venerdì 30 luglio 2010

Napoli-rifiuti, discariche già sature. Arriva una nuova emergenza


di Daniela De Crescenzo
NAPOLI (26 luglio) - Tra poco più di otto mesi le discariche già realizzate in Campania saranno esaurite e, se non ne saranno costruite altre, l’emergenza sarà inevitabile: l’allarme parte da Guido Bertolaso e dalla sua struttura e nasce da uno screening preciso dei siti e degli impianti e della loro capacità di continuare a ingoiare rifiuti. Il sottosegretario ha già scritto più volte alle Province e a tutte le autorità responsabili della gestione dei rifiuti sottolineando la necessità di non abbassare la guardia e di prendere le decisioni necessarie per garantire ai cittadini che la spazzatura venga raccolta e lavorata. Si tratta, in sostanza, di rispettare le indicazioni fornite dalla legge che ha sancito la fine dell’emergenza e il ritorno delle responsabilità agli enti locali. 

Il problema resta sempre lo stesso: ogni giorno si producono settemila tonnellate di rifiuti che, al netto della differenziata che non supera il venti per cento, dovranno finire in discarica o al termovalorizzatore di Acerra almeno fino a quando non saranno realizzati i due impianti di Napoli e Caserta. E ci vorranno almeno tre anni. Ma i siti attualmente funzionanti si esauriranno molto prima.

La situazione più preoccupante è, come sempre negli anni passati, quella delle province di Caserta e di Napoli. A Caserta la discarica di San Tammaro rischia di andare in tilt nel giro di venti giorni. La capacità residua è di circa 550 giorni (580 il 23 giugno). Questo, però, solo se si aprirà il terzo lotto: ma i lavori per realizzarlo, al momento, non sono nemmeno cominciati. Se non si farà in fretta, gli abitanti dell’intera Provincia non avranno più un posto dove portare la spazzatura. Tocca alla società provinciale utilizzare il progetto esecutivo realizzato dai tecnici di Bertolaso e appaltare i lavori. Ma la Gisec e la Provincia di Caserta per il momento non danno segni di vita.

Migliore, ma comunque preoccupante, la situazione a Napoli dove sono attualmente in funzione le discariche di Chiaiano e Terzigno. La prima ha una capacità residua di poco più di cinquecento giorni, la seconda di meno di un anno. Nel parco del Veusvio avrebbe dovuto essere realizzato un secondo sito, a Cava Vitiello, ma l’opposizione di Bruxelles ha convinto l’assessore regionale Giovanni Romano a rinunciarvi. Romano ha annunciato di voler ampliare le cave esistenti e di voler potenziare la differenziata. Non solo: gli Stir dovrebbero essere messi in condizione di lavorare i rifiuti stabilizzandoli e riducendone il volume del trenta per cento. In questo modo di adempirebbe anche a un’altra delle clausole poste dalla Ue per scongelare i 146 milioni destinati alla Campania e rimasti finora bloccati.

Ma anche se tutti i tasselli del piano andassero a posto la corsa contro il tempo sarebbe estremamente rischiosa. E intanto, lo sottolinea la struttura di Bertolaso, le Province stentano ad assumere il proprio ruolo: toccherebbe a loro, infatti, gestire il ciclo dei rifiuti e dal 31 dicembre del 2010 dovrebbero anche riscuotere la Tarsu che è stata finora intascata dai Comuni. Ma già si parla di possibili rinvii. Anche la situazione delle discariche di Benevento e Avellino resta preoccupante. A Savignano si potrà depositare per poco più di duecento giorni e a Sant’Arcangelo per settecento.

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martedì 27 luglio 2010

Ecco il nuovo identikit di Michele Zagaria superboss dei Casalesi


NAPOLI (26 luglio) - Un nuovo identikit del superlatitante dei Casalesi Michele Zagaria è stato diffuso oggi dalla polizia scientifica di Napoli, su disposizione dei pm della Dda Raffaello Falcone e Catello Maresca. L'immagine è stata realizzata sulla base delle testimonianze di alcuni collaboratori di giustizia che lo hanno incontrato di recente. L'ultima foto disponibile di Zagaria risale al 1993. La foto è stata inviata in particolare, oltre che ai posti di polizia di frontiera, alle strutture di cura pubbliche e private di tutta Italia: Zagaria soffre da tempo di patologie epatiche che di recente si sarebbero aggravate, quindi gli inquirenti ipotizzano che possa essere costretto a farsi ricoverare.
Nelle immagini (in una porta gli occhiali, nell'altra no) il latitante appare più magro che in passato, maggiormente stempiato e con i capelli ingrigiti. Michele Zagaria, 52 anni, è considerato la «primula rossa» della camorra campana, assieme all'altro latitante «storico» dei Casalesi, Antonio Iovine: su di loro si stanno concentrando da tempo le ricerche delle forze dell'ordine in Campania.
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domenica 25 luglio 2010

Ecco come i boss vincono al Superenalotto.


4 — 15 — 21 — 35 — 59 — 73. Questi numeri non vi diranno nulla. Vi faranno pen sare di certo al Lotto anzi al Super­enalotto, ad una delle serie che quasi ognuno sogna di indov inare. Sei numeri e tutto può esser mandato a quel paese, mutuo, deb iti, lavoro. E via da qui. Per sem pre. Questi sei numeri furono estratti il 17 gen naio del 2008 facendo vin cere più di 36 mil ioni di euro a circa trenta per sone di un paesino dell’avellinese, Ospedaletto d’Alpinolo, che ave vano gio­cato il sis tema giusto. Ma la for tuna non rius cirono a goder sela per molto. Ogni vinci tore fu cer cato casa per casa , avvi c i nato e costretto a ver sare una fetta della vincita. Immediatamente.

A chiedere la per centuale sulle vincite il clan Cava-Genovese di Quindici, sodal izio crim i nale che da sem pre comanda nell’avellinese su cantieri, rifiuti, negozio, polit ica e ora anche sul Super­enalotto. Le orga niz zazioni crim i nali con sid er ano a loro dis po sizione il ter ri to rio: case, imp rese, risorse, e anche la vita delle per sone. Se arrivano sul ter ri to rio ben 36milioni di euro devono essere rin trac ciati e i pos ses­sori devono ver sare la loro quota. È legge. Una per centuale deve andare al clan per essere dis tribuita tra tutti gli affil iati in carcere che nella log ica camor rista stanno patendo per tutti. E quindi devono avere la fetta legittima.
Il clan quando decide di cer care i vinci tori non ha certezza dei nomi. I trenta si nascon dono, non danno nell’occhio, non fes teggiano. Lo fanno per difend ersi dalle richi este, dalle invi die non pen sano di rischiare di perdere addirit tura una parte della vincita. Ma il paesino è minus colo e lenta mente emer gono le prime riv e lazioni. Ad aver gio cato i sei numeri sono trenta sis temisti. Con “sis temista” si intende un gio ca tore che ha com prato una quota assieme ad altri per gio care diversi numeri, appunto un sis tema. Chi ha un sis tema di numeri da gio care spesso cerca altri gio­ca tori per ché non ha tutti i soldi per poter gio care. E quindi gira spesso per con vin cere altri a parte ci pare all’impresa. È lì che il clan si muove. Inizia a indi vid uare i “sis temisti” che cer ca vano di coin vol gere loro amici e par enti. E da loro arriva all’intero gruppo.
L’indagine coor di nata dai pm Rosario Can telmo e Francesco Soviero della Direzione dis tret tuale Anti mafia di Napoli ha riscon trato che c’è un vinci­tore che avrebbe ver sato 40mila euro, gli altri ancora non si sa quanto sono stati costretti a pagare e se lo hanno fatto. I mag is trati sono rius citi ad ottenere questo risul tato gra zie alle inter cettazioni tele foniche. Richi­este inso lite che veni vano fatte dagli apparte nenti alle orga niz zazioni mostra vano agli inquirenti che sta vano orga niz zando un busi ness insolito. Che poi si è scop erto essere il Super enalotto. È inter es sante vedere che questa estor sione è stata con sid er ata il pas sag gio alla matu rità del figlio del boss Mod es tino Gen ovese: infatti Marco Anto nio Gen ovese, legit timo erede del gruppo, essendo minorenne e senza espe rienza era stato affidato da suo padre ad un tutor che avrebbe dovuto accom pa g narlo nella matu­rità di boss, Mario Matarazzo, 32 anni, anche lui arrestato. Le orga niz­zazioni usano moltissimo il flusso di danaro dei vari giochi, Super enalotto, Lotto, Gratta e Vinci. Per loro è un modo per poter gius ti fi care guadagni ille gali in caso di accer ta menti fis cali o in caso di indagini.
Super enalotto
Anche la ‘ndrangheta si occupò di Super enalotto. Anche la ‘ndrangheta mise su un gruppo di uomini che dove vano cer­care il bigli etto vin cente. Nel 2003 a Gioiosa Jon ica il clan della zona con vinse il tito lare di una vincita da 5+1 dell’importo di otto mil ioni di euro a vendere la rice vuta della vincita. Il boss che aveva architet­tato la com praven dita del tagliando vin cente era Nicola Lucà, sec ondo gli inquirenti a capo di un clan spe cial iz zato nell’importazione di cocaina dalla Colom bia. La scheda vin cente avrebbe con sen tito di gius ti fi care la prove nienza di otto mil ioni di euro e la suc ces siva uti liz zazione di quel denaro. Questa vicenda è emersa dall’operazione “Decollo” della Procura dis tret tuale anti­mafia di Catan zaro che ha por tato tra l’altro alla con fisca di beni per oltre venti mil ioni di euro e al seque stro di cinque ton nel late di cocaina in Spagna, Ger ma nia, Fran cia, Colom bia, Stati Uniti, Aus tralia e Venezuela, per un val ore di un mil iardo e mezzo di euro.
Gli inquirenti stanno lavo rando molto sulle piste del rici clag gio attra verso il gioco. Esistereb bero vere e pro prie orga niz zazioni volute da alcuni clan della camorra e della ‘ndrangheta che ricer cano non solo nei paesi dove coman dano mil i tar mente ma sull’intero ter ri to rio nazionale. La camorra usava, per pagare i suoi pusher, rice vute vin centi di con corsi della Sisal e del Bingo. Uno dei motivi, questo, per cui molti boss inve stono acquis tano punti Snai e com prano sale Bingo. Il clan si acca parrava le vincite legali avvic i nando le per sone che vince vano al Lotto al Bingo e ogni tipo di scommessa sportiva. Poi una volta com prata la scheda vin cente la davano ai pusher che in questo modo anda vano a riti rare il loro com penso diret ta­mente in banca. Un sis tema scop erto dai cara binieri di Casoria.
Le orga niz zazioni crim i nali cam pane hanno addirit tura assi cu rato in diversi ter ri tori che chi vince al Lotto e al Gratta e Vinci, con seg nando il tagliando alle orga niz zazioni, può avere un aumento del pre mio. Se vinci 25mila euro e vendi il bigli etto alla camorra ne ricev erai 30mila. Su qual­si asi vincita. Le orga niz zazioni cer cano anche di sos ti tuirsi spesso allo Stato nell’organizzare il gioco. Lo fanno da sec oli, dal lotto clan des tino sino allo zecchinetto e alle bis che. Ma in questo caso la novità è che usano i per corso del gioco legale. Il mer cato del Gratta e Vinci è il più ambito. Se ne ven dono a migli aia in ogni tabac cheria e cen tro com mer ciale. Vinci, e se la cifra è abbas tanza grossa, provi ad andare dai ref er enti del clan. Che pagano subito, anche prima dello Stato e di più.
Ma i clan, vedendo il mer cato così florido, hanno ten tato di costru ire un loro Gratta e Vinci. Hanno cer cato di invadere di Gratta e Vinci di loro pro duzione pro pria l’intera Cam pa nia. Mec ca n ismo scop erto per puro caso dalla Guardia di Finanza. Per elud ere la nor ma tiva pre vista per le lot­terie istan ta nee, pre rog a tiva esclu siva dello Stato, ave vano alle gato ai Gratta e Vinci anche delle car to line, il cui acquisto ser viva a mascher are la ven dita fit tizia dei tagliandi. I nomi di queste car to line ave vano scelto anche una grafica e nomi che ripren de vano trasmis sioni o pub blic ità: “Vot’Antonio”, “Vinci”, “Scuola Guida”, “Che tempo fa”, “Cir cus”, “Avanti Tutta”, “Chissa se”. E l’organizzazione aveva piani fi cato tutto nei min imi det tagli. Aveva anche fatto comu ni cazione al Min is tero delle Attiv ità Pro­dut tive, scor ci a toia per dare una forma legale all’iniziativa.
Un finanziere per puro caso si è trovato uno di questi bigli etti. Gli è sem­brato non conoscere questo tipo di tagliando e ha iniziato l’investigazione. L’organizzazione aveva fatto stam pare e dis tribuire sul ter ri to rio nazionale, più di quat tro mil ioni di tagliandi, sim ili ai Gratta e Vinci. La pro duzione era affi data a due soci età, una con sede a Casal n uovo, l’altra con sede a Roma. I tagliandi veni vano dis tribuiti da due soci età oper anti a Cardito e Cassino. Il mec ca n ismo stu di ato dall’organizzazione faceva leva anche su accu rate politiche di ven dita. Per non avve lenare il mer cato l’organizzazione decideva i tempi dell’immissione dei tagliandi. Tempi che dove vano essere rispet tati dai pro cac cia tori, almeno un’ottantina e tutti gestiti dall’organizzazione. Ave vano il com pito di vendere i Gratta e Vinci a tito lari di bar, pas tic cerie e tabac chini e per incen ti vare la dis tribuzione veniva promesso ai riven di tori un guadagno di 40 cen tes imi per ogni tagliando ven duto, il cui costo vari ava da 1 a 1,5 euro. In realtà da questi Gratta e Vinci solo un paio di per sone avreb bero vinto 500 euro. Per il resto le vincite erano lim i tate a importi di 5, 10, 20, 40 e 250 euro anche se sui tagliandi veniva indi cata la pos si bil ità di vin cere una somma tra i sei e i diec im ila euro.
Oggi il ris chio è che gio ca tori e vinci tori si ritro vino a rien trare nel busi­ness della crim i nal ità orga niz zata, che siano tutti parte di un gioco che va ben oltre i numeri e le vincite. Tor nano alla mente i vec chi pro cessi, quelli che ti rac con ta vano i vec chi fuori ai bar e il solito dial ogo tra giu dice e boss: “Signor giu dice voi mi accusate per i soldi che ho guadag nato, ma chi gioca non vince e noi camor risti invece giochi amo sem pre. E quindi vinciamo”.
©2010 Roberto Saviano/ Agen zia Santachiara
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sabato 24 luglio 2010

Napoli, grande truffa al caro estinto: «Vendeva» loculi al cimitero britannico

NAPOLI (22 luglio) - Sulle orme di Totò e Nino Taranto e della loro celebre truffa cinematografica per vendere la Fontana di Trevi ad uno sventurato straniero con il miraggio del prelievo delle monetine gettate dai turisti, il custode del Cimitero Britannico di Napoli l'aveva pensata alla grande. Con tanto di carta intestata (falsa) del Consolato del Regno Unito e firma autografa (vera) in calce, ha venduto per almeno tre anni loculi non suoi e spazi cimiteriali a sventurati cittadini che avevano desiderio di dare perpetua sepoltura alle spoglie dei loro cari.
Una truffa da decine e decine di migliaia di euro nei confronti almeno di una trentina di persone, segnalata due mesi fa alla magistratura dal console inglese a Napoli Michael Burgoyne e scoperta nei dettagli dal pm anglo-italiano di Napoli Henry John Woodcock e dalla polizia. 

Su richiesta del magistrato, il gip Pasqualina Paola Laviano ha disposto gli arresti domiciliari per il custode truffaldino, Giuseppe Amuroso, di 52 anni, il quale, benché sospeso dal servizio - hanno accertato gli investigatori - continuava ad operare nel cimitero britannico e, soprattutto, a vendere loculi e concessioni per spazi sepolcrali. 

A mettere nei guai il custode è stato il rappresentante di una ditta di onoranze funebri di Napoli, il quale si è presentato nella sede partenopea del Consolato del Regno Unito ed ha raccontato il raggiro subito da una sua cliente. Quest'ultima, convinta di aver acquistato, tramite Amuroso, un sepolcro nel Cimitero Britannico di Napoli, si era rivolta all'impresa per la traslazione della salma di un congiunto. Sono servite poche verifiche per scoprire che la procedura era irregolare, la ricevuta falsa e il contenuto fallace.

Nel frattempo Amuroso, consapevole di essere stato scoperto, si era allontanato dal cimitero, lasciando una lettera strappa-lacrime per un funzionario del consolato. Nello scritto l'uomo - a suo dire travolto dai debiti e assillato dagli usurai - ha ammesso che aveva deciso di vendere due loculi, ovviamente non suoi, per fare un po' di soldi e, preso da rimorso, ha annunciato propositi suicidi. 

Presto rintracciato, il custode infedele, durante vari colloqui al Consolato ha confessato nei giorni successivi di aver venduto un numero maggiore di loculi e di false concessioni sepolcrali: dapprima ha detto cinque, poi dieci, infine 28, ma il pm Woodcock ipotizza un numero più grande.

In alcuni casi l'uomo, vistosi scoperto, ha restituito il maltolto; più di recente è stato notato con vistosi ematomi al volto, conseguenza, secondo gli inquirenti, di chi ha voluto regolare in proprio la truffa subita. E, come in un film d'autore, non è mancato il colpo di scena: alle insistenze di un uomo che aveva versato un acconto e chiedeva un appuntamento per perfezionare il (falso) contratto per la concessione cimiteriale, il custode aveva chiesto un po' di pazienza perché aveva «la madre ricoverata in rianimazione». Insospettito, l'uomo, a sorpresa, si è recato a casa del custode: nelle vicinanze ha trovato la madre di Amuroso «serenamente seduta a godersi il fresco dell'ombra di un albero».
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Il boss in manette in tribunale ordinava omicidi con segnali «labiali»

di Leandro Del Gaudio

NAPOLI (19 luglio) - C’era uno che non sbagliava mai. Seduto lì nel pubblico di un’aula di Corte d’assise - perfettamente a suo agio tra mogli, figli e sorelle dei boss detenuti - riusciva sempre a interpretare il messaggio giusto. Mai un errore, una sbavatura, un equivoco. 

Ore di attesa, un ruolo concentrato in pochi istanti: quando il boss incrociava il suo sguardo e gli lanciava messaggi da portare nel rione, da trasferire ai propri affiliati. Un «dialogo» senza parole, fatto di occhiate, labiali. Mimica elementare: quanto basta a trasferire dalle celle di un’aula di tribunale agli spalti del pubblico precisi ordini di morte. Mandati omicidiari, a venti metri di distanza, passando attraverso due vetri blindati che separano il pubblico dai detenuti imputati. 
Avveniva spesso, fino a qualche tempo fa, secondo il racconto fatto ai pm dal boss pentito Ciro Sarno. Fino a un anno fa in sella alla camorra di Napoli est, con un disegno di conquista (in parte riuscito) di altre zone dell’area metropolitana, dai Quartieri Spagnoli alla ricca economia flegrea. Ciro Sarno si confessa e svela retroscena della sua lunga detenzione: in cella dal 1992, il boss noto come «sindaco» di Ponticelli, ordinava agguati sfruttando le pause dei processi in cui era imputato. 

Accadeva quando era in regime di detenzione ordinaria, ma anche negli ultimi anni prima di pentirsi, quando era ristretto al 41 bis e doveva ricorrere ad altri espedienti per indirizzare i suoi desiderata all’esterno della cella. Venerdì scorso, Sarno ha spiegato i suoi «trucchi» durante l’udienza preliminare che si sta celebrando dinanzi al gup Egle Pilla. Interrogato dal pm anticamorra Enzo D’Onofrio, Sarno ricorda la decisione di uccidere Giuseppe Schisa e Gennaro Busiello (quest’ultimo marito di Anna Sodano, ammazzata dal clan per aver collaborato con le forze dell’ordine). 

Due omicidi su cui ora c’è la parola di Ciro Sarno, che aggiunge conferme più o meno dirette a quanto dichiarato dai pentiti Carmine Caniello e Giuseppe Sarno ad agosto del 2009 (data del deposito dei primi verbali dei Sarno) sulla trama di delitti ordinati dal carcere: «In aula - spiega oggi Ciro Sarno - riuscivo a comunicare con l’esterno. Innanzitutto riuscivo a tranquillizzare i miei ed era un compito decisivo per la sopravvivenza del clan. Quando le cose si mettevano male, quando capivo che c’era preoccupazione per qualcuno che poteva pentirsi, riuscivo a dialogare durante le udienze e a lanciare messaggi». 

Come? In che modo? Insiste il pm. E la risposta dà il senso di un’organizzazione compatta, strutturata secondo ruoli decisivi per la sopravvivenza dello stesso cartello criminale: «C’era chi mi capiva, c’era chi riusciva a interpretare gesti, segni e mimica. In aula o durante i colloqui con i parenti. Decine di volte - aggiunge Ciro Sarno - durante i processi in Corte d’Assise riuscivo a farmi capire, riuscivo ad imporre la mia volontà rimanendo seduto dietro le sbarre durante un’udienza dibattimentale».

E a nulla serviva il rigoroso protocollo di controlli imposto a chi sta al carcere duro, a sentire Ciro Sarno: anche davanti a telecamere o dietro un vetro blindato - ha lasciato intendere il pentito venerdì in aula - riusciva a scambiare messaggi, ad imporre la propria strategia di comando. «C’era chi riusciva a capirmi - insiste -. In aula, durante un processo o nelle anticamere di un colloquio tra detenuti al 41 bis». 

È così che quello dei «colloqui facili» diventa un filone tutto da approfondire per la Dda di Napoli, proprio alla luce di quanto stanno confermando i collaboratori di giustizia di casa Sarno. Stando alle dichiarazioni del pentito Caniello, infatti, proprio gli omicidi citati da Ciro Sarno (Schisa e Busiello) sarebbero stati organizzati in cella, durante le fase precedenti ai colloqui: una volta scoccato l’ordine di Ciro Sarno, seguirono summit dietro le sbarre, tutti rigorosamente immortalati da immagini interne al circuito penitenziario, oggi più che mai al vaglio degli inquirenti della Dda.

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Melito: 4 consiglieri pronti a creare il gruppo "Lega Nord"

MELITO. La notizia circola da due giorni e ha già suscitato numero reazioni sia nella cittadina a nord di Napoli che in varie parti della Campania. A Melito quattro consiglieri sarebbero pronti a passare con la Lega Nord. Lo ha diffuso l'agenzia di stampa "Il Velino". «Io con i 'lumbard'? E perche' no. Sono persone simpatiche, che sanno vivere. Fanno un gran chiasso ma non sono secessioniste e amministrano bene dovunque. L'adesione alla Lega si puo' fare». Stefano Capriello, consigliere comunale di Melito di Napoli tra i piu' votati, eletto nel Pd ed ora appartenente al gruppo misto indipendente, strizza l'occhio a Bossi e Maroni. «Il ministro dell'Interno fa sul serio. Si comporta bene. E' venuto piu' volte in Campania. Ripeto: i leghisti sono dei bravi amministratori. Perche' non iscriversi alla Lega e dare il via ad una nuova fase di questo movimento anche al Sud? Chi ha tentato speculativamente di copiarli qui da noi, ha fallito. Meglio rifarsi all'originale», ha aggiunto provocatoriamente. E l'iniziativa del consigliere Capriello sarebbe condivisa da altri consiglieri melitesi come Alfonso Costa, primo eletto nel Pdl; Gennaro Nappello, e Alessandro Simeone, quest'ultimo fuoriuscito dalla minoranza per approdare a posizioni piu' vicine all'amministrazione di centrodestra guidata dal sindaco Antonio Amente. Tutti e tre pensano seriamente alla Lega. «Piu' pragmatica, piu' decisa, non ondivaga come il partito dell'Udc. Certe manovre a noi non sono mai piaciute. Invece ci piace Maroni che ha detto di voler esportare il loro metodo di lavoro a Napoli. A noi quest'idea non dispiace».
Che ne sarà dell'accordo tra Berlusconi e l'alleato Bossi? «Niente Lega più a sud dell'Umbria» giurava il "Lumbard" ai cugini del Pdl, ma sempre secondo "Il Velino", i nuovi leghisti del Sud avrebbero anche incontrato l'enturage del ministro Maroni in uno dei suoi viaggi in Campania. I bene informati dicono che Maroni avrebbe gia' loro stretto la mano. E il primo cittadino Amente? «Sono sempre pronto alle novita', la politica e' movimento - risponde -. La Lega governa con il Pdl, non vedo perche' non si possa costruire un gruppo leghista anche a Melito. Personalmente non credo agli estremismi, che restano solo verbali, di Bossi. Invece apprezzo la buona amministrazione e il fare pratico degli amministratori leghisti». Insomma: un enclave dal fazzoletto verde alle porte di Napoli? «Noi melitesi siamo stati sempre degli innovatori, basti pensare proprio al nostro storico concittadino Marino Guarano - dice il sindaco -. E non ci tiriamo indietro rispetto alla modernita'. Potremmo essere il primo comune del Sud ad avere un gruppo leghista».
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I misteri di Casoria nelle carte dell'inchiesta sulla P3


Dalle carte dell’inchiesta P3 riaffiorano i misteri di Casoria, cioè di papi Berlusconi, di Noemi Letizia e di tutto quello che ne derivò. Un’infinita di misteri, dalle vere attività di Elio Letizia alla mai chiarita ragione della visita di papi per il diciottesimo compleanno di Noemi; dalle relazioni pericolose del presidente del Consiglio con alcuni potenti della zona tra cui Arcangelo Martino, membro della P3, alla morte per prescrizione di un fascicolo processuale su Elio Letizia. Conviene procedere con ordine. E partire da un punto fermo: cioè da Arcangelo Martino, uno dei tre fondatori della presunta P3, ex assessore socialista a Napoli, nel 1993 finito in manette per corruzione. Era assessore all’Annona e al Commercio e con il suo collaboratore Elio Letizia, il papà di Noemi appunto, fu accusato (e poi prosciolto) di gestione allegra delle licenze commerciali. Un salto in avanti. Arriviamo al maggio 2009, alla vicenda del party di Casoria e alle dichiarazioni di Martino che spiega: «Sono stato io a presentare Letizia a Berlusconi, perché tra il 1987 e il 1993 sono stato grande amico di Bettino Craxi». 
Così amici che s’incontravano tutti all’hotel Raphael, lui, l’amico Letizia, il leader del Psi e il rampante Berlusconi. Un anno fa si disse anche che la visita di Berlusconi alla festa di Noemi era finalizzata a discutere con l’amico Elio le candidature di Malvano e Martusciello alle Europee del giugno 2009. Versione mai confermata dai diretti interessati. Mistero s’aggiunge a mistero, dunque. Sappiamo però, grazie all’inchiesta «Insider» sulla P3, che in quei mesi il trio Carboni (con legami pesanti con il clan camorristico di Sarno), Martino e Lombardi s’organizzava e si metteva in azione, faceva affari e pressioni in mezza Italia. In Campania, per la precisione, tra la fine del 2009 e i primi mesi del 2010 voleva a tutti i costi imporre il sottosegretario Nicola Cosentino come candidato governatore nonostante l’accusa di mafiosità e dunque allestiva dossier contro il possibile candidato alternativo del Pdl, Stefano Caldoro. Per la fabbricazione di quel dossier il gruppo godeva dell’appoggio-consulenza di alcuni magistrati. Il 2 febbraio 2010 Lombardi chiama e ottiene di andare a trovare in ufficio il procuratore di Napoli Giandomenico Lepore. «Pasqualì…», «Gianmimì…» sono gli affettuosi saluti telefonici. Se il ruolo di Lepore può essere sin qui solo ipotizzato, nella fabbricazione del dossier hanno certamente ruoli fondamentali Vincenzo Carbone, presidente di Cassazione, e, ancora di più, Umberto Marconi, presidente della Corte d’Appello di Salerno. Il 22 e il 23 gennaio 2010 sembrano essere giornate cruciali per il dossier sulle abitudini sessuali di Caldoro. Marconi riceve nel suo ufficio Ernesto Sica, sindaco di Pontecagnano, poi assessore regionale (ora indagato e dimissionario), e insieme parlano con Martino. «Pronto, sono il presidente - sono qui con coso (Sica, ndr) per quella situazione, quando ci possiamo vedè?». Il giorno dopo Marconi lascia un messaggio a Martino: «Sono a Roma e ti ho servito». Sica è il fabbricatore materiale del dossier, in grado addirittura di adoperare le testimonianze di alcuni pentiti. Quando sta sfumando la candidatura di Cosentino a favore di Caldoro, il sindaco si fa avanti in modo prepotente con il coordinatore Verdini per essere candidato egli stesso. Il coordinatore del Pdl sembra voler sfuggire al confronto con Sica. Il quale però il 23 gennaio 2010 raggiunge Verdini ad Arezzo e lo affronta in malo modo: «Io sono il sindaco di un paese… Digli al presidente (Berlusconi, ndr) che (se non ottengo la candidatura, ndr) me ne vado, lascio il partito, ma non mi fermo e racconterò tutto, tutto da agosto 2007 a oggi». Cosa è successo da agosto 2007 a oggi? In cosa può essere ricattabile il presidente del Consiglio? Qualcosa che ha a che fare, per esempio, con i rapporti tra Sica ed Elio Letizia? I misteri di Casoria affiorano in tutte le carte dell’inchiesta Insider. A volte suggeriscono scenari suggestivi. Come il vecchio processo «scomparso» che coinvolgeva Elio Letizia, per dirne uno. Processo per corruzione, stralciato da quello di Martino nella cui sentenza (2003) si legge: «Le descritte illecite condotte risultano certamente ascrivibili al solo Letizia». Ma, per qualche indicibile motivo, di quel fascicolo non si è saputo più nulla. E mentre infuriava la storia di Casoria - Noemi e dintorni - è venuto fuori che era stato prescritto. Una pessima figura per il tribunale di Napoli, il cui presidente Carlo Alemi a settembre scorso ha chiesto al ministero di inviare gli ispettori per fare chiarezza. Richiesta che a Roma finisce però sul tavolo di Arcibaldo Miller, che è stato sostituto in quella procura dal 1980 fino al 2000 per poi approdare al ministero nel 2002. Lo stesso magistrato che gli uomini della P3 chiamano "Arci" e a cui chiedono spesso consigli e consulenze. Comunque sia, tra Napoli, Salerno e Santa Maria Capua Vetere, dalle intercettazioni è chiaro che i contatti della cosiddetta P3 erano tutti di altissimo livello. Le storie sono spesso circolari. E tornano dove sono cominciate. 


(di Claudia Fusari - Fonte L'Unita')

domenica 18 luglio 2010

A Napoli si muore prima


Due notizie che riguardano situazioni diverse mi hanno colpito per il loro possibile accostamento. Quella, pubblicata da tutti i grandi quotidiani nazionali, che a Napoli la speranza di vita è più bassa che nel resto d'Italia. Non dipende dal cattivo funzionamento della sanità pubblica ma dai tassi di inquinamento per rifiuti tossici seppelliti nel terreno e che finiscono nelle verdure, nella frutta, nei formaggi, comprese le mozzarelle, nei pomodori, e quindi nei sughi, nelle carni di bovini ,maiali, conigli e aumentano le possibilità di tumori, come di malformazioni a livello fetale. L'altra notizia è quella che riguarda il presidente Caldoro, a cui va tutta la mia solidarietà, che una cricca di amici e sodali, nel senso che appartengono al suo stesso schieramento politico, volevano farlo fuori prima ancora che si decidesse la sua candidatura con accuse infamanti costruite a bella posta. L'operazione non è riuscita ma oggi Caldoro si ritrova in giunta uno dei congiurati e accanto, nella camera delle decisioni politiche, il soggetto, l'on.Cosentino, che la cricca, non sappiamo se a sua insaputa, intendeva favorire. Una situazione non favorevole certo ad affrontare i problemi della Campania, primo fra tutti quello di un inquinamento che toglie a tutti i campani molti anni di vita. Un problema che in altre regioni avrebbe provocato una sollevazione dell'opinione pubblica e da noi è invece scivolato nell'indifferenza più assoluta. Comunque i cittadini campani dovranno aspettare: le priorità sono altre, a partire dalla tenuta politica della giunta regionale. Ai cittadini può anche interessare poco ma le regole della politica prevalgono sempre.