sabato 30 aprile 2011

L'allarme: «Armi chimiche affondate nel '45 al largo tra Bagnoli, Ischia e Procida»

ISCHIA - Potrebbero trovarsi in fondo al mare fra Bagnoli, Ischia e Capri gli ingenti arsenali di armi chimiche affondati dopo la seconda guerra mondiale dagli americani nel Golfo di Napoli.
L’allarmante ipotesi è stata avanzata in questi giorni da due docenti dell’Istituto Nautico di Forio d’Ischia e dal responsabile per la Campania del coordinamento nazionale per la bonifica delle armi chimiche, il movimento che si batte su scala nazionale affinché le autorità individuino, monitorino e bonifichino le armi chimiche inabissate o interrate dagli anglo americani e dai tedeschi durante e dopo la seconda guerra mondiale.
Esaminando le carte nautiche e le profondità dei fondali marini del Golfo di Napoli, e ipotizzando la partenza delle chiatte dal porto di Bagnoli (come del resto confermato da rapporti militari dell’epoca solo di recente liberati dal vincolo del segreto), il professore di navigazione Nicola Lamonica, assieme al fiduciario dell’istituto Luigi Laconica - su incarico di Massimo Coppa, responsabile per la Campania del movimento - hanno individuato un’area dove presumibilmente gli affondamenti potrebbero essere stati effettuati. L’area in questione è iscritta in un immaginario triangolo che ha per vertice Bagnoli, quale base di partenza dei convogli navali militari americani ed inglesi che nel 1945 e 1946 occultarono in fondo al mare napoletano il pericoloso arsenale di armi chimiche. Da Bagnoli, i docenti hanno proceduto a tracciare due rotte limite, la prima tangente alle isole di Procida ed Ischia, e la seconda vicinissima invece all’isolotto di Nisida. Verosimilmente le chiatte e le navi usate per la discarica degli arsenali si sono inoltrate in mare aperto all’interno di questo cono largo, dal lato di Bagnoli, circa 42-47 gradi. Secondo le cartine con le profondità del Golfo di Napoli, procedendo verso Sud, Sud-Ovest, una volta superata l’altezza del Canale di Procida si riscontrano fondali superiori a cento metri, che diventano presto di 200 metri e quindi superano i 300. Spingendosi fino alla linea immaginaria che unisce Ischia e Capri si spalancano profondità abissali: 500, 600, 700 e addirittura oltre mille metri. È la zona della Bocca Grande, un vero e proprio abisso dove può essere occultata qualsiasi cosa.
«Tuttavia, data la scarsa sensibilità ambientale dell’immediato dopoguerra e la condizione di sostanziale strapotere delle autorità militari americane non è verosimile - sostiene Massimo Coppa - che siano stati cercati fondali così profondi per compiere il lavoro che si era deciso di fare. Per cui è più probabile che gli arsenali giacciano tra i 200 ed i 400 metri di profondità».
Nella peggiore delle ipotesi comunque, l’area da scandagliare si estende per circa 287 chilometri quadrati, pari a 155 miglia nautiche quadrate...

Arrestato il contabile del clan dei Casalesi

INTERNAPOLI. Vincenzo Schiavone, 37 anni, è stato arrestato dalla squadra mobile di Caserta e da quella di Avellino nella notte di Pasqua in una clinica di Sant'Angelo dei Lombardi (Avellino), specializzata in riabilitazione, nella quale era ricoverato. Personaggio di spicco del gruppo del clan dei Casalesi che fa capo a Francesco Schiavone, soprannominato 'Sandokan', era latitante dal 2008.
È ritenuto non soltanto un killer del gruppo, ma anche contabile ed organizzatore delle estorsioni per conto del clan. Nel 2008 riuscì a sfuggire alla cattura, ma la polizia sequestrò il suo computer nel quale era annotata l'intera contabilità del clan, compresi i nomi di tutti gli imprenditori e commercianti che venivano sottoposti a taglieggiamento. Vincenzo Schiavone è soprannominato "o copertone", per la sua abitudine di firmare gli omicidi, dando fuoco al cadavere della vittima, accanto al quale ammassa copertoni d'auto.
Il ministro Roberto Maroni si è congratulato con il capo della polizia, Prefetto Antonio Manganelli. «Grande soddisfazione per l'arresto di Schiavone che rappresenta un'altra grande affermazione dello Stato contro la camorra - ha detto il titolare dell'Interno - con la cattura del suo cassiere, il clan dei Casalesi è sempre più debole perchè viene colpito al cuore dei propri interessi patrimoniali».
Quando c'è stata l'irruzione della polizia, l'uomo era in camera, non ha opposto resistenza e non ha commentato l'arresto. Alla cattura di Schiavone, è stato riportato dalle agenzie di stampasi è giunti dopo una serie di servizi di osservazione.
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, Schiavone si trovava nella clinica da almeno quattro giorni, ma si sta ancora lavorando per capire dove si sia nascosto in questi quattro anni di latitanza.
Ora si trova rinchiuso nel carcere di Secondigliano. Schiavone sfuggì all'ordinanza Spartacus III emessa dal gip di Napoli su richiesta della Dda il 30 settembre di tre anni fa. Nel 2004, durante una perquisizione, la polizia sequestrò il suo computer nel quale era annotata l'intera contabilità del clan, compresi i nomi di tutti gli imprenditori e commercianti che venivano sottoposti alle richieste di pizzo. È stato calcolato che il fatturato mensile del clan gestito da Schiavone si aggirava intorno ai 300 mila euro mensili. (Ansa)
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Scampia: 6 sciossionisti in manette

NAPOLI. Sei presunti appartenenti al clan degli “Scissionisti” attivo a Scampia e Secondigliano sono stati arrestati ieri a Napoli dagli agenti della squadra mobile e dalla Guardia di finanza del Gico. La polizia giudiziaria ha eseguito una ordinanza di custodia cautelare emessa dal giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli su richiesta dei pm della direzione distrettuale antimafia. Si tratta di Ferdinando Cifariello di 44 anni, Salvatore Cifarielli di 32 anni, Davide Cifariello di 39, Giuseppe Candido di 49, Annunziata De Martino di 62 anni e Salvatore Toro di 47. Quattro dei sei arrestati , tranne Candido e la De Martino, erano gia' rinchiusi in carcere per altre ragioni. Gli indagati sono accusati di associazione mafiosa finalizzata dal traffico di droga. I sei farebbero parte del sottogruppo capeggiato da Ferdinando Cifariello affiliato al clan Amato-Pagano, i cosiddetti Scissionisti.
Le indagini coordinate dal procuratore aggiunto Alessandro Pennasilico sono fondate su una complessa attivita' tecnica oltre che dalle dichiarazioni di 8 pentiti: Gaetano Conte, Pietro Esposito, Gennaro Russo, Andrea Parolisi, Giovanni Piana, Maurizio Prestieri e i nipoti Antonio Prestieri e Antonio Pica. L'attivita' investigativa condotta dagli agenti della Squadra mobile e dai finanzieri del Gico di Napoli avrebbero consentito di accertare l'esistenza di un sottogruppo capeggiato da Ferdinando Cifariello, esponente del clan Di Lauro legato a Rosario Pariante, con il ruolo di killer e di gestore delle "Piazze di spaccio" situate in via Labriola, ai Sette palazzi, ai Lotto G e SC e in piazza della 33.
L'attivita' investigativa del Gico ha consentito di accertare che nell'aprile del 2005 quando la faida di Scampia, tra dilauriani e scissionisti volgeva al termine l'arresto in Francia di ferdinando Cifariello. Il camorrista si era rifugiato oltralpe per evitare di essere arrestato nell'ambito di una operazione anti camorra cui e' seguita una condanna a 14 anni di carcere. Cifariello fu arrestato in un lussuoso appartamento situato in un residence di Nizza, dotato di piscina e campi da tennis mentre per i suoi spostamenti utilizzava Ferrari e Mercedes.
All'epoca del suo arresto Cifariello era ancora un affiliato al clan Di Lauro e durante le sue conversazioni incitava i suoi a mettersi a disposizione del clan nell'ambito della guerra di camorra. Ma durante la faida il padre di Cifariello fu ferito in un agguato, successivamente il pentito Andrea Parolisi riferi' agli inquirenti che i killer del padre di Cifariello erano partiti da Mugnano.
Successivamente Cifariello e il suo gruppo passarono dal clan dei dilauriani agli scissionisti come rivelato concordemente sia dai Prestieri che da Parolisi e Giovanni Piana. L'attivita' investigativa ha portato all'arresto in flagranza di reato di 13 persone, al sequestro di 160 chili tra cocaina e hashish, di armi, di 20 mila euro in contanti e 3 auto di lusso. Sempre nell'ambito dell'indagine le Fiamme gialle hanno sequestrato 4 appartamenti e due terreni per un valore di un milione di euro. (AdnK)

Napoli: coppia svizzera dimentica borsa con 2000 euro, il tassista la restituisce

NAPOLI - Vedi Napoli e poi...torni. La città è sommersa dai rifiuti ed è stretta nella morsa del malaffare, ma forse a Napoli è ancora possibile affrancarsi dall'immagine della città brutta, sporca e cattiva. Bastano piccoli gesti, nessun eroismo, soltanto comportarsi da persone perbene, con semplicità. L'esempio viene dal signor Antonio Grieco, tassista identificato dalla sigla 'Ravello 8' e da un albergatore del Vomero, Paolo Coppola, titolare di 'Weekend a Napolì, villa liberty che ospita un resort in via Enrico Alvino.

Alla vigilia di Pasqua hanno risolto il problema di una coppia di turisti svizzeri un po' distratti: giunti in albergo dall'aeroporto di Capodichino, al momento del check-in si sono resi conto di aver dimenticato sul taxi una borsa con duemila euro in contanti. In meno di un'ora l'hanno recuperata, grazie alla direttrice del piccolo hotel, la signora Patrizia, che ha fatto scattare immediatamente l'operazione "Vedi Napoli e poi... torni", e con un vorticoso giro di telefonate è riuscita a rintracciare il tassista.

«Si, la borsa è in auto, gliela riporto a fine turno», la prima risposta. «Per favore, meglio subito, le paghiamo la corsa» hanno implorato dall'hotel, pressati dalla cliente straniera, allarmatissima. Dopo poco la borsa è arrivata, con i duemila euro. La corsa costava 18 euro, la signora ne ha pagato 20, due di mancia - il tassista ha rifiutato ulteriori compensi - dicendosi incredula: «Giro il mondo e so per certo che difficilmente a New York o a Londra sarebbe finita così». Il tassista ha incassato, ha ringraziato e se n'è andato, soddisfatto. «Ma - racconta Coppola - da napoletano ideatore di "Week end a Napoli", ho deciso di fare qualcosa per divulgare e premiare il comportamento di questo tassista gentiluomo. Ho prenotato un tavolo per due al ristorante La Bersagliera, sul lungomare, e ho offerto una cena al tassista e alla moglie con i ringraziamenti personali di chi in Napoli ci crede. Qualcuno avrà modo di raccontare che la nostra città non è solo monnezza».

lunedì 25 aprile 2011

Marano, cimitero: vivi contro morti abusivi

di Antonio Menna
MARANO - Accendere un lumino a se stessi. Raccogliersi in preghiera di fronte ad una lapide col proprio nome e cognome. Comprare un mazzo di fiori e sistemarlo sulla propria tomba, così bene da far invidia a tutto il cimitero. Dare una occhiata alla nicchia del vicino, magari più piccola, perché la morte sarà pure una livella ma se hai i soldi si vede anche al cimitero. Insomma, vivere l'emozione, un po' macabra, di fare visita alla propria tomba.

A Marano si può. Decine di persone hanno comprato un loculo nuovo di zecca e hanno pensato di chiuderlo già con una lapide, mettendoci il proprio nome e cognome. Da vivi. Il motivo? Timore di un’occupazione abusiva da parte di qualche salma che non trova altri spazi.
Avere una nicchia pronta, per sé e per i suoi, soprattutto agli anziani, si sa, dà una certa serenità. In genere, però, i loculi comprati da vivi, «in attesa» di essere occupati, vengono lasciati vuoti e aperti. A Marano, invece, a decine hanno pensato di chiuderlo con una lastra di marmo, mettendoci subito nome e cognome. Ovviamente mancano la data di mortee pure quella di nascita. Ma l'effetto paradossale è quello di camminare in un cimitero di vivi.

Accade in quello che è stato chiamato, tecnicamente, edificio A del primo lotto del cimitero di Vallesana. Si tratta di una palazzina costruita alle spalle del camposanto. Il cantiere è stato aperto ben 10 anni fa. Contemporaneamente all'avvio dei lavori furono messi in vendita 400 loculi e 300 tumuli. Andarono a ruba. Furono firmati i contratti e versati gli acconti. Poi i lavori si trascinarono in una lunghissima pastoia burocratica. Il cantiere è stato bloccato più volte, sono cambiate alcune ditte. Molti acquirenti, nel frattempo, sfiduciati, hanno disdetto il contratto. Altri, caparbiamente, hanno atteso. L'anno scorso, la fine dei lavori. Altri mesi per il collaudo e poi, finalmente, la firma e la consegna ufficiale del loculo al legittimo proprietario. Si tratta, in realtà, di una concessione per 99 anni. Al titolare è stato rilasciato un atto con l'indicazione del piano e del numero di loculo. Al momento del «bisogno» sarebbe bastato presentare il documento.

Ma qualcuno ha avuto paura. I loculi sono vuoti, le salme sotterrate nel camposanto, che devono essere esumate a breve, sono tante. Molte famiglie non hanno comprato i loculi, e non hanno un posto dove mettere il proprio congiunto dopo l'esumazione. È cominciato, così, a serpeggiare il timore che qualcuno potesse appropriarsi d'autorità o abusivamente di nicchie vuote. Del resto, nel cimitero di Marano, in passato, se ne sono viste di tutti i colori. L'ultima, lo scorso anno, è stata una sequenza di furti di fioriere: mille vasi spariti in una notte.
Nella paura, quindi, di ritrovarsi il loculo occupato da chissà chi, qualcuno ha avuto l'idea. Ha chiuso la nicchia con una lastra di marmo e ci ha messo nome e cognome, con lettere dorate e caratteri gotici. Da vivo. Immediata è scattata l'emulazione. Una dopo l'altra sono comparse decine di lapidi. Nome, cognome, nessuna data. Tutti vivi. Tutti al cimitero ad occupare la propria nicchia, per evitare che qualche morto «abusivo» se ne appropri. Passeggiare nel nuovo edificio del cimitero di Marano, così, è diventata una sorta di esperienza esoterica. Un rito magico. Arrivi con il mazzo di fiori e lo metti sulla tua tomba o su quella di un amico vivo. Ti dici una preghiera e ti mandi un saluto. La scaramanzia? Nessun problema. Pare che addirittura sia un buon esorcismo: accendere un lumino alla propria tomba allungherebbe la vita. Amen.
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venerdì 22 aprile 2011

Caccia aperta al superlatitante Michele Zagaria

CASERTA. I carabinieri sulle tracce di Michele Zagaria, latitante da oltre 15 anni, reggente del clan, condannato all'ergastolo nel processo Spartacus. Decine di perquisizioni a Casapesenna, in provincia di Caserta, da parte del Ros dei carabinieri. L'attenzione dei reparti speciali dell'Arma si è concentranda in via Roma 187 a Casal di Principe. E sempre nella mattinata di oggi le forze dell'ordine hanno arrestato otto uomini, all'alba di oggi con l'accusa di associazione mafiosa ed estorsione dai carabinieri del Ros e del comando provinciale di Caserta, con la collaborazione della Guardia di finanza. Gli otto fermati su provvedimento emesso dai pm della Direzione distrettuale antimafia di Napoli coordinata dal procuratore aggiunto Federico Cafiero De Raho vengono ritenuti dei personaggi importanti nell'ambito della cosca capeggiata dal numero uno della Camorra casalese ancora in liberta', Michele Zagaria. Tra gli otto fermati vi e' anche il referente diretto di Zagaria, Giovanni Garofalo di 37 anni. Gli otto sono stati fermati (e rinchiusi nel carcere di Santa Maria Capua Vetere) per un tentativo di estorsione ai danni di un imprenditore edile del casertano. Al rifiuto dell'imprenditore di cedere alle richieste estorsive la cosca ha reagito violentemente fino ad arrivare ad un assalto a colpi di pistola contro un furgone guidato da un operaio dell'azienda. Gli investigatori hanno acquisito prove anche grazie all'intercettazione di numerosi sms che gli indagati si sono scambiati ma anche attraverso intercettazioni ambientali e telefoniche. In particolar modo e' stata utile una telefonata intercettata dai pm antimafia tra gli attentatori che ancora si trovavano nell'auto mentre era in corso la sparatoria e altri complici che ha "consentito di ricostruire -spiega il procuratore aggiunto Cafiero De Raho- in maniera del tutto fedele tutto l'episodio in contestazione".

Gli arrestati Si tratta di Carlo Bianco, di 27 anni, di Villaricca (Napoli); Alessandro Cecere di 26 anni, di Villaricca (Napoli); Arturo Fontana di 29, di Caserta; Michele Fontana di 40, di San Cipriano d'Aversa (Caserta); Giovanni Garofalo, di 38, di Aversa (Caserta); Paolo Natale, di 30, di Santa Maria Capua Vetere (Caserta); Francesco Perna, di 36, di Caserta e Tommaso Tirozzi, di 33 anni, di Aversa (Caserta). I fermi sono stati confermati sul posto dal procuratore antimafia Federico Cafiero De Raho. Le ruspe stanno scavando nell'edificio di proprieta' di Garofalo. Le ricerche dei Ros si stanno concentrando anche in una villetta rustica abitata, parzialmente costruita, davanti si sta radunando una folla di curiosi.

In atto ricerche latitante Zagara I carabinieri del Ros di Napoli stanno eseguendo degli scavi nel cortile di un'abitazione di via Roma a Casapesenna, al civico 156, alla ricerca della primula rossa del clan dei Casalesi, Michele Zagaria, latitante da oltre 15 anni, reggente del clan, condannato all'ergastolo nel processo Spartacus, per concorso in omicidio di Vincenzo De Falco, per associazione per delinquere di stampo mafioso e per estorsioni nei confronti dell'azienda Parmalat. Sono state fermate dai Ros 8 persone, tra cui Giovanni Garofalo, occupante della villa in cui si stanno eseguendo gli scavi. I carabinieri sono convinti di individuare il covo del boss sulla base di una informazione raccolta sul territorio. Per ora gli scavi sono eseguiti con picconi e vanghe.

martedì 19 aprile 2011

Melito: "palo" inseguito cade dal tetto

MELITO. E' caduto da un tetto di un edificio di cinque piani dove si era rifugiato nel tentativo di sfuggire a un controllo dei carabinieri. Alessandro Morrone, 34 anni, e' morto all'istante. E' accaduto in via Londra a Melito, in provincia di Napoli. Secondo gli investigatori, l'uomo - gia' in passato coinvolto in indagini analoghe - stava svolgendo un ruolo di vedetta per un'attività di spaccio di droga quando sono giunti i carabinieri. E' entrato in un palazzo salendo fin sopra i tetti da dove è scivolato cadendo nel vuoto. Sul luogo si sono vissuti alcuni momenti di tensione dopo che sono giunti amici e familiari di Morrone che hanno inveito contro le forze dell'ordine. Il blitz dei militari è scattato poco dopo le 21,30, quando dopo aver osservato i movimenti di acquirenti e spacciatori, i carabinieri hanno deciso di intervenire e controllare il via vai che da alcune ora continuava al rione 219 nei pressi di una palazzina. Al momento dei controlli Alessandro Morrone era vicino al cancello di entrata della palazzina in via Londra, quando durante il fuggi fuggi generale è scappato fino al quinto piano, dove ha cercato rifugio sul tetto, per evitare il controllo. Qui con tutta probabilità è scivolato facendo un volo di oltre 15 metri, morendo sul colpo. Subito da parte delle forze dell’ordine è scattata la richiesta al 118 di un intervento urgente, ma i sanitari una volta giunti, sul posto non hanno potuto far altro che costatarne il decesso. Dai militari della locale stazione di Melito è scattata anche la richiesta di intervento, diverse pattuglie si sono portati sul posto. Una folla inferocita ha iniziato ad inveire contro i militari, alcuni carabinieri sono rimasti contusi. Il 34enne secondo le prime indagini lavorava come palo nell’attività di spaccio delle case popolari del rione 219 in via Londra.

sabato 16 aprile 2011

Intercettazioni troppo care? Le indagini le paga il camorrista

di Rosaria Capacchione
NAPOLI - Una giornata di intercettazioni ambientali costa 250 euro, con la durata minima dell’ascolto fissata in quindici giorni e un impegno di spesa che, quindi, non scende mai sotto i 3750 euro. Un collegamento in videoconferenza tra i 600 e i 700 euro.
E se gli imputati in un processo di mafia, collegati telematicamente con l’aula di udienza, sono detenuti - come spesso accade - in carceri diverse, la cifra va moltiplicata per tre o per quattro. Un procedimento nel quale vengono contestati reati associativi, dunque, pesa sul bilancio dell’erario per cifre che superano il milione di euro. Si tratta di soldi che lo Stato anticipa, in attesa di poter riscuotere il corrispettivo delle spese di giustizia imputate al condannato in via definitiva.

Spesso, cifre inesigibili perché, nelle more del processo, le proprietà di famiglie sulle quali rivalersi, vengono alienate, più o meno fittiziamente. Ma dalla Procura di Napoli arriva un provvedimento, il primo del genere, destinato a fare scuola. Il recupero delle spese giudiziarie, almeno nel processo a carico di quindici persone accusate di far parte del clan Zagaria - ci sono il padre Nicola e il fratello Carmine del capocosca Michele Zagaria, latitante da oltre quindici anni, oltre a Michele Barone, Raffaele Nobis, Gennaro Goglia, Salvatore Nobis, Massimo Di Caterino, Giovanni Zagaria, Oreste Basco, Saverio Fontana, Antonio De Rosa, Antonio Fontana, Pasquale Pagano e i due imprenditori di Casagione Luigi e Vincenzo Abbate - sarà immediato, con la conseguenza di far pagare agli indagati le indagini su se stessi.

Il gip Francesco Cananzi ha accolto, infatti, la richiesta di sequestro conservativo fatta dai pm Marco Del Gaudio, Catello Maresca, Antonello Ardituro e Raffaello Falcone, controfirmata dall’aggiunto Federico Cafiero de Raho e dal capo dell’ufficio Giovandomenico Lepore.

I magistrati hanno, di fatto, messo un’ipoteca su beni e denaro contante: centomila euro per ciascun imputato, per un totale di un milione e mezzo di euro. La cifra è stata calcolata dal Gico della Guardia di Finanza di Napoli, che ieri ha anche eseguito il provvedimento, sommando i costi dell’attività d’indagine (cioè le intercettazioni telefoniche e ambientali) e quelli per i collegamenti in videoconferenza, non moltissimi in verità in quanto il processo è appena iniziato.

I sequestri conservativi, che a differenza di quelli preventivi non decadono in caso di sentenza assolutoria di primo grado, riguardano sia proprietà già sottoposte a misure di prevenzione, sia immobili e conti correnti di provenienza lecita. Rappresentano, insomma, una sorta di pegno, sostituibile eventualmente con un deposito cauzionale di pari entità.

Spiega il procuratore aggiunto Federico Cafiero de Raho, che ha rimarcato in primo luogo i costi delle indagini svolte: «Si tratta di spese elevate, necessarie però a contrastare una camorra che, anche da un punto di vista tecnologico, adopera strumenti sempre più sofisticati, tanto da rendere indispensabile una sorta di sfida tecnologica, con intercettazioni telefoniche, ambientali e altri strumenti».

Nel decreto firmato dal giudice Cananzi si fa espresso riferimento, per esempio, all’abilità degli indagati nello sterilizzare le intercettazioni con continue operazioni di bonifica. E la controffensiva ha, pure essa, costi elevati.

Chi spreca tante risorse per tenere a bada gli investigatori, non si fa scrupolo di disfarsi di beni pure già sequestrati. Nello specifico, aggiunge Cafiero de Raho, anche nell’inchiesta a carico del gruppo Zagaria e delle estorsioni commesse in danno di un imprenditore emiliano (la prossima udienza è fissata il 16 maggio) «si è ritenuto particolarmente elevato il rischio che i soggetti eventualmente condannati eludano il loro debito con lo Stato.

Questo provvedimento è come un pignoramento e opera secondo le regole del codice civile, a garanzia del credito dello Stato per le spese di giustizia. Si consente in tal modo allo Stato di recuperare immediatamente le spese sostenute per le indagini e per il processo. I crediti di giustizia assumono così posizione privilegiata nella procedura di esecuzione forzata. Sono cioè posti al primo gradino nell’ordine dei creditori».
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Napoli: torna la faida di Secondigliano

NAPOLI - Un pregiudicato di 29 anni, Antonello Faiello, è stato ucciso ieri sera, poco prima delle 21, a Corso Italia, a Secondigliano. L’uomo viaggiava su una moto Honda Transalp insieme a un altro pregiudicato, il trentacinquenne Luigi De Lucia, quando è stato raggiunto da alcuni proiettili esplosi da ignoti. Faiello è morto sul colpo, mentre De Lucia è rimasto ferito alla spalla e all’inguine ed è stato trasportato all’ospedale San Giovanni Bosco. Non sarebbe in pericolo di vita.

Entrambi gli uomini sono legati al clan Di Lauro. Faiello era ritenuto un elemento di spicco dell’organizzazione camorristica: indagato per i reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, traffico di sostanze stupefacenti, detenzione e porto abusivo di armi da fuoco aggravato dal metodo mafioso, nonché per favoreggiamento alla latitanza di Marco Di Lauro, attuale capo del clan, era stato arrestato a dicembre a Catanzaro, dove si era recato per fare visita al padre Giuseppe, detenuto in Calabria con l’accusa di essere un corriere della droga incaricato di rifornire di hashish il mercato catanzarese.

Singolari le modalità dell’arresto: i carabinieri, che avrebbero dovuto fermarlo a Napoli, avevano accertato che il 29enne era partito alla volta della Calabria per incontrare il genitore. E così avevano deciso di aspettarlo a Catanzaro, direttamente all’interno del penitenziario di Siano, dov’era stato rinchiuso in una cella vicina a quella del padre. Da pochi giorni era uscito dal carcere.
De Lucia è il nipote di Lucio, ucciso il 22 marzo 2007, cugino di Ugo De Lucia, considerato uno dei più spietati killer del clan Di Lauro, all’ergastolo per l’omicidio della 22enne Mina Verde, la 22enne dedita al volontariato, sequestrata, interrogata e carbonizzata perché ritenuta custode del covo di alcuni ras scissionisti.

Sono gli uomini d’oro del cuore di Secondigliano, in un’organizzazione capace di macinare incassi anche da altri indotti criminali. Falso, estorsioni, ma anche il calcio scommesse. Già il calcio scommesse, fenomeno mai scomparso del tutto qui a nord di Napoli. Puntate sul calcio minore, sulle partitelle settimanali, organizzate in un bar interno al feudo di Secondigliano, secondo quanto era venuto a galla alla fine del 2010 dall’ultima mossa investigativa contro la camorra che conta. Indagini condotte dal comando provinciale dei carabinieri del colonnello Mario Cinque e dal reparto operativo guidato da Giancarlo Scafuri. Agli atti i pentiti di ultima generazione, quelli cresciuti accanto (o contro) Marco Di Lauro.

Quattro ergastoli per il massacro dei ghanesi

CASTELVOLTURNO. Ergastolo per le stragi razziste della camorra. Si chiude con quattro condanne al carcere a vita, e l'applauso in aula di un gruppo di immigrati presenti alla lettura del dispositivo, il processo sul massacro del 18 settembre 2008 a Castel Volturno, costato la vita a sei incolpevoli cittadini ghanesi, e sulla carneficina sfiorata appena un mese prima, quando un'altra comunità di extracomunitari si salvò per un soffio dalla furia dei killer dei Casalesi. Massimo della pena per Giuseppe Setola, capo dell'ala stragista del clan di Gomorra, Davide Granato, Alessandro Cirillo e Giovanni Letizia. A 23 anni di reclusione è stato condannato il quinto imputato, Antonio Alluce. Il solo Cirillo è stato assolto dalla partecipazione alla strage incompiuta.
La Corte d'Assise di Santa Maria Capua Vetere ha riconosciuto le aggravanti della finalità di terrorismo e di odio razziale, confermando così l'impostazione della Procura. Un caso senza precedenti nel romanzo di sangue della camorra che quella sera, al chilometro 43 della Domiziana, scrisse una delle sue pagine più dolorose. La sentenza è stata emessa in un tribunale presidiato dalle forze dell'ordine. Al processo hanno testimoniato, fra gli altri, il ministro dell'Interno Roberto Maroni e l'unico sopravvissuto, Joseph Aymbora, che si finse morto mentre i mitra sparavano all'impazzata e il commando urlava "sporchi negri, bastardi". Aymbora si è costituito parte civile in giudizio, la Corte gli ha riconosciuto una provvisionale di 200 mila euro. Risarcimento anche per le altre parti civili costituite. All'atto conclusivo del processo erano presenti il procuratore aggiunto Federico Cafiero de Raho e i pm Alessandro Milita e Cesare Sirignano, che hanno sostenuto l'accusa a dibattimento. Le indagini erano state condotte anche dai pm Antonello Ardituro, Giovanni Conzo, Francesco Curcio, Marco Del Gaudio, Raffaello Falcone e Catello Maresca.
Setola aveva preso la parola ieri mattina per una lunga dichiarazione spontanea attraversata da messaggi oscuri e dagli "auguri di buona Pasqua" indirizzati alla Corte presieduta da Elvira Capecelatro e alle famiglie. Il giorno precedente, durante il processo per associazione camorristica, il boss si era rivolto invece al pm Maresca: "Teniamo tutti famiglia, dottore, voi dovete lasciare stare la famiglia mia, e non mi mandate più quel perito", aveva aggiunto riferendosi alla nuova perizia sulla malattia agli occhi. Quella patologia, sui cui risvolti indaga la Procura, che aveva permesso a Setola, pur già condannato all'ergastolo con sentenza definitiva, di uscire dal carcere gettando così le basi per la stagione del terrore del 2008. Nella dichiarazione di ieri, Setola aveva ammesso di aver dato incarico di commettere estorsioni. "Sono scappato in skateboard dalle fogne. Ma non ho ucciso. E non sono razzista", aveva aggiunto. La sentenza gli ha dato torto, e dopo quella per l'omicidio dell'imprenditore Michele Orsi, ora sono due le condanne in primo grado all'ergastolo inflitte al boss nel giro di un mese.
DARIO DEL PORTO
Repubblicanapoli.it

Setola minaccia il pm: «Teniamo tutti famiglia. Dottore Maresca, voi dovete lasciare stare la mia»

CASERTA. Aveva iniziato la sera della sentenza per l’omicidio di Michele Orsi, il 28 marzo, chiedendo la parola prima della camera di consiglio (e della condanna all’ergastolo). Aveva approfittato del breve collegamento in videoconferenza per difendere se stesso e la sua opinabilissima cecità ma, soprattutto, per mandare messaggi minacciosi ai collaboratori di giustizia. A uno, in particolare, Oreste Spagnuolo, il primo a interrompere il cordone di omertà che aveva blindato le azioni terroristiche dell’avanguardia stragista del clan dei Casalesi: «Merita la morte, prima di pentirsi già faceva la spia ai carabinieri. Aveva ragione Alessandro Letizia, che voleva uccidergli la moglie e i figli». Ieri, Giuseppe Setola lo ha fatto di nuovo. Ha preso la parola nel corso del processo per le estorsioni firmate dal suo gruppo, e ammesse da lui stesso quale forma di autofinanziamento finalizzato al sostentamento dei detenuti, e ha mandato altri messaggi obliqui, oscuri, minacciosi. I destinatari? Il pentito Domenico Bidognetti, il perito che ne ha accertato la capacità visiva, e il pm Catello Maresca, magistrato del pool-Caserta della Dda che sta sostenendo la pubblica accusa in aula, nel Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. «Teniamo tutti famiglia. Dottore Maresca, voi dovete lasciare stare la famiglia mia. E non mi mandate più quel perito - ha detto in collegamento dal supercarcere di Opera, dove è detenuto in regime di 41 bis - che non capisce niente. Io sono non vedente e lui ha detto che ci vedo, ma lui non è un oculista». Ha poi aggiunto, quasi intimando: «La prossima volta che mi mandate il medico, me lo dovete far sapere prima»...
Rosaria Capacchione
Il Mattino il 14/04/2011

sabato 9 aprile 2011

lotta alla camorra

Guerra tra bande per il controllo dello spaccio casertano
Presi in sei. Avevano attentato alla vita di un pregiudicato
INTERNAPOLI. Guerra tra bande che si contendono il mercato degli stupefacenti nel Casertano. Carabinieri e polizia, nel corso di un'operazione congiunta, hanno bloccato un commando armato che aveva attentato alla vita di un pregiudicato scarcerato da pochi mesi, esplodendogli contro decine di colpi di arma da fuoco. Nel corso delle indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, sono stati individuati e sottoposti a fermo tutti e sei i responsabili del raid, membri di un'agguerrita organizzazione in lotta per il controllo delle piazze di spaccio nel grosso centro casertano. Il fatto si e' verificato ieri nel piazzale di un deposito di una ditta di traslochi, dove lavora come operaio la vittima designata, che e' miracolosamente scampato all'agguato insieme agli altri presenti. Nel prosieguo dell'operazione sono state recuperate e sequestrate due pistole calibro 7,65 utilizzate dagli attentatori (una rubata e l'altra con matricola abrasa) oltre a una pistola giocattolo priva di tappo rosso ed un coltello a scatto di grosse dimensioni nella disponibilita' della vittima dell'agguato e di un'altra persona in sua compagnia. (Ansa)

Omicidio e traffico di droga: 25 in manette
Qualiano, le operazioni alle prime luci dell'alba. Scacco al sodalizio
QUALIANO. Non sono ancora stati resi noti i nomi delle 25 persone finite in manette, questa mattina all’alba, nel corso di un’operazione messa a punto dai carabinieri della compagnia di Giugliano, diretti dal capitano Alessandro Andrei e dagli agenti di polizia della Squadra Mobile di Napoli, del Commissariato di polizia di Giugliano. L’operazione, secondo gli inquirenti, è servita a far luce su una serie di vicende, tra cui due omicidi avvenuti tra il 2007 ed il 2009, su un pestaggio verificatosi nel 2008, su due attentati avvenuti tra la fine del 2008 e l'inizio del 2009. Al centro dell'inchiesta l'agguato a Raffaella D'Alterio, la vedeva del capo clan Pianese, e ai danni di un'altra donna, Fortuna Iovinella, ma anche su vicende legate al racket nel comune a nord di Napoli. Una vera e propria banda di taglieggiatori diventata nel tempo il terrore dei commercianti e degli imprenditori della zona. Praticamente - raccontano gli inquirenti - taglieggiavano qualsiasi tipo di attività commerciale e controllavano il giro dell’usura. Le indagini condotte da polizia e carabinieri hanno ricostruito le attività del clan capeggiato dal boss, ormai in carcere, Paride De Rosa, rimasto un fedelissimo del precedente capo clan, Nicola Pianese, detto “‘O mussuto”, morto in un agguato nel 2006, in seguito alla scissione con l’altro clan, quello dei D’Alterio. Da quel momento è stata una continua lotta per il controllo del territorio, con numerosi omicidi e arresti.
L’inchiesta nella quale sono coinvolte 25 persone, tutte sottoposte a misure di custodia cautelare su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, si è sviluppata in due fasi. La prima è stata seguita dagli agenti della squadra mobile della questura di Napoli e del commissariato di Giugliano, la seconda invece, è stata condotta dai carabinieri della compagnia di Giugliano. Gli investigatori hanno scoperto i presunti responsabili di agguati, danneggiamenti ed estorsioni. In particolare, hanno accertato che le quote del pizzo, lievitavano vertiginosamente in prossimità delle festività. Le due fazioni in lotta tentavano di assicurarsi a tutti i costi il territorio minacciandosi a vicenda e provvedevano al mantenimento delle famiglie degli affiliati finiti in carcere. Un ruolo importante sarebbe stato ricoperto anche da alcune donne, come la moglie di Paride De Rosa, il boss subentrato al potere dopo la morte di Nicola Pianese. De Rosa fu arrestato nel 2008 per detenzione di armi e condannato dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ma proprio grazie alla moglie, Teresa Esposito avrebbe mantenuto i reggenti del clan.


Camorra: arrestato a Napoli latitante del clan Ascione-Papale
Napoli, 5 apr (Il Velino/Il Velino Campania) - Colpo delle forze dell'ordine alla criminalità organizzata in Campania. I carabinieri del Nucleo investigativo di Torre Annunziata (Napoli) hanno catturato il latitante Ciro Papale, detto "bottone", 49 anni, già noto alle forze dell'ordine, ritenuto reggente del clan camorristico degli Ascione-Papale. I militari dell'Arma lo hanno catturato a Ercolano in un appartamento di via Trentola dove si trovava insieme al nipote ed al suo nucleo familiare. Al momento dell'arresto ha tentato la fuga per i tetti ma è stato comunque bloccato sopra un terrazzino. Papale rra ricercato dal gennaio 2008, era sfuggito a un ordine di carcerazione per traffico di stupefacenti e alla custodia cautelare per associazione a delinquere ed estorsione aggravate dal metodo mafioso. 

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sabato 2 aprile 2011

Faida Di Lauro e Ruocco: chiesto l'ergastolo

MUGNANO. Donne uccise e uomini bruciati vivi in una faida durata tre anni con oltre 20 omicidi. Per sicari e mandanti di agguati nel corso della cosiddetta 'faida' di Mugnano, nel napoletano, il pm della Direzione distrettuale antimafia Stefania Castaldi ha chiesto undici ergastoli. La quarta Corte d'Assise d'Appello valuta cio' che e' accaduto in una guerra tra clan scatenata negli anni Novanta dai Di Lauro contro i Ruocco per il controllo dei traffici illeciti della zona. Il massimo della pena e' stato invocato, tra gli altri, per i ras del narcotraffico di Secondigliano, Paolo Di Lauro, Raffaele Amato, Raffaele Abbinante, suo fratello Guido, per Rosario Pariante e Tommaso Prestieri, il boss, questo ultimo, con la passione per la pittura e la letteratura. Gli imputati all'epoca erano tutti appartenenti a un unico clan, scissosi poi nel 2004 dando vita alla 'faida' di Scampia, con 84 morti in due anni. Tra gli omicidi ricostruiti ci sono quelli di due donne: Elena Moxedano, moglie di Sebastiano Ruocco, fratello del capoclan nemico Antonio, avvenuto il 19 ottobre del 1991; e Angela Ronga, madre di Antonio Ruocco detto "'o capececcia", poi passato a collaborare con la giustizia. Ma il delitto piu' truce e' quello di Alfredo Negri, che fu torturato in una cantina e bruciato vivo il 27 luglio del 1992. L'inchiesta si basa totalmente sulle dichiarazioni degli ultimi collaboratori di giustizia tra i quali Antonio Prestieri, Antonio e Francesco Pica, Giuseppe Misso detto "'o chiatto", alle quali si sono aggiunte anche quelle dello zio Giuseppe "'o nasone". Prosegue così il processo e si tornerà in aula il 7 aprile per le discussioni del collegio difensivo, per poi proseguire il 12 e il 26 aprile, giorno in cui, salvo ulteriori rinvii, sarà emessa la sentenza.

Scissionisti scarcerati: il popolo di Gomorra fa festa

CALVIZZANO. La festa non si è fatta aspettare. Fuochi d’artificio nel cielo di Secondigliano. Brilla nella notte di Napoli la stella delle assoluzioni in un processo di Corte di Assise d’Appello, secondo grado per un omicidio datato 27 settembre 2007, uno degli ultimi colpi di coda della guerra combattuta nell’area nord tra il clan Di Lauro e la cosca degli «spagnoli», capitanata da Raffaele Amato e Cesare Pagano. Ora un passo indietro. Alle cinque di quella stessa sera, in un’aula di Corte d’Assise affollata da un pubblico rimasto in tensione per tutto il periodo della camera di consiglio dei giudici era arrivata una sentenza di assoluzione per molti clamorosa. Assoluzione. Un verdetto che apriva le porte del carcere per quattro su cinque presunti scissionisti imputati dell’omicidio di un rivale, durante la faida di Secondigliano. La festa poteva dunque cominciare. Dopo gli applausi che in Tribunale hanno accolto le assoluzioni, Secondigliano si è mobilitata e il popolo di Gomorra è sceso in strada. Ore 23,20, area della periferia nord di Napoli. Via Lombardia è una delle stradine compresse in quel triangolo compreso tra via Miano e corso Secondigliano, non lontano in linea d’aria rispetto alla Masseria Cardone, da sempre feudo dei Licciardi. Entrano in azione otto mega-batterie di fuochi pirotecnici, di quelli che assomigliano ai lanciamissili che in queste ore, in televisione, si vedono montati sui jeepponi dell’artiglieria antiaerea di Gheddafi. Ma qui siamo a Napoli, meglio, a Secondigliano, dove le cose - se si devono fare - vanno fatte alla grande. Inizia lo spettacolo. E perché tutti capiscano e tutti vedano, le esibizioni pirotecniche colorate d’oro e di rosso, di blu, di traccianti verdi e bianchi, devono essere visibili anche in lontananza. Il cronista se ne accorge quasi per caso, percorrendo a bordo del suo scooter via Santa Teresa degli Scalzi in direzione Capodimonte; avvicinandosi verso Secondigliano la percezione della festa diventa metro dopo metro più palpabile. All’altezza delle caserme di via Miano si prova a chiedere a un passante che se ne sta con il naso all’insù, a osservare il cielo di notte che si colora all’improvviso, ma l’uomo fa spallucce; si svolta a destra, imboccando via Lombardia: eccoli, i fuochisti addetti alla notte di festeggiamenti, i cerimonieri della scarcerazione. Quattro dei cinque imputati per l’uccisione di Giovanni Moccia a quest’ora sono già nelle loro case; le celle del carcere se le sono lasciate dietro le spalle, forti del verdetto di assoluzione incassato al termine del processo di appello. E siccome la libertà val bene una notte di fuochi, e l’importante in questi casi è esagerare, le batterie pirotecniche vengono dislocate a dieci metri l’una dall’altra, sull’asfalto e sui marciepiedi, in un posizionamento strategico che renda visibili i fuochi ovunque, dal Rione Monterosa al Terzo Mondo, dalle Case dei Puffi a via Bakù, e più avanti ancora, fino a Melito e Casavatore. Si infastidiscono, i fuochisti di via Lombardia, quando chiedi loro: «Scusate, che si festeggia?»; a questi giovani euforici passa la voglia di sorridere quando un ficcanaso prova a domandare il perché di tanta magnificenza in cielo, a quell’ora. «Che te ne importa, è per un battesimo», taglia corto quello che sembra il capo del gruppo. Ma, in fondo, oltre ai colori nel cielo, non c’è nulla di nuovo e di bello nella notte di Secondigliano. I fuochi artificiali si usano per celebrare le scarcerazioni eccellenti, come per elevare il magnificat all’uccisione di un boss avversario; per segnalare che la piazza dello spaccio è ufficialmente aperta al pubblico, o per brindare all’arresto di un affiliato alla cosca avversa. Sguaiata e cinica, la felicità dei signori che comandano da queste parti ha scritto un nuovo capitolo nella storia che racconta la Napoli che perde giorno dopo giorno pezzi di dignità. La festa può cominciare. (Giuseppe Grimaldi - Il Mattino - 27/03/2011)

Napoli, dai rifiuti al dramma turismo: nei musei meno 200mila sul 2003

di Paolo Barbuto
NAPOLI - C’è un numero che più d’ogni altro fotografa lo stato di agonia sul fronte turistico della nostra città: dal 2003 (anno del record) ad oggi i musei napoletani hanno perso duecentomila visitatori, e solo nell’ultimo anno i tre siti museali più rappresentativi, Capodimonte, palazzo Reale e il Museo Nazionale, hanno detto addio a 31 mila visitatori.
I dati vengono fuori - nei giorni in cui la città di nuovo sommersa dai rifiuti paga per l'ennesima volta un drammatico pegno di immagine - da un’analisi dei resoconti statistici del ministero per i beni culturali: quei fogli raccontano meglio di ogni intervista e di ogni polemica degli operatori turistici il drammatico impatto dell’emergenza rifiuti sull’economia della città.

In premessa va precisato che l’analisi degli ingressi ai musei del Mibac non pretende di trasformarsi in una aritmetica rappresentazione dell’andamento turistico in città. Si tratta semplicemente di una buona possibilità per guardare, in un solo colpo d’occhio, l’evoluzione (meglio sarebbe dire l’involuzione) della vita dei più significativi luoghi d’arte napoletani negli ultimi dieci anni.

Ed è proprio quello sguardo d’insieme che fa venire i brividi e impone di chiedere una svolta drastica per evitare di raggiungere il definitivo collasso del martoriato comparto turistico...

...Il riferimento, ovviamente, è al Museo Archeologicico Nazionale che dai giorni della prima emergenza rifiuti sembra non essersi ripreso: nell’ultimo anno ha registrato 287.982 ingressi, tremila in meno del drammatico 2008, più di centomila in meno rispetto all’exploit migliore del decennio: 396mila visitatori nel 2003.

Arranca anche il museo di Capodimonte. L’ultimo anno segna un rassicurante margine di crescita del 17% ma in termini numerici i 119mila visitatori del 2010 non sono nulla rispetto ai 247mila che cinque anni prima (nel 2005) furono trascinati dall’entusiasmo della mostra su Velazquez.
Giorni durissimi anche per il palazzo Reale. Nel 2000 aveva ospitato 177mila visitatori, durante il dramma rifiuti, nel 2008, ne aveva perduti più di centomila e nell’ultimo anno si è attestato a quota 118mila con una perdita secca di quasi sessantamila turisti, rispetto alla punta massima del decennio.