domenica 29 agosto 2010

Setola contro Italia

La Corte di giustizia europea apre il «caso Setola». I giudici di Strasburgo vogliono approfondire il ricorso presentato qualche mese fa dal presunto stragista dei casalesi e hanno deciso di aprire un fascicolo, con tanto di numero di protocollo e con una intestazione che basterebbe da sola a far rabbrividire: il ricorso si chiama «Setola contro Italia» e sarà analizzato nei prossimi giorni dai giudici europei, per accertare se nei confronti dell’imputato siano state commesse irregolarità in sede di giudizio. Un «caso Italia», un «caso Setola» a Strasburgo. C’è un passaggio formale, dunque, il primo step di un ricorso presentato lo scorso aprile e che sembrava destinato a non essere neppure preso in considerazione. Tecnicamente invece qualcosa si è mosso: il ricorso è stato rubricato, assegnato a un numero di protocollo (21873/10) e sarà discusso a stretto giro. Non un passaggio scontato, a giudicare da quanto avviene in casi del genere. Di fronte a un’istanza di parte, la Corte europea ha infatti due possibilità: ritenere il ricorso ammissibile e dare seguito alle valutazioni nel merito; o ritenerlo del tutto inammissibile, quindi cestinare la richiesta. In questo caso, le lagnanze dell’ormai famigerato Giuseppe Setola contro la giustizia italiana sono state ritenute «non inammissibili». Valide in via di principio. Quanto basta comunque a far nascere una sorta di «processo al processo»: l’Europa è chiamata così a giudicare il modo in cui è stata condotta l’istruttoria imbastita dalla giustizia italiana a carico del presunto responsabile di ben diciotto omicidi. Ma cosa ha spinto la Corte europea ad accendere i riflettori sul presunto stragista? O meglio: di cosa si lamenta Setola nel suo ricorso a Strasburgo? Sul tavolo dei giudici ci sono ventisette pagine, il fitto ragionamento sviluppato dal penalista napoletano Salvatore Maria Lepre. In sintesi, Setola ritiene «aberrante» la condanna all’ergastolo diventata definitiva, per un omicidio consumato nel lontano 1995, su ordine del clan Bidognetti. Ritiene di aver subito un’ingiustizia, di essere vittima di pregiudizi, probabilmente maturati dopo le accuse che lo hanno inchiodato in cella come responsabile della primavera di sangue del 2008 (tra cui anche la strage degli africani a Castelvolturno). È così che Setola ha fatto appello ai diritti dell’uomo e del cittadino, ha sventolato i principi cardine delle costituzioni occidentali, chiedendo un processo giusto, privo di condizionamenti. Ma a cosa si riferisce Giuseppe Setola? Il caso è legato all’omicidio di un incensurato - Genovese Pagliuca - ucciso il 19 gennaio del 1995 a Teverola dal clan Bidognetti. Chiaro il ragionamento nella richiesta di revisione: ben sei pentiti sostengono che l’omicidio Pagliuca venne deciso da Aniello Bidognetti, ma anche che Giuseppe Setola non fosse presente al momento del delitto. Anzi, su questo punto la batteria di pentiti sembra concordare in pieno. Ed è qui che l’imputato batte i pugni: «Ogni persona - scrive - ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente», e «il ricorrente ritiene che la decisione finale adottata dalla Corte di Cassazione, violi questo dettato dell’articolo sei della convenzione europea dei diritti dell’Uomo». Più o meno questa la ricostruzione del delitto, invece: Aniello Bidognetti decide di uccidere Pagliuca, «reo» di aver minacciato di morte il nipote, ma anche di essere entrato nel clan avversario dei Picca. Sullo sfondo una relazione sentimentale tra il ragazzo e una donna, a sua volta legata alla ex compagna del boss Francesco Bidognetti. Torbidi casalesi. Fatto sta che dopo un primo ordine, è il boss Bisognetti a decidere che Setola non debba partecipare alle fasi esecutive dell’agguato. La sua auto può distaccarsi dal commando, può rientrare nelle fila amiche. Eppure, per i giudici napoletani (forti anche di un verdetto della Cassazione), sarebbe bastata l’adesione morale di Setola ad assecondare i diktat del boss per meritare l’ergastolo. Un ragionamento ritenuto «aberrante» da Setola, che ad aprile firma un ricorso ritenuto oggi non inammissibile. 


Leandro Del Gaudio
Il Mattino il 28/08/2010 



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giovedì 26 agosto 2010

In Basilicata, due terzi dell’acqua pubblica vengono rubati

Articolo di , pubblicato martedì 17 agosto 2010 in Svizzera.

[Le Temps]
La regione del Mezzogiorno è una delle più sprecone d’Europa. Il governo Berlusconi vuole continuare nella privatizzazione delle società pubbliche.
Non c’è un confine né un segnale stradale. “Stiamo entrando nel Bandito, il quartiere del bandito”, spiega semplicemente, con un sorriso amaro, uno dei geometri dell’Acquedotto Lucano, la società di gestione delle risorse idriche della Basilicata. “Da questo punto in poi, non sappiamo praticamente più dove va l’acqua pubblica. Tra perdite e condotti illegali, sono migliaia i metri cubi che spariscono.”
Su questa collina di fronte a Potenza, il capoluogo assopito di questa regione del Mezzogiorno stretta tra
Puglia e Calabria, le piccole case popolari costruite su vecchie fattorie costeggiano qualche villa moderna, alcune delle quali, si dice in città, sarebbero dotate di piscina. Un buon numero di queste costruzioni sono abusive, senza permesso di costruire. Il quartiere del Bandito, così chiamato in memoria dei briganti che, circa un secolo e mezzo fa, vi si erano accampati prima di attaccare i Piemontesi venuti per unificare l’Italia, ha conosciuto il suo splendore dopo il terremoto del 1980, che distrusse una parte della città.
“Bisognava ricostruire”, spiega l’ingegner Michele Folino, specialista dei problemi idrici. “Per incoraggiare la ripresa dell’attività economica attraverso l’edilizia, la gente è stata autorizzata a costruire un po’ dappertutto”. E in qualunque modo. Senza un piano urbanistico né veri e propri controlli. Con, in fin dei conti, dei bilanci idrici che collocano la Basilicata, come l’Italia in generale, tra le zone in Europa con il maggior spreco di acqua. Lo scorso mese, un rapporto del Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche consegnato al parlamento italiano stimava la perdita totale di acqua al 37% a livello nazionale.
Forti di questa constatazione, la Confindustria e il governo Berlusconi hanno scelto di continuare nel processo di privatizzazione delle società pubbliche di gestione delle risorse idriche, provocando, nel corso degli ultimi mesi, un’enorme mobilitazione di cittadini che vogliono organizzare un referendum popolare per bloccare questi progetti. Questi ultimi considerano l’acqua un diritto fondamentale e temono che la privatizzazione di un mercato che rappresenta 8 miliardi di euro susciti gli appetiti dei grandi gruppi mondiali, con degli aumenti indiscriminati delle tariffe.
L’anno scorso più di 92 milioni di metri cubi d’acqua sono stati distribuiti dall’Acquedotto Lucano. Solamente 39 milioni sono stati fatturati. Detto chiaro e tondo, il 58% del totale è “evaporato” dai conti della società pubblica creata nel 2003 e controllata dal Consiglio regionale e dai comuni. A Potenza le cifre sono ancora più vertiginose. “Su 14 milioni di metri cubi distribuiti, ne fatturiamo soltanto 5 milioni”, cioè appena il 36%, riconosce il direttore generale Gerardo Marotta. In media, ogni abitante sprecherebbe 450 litri d’acqua al giorno. “Abbiamo ridotto le perdite di quasi un terzo”, sottolinea tuttavia Gerardo Marotta.
Resta il fatto che a Bandito, come in alcune altre periferie di Potenza, le perdite possono ancora superare il 100%. E tutto ciò nel momento stesso in cui, durante certe estati, di fronte alla siccità e alla calura, la regione si vede ancora costretta a razionare l’acqua, o a chiudere l’acquedotto per qualche ora al fine di riempirne le cisterne. Nonostante ciò, a una ventina di chilometri dalla città, le sorgenti non sono praticamente mai a secco. Il Monte Arioso, la cui cima raggiunge più di 1700 metri, è percorso da una trentina di corsi d’acqua che sono sistematicamente e ingegnosamente canalizzati.
“I condotti sono stati costruiti all’inizio degli anni ’20 e funzionano ancora. A questo livello, e fino alla cisterna della città, ci sono poche perdite. Le canalizzazioni si trovano a 2,5 metri di profondità. Se c’è una perdita, ce ne rendiamo conto molto velocemente controllando la pressione. È allora sufficiente percorrere a piedi tutto il tracciato per identificare la perdita e riparare [la canalizzazione]” commenta Gerardo Grippo, responsabile del servizio di manutenzione.
“Chi dice condotto dice perdita”, fa notare Gerardo Marotta, che sottolinea tuttavia che le cosiddette perdite tecniche non superano l’8% su questa parte iniziale dell’acquedotto. “È in seguito, nei centri abitati, con tubi più piccoli, che le perdite si moltiplicano”, continua Gerardo Grippo. Dell’ordine del 20-25%. Tanto più che, nel passato, il denaro versato da Roma e poi dalla Comunità europea è stato utilizzato innanzitutto per costruire nuovi condotti, come desiderato dagli imprenditori edili locali interessati piu’ a compiacere il loro elettorato che ad investire nella manutenzione della rete esistente. Ma, moltiplicando le canalizzazioni, si è anche aumentato il rischio di perdite.
Con l’esaurimento dei finanziamenti pubblici, la Basilicata ha cominciato prendere sul serio la gestione dell’acqua. I paesi che si approvvigionavano direttamente alla sorgente devono ormai pagare l’acqua. La società Acquedotto Lucano è stata creata e si sta impegnando nella modernizzazione della rete. Un accordo innovativo con la regione Puglia, approvigionata idricamente dalla Basilicata, è stato raggiunto e permette di finanziare una parte della manutenzione delle canalizzazioni. “Una volta, quando raccomandavamo un migliore utilizzo dell’acqua e la lotta agli sprechi, ci ridevano in faccia, spiegano Antonio Lanorte e Pietro Fedeli, due responsabili dell’associazione ecologista Legambiente. Oggi, il nostro discorso viene accolto meglio, ma sappiamo che è soprattutto per ragioni economiche. Dal momento che non ci sono più soldi, le collettività locali hanno capito che una buona gestione dell’acqua, come del resto quella dei rifiuti, era necessaria.”
L’acquedotto Lucano si sta impegnando a ridurre le perdite amministrative, in particolare la deviazione d’acqua da parte degli agricoltori o degli abitanti, che rappresenta la parte principale delle perdite totali. Con la complicità dei politici, i contatori sono praticamente tutti installati nelle abitazioni private. È dunque sufficiente installare delle derivazioni illegali appena prima del contatore affinché altri utenti – la maggior parte delle volte parenti che vivono nei paraggi – possano rubare l’acqua pubblica.
“Non possiamo intervenire senza autorizzazione su terreni privati” si lamenta Gerardo Grippo. “Quando c’è una perdita in un condotto illegale, c’è un danno doppio, tecnico e amministrativo.” E aggiunge sorridendo: “Per fortuna ci sono a volte delle lotte nelle famiglie, in particolare al momento di spartire le eredità, che provocano liti e denunce.”
“Nei prossimi anni, cambieremo i contatori e continueremo a ridurre le perdite amministrative”, assicura il direttore dell’Acquedotto Lucano, che fa notare che a Potenza non ci sarà nessuna battaglia per la privatizzazione dell’acqua. L’attuale società è oggetto di consenso e la situazione dell’acqua non è affatto drammatica come in Sicilia dove, per esempio, la penuria di acqua viene organizzata consapevolmente per obbligare gli abitanti a fare ricorso a servizi privati di approvvigionamento camion-cisterne.
“A Potenza, le cose sono già cambiate un po’, i controlli sono aumentati” si rallegra un funzionario della Regione. “Ma come fare ad essere ottimisti? Vede laggiù, a Bandito, tra le ville abusive, troverà anche quelle di ufficiali dei carabinieri o di alti funzionari della città.”


sabato 21 agosto 2010

Disastro ambientale a nord di Napoli

di Rosaria Capacchione
GIUGLIANO (15 agosto) - ]Una bocca enorme e vorace. Un invaso scavato con le pale meccaniche che hanno portato via milioni di metri cubi di terreno fertilissimo. Un gigantesco deposito di scarti umani e industriali. Ecco Scafarea, ecco Tre Ponti, ecco Taverna del Re, malsane campagne dell’area a nord di Napoli, il brodo di coltura nel quale stanno crescendo i mostri chimici che tra cinquant’anni provocheranno la fine del mondo. O almeno, la fine di quel pezzo di mondo che si chiama Giugliano, Parete, Villaricca, Qualiano, Villa Literno. Nel 2064, il disastro ambientale sarà inevitabile. 

Per meglio dire, scrive un geologo toscano che ha lavorato per la Procura di Napoli, non più tardi del 2064. Entro quella data il succo avvelenato, tecnicamente percolato, di 341 mila tonnellate di rifiuti speciali pericolosi (a cominciare dai fanghi dell’Acna di Cengio), di 160 mila e 500 tonnellate di rifiuti speciali non pericolosi, di 305 mila tonnellate di rifiuti solidi urbani, precipiterà nella falda e avvelenerà decine di chilometri quadrati di terreno e tutto ciò che lo abiterà: uomini, animali, vegetazione. 
In termini processuali questa situazione si chiama disastro ambientale. 

Ed è riassunta al punto 35 dei capi d’imputazione contestati ai sei indagato nel processo sulla gestione delle società Resit di Cipriano Chianese, che per questo è detenuto agli arresti domiciliari dal gennaio scorso. I pm Alessandro Milita e Giuseppe Narducci hanno recentemente inviato ai sei gli avvisi di chiusura delle indagini. Quasi scontata la richiesta di rinvio a giudizio.
Gli imputati nel procedimento sono Cipriano Chianese, recentemente indicato da un collaboratore di giustizia - Raffaele Piccolo - del clan dei Casalesi quale mandante di un tentativo di attentato ai danni di Milita. Fatto che non sarebbe avvenuto in mancanza di un accordo sul prezzo; e inoltre: Claudio De Biasio, ex direttore generale del Consorzio Ce4; Giulio Facchi, ex subcommissario di governo per l’emergenza rifiuti in Campania; Bruno Orrico, funzionario presso la stessa struttura; Sergio Orsi, ex direttore generale della società Ecoquattro; Giuseppe Valente, ex presidente del consorzio Ce4 e del consorzio Impregeco. 

Stralciata, inoltre, la posizione di Nicola Cosentino, ex sottosegretario all’Economia e coordinatore regionale del Pdl, per il quale il gip Raffaele Piccirillo aveva rigettato la misura cautelare. 
La perizia del geologo Giovanni Balestri, depositata il 31 marzo, è parte integrante di questa indagine. Riassume nel dettaglio (senza prendere in considerazione, ovviamente, le dichiarazioni dei pentiti Gaetano Vassallo e Domenico Bidognetti) la vita della società Resit (ex Setri) di Cipriano Chianese attraverso i documenti. Impianto utilizzato fino al 2008 anche se il sito era stato sequestrato già nel 2004. Al momento del passaggio di gestione al consorzio di bacino Napoli 3, la discarica era ampiamente sfruttata e non più utilizzabile. Ma, negli anni successivi vi sono stati numerosi sovrasfruttamenti del sito.

Rigettando la richiesta di revoca della misura cautelare presentata da Chianese agli inizi di luglio, il gip Piccirillo fa proprie le conclusioni di Balestri e considera attualissima la pericolosità sociale dell’avvocato di Chianese. «Trova conferma - scrive - la sistematica illiceità dei titoli in base ai quali Chianese ha sfruttato gli invasi nella sua disponibilità e la diuturna violazione delle norme poste a presidio di una gestione dell’attività compatibile con la salvaguardia dell’ambiente». E aggiunge: «L’accurata indagine (...), documenta un quadro di falsificazione sistematica delle relazioni prodotte dalle imprese riferibili a Chianese per l’ottenimento delle autorizzazioni e degli altri titoli abilitativi dello smaltimento che - incrociandosi sistematicamente, con comportamenti colpevolmente omissivi e commissivi dei soggetti istituzionali (la Regione Campania, i prefetti, i vertici della struttura commissariale) e dei relativi uffici tecnici - hanno consentito la violazione delle norme succedutesi nella disciplina del settore. Da questi comportamenti è scaturito l’effetto di disastro ambientale».

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Napoli, Università in vendita per 42 milioni

di Gerardo Ausiello

NAPOLI (18 agosto) - Il Demanio mette in vendita le università. Qualche esempio? La storica sede della Federico II, al corso Umberto, costa 42 milioni di euro mentre per acquistare il Vecchio Policlinico, in piazza Miraglia, bisogna spenderne 18. E il valore dell’Accademia delle Belle Arti? Circa 8 milioni. La lista dei beni, disponibile su Internet, è lunga: gli edifici verranno ceduti a Regione, Provincia e Comuni a cui spetterà il compito di gestirli, metterli a reddito e trasformarli in macchine produttive.

Tra le ipotesi c’è
, appunto, quella di venderli. Ma la strategia dipenderà dai decreti attuativi che spiegheranno nel dettaglio le modalità d’intervento.
Potrebbe essere questo, dunque, il destino dell’Orto Botanico, in via Foria, che ogni anno accoglie migliaia di studiosi e visitatori da tutto il mondo interessati ad ammirare le 9mila specie vegetali e i quasi 25mila esemplari presenti nel parco da 12 ettari. 

Ma dall’elenco spuntano anche la facoltà di Veterinaria e la casa dello Studente, nel cuore del centro storico: il futuro proprietario dovrà sborsare quasi 24 milioni di euro. La Scuola Politecnica di via Vecchia Università (a due passi dalla city) costa invece 6 milioni, mentre lo Stato ne chiede 28 per le Rampe del Salvatore.

È ufficialmente sul mercato, poi, l’ex collegio del Salvatore in via Mezzocannone (13 milioni), così come la Pro Libera Docenza al largo Santa Maria delle Grazie (9 milioni). Impegnativo l’investimento per l’ex convento agostiniano di Sant’Andrea delle Dame, in via Costantinopoli e vico Settimo Cielo. Fondato alla fine del Cinquecento da quattro nobildonne e soppresso durante l’occupazione francese del 1884, ospita oggi la facoltà di Medicina della Seconda Università di Napoli: l’investimento ammonta a 42 milioni.

Completano l’elenco la Palazzina spagnuola di via Litoranea (13 milioni), gli Istituti universitari di San Patrizio (7 milioni), la reale Arciconfraternita di piazzetta Teodoro (539mila euro) e l’ex poligono di Fuorigrotta (3 milioni). Nella lista figurano, infine, l’ex casa del fascio di Nola (sede della Parthenope) e l’ex caserma Blumm nel palazzo Mascabruno di Portici (facoltà di Agraria).

I 16 immobili si aggiungono a molti altri beni della Campania già messi in vendita dal Demanio. Il valore complessivo stimato dalla Corte dei Conti supera i 230 milioni di euro per un totale di 810 beni disponibili. Un patrimonio enorme, che rappresenta però solo una piccola fetta di quello nazionale (17.400 beni per un valore di 3,2 miliardi di euro). 

Tra le risorse interessate dal progetto spicca il faro di Anacapri, che fu costruito dagli ingegneri del Regno Borbonico delle Due Sicilie e acceso per la prima volta nel dicembre del 1867; stesso discorso vale per l’ex arsenale di via Campegna, che è stato dismesso dieci anni fa e oggi versa in condizioni disastrose; e ancora si parla del carcere di Procida, utilizzato come bagno penale all’inizio dell’Ottocento e definitivamente chiuso nel 1988, nonché del faro del molo di San Vincenzo, il primo impianto lenticolare d’Italia.

Nel piano di cessione rientrano, inoltre, le caserme dismesse come quella di Miano, i cui suoli erano stati scelti dal Comune per costruire il nuovo stadio se l’Italia avesse ospitato gli Europei di calcio del 2012: il progetto è però finito nel cassetto in pochi mesi. Potrebbero essere gestiti direttamente da Palazzo San Giacomo anche i circa 5mila alloggi del quartiere di Secondigliano, che in questi anni non hanno prodotto un reddito significativo. C’è attesa, poi, per la possibile cessione di alcune caserme dei vigili del fuoco (per le quali si paga il canone mensile) e per il futuro dell’Osservatorio astronomico di Capodimonte. 
Infine il discorso che riguarda le spiagge. Possono essere cedute direttamente alle Regioni, secondo le linee guida del federalismo demaniale contenute in un decreto approvato dal governo lo scorso mese di maggio. Non dovranno essere vendute né privatizzate, ma rappresentano comunque una vera e propria macchina da soldi: un metro di spiaggia in Campania produce 17,3 euro in media contro i 16,6 della media italiana. E siccome dei 470 chilometri di costa ne sono balneabili 342, la gestione delle spiagge può diventare a tutti gli effetti un business. L’obiettivo dell’operazione è recuperare una serie di immobili che oggi sono immersi nel degrado, non producono reddito e rappresentano anzi un problema per lo Stato. 

La sfida per gli enti locali è di mettere in campo idee e progetti che consentano di valorizzarli nell’interesse dei cittadini trasformandoli anche in fonti di ricchezza: un faro (come quelli di Napoli e Anacapri) potrà così diventare, ad esempio, meta di visite turistiche e romantici weekend per coppie di innamorati, mentre caserme ed alloggi potranno accogliere attività sociali e commerciali.

di Gerardo Ausiello

NAPOLI (19 agosto) - Rifugi antiaerei che potranno diventare moderni parcheggi, terreni abbandonati su cui costruire nuove abitazioni, strade, acquedotti e persino ricevitorie del lotto da valorizzare. Sono solo alcuni dei beni messi in vendita dallo Stato nell’ambito del piano previsto dal federalismo demaniale. Immobili e suoli verranno ceduti a Regioni, Province e Comuni a cui spetterà il compito di trasformarli in fonti di reddito o di utilizzarli per fornire servizi ai cittadini. I dettagli verranno definiti con appositi decreti attuativi.

Accanto alle sedi delle Università, a Napoli e provincia la lista aggiornata - disponibile su Internet - comprende 204 beni. Spiccano, in primis, 23 ricoveri sotterranei impiegati da civili e militari durante la seconda guerra mondiale che si trovano in alcuni punti strategici del centro come piazza del Plebiscito, via Chiaia, via Chiatamone, Castel dell’Ovo, salita Cariati e piazzetta Mondragone. Il loro valore simbolico è di appena un euro ciascuno ma alcuni di questi, secondo gli esperti, potrebbero anche essere trasformati in parcheggi contribuendo così a risolvere l’annoso problema della sosta in città. Nell’elenco delle strutture sul mercato figurano, inoltre, due chiese storiche: la parrocchia di Santa Maria di Betlemme (costo 455.348 euro), nel cuore di Chiaia, e quella di Santa Maria Maddalena ai Cristallini (239.657 euro), nel rione Sanità.

Il Demanio ha poi messo sul mercato l’ex lido Pola di via Nisida, un tempo meta di bagnanti in cerca della tintarella e oggi immerso nel degrado: il futuro proprietario dovrà spendere circa 800mila euro, mentre ad oltre il doppio ammonta l’investimento per il fondo Vespucci che ospiterà il parco della Marinella. In cerca di un destino migliore anche la ricevitoria del lotto in via Lavinaio (44.936 euro), l’ex base logistica a Soccavo (386.756 euro), il campo di basket al Vomero (oltre un milione di euro) e il nuovo campo profughi a Scampia (quasi 3 milioni).

Nell’hinterland partenopeo lo Stato è pronto a cedere agli enti locali - tra l’altro - l’ex cappella della Marina a Meta di Sorrento, gli acquedotti di Agerola e Pimonte, l’ufficio postale per gli scavi di Pompei, le ex case del fascio ad Acerra, Afragola e San Sebastiano al Vesuvio. E ancora cava degli scogli a Pozzuoli, alcuni terreni sull’isola di Capri, la cisterna militare Calitto a Forio d’Ischia (a pochi passi dai vigneti di Biancolella), due spiagge di Castellammare di Stabia e tante cabine elettriche distribuite sul territorio.

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giovedì 19 agosto 2010

Siamo diventati antipatici

La scarsa autostima degli italiani: un quarto si vergogna della propria nazionalità.
Calcio, cos’altro? C’è un indicatore migliore per saggiare l’animo popolare, la frustrazione nazionale e la presunzione, i profondi preconcetti?
„L’Italia è diventata antipatica“ si lamenta il quotidiano La Stampa, “in genere il mondo ci guardava con una certa leggerezza, un pizzico di ironia e qualche pregiudizio, ma anche con sempre più diffusa simpatia. Siamo il paese dei furbi ad ogni costo, che va di pari passo con coloro il cui successo si basa sulla tenacia, sul lavoro, sulla sincerità, sul coraggio e la fantasia – qualità di cui anche noi stessi una volta eravamo orgogliosi“.
„Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono“, aveva deriso il cantante Giorgio Gaber morto precocemente. Ad otto anni dalla sua morte la questione affligge più che mai gli italiani: per fortuna o purtroppo? Un quarto degli italiani si vergogna della propria nazionalità, e cala il numero di coloro che sono orgogliosi della propria cittadinanza, soprattutto al Nord, dove i sindaci della Lega del Nord considerano l’inno nazionale una canzone stonata.
In un editoriale del Corriere della Sera l’autore e giornalista Gian Antonio Stella invidia la Germania per la sua giovanile e multietnica squadra di calcio, espressione di un nuovo spirito di identità. L’ammirazione per i tedeschi risale ad una lunga tradizione. A dire il vero oscurata da un pregiudizio altrettanto longevo: “I tedeschi amano gli Italiani, ma non li rispettano. Gli italiani rispettano i tedeschi, ma non li amano”.
Gli stereotipi influenzano li rispettivi concetti dell’altro tanto da oscurare la visione della realtà? Questa e’ la domanda posta dal Goethe Institut a due famosi giornalisti, durante un viaggio in treno da Berlino a Palermo. Le impressioni raccolte dall’italiano Beppe Severgnini e dal tedesco Mark Spörrle, possono essere lette nell’istruttivo blog di informazione “Va bene? Wie ich (fast) zum Italiener wurde” (http://www.goethe.de/ins/it/lp/prj/vab/mod/fac/itindex.htm).
Conclusione: gli italiani ammirano quello che viene dal nord. Da anni aspirano invano ad uno stato efficiente. Secondo il parere dei sociologi l’Italia sembra “un eterno cantiere”, in cui discutibili architetti da strapazzo concordano sul proseguimento dei lavori – poiché non hanno alcun interesse nella chiusura dei cantieri.
Gli italiani secondo il parere del sociologo Giuseppe De Rita è un popolo dalle batterie scariche, che si rassegna e vede il futuro e l’Europa con crescente scetticismo: „un popolo, in cui tutti parlano male di tutti“.
L’immagine che gli italiani hanno dell’Austria coincide alla grande con la pubblicità turistica: montagne coperte di boschi, piste da sci, walzer e “Sakkertorte” (come pronunciano gli italiani, ndt). Domanda frequente: ”Come si trova un biglietto per il concerto di Capodanno a Vienna?”
Anche clichees negativi possono talvolta essere utili. Per esempio quando il giornalista Spörrle ha scoperto sul treno regionale siciliano delle splendide bigliettaie e carta igienica decorata con le farfalline: il suo entusiasmo era alle stelle. Non si è smorzato neanche dopo la confessione che l’amministrazione ferroviaria ha appaltato i relativi lavori preliminari. “La ridicola e sbagliata supposizione che fosse parte di una meravigliosa montatura italiana” ha potuto a stento irritare Spörrle. Si porterà a casa, al suo ritorno ad Amburgo, la carta igienica.
italiadallestero.info

domenica 8 agosto 2010

La Terra dei fuochi: Roghi tossici di rifiuti, al via le denunce collettive

GIUGLIANO. Dopo le petizioni e gli esposti presentati a Comune, Asl, carabinieri e procura della Repubblica ecco partire le denunce collettive per dire stop ai roghi tossici di rifiuti speciali tra le province di Napoli e Caserta. L'iniziativa lanciata e promossa dal sito web "www.laterradeifuochi.it" ha l'intenzione di mobilitare e coinvolgere magistratura e cittadinanza sul fronte comune nella lotta al fenomeno criminale dello smaltimento e riciclo illegale di rifiuti speciali e materiali vari come svariati metalli tra cui il rame. Le sostanze rilasciate e immesse in atmosfera a seguito delle combustioni di tali materiali sono estremamente pericolose per la salute, in un territorio già a rischio sanitario per le numerose emergenze ambientali. Le dense colonne di fumo nero che ogni giorno si levano sia nelle province che nell'immediata periferia dei maggiori capoluoghi della regione, avvelenano l'aria rendendola irrespirabile per le continue immissioni in atmosfera di sostanze tossiche che colpiscono le prime vie respiratorie. Nell'immediato i fumi sono causa di allergie e asma, ma possono essere responsabili di gravi patologie se l'esposizione si protrae nel tempo. L'inquinamento si propaga anche nel suolo e nella falda acquifera sottostante contribuendo a compromettere la catena alimentare e i prodotti animali e agro-alimentari della nostra regione. Il fenomeno interessa quartieri di Napoli come Scampia, San Pietro a Patierno, Poggioreale, Ponticelli, ma soprattutto diversi comuni dell'hinterland partenopeo e casertano. Tra gli altri si ricordano i comuni di Casoria, Arzano, Afragola, Frattamaggiore, Grumo Nevano, Nola, Marigliano, Acerra, Parete, Giugliano, Qualiano, Mugnano, Melito, Casandrino, Aversa, Lusciano, Frignano, San Marcellino, Teverola, Trentola, Casale di Principe, Marcianise, Gricignano, Casaluce, Casapesenna, Terzigno, Somma Vesuviana, Poggio Marino, Palma Campania etc. L'elenco dei comuni interessati è enorme, insieme alle periferie di Napoli e Caserta si contano circa 42 comuni con una popolazione esposta di oltre 2 milioni di abitanti. “Negli anni abbiamo le nostre denunce sono state depositate in tutte le sedi opportune – afferma Angelo Ferrillo, responsabile dell’associazione terradeifuochi.it . Evidentemente le singole denunce di associazioni e comitati vengono spesso archiviate, quindi è indispensabile mobilitarci e denunciare singolarmente ciascuno di noi, nessuno escluso. La Terra dei Fuochi è realtà e bisogna fermare questo scempio, poiché fatti simili non si verificano nemmeno nei paesi in via di sviluppo”. Il modulo per presentare la denuncia è scaricabile sul sito, dove vanno inserti i fatti che si intende denunciare e chi si vuol denunciare. Una volta compilato il foglio va stampato in triplice copia, allegato a eventuali foto e/o video, scritti, o documenti cartacei oppure anche su supporto cd e poi consegnato alla stazione dei carabinieri, alla polizia o direttamente alla Procura competente per territorio.
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Dal nepotismo al familismo, fino all'atto per se stesso. Dove si arriverà?!

Casandrino. L'opposizione:" In città impera il familismo".

"Oltre che ridicolo è indecente assistere a quello che sono capaci gli amministratori di Casandrino" , dichiarano in una nota congiunta i Consiglieri d'opposizione del gruppo "Libertà e Democrazia". Questo non è nepotismo, ma è puro familismo che non ha precedenti nella storia politica del nostro paese, dichiara il consigliere d'opposizione Angelo Chianese. "l'ex moralizzatore della politica casandrinese, aggiunge il consigliere Chianese,  che negli anni passati ha inveito contro tutto e tutti, facendo stabilire il primato negativo degli scioglimenti per infiltrazione camorristica,  con la nomina del figlio come presidente del nucleo di valutazione, stabilisce un ulteriore primato negativo." 
"E' una scelta  che penalizza i giovani professionisti casandrinesi che non hanno sponsor nell'amministrazione comunale conclude Chianese. Questa è spartizione di potere non amministrazione del paese, tuona il Consigliere Alfredo Galdieri. Non discutiamo le competenze e le capacità professionali del giovane Pezzella, ma l'etica, il buonsenso e l'opportunità politica avrebbero voluto che il Sindaco avesse nominato qualche altro giovane professionista Casandrinese a ricoprire quell'incarico, dichiara il capogruppo Salvatore Volpe. Quello che, altresì, lascia sconcertati è che per consentire al figlio del Consigliere Pezzella di fare il Presidente del nucleo di valutazione, la giunta comunale nella sua completezza ed all'unanimità con la delibera n° 125 del 7 luglio 2010 ha dovuto modificare l'art 31 del regolamento degli uffici e dei servizi, aggiunge Volpe. Delle due l'una: "o la giunta non sapeva cosa stava deliberando nel modificare il regolamento  degli uffici e dei servizi oppure, ipotesi più probabile,  la giunta ha subito il ricatto di Pezzella.  "Il consigliere Pezzella tiene famiglia, ma non  può amministare il paese come se fosse un fatto personale. Su questa cosa, ci aspettiamo che il Sindaco e la maggioranza consiliare facciano chiarezza e vengano a riferire in consiglio Comunale, conclude la nota dell'opposizione. 
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Marano. Firma un atto per se stesso, esautorato il dirigente De Biase
Esautorato dirigente, scoppia una nuova bufera al Comune. La giunta Perrotta ha sollevato dall'incarico il responsabile dell'area Amministrativa Luigi De Biase, storico funzionario del Comune e vicesegretario dell'Ente, già da tempo in rotta di collisione con l'amministrazione cittadina. Il funzionario- già privato di altre deleghe nei giorni scorsi- risulta vincitore di un contestato concorso interno, in base al quale dovrebbe ricoprire un ruolo da dirigente a tempo indeterminato. Ed è proprio su quest'ultimo punto che si è consumato lo scontro tra l'ormai ex responsabile dell'area amministrativa e il sindaco Perrotta. Con la determina dello scorso 14 luglio, infatti, Luigi De Biase aveva disposto la sua immissione a tempo indeterminato nella pianta organica dell'Ente: un provvedimento per se stesso, insomma, allo scopo di evitare rischi connessi al possibile cambio di amministrazione o a modifiche normative che potrebbero subentrare con l'applicazione della legge Brunetta a proposito del conferimento degli incarichi ai dirigenti negli enti locali previste per il prossimo anno. Una fuga in avanti con un provvedimento, assunto in piena autonomia, che non è stato sostenuto dalla giunta e dal sindaco Perrotta, propensi invece a un inserimento più graduale del funzionario vincitore. Nel frattempo la delega agli affari generali sottratta De Biase è stata affidata a Gennaro Pitocchi, attuale dirigente dell'area tecnica. Una scelta comunque contestata dall' opposizione, che accusa il capo dell'area tecnica di doppiare così un incarico che già ricoprirebbe al Comune di Gricignano d'Aversa. Sulla presunta incompatibilità si è scagliato più volte l'ex sindaco e attuale consigliere de L'altra Marano Mauro Bertini, promotore di una diffida al sindaco Perrotta e una serie di esposti al prefetto di Napoli, l'ultimo dei quali inoltrato all'indomani dell'assegnazione della delega agli affari generali. Dal Comune, intanto, fanno sapere che si stratta di "un affidamento temporaneo in attesa del rientro dalle ferie del dirigente dell'area Ambiente Bruno Gagliardi". L'esautoramento di De Biase, ultimo atto di un'estenuante querelle che nei giorni scorsi aveva portato il primo cittadino a "svuotare" gran parte delle sue deleghe (attività produttive, personale), è sancito dalla delibera di giunta dello scorso 27 luglio. Un conflitto sul quale è intervenuto anche il consigliere regionale, originario di Marano, Biagio Iacolare, che sta tentando di ricucire lo strappo tra il tecnico e i politici comunali.(da Il Mattino)
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Italia: la fine del “berlusconismo” si gioca su uno scenario di corruzione

Ancora una volta, ha attaccato i giudici e la stampa d’opposizione. I primi per aver messo in luce, in molteplici inchieste, una vasta rete di influenze, di corruzione ed affari in cui si trovano, alla rinfusa, magistrati, politici ed imprenditori; la seconda per averne parlato. Poi Silvio Berlusconi, alla ricerca di un contrattacco nel momento in cui il suo potere s’indebolisce, ha lanciato l’operazione “Memoria”, chiedendo ai dirigenti del suo partito, il Popolo Della Libertà (PDL), di ricordare tutto ciò che lui ha realizzato dal suo primo governo, nel 1994. Il presunto passato idilliaco per scongiurare presente e futuro?

Il presente è nauseabondo. Giorno dopo giorno,
le inchieste dipingono l’immagine di un paese dove la corruzione avrebbe infettato tutti i poteri. Prima un ministro – Claudio Scajola – che deve dimettersi dopo aver visto il suo appartamento pagato da un imprenditore edile. Poi un altro – Nicola Cosentino – che lo imita per aver cercato di creare una campagna diffamatoria ai danni di un avversario politico. Quindi un dirigente del PDL – Denis Verdini – che s’interessa agli appalti per l’energia eolica in Sardegna.Dopo ancora, è il presidente della corte d’appello di Milano che fa pressione sulla Corte costituzionale affinché questa approvi una legge che mette Berlusconi al riparo dalle inchieste giudiziare [che lo riguardano] durante il suo mandato.
Tutti questi personaggi si conoscono, si frequentano, si danno appuntamento nei palazzi romani o in discreti ristoranti sulle autostrade per dividersi la torta degli appalti – dalla ricostruzione dell’Aquila ai lavori per il 150mo anniversario dell’unità d’Italia – ed i frutti dei traffici d’influenza. La stampa evoca una loggia P3 come riferimento alla loggia massonica P2 – che riuniva uomini politici, magistrati, poliziotti, e fu legata agli attentati terroristici degli anni ‘80 – come se, in trent’anni, nulla fosse cambiato.
Da aggiungere al quadro, bisogna ancora ricordare la riapertura delle inchieste sugli assassinii dei giudici antimafia Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, nel 1992. Magistrati e poliziotti si dicono ormai sul punto di fornire la prova dell’assenso o della complicità di una parte deviata degli organi dello Stato. Infine è la volta di una retata nei confronti della mafia calabrese – la ‘Ndrangheta – che mostra come questa sia radicata nel sistema sanitario della regione Lombardia.
Corruzione ed infiltrazione mafiosa sono diventate all’ordine del giorno in Italia. Berlusconi, lui stesso inquisito per frode fiscale e corruzione, denuncia una “campagna maligna” o persino “un tentativo di colpo di Stato”. Erano stati utilizzati gli stessi termini quando era alle prese con uno scandalo che toccava la sua vita privata, nell’estate del 2009. Tuttavia, tutte le tracce di queste inchieste conducono al presidente del Consiglio, sia che lo leghino a persone vicine al suo partito o a dei ministri, sia che si riallaccino ad avvenimenti – ed alle relative zone d’ombra – che hanno preceduto il suo arrivo al potere.
Per Berlusconi, il prezzo politico di questa stagione di scandali è pesante. Non ha potuto resistere alla pressione dell’opposizione e di una parte del suo partito, che hanno chiesto le dimissioni di tre membri del governo in meno di due mesi. Il 29 luglio, ha consumato la rottura col suo principale alleato, che ha deciso di restare alla presidenza della Camera dei deputati che il Cavaliere gli ordinava di abbandonare. E non ha potuto portare a termine il suo controverso progetto di limitare l’utilizzo delle intercettazioni telefoniche molto preziose per le inchieste di corruzione e di Mafia e d’impedirne la pubblicazione negli organi di stampa.
In base a quanto da lui stesso dichiarato, la nuova legge “non cambierà nulla”. La riforma della giustizia, sebbene necessaria, è impantanata nelle commissioni del Parlamento. Infine la sua popolarità è caduta dal 60% all’inizio del suo terzo mandato, nell’aprile del 2008, al 40%. Solo il partito anti-immigrati della Lega Nord gli assicura il proprio appoggio incondizionato, a patto che porti a termine le riforme, come il federalismo fiscale, che ha loro promesso.
In queste condizioni, potrà Berlusconi arrivare al termine del proprio mandato, fissato nel 2013? I politici si pongono la domanda. In questo clima da fine del regno, le riflessioni sul dopo Berlusconi corrono lungo i corridoi del potere. Gli scenari si moltiplicano: “governo tecnico”, composto da grandi tecnici/funzionari per fare le riforme; “grande coalizione”, che leghi la destra, il centro e la sinistra; elezioni anticipate che permetterebbero a Berlusconi di ritrovare l’unzione del suffragio universale togliendo la terra da sotto i piedi dei propri avversari e rivali.
La [cosa] più probabile è che nessuna di queste ipotesi si realizzi e che Berlusconi tenga alla bell’e meglio fino al 2013. Né gli oppositori del suo partito, che traggono la propria forza dalla sua debolezza, né l’opposizione, sempre alla ricerca di un leader capace di riunirla, sembrano in grado di prendere il potere.
Da ora, l’agonia del berlusconismo potrebbe essere anche quella dell’intero Paese, sballottato quotidianamente tra l’annuncio di un nuovo scandalo o di una nuova scappatella, diviso tra la vergogna ed il fatalismo. “L’Italia possiede gli anticorpi per resistere alla corruzione”, ha dichiarato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Anticorpi? E forse una certa abitudine.

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articolo originale
http://www.lemonde.fr/idees/article/2010/08/03/italie-la-fin-du-berlusconisme-se-joue-sur-fond-de-corruption_1395201_3232.html