindi niente paura: la compravendita delle case del Comune è un affare sicuro, di quelli che producono un reddito certo. E infatti lo stesso alloggio viene ceduto più e più volte.
L’abusivo, che spesso subentra ad un altro abusivo, prima ottiene il trasferimento delle utenze (acqua, luce, gas) poi si autodenuncia, quindi chiede la residenza (e spesso la ottiene). A quel punto presenta all’ufficio assegnazione alloggi del Comune la domanda per subentrare nel contratto dell’inquilino precedente.
Se è stato prudente, si era già fatto mettere nello stato di famiglia dell’inquilino dell’abitazione prescelta, come la legge regionale rende possibile, e quindi può avviare la pratica nella serena consapevolezza di essere dalla parte della ragione. L’intera operazione può costare, a seconda della zona e della metratura dell’appartamento, tra i 10 e i 40 mila euro, che nel migliore dei casi finiscono nelle tasche dell’abusivo precedente e nel peggiore in quelle dei clan che in alcuni rioni si propongono come agenzia immobiliare.
Un meccanismo che a Napoli non trova ostacoli da quando tra il ’93 e il ’94 furono assaltate le abitazioni realizzate con i finanziamenti della ricostruzione post terremoto. Da allora tre leggi regionali (nel ’93, nel ’97 e nel 2000) hanno permesso agli abusivi di vivere tranquilli alla faccia di chi, non avendo il coraggio di violare la legge, restava parcheggiato in eterno nelle graduatorie dei cosiddetti «aventi diritto». In pratica i fessi.
Il resto lo hanno fatto le difficoltà dell’amministrazione comunale e di quello che allora si chiamava «ufficio casa». Qualche esempio: la legge prevede che non si possano assegnare alloggi a chi è stato condannato per mafia.
All’aspirante inquilino, però, viene chiesta soltanto un’autocertificazione. E i controlli successivi sono stati finora inesistenti. Non solo. E ancora. Una delibera comunale ha fermato gli sgomberi di chi ha un disabile in famiglia: da allora non c’è stato abusivo che non avesse almeno un cieco o uno zoppo in casa. Sulla carta. Il criterio, infatti, è sempre quello dell’autocertificazione.
Per cercare di mettere un freno agli abusi si sta mobilitando il neo assessore al patrimonio del Comune di Napoli, Bernardino Tuccillo, che spiega: «Proporrò al consiglio comunale di approvare un ordine del giorno per chiedere alla regione di abrogare la delibera del ’97 che dà la possibilità di aggiungere estranei al nucleo familiare. Su questo tema ho già ricevuto consensi dalle organizzazioni sindacali». «Le segnalazioni di abusi che arrivano al nostro sindacato sono tante - spiega Gaetano Oliva, responsabile della Cgil casa - Io non credo che l’ufficio assegnazioni abbia violato la legge, ma certo i ritardi sono tanti e il personale scarseggia».
Il sindacato ha già offerto la propria disponibilità all’amministrazione comunale per segnalare i casi di abuso senza ovvviamente mettere in pericolo chi si rivolge all’associazione «È importante intersecare le informazioni - conclude Oliva - In questo modo sarà possibile intervenire con maggiore efficacia e soprattutto in maniera tempestiva.
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Così i clan "assegnano" case, scantinati e portici a inquilini abusivi e a immigrati
di Daniela De Crescenzo
NAPOLI - Scantinati requisiti ai legittimi assegnatari e dati in fitto anche agli immigati: succede a Soccavo dove l’immobiliare Camorra spa gestisce non solo gli appartamenti, ma anche le cantine, i portici e i cortili. In pratica ogni spazio libero.
Nel rione costruito con i fondi della Cassa del Mezzogiorno nei primi anni Sessanta, però, gli abusivi hanno trovato una resistenza inaspettata: dal 2007, infatti, è nato un comitato civico per la legalità nella nona municipalità che si batte per difendere i diritti di chi si ostina a rispettare le regole. Oggi una delegazione andrà a palazzo San Giacomo per consegnare un dossier. E per documentare la vita impossibile della gente normale assediata dai clan, ma anche dalla disperazione di chi è pronto a tutto pur di trovare un tetto.

Soccavo non è un rione della ricostruzione, uno di quelli assaltati prima ancora di essere terminati. Tra via Tertulliano e via Piave, tra via Montagna Spaccata e viale Traiano trovarono casa negli anni del boom economico e dell’edilizia popolare operai e piccoli artigiani, impiegati e commercianti.

Appartamenti minuscoli, ma dignitosi che ognuno abbellì a modo suo: fiori sui balconi, ceramiche in cucina, mobili tirati a lucido. Un angolo di paradiso per chi la casa l’aveva sempre sognata e infine aveva conquistato la certezza di poterci restare per tutta la vita. Un paradiso che la malavita vuole trasformare a ogni costo in un inferno. E spesso ci riesce. L’assalto ovviamente è cominciato dagli appartamenti.
In via Agrippa viveva una coppia di vecchietti. I due si sono allontanati per andare a Varese dove una figlia stava per partorire. Sono restati fuori quattro mesi e al ritorno hanno trovato i mobili in strada e la serratura della casa cambiata. Al tavolo della cucina stavano mangiando degli sconosciuti. I poveretti hanno chiesto ospitalità ad amici e parenti e sono partiti al contrattacco. Peregrinando da un ufficio all’altro hanno scoperto di essere praticamente dalla parte del torto. Toccava a loro dimostrare di essersi allontanati solo temporaneamente e di aver sempre avuto intenzione di tornare. Hanno ceduto e sono tornati a Varese.
Gli abusivi, però, avrebbero dovuto essere comunque allontanati. Sono ancora in casa: il primo tentativo di sgombero è naufragato perché la mattina fissata per l’intervento delle forze dell’ordine i vicini hanno visto arrivare un vecchietto che è stato sistemato nel letto. Di fronte al malato gli agenti hanno fatto dietrofront. Il secondo tentativo è andato a vuoto perché l’occupante era incinta. Il terzo, perché il figlio era stato dichiarato invalido a causa delle «evidenti carenze affettive».
Difendere gli scantinati è forse ancora più difficile. Per evitare le occupazioni abusive gli inquilini del civico al numero 2 di via Agrippa hanno preferito murare metà delle cantine. Nell’altra metà si era già sistemata una famiglia che minacciava di allargare i suoi spazi. Non è stato possibile, però, bloccare l’occupazione del porticato che è stato murato ed è diventato l’ufficio di una società di smaltimento dei rifiuti pericolosi.
Non tutti sono stati così previdenti da chiudere l’ingresso con una colata di cemento e così moltissimi scantinati sono stati occupati. A chi ha tentato di opporsi è capitato anche di trovarsi una pistola puntata in faccia. Tra i clienti sono arrivati gli immigrati, disperati tra i disperati, pronti a pagare profumatamente per vivere nei sottoscala.
Ogni mese sono costretti a sborsare tra i due e i trecento euro per un’abitazione dove è difficile pure ricavare un bagno e una cucina e dove non arriva mai il sole.
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sabato 8 ottobre 2011

Rifiuti, chiede il pizzo sulla raccolta: licenziato un dipendente dell'Asìa

NAPOLI - Pagato dal Comune per fare il suo lavoro, ovvero ripulire le strade della città, si faceva pagare anche dai cittadini: un «obolo» per garantire il suo passaggio in determinate zone e il suo lavoro da spazzino. Ma non poteva andare avanti così per sempre: alla fine il dipendente «infedele» è stato scoperto, smascherato e licenziato.

A raccontare la vicenda è il presidente di Asìa, Raphael Rossi: «Abbiamo verificato che certe cose corrispondessero al vero e poi abbiamo agito di conseguenza». Il tratto distintivo di questa vicenda, della quale si è saputo soltanto a licenziamento avvenuto, è che l'azienda di via Antiniana intende continuare sulla strada del rigore e dei controlli. Fu lo stesso Rossi a invitare, dalla pagina Facebook dell'Asìa, i cittadini a segnalare ogni problema, motivandolo con dovizia di particolari ma allo stesso tempo in maniera da tutelare la riservatezza e consentire alla società municipale le dovute verifiche del caso.

Sul fronte degli spazzini è di qualche mese fa la vicenda degli inabili al lavoro, i dipendenti che esibendo certificati medici in molti casi sacrosanti, in altri meno plausibili, evitavano di uscire a ramazzare le strade. E se è vero che c'è il pugno duro contro i fannulloni è altrettanto vero che i dipendenti vengono valorizzati e citati come spina dorsale dell'azienda: è accaduto anche ieri, quando presidente e vicesindaco Sodano hanno ringraziato i lavoratori Asìa per aver consentito l'apertura in tempi rapidi del sito di stoccaggio in via Benedetto Brin.
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Omicidi di camorra

L'agguato ai Quartieri Spagnoli: ucciso figlio 18enne del boss del «Pallonetto»

NAPOLI - Un ragazzo di 18 anni, Ciro Elia figlio di Luciano, capoclan del quartiere Pallonetto di Santa Lucia, è stato ucciso la notte scorsa in un agguato avvenuto in Via Trinità delle Monache. Una segnalazione giunta al 113 ha indicato la presenza in strada di una persona raggiunta da colpi di pistola. Gli agenti di una "volante" hanno trovato Ciro Elia colpito da un proiettile calibro 9x21 alla testa. Il ragazzo è stato portato dal 118 all'ospedale Loreto Mare, ma è morto poco dopo in sala di rianimazione.

Con l'omicidio di Ciro Elia, 18 anni ucciso dai sicari ai Quartieri Spagnoli, sale a 30 il numero delle esecuzioni dall'inizio del 2011. Diciannove omicidi sono stati commessi a Napoli, gli altri 11 in provincia.

C'è un giallo nelle fasi immediatamente successive all'assassinio del giocane Elia: quando in questura è arrivata la notizia della spietata esecuzione in via Trinità delle Monache, l'anonimo interlocutore telefonicamente aveva segnalato accanto al corpo del ragazzo, ormai in fin di vita, oltre a un motorino, poi ritrovato, sul quale era in movimento la vittima, anche una pistola. All'arrivo degli agenti della squadra mobile però della pistola non vi era più traccia. Considerato il luogo dove è avvenuta la spietata esecuzione, i Quartieri Spagnoli, ad altissima densità camorristica, è probabile che qualcuno l'abbia fatta sparire. Diffice, ma non impossibile, che potesse trattarsi dell'arma del delitto. Più verosimile l'ipotesi che poteva essere una rivoltella in possesso dello stesso Elia, finita sul selciato in seguito alla violenta caduta, e fatta sparire, o meglio rubata.

Omicidio a Scampia, freddato un 31enne


NAPOLI - Un pregiudicato di 31 anni, Fabio Bartolo, è stato ucciso a colpi di pistola in via Ghisleri, a Scampia (Napoli), nei pressi del lotto SC1. I killer hanno scaricato sull'uomo un intero caricatore: almeno quindici i colpi di pistola ritrovati a terra. L'omicidio dovrebbe essere riconducibile a un regolamento tra opposti clan criminali che si contendono il territorio. Sull'episodio indaga la polizia.

Preso 'Gigino ‘a guerra' affiliato al clan Polverino

MARANO. Esponente dei Polverino fermato dai carabinieri per estorsioni. A Quarto i carabinieri della locale tenenza hanno arrestato Luigi Carandente Tartaglia, 34 anni, residente a Quarto, detto “Gigino ‘a guerra”, ritenuto esponente di spicco della fazione quartese del clan camorristico dei “Polverino” egemone a Marano e nei comuni limitrofi, destinatario di un decreto di fermo del Pm emesso il 5 ottobre dalla direzione distrettuale antimafia di Napoli sulla scorta di risultanze investigative di carabinieri del nucleo investigativo di Napoli. A partire dal 2001 e con condotta perdurante, avvalendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo e dalla condizione di assoggettamento che ne deriva aveva promosso, organizzato e attuato per conto del sodalizio malavitoso una variegata pluralita' di attivita' delinquenziali. Fra queste attività: la consumazione di estorsioni a imprenditori e commercianti, il traffico di stupefacenti e la gestione delle “piazze di spaccio”, il condizionamento di organi amministrativi preposti al rilascio di permessi edilizi, il reinvestimento speculativo in attivita' commerciali e finanziarie dei proventi delle attivita' criminali e, infine, il conseguimento per se' e per gli altri appartenenti di profitti e vantaggi destinati al sostentamento degli affiliati arrestati e delle loro famiglie. Il malvivente e’ stato rintracciato e bloccato mentre transitava a piedi per le strade del centro cittadino. Dopo le formalita' di rito è stato accompagnato nella casa circondariale di Poggioreale.       

sabato 1 ottobre 2011

Da Scampia pioggia di lettere alla polizia:«Noi ostaggi degli spacciatori, liberateci»

NAPOLI - Il primo esposto anonimo è giunto qualche giorno fa presso gli uffici del commissariato. A ruota ne sono arrivati altri. Numerosi, precisi, dettagliati. Alcuni scritti al computer e leggibili, altri a penna e sgrammaticati. Grafie diverse, mani differenti, ma un’unica richiesta : «Vi imploriamo di aiutarci, gli spacciatori ci tengono in ostaggio».

Segnalazioni nelle quali la gente di un fabbricato di Scampia in via Labriola ha preferito non mostrarsi, ma sintomatiche di un’insofferenza che tenta di scrostare quell’omertà di cui si fa scudo la criminalità organizzata per le sue attività illecite.

Lettere non firmate che raccontano prepotenza, disagio, soprusi, e che hanno fornito agli inquirenti una fotografia nitida del funzionamento di una «piazza» di spaccio, agevolandoli nell’addentrarsi in un territorio ostile e svelando loro modalità e tecniche di fuga dei trafficanti. Questi ultimi, infatti, per sfuggire all’arresto erano soliti sbarrare il portone d’ingresso di una scala dello stabile, nascondere la droga, raggiungere rapidamente il tetto e chiudere la porta del terrazzo dall’esterno in modo da impedire l’accesso alle «divise».

Successivamente riuscivano, tramite l’altra scala, a raggiungere l’edificio vicino e far perdere le tracce. Due gli ascensori della palazzina: uno doveva restare sempre libero, perché mezzo per scappare via senza impedimenti. Lo spaccio attraverso il buco nell’inferriata, le astuzie per prevenire la cattura, gli stratagemmi delle «sentinelle» per regolare l’andirivieni dei tossici: ormai i residenti ne sapevano più di una squadra narcotici.

Una quarantina di famiglie del lotto G nell’isolato 4 che si sono ribellate al via vai di persone sotto il balcone, al dover restare chiuse in casa dalle prime ore del pomeriggio, all’essere costrette a far riconoscere amici o parenti in visita. Una vita ‘blindata’, la loro, per non rischiare di intralciare la compravendita di stupefacenti. Fino a ieri quando nel rione assediato dai pusher è scattata la rivolta, quella lenta, silenziosa.

Già venerdì sera, gli uomini della squadra investigativa, guidati dal dirigente Michele Spina, si sono recati sul posto per un sopralluogo. Occorreva, innanzitutto, constatare da vicino la veridicità delle lettere, dei racconti. I poliziotti hanno potuto, così, rendersi conto che i residenti della palazzina erano realmente soggetti ai tempi e ai modi dello smercio di droga. Tutto come era scritto negli esposti anonimi. Fermate alcune persone sospette, ma nessuna traccia della «roba». Soltanto il giorno dopo, ieri mattina, è scattata l’operazione che ha portato allo smantellamento dei sistemi di autodifesa usati dai pusher.

Cancelli, maniglioni alle porte, schermature in ferro da adattare alle finestre affinché lo spacciatore non fosse identificabile. Un sistema di controllo codificato anche in regole da rispettare per tutti i condomini. Ma Scampia ha mostrato l’altro suo volto, denunciando, dopo che gli ultimi blitz hanno dimostrato che la camorra ha un affanno in più.

Claudia Procentese

Si pente Tammaro Diana, fiancheggiatore del clan dei casalesi

CASTELVOLTURNO. Ha iniziato a collaborare con la giustizia Tammaro Diana, titolare del centro commerciale Gioli' di Castelvolturno e Top Market di Villa Literno, arrestato dalla Guardia di Finanza nel novembre scorso e indagato per associazione mafiosa. Ad annunciare il suo pentimento oggi e' stato il pm della Dda di Napoli che si occupa del clan dei Casalesi, Luigi Landolfi, al termine dell'udienza nel processo a carico dell'avvocato Carmine D'Aniello, indagato per concorso in associazione per aver favorito, stando alla tesi della procura, l'uscita di messaggi dal carcere del boss Francesco Bidognetti detto "Cicciotto 'e mezzanotte". Nella prossima udienza prevista per il 10 ottobre il pm Landolfi ha chiesto ai giudici della prima sezione penale del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, collegio A, di ascoltare Tammaro Diana: "Sta collaborando da circa dieci giorni - ha spiegato il pm - e le sue dichiarazioni potrebbero essere utili in questo processo". Diana, imprenditore gia' noto alle forze dell'ordine, era stato accusato dei reati di partecipazione all'associazione mafiosa e violenza privata aggravata dal ricorso al metodo mafioso e, stando alle indagini della Dda di Napoli, gia' dal 2000 forniva supporto materiale e logistico agli affiliati al clan dei Casalesi ai quali, per un periodo, non aveva versato piu' la quota. Nel 2003, infatti, l'imprenditore, si era visto piazzare dal clan tre taniche di benzina nel garage del Top Market di Villa Literno a scopo intimidatorio. A quel punto, per conto del gruppo Bidognetti, Diana avrebbe procacciato e custodito autovetture, esplosivo ed armi agli affiliati versando, inoltre, delle somme al gruppo per stipendiare gli affiliati. Il 22 luglio scorso il reparto Gico di Napoli gli aveva sequestrato il supermercato Gioli' - dotato di un centro commerciale e 70 negozi - e una serie di auto e beni per un valore di 40 milioni di euro. Grazie alle sue rivelazioni, gli agenti della sezione distaccata della squadra mobile di Casal di Principe hanno trovato Kalashnikov e pistole con munizioni nascoste in un terreno nei pressi dei Regi Lagni di Villa Literno. La scoperta e' stata fatta la scorsa settimana. (AGI)

Mafia nigeriana, 8 arresti a Castelvolturno

CASTELVOLTURNO. Vasta operazione in Italia dei carabinieri di Napoli per l’arresto di 8 appartenenti a “Black Axe”: gruppo mafioso nigeriano. I Carabinieri del nucleo Investigativo di Castello di Cisterna (NA) questa notte hanno dato esecuzione a un’Ordinanza di Custodia Cautelare in Carcere arrestando 8 appartenenti all’organizzazione mafiosa nigeriana chiamata “Black Axe” (Ascia Nera), operante in varie località d’Italia e in vari stati d’Europa, responsabili d’associazione per delinquere di tipo mafioso e, a vario titolo, di estorsioni, sfruttamento della prostituzione, porto e detenzione illegale di armi, minacce e lesioni personali, contraffazione di documenti di identità. L’indagine, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, portata avanti con attività d’indagine tradizionale e tecnica ha documentato gli assetti del gruppo e le violenze, le intimidazioni e il clima d’assoluta omertà tipiche della mafia, con l’imposizione del pagamento di ingenti somme di danaro per finanziare il sodalizio ed estorsioni perfino a chi gestiva lo sfruttamento delle prostitute. Documentati anche riti esoterici d’iniziazione e affiliazione al gruppo “Black Axe”: i novizi venivano frustati a sangue per testare la resistenza alle torture e veniva loro inciso l’intero polpastrello del pollice per sancire l’appartenenza al gruppo. Mafia nigeriana, 8 arresti a Castelvolturno, le accuse sono induzione alla schiavitù e estorsione. In manette persone appartenenti a una organizzazione ritenuta legata alla mafia nigeriana e, secondo i sospetti degli investigatori, anche alla camorra locale. Dieci gli ordini di arresto. I reati contestati vanno dall'associazione alla estorsione, alla induzione alla schiavitù. Il blitz è avvenuto a Castelvolturno, nel Casertano, dove nel settembre del 2008 ci fu la cosidetta "strage dei neri" voluta dal boss dei Casalesi.

L'intercettazione: «Tritolo di Gomorra per i nemici»

CASAL DI PRINCIPE. Un carico di esplosivo utile a fare una strage. Cinquanta chili di tritolo che rientrano negli ordinari piani di guerra della falange armata: pronta a commettere una “pazzarìa”. Uno dice: «Mamma mia, ma con cinquanta chili se ne cade mezzo paese». L’altro ride. «Bum!... E lo guardi in paradiso». Casalesi, è il tempo della strategia del terrore condotta dal superkiller Giuseppe Setola contro chi si ribella alle tangenti e ad altri nemici. Ed è proprio in quei giorni che alcuni gregari di Gomorra, intercettati dalla Procura antimafia di Napoli, svelano un progetto che essi stessi definiscono devastante. Eccola, quasi tre anni dopo, la conferma del “codice rosso” lanciato a polizia e carabinieri e raccontato da “Repubblica” l’otto novembre 2008.
Quella conversazione è stata per la prima volta contestualizzata e citata, ieri, durante la requisitoria condotta dal pm Cesare Sirignano al processo in corso nell’aula bunker di Santa Maria Capua Vetere, dinanzi al collegio giudicante (presidente Raffaello Magi, a latere Paola Cervo) contro il boss detenuto Setola e altri 39 imputati. Oltre 70 contestazioni che vanno dalle estorsioni a vari tentati omicidi. Una valanga di reati: per i quali si prevede una richiesta complessiva dei pm (Sirignano e Catello Maresca) di oltre 200 anni di carcere.

Nell’ambito della strategia del terrore che porta la firma del superkiller (il finto cieco) Setola (foto), e che ha portato a 18 omicidi tra la primavera e l’autunno del 2008, il pm Sirignano osserva: «Particolarmente significativa appare — per il riconoscimento dell’aggravante della finalità di terrorismo e per la riconducibilità al gruppo di Setola della strategia volta al totale assoggettamento della popolazione residente nei territori sottoposti al controllo del clan Bidognetti e a seminare terrore — la conversazione intercettata durante la telefonata avvenuta tra Paolo Gargiulo e Giuseppe Barbato. Tra loro parlano anche due persone non identificate ma che certamente si trovavano accanto a Gargiulo (perché sottoposto ad ambientale): un dialogo di agghiacciante eloquenza. Essi discutono di un attentato da eseguire utilizzando 50 chili di tritolo e delle conseguenza devastanti per una intera comunità di innocenti».
La telefonata è del 6 novembre 2008. Gargiulo detto Calimero chiama Barbato ‘o Cascione, ma questi non risponde. In sottofondo, però, Gargiulo parla con altri ragazzi. Per inciso: non si può immaginare che stiano millantando o “recitando” visto che ne discorrono tra loro senza neanche aprire il cellulare. Dialogano Gargiulo (P) con due ragazzi, (R1 e R2).

L'intercettazione. P. «Ma con 50 chili di tritolo…»R2. «Sai che botta che fa».R1. «Mamma mia pero’ 50 chili se ne cade mezzo paese!». P. «Pinu’ questi la fanno qualche pazzaria, non sia mai Iddio passare da loco …. salti in aria».R1. «Eh, speriamo che non ci va nessuno per sotto».P. «E come fa a non andarci nessuno per sotto? Devi bloccare le strade... quello piccolino piccolino...Peccato se ci vanno per sotto i poveri cristiani è vero o no?».R1. «No, no…».P. «Per mezzo di uno scemo di quello …. quel cristiano sta pieno di guai e sta andando fuori ad apparare gli altri guai. Bum! E lo guardi in paradiso (ride)».R2. «Guarda te lo dico io...». P. «Si mette l’anima in pace».

Continua il pm: «La conversazione svela una capacità criminale sempre crescente e una volontà di assediare il territorio nonostante la massiccia presenza delle forze dell’ordine, l’indebolimento del gruppo di fuoco seguito alla cattura del gruppo di fuoco (Alessandro Cirillo, Oreste Spagnuolo e Giovanni Letizia) e gli efferati delitti eseguiti, tra cui la strage di Castel Volturno. Il dato emerso dalle intercettazioni trova conferma nelle dichiarazioni rese in questo dibattimento da Francesco Diana, dall’ottobre del 2008 al servizio di Setola fino al suo arresto». Proprio Diana, infatti, aveva riferito della volontà di Setola di eseguire alcuni attentati utilizzando «del tritolo» commissionato da Esterino Antonucci ai soggetti di Mondragone. Tra i bersagli di Setola, ancora una vittima di estorsione (del settore commercio ittico) che aveva denunciato l’autore della richiesta estorsiva, Mosè Esposito, imputato in questo processo.
CONCHITA SANNINO
Repubblicanapoli.it