sabato 19 giugno 2010

Falsi invalidi, si pente la mente della truffa: Alajo fa i primi nomi

di Leandro Del Gaudio

NAPOLI (19 giugno) - Otto ore, un interrogatorio fiume. Ha fatto nomi, ha raccontato la nascita di un fenomeno tutto napoletano, quello dei falsi invalidi, del denaro pubblico piovuto in città grazie a centinaia di pensioni costruite a tavolino. Parla Salvatore Alajo, l’ex consigliere della municipalità di Chiaia, la mente della truffa di finti invalidi.

Da qualche giorno ha deciso di collaborare con la giustizia, di raccontare tutto. Stavolta niente trabocchetti - è la prima impressione degli inquirenti - niente messaggi in codice o passaggi a vuoto: quello di Alajo sembra essere un passo deciso, quanto basta ad estendere il raggio d’azione dell’inchiesta (salvo ripensamenti sempre possibili per una psicologia resa fragile da mesi di galera).

Giovedì pomeriggio la svolta: dopo aver revocato i due difensori e nominato un altro penalista di fiducia, Alajo è stato ascoltato dal pm Giuseppe Noviello per quasi otto ore. Un torrente in piena, che sembra aver convinto gli inquirenti. Tanto che la Procura non ha perso tempo e cala nuovi assi in un’inchiesta che ha già macinato arresti, sequestri e patteggiamenti.

C’è già un primo deposito di verbali: le prime accuse di Alajo sono state acquisite dal Riesame, che la prossima settimana deve esprimersi sulla richiesta di scarcerazione del dirigente della municipalità di Chiaia Angelo Sacco. Nuove accuse, dunque, contro il funzionario di Posillipo, da dieci giorni in cella. Alajo contro Sacco, per il momento. Il regista della grande abbuffata contro un funzionario di Stato che da giorni rivendica la propria innocenza e prova a scrollarsi di dosso quel nomignolo di «Mario Bross», che gli è stato affibbiato da un altro teste d’accusa.

Inchiesta al bivio, la parola a Salvatore Alajo. Otto ore, decine di nomi, non solo vicoli e tarocchi nel racconto del pentito. C’è dell’altro: lame di luce su una truffa che avrebbe coinvolto una fetta di borghesia napoletana. Medici, avvocati, burocrati. Sono i colletti bianchi del sistema criminale scoperto in questi mesi. È la svolta dell’inchiesta condotta dal pool mani pulite dell’aggiunto Francesco Greco e affidata ai carabinieri del luogotenente Tommaso Fiorentino e del capitano Federico Scarabello.

Svolta impensabile lo scorso dicembre, quando finirono ai domiciliari 60 finti ciechi di Santa Lucia (arresti chiesti dai pm Noviello e Giancarlo Novelli) che guidavano, leggevano il giornale e che si ritrovano all’inizio del mese alle poste per la pensione. Arretrati ed extra ad Alajo e alla moglie Alexandra Danaro, secondo regole che hanno riprodotto un sistema radicato da anni.

Il resto tocca all’ex consigliere municipale, che potrebbe aprire due nuovi filoni nel procedimento sui finti invalidi: quello camorristico e quello politico-amministrativo. Può una truffa da un milione sfuggire a famiglie criminali arroccate sulla collina di Pizzofalcone? Chi sono gli sponsor politici del consigliere capace nel 2006 di primeggiare alle ultime amministrative? Chi c’è dietro mister duemila voti?

www.ilmattino.it


Roghi tossici: in prima linea «laterradeifuochi.it»

GIUGLIANO. Sempre in prima fila contro l’emergenza dei roghi tossici, l’associazione www.laterradeifuochi.it raccoglie ogni giorno sul proprio sito internet video e segnalazioni di incendi di rifiuti, spesso tossici e nocivi, nell’hinterland a nord di Napoli. Centinaia le denunce presentate ai carabinieri di Giugliano, avviata anche una raccolta di firme che sarà presentata alla procura della Repubblica. Il motivo della denuncia sono i mancati controlli e l’adozione di misure preventive contro l’emergenza dei roghi tossici: “Bisogna sensibilizzare la cittadinanza che vive tra Napoli e Caserta. Bisogna far capire che chi incendia roghi tossici danneggia la nostra salute – afferma Angelo Ferrillo della terradeifuochi.it. Deve essere chiaro a tutti che questi fuochi fanno venire il tumore”. Il prossimo passo degli ambientalisti è quello di chiedere il risarcimento dei danni per i continui roghi verso queste istituzioni. Chi ha responsabilità nel non aver fermato questo scempio deve pagare”. Ad appiccare gli incendi – secondo gli ambientalisti – è una organizzazione malavitosa che quotidianamente scarica i rifiuti, sistematicamente bruciati attraverso l’uso delle carcasse di pneumatici come materiale combustibile. I controlli sull’operato dei gommisti sono rimasti solo proclami. L'ordinanza entrata in vigore è incentrata in particolare sul fenomeno dell'abbandono di pneumatici nel territorio e del relativo incendio in quanto adoperati anche come “letto di combustione” per bruciare altre tipologie di rifiuto. Sulla base infatti dell’obbligo per legge per i gommisti a tenere un registro di carico e scarico rifiuti con fogli numerati e vidimati dalla Camera di Commercio, annotando la quantità e la qualità dei rifiuti, unitamente all'obbligo di stipulare un contratto con aziende specializzate per il trasporto e lo smaltimento dei pneumatici, il documento indica quindi “il divieto per i titolari delle officine di riparazione e sostituzione dei pneumatici, di lasciare gli stessi pneumatici incustoditi all'esterno dei propri esercizi dopo l'orario di chiusura”. Nel caso in cui all'esercente siano contestate tali violazioni, l'attività commerciale sarà sospesa da tre a cinque giorni.
www.internapoli.it

Telecamere anticlan da Posillipo a Scampia - Napoli Est, la camorra nei subappalti

Telecamere anticlan da Posillipo a Scampia.
di Luigi Roano

NAPOLI (18 giugno) - In via del Cassano - strada simbolo della faida di Scampia dove gli scissionisti hanno conteso a colpi di mitra il business della droga a Paolo di Lauro alias Ciruzzo ’o milionario - ci saranno venti telecamere dello Stato 24 ore 24 accese a scrutare i movimenti dei clan. 

Venti delle trecento che entro l’estate verranno installate in tutta Napoli. Una sfida anche tecnologica alla criminalità organizzata. Da quelle parti gli eserciti della camorra si avvalgono già da anni dell’ausilio di telecamere per il controllo capillare del territorio. Ad agosto, massimo settembre si accenderanno invece quelle per la legalità. Probabilmente a partire proprio da via del Cassano, teatro di decine di omicidi tra il 2007 e il 2009. 

Come mettere carabinieri e polizia dentro il ventre dei clan più sanguinari della malavita napoletana. Dopo un anno di incomprensioni e stop and go, ministero dell’Interno e Comune hanno trovato l’intesa su chi gestirà gli occhi virtuali. Trecento distribuiti su tutto il territorio cittadino, la metà e qualcosa pure in più nei quartieri ad alta densità criminale. Quindi nell’area nord oltre a Scampia c’è il Corso Secondigliano (15) Chiaiano, via Toscanella (15). Poi la zona orientale: corso san Giovanni, Ponticelli e Barra 15, Pianura - centro storico zona ex discarica - altre 15. 

La fumata bianca è arrivata ieri all’ora di pranzo: il Comune ha detto sì all’accordo: il dicastero retto da Roberto Maroni ha provveduto a mettere i soldi - il Pon sicurezza 2007-2013, circa 5 milioni, alla fase di esecutività dei progetti ultimata ad aprile e alla gare espletate a metà mese; Palazzo San Giacomo gestirà la manutenzione, la connettività e pagherà l’energia per il funzionamento dell’impianto. 

Nell’accordo - sul quale pesa positivamente il grande lavoro dell’assessore alla legalità ed ex Guardasigilli Luigi Scotti - la possibilità per i vigili urbani di visionare alcune immagini per fini sempre di ordine pubblico. Giova sottolinearlo il Pon del ministero misura 1 ha un titolo emblematico: «Sicurezza per lo sviluppo» vale a dire che queste telecamere serviranno da supporto contro la criminalità, nulla a che vedere con la rilevazione di reati contro il codice della strada. Almeno in questa fase. 

In futuro si vedrà. Non a caso oltre alla Campania a beneficiare del Pon sono altre regioni depresse dai clan: Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna. Il Comune è stato parte attivissima nell’individuare le zone dove collocare gli impianti. Con il supporto della Prefettura che ha messo a disposizione le sue conoscenze. 

Con le nuove installazioni di telecamere - molte decine già sono in funzione nel centro storico e hanno il doppio livello di utilizzo, ovvero servono al controllo della viabilità oltre che per la sicurezza - Palazzo San Giacomo applica a tutto tondo la nuova normativa in materia di sicurezza. Dove il sindaco e l’ente locale hanno un ruolo di grande rilievo. Al punto che la stessa Iervolino ha già emanato diverse ordinanze sulla sicurezza su determinati argomenti. Come la lotta al vandalismo.

Quanto a copertura del territorio e a tecnologia, le attrezzature sono dotate di un cono d’ombra ridottissimo. Vale a dire che questi occhi virtuali collegati alla Questura e al Comando dei carabinieri e della Guardia di Finanza hanno la possibilità di estendere il loro sguardo a 360 gradi.

Napoli Est, la camorra nei subappalti

di Leandro Del Gaudio

NAPOLI (15 giugno) - Tanti pregiudicati con la tessera del sindacato in tasca, ma anche personaggi sospetti che cambiano sigla dal giorno alla notte. In poche ore nuove iscrizioni, nominativi che cambiano casacca. Cosa succede a Napoli est?
Cosa accade nell’ex polmone industriale di Napoli? È la domanda che ha mosso in questi mesi le indagini della Dda partenopea, inchiesta nata settimane prima che qualcuno desse fuoco a una escavatrice nei cantieri della cittadella universitaria di San Giovanni a Teduccio. Venerdì scorso un possibile attentato doloso nella ex Cirio e i riflettori dei media che si accendono su uno scenario in movimento. C’è un sospetto su cui indagano i carabinieri del comando provinciale del colonnello Mario Cinque: è il racket delle assunzioni, il modo più rapido, efficace e indolore di imporre estorsioni e affermare la propria presenza sul territorio.

Accade nella periferia orientale, è accaduto pochi mesi fa. E cresce l’attenzione investigativa per il rischio che questi «appetiti» criminali possano riversarsi, in futuro, anche nell’area dei nuovi insediamenti produttivi, quelli di «Naplest». Il gruppo di imprenditori che fa capo a Marilù Faraone Mennella appare più che mai intenzionato a blindare progetti e investimenti.

L’ipotesi investigativa è questa: alcune assunzioni avvenute negli ultimi mesi nell’area della periferia orientale di Napoli sono state pilotate dalla camorra. Fascicolo a carico del clan D’Amico, cosca data in ascesa dopo arresti e pentimenti che hanno messo in ginocchio il cartello dei Mazzarella e dei Sarno. Inchiesta condotta dal pm Maria Cristina Ribera, del pool anticamorra dell’aggiunto Sandro Pennasilico. Ascoltati in meno di un anno decine di soggetti, tutti in fila dinanzi alla polizia giudiziaria: c’erano imprenditori, sindacalisti, ma anche personaggi assunti da poco nei cantieri destinati alla riqualificazione della periferia orientale.

Chiara l’ipotesi: la camorra punta ad inserirsi nella rete di subappalti di grandi commesse di Stato e avrebbe già piazzato alcuni uomini in cantieri aperti da qualche tempo. Le assunzioni, dunque, come tangente: strumento di controllo dentro e fuori ai cantieri. Inutile dire che, strappata l’assunzione, l’astensionismo dei neo operai diventa totale. Neanche un giorno di lavoro, per intenderci. Superfluo dire anche che la busta paga in famiglie legate ai clan fa sempre comodo, è sempre gradita da tutti. Uno scenario tutto da definire, che parte da una premessa: la disponibilità - siglata in un protocollo d’intesa tra imprenditori e istituzioni locali - di assumere manodopera locale nei grandi investimenti pubblici che riguardano aree depresse come la periferia orientale.

Detto in soldoni, cosa ne sa un imprenditore che i nuovi assunti sono imposti dalla camorra? Cosa ne sa un sindacalista che alcuni iscritti sono la testa di ponte di un sistema criminale più ampio? Si lavora con il bisturi, guai a criminalizzare organi di rappresentanza o scelte imprenditoriali. Bocche cucite da parte di tutti, inutile dirlo, anche se non sfuggono movimenti sospetti: si parte dalle tessere sindacali nelle tasche di personaggi fermati in indagini antidroga o in semplici posti di blocco; ma anche da improvvisi cambi di casacca riscontrati dalle forze di polizia giudiziaria.

Dieci, quindici nomi che passano da una sigla all’altra, che poi si presenta a trattare nuove assunzioni quando sta per partire un nuovo cantiere. Auchan, bonifica dei suoli delle ex raffinerie, degli ex insediamenti manifatturieri. Niente attentati, salvo complicazioni o improvvisi cambi di programma. Scenario in movimento, indagini che ora non possono ignorare due novità: la pioggia di investimenti messi in moto dai progetti firmati «Naplest»; il rogo di una escavatrice nel cantiere della Italrecuperi, la ditta che ha vinto un subappalto nella ex Cirio (zona dove è prevista la cittadella universitaria). Si torna alla domanda di partenza: che succede a Napoli est?

www.ilmattino.it

sabato 12 giugno 2010

Donne e camorra

10/06/2010 - CASERTA - C'e' una donna, Maria Giuseppa Cantiello, chiamata Maria Pia, al centro dell'inchiesta che ieri mattina ha portato alla notifica di 11 ordinanze di custodia cautelare nei confronti di esponenti del clan dei casalesi. Nel provvedimento, emesso dal gip Alberto Capuano su richiesta dei pm Antonello Ardituro e Giovanni Conzo, la donna e' accusata di ricevere ''reiteratamente, ogni mese, uno stipendio prelevato dalle casse del sodalizio e, in particolare, dai componenti dell'organizzazione di volta in volta incaricati di raccogliere, nella predetta cassa, tutti i proventi dei delitti di estorsione, gioco illegale d'azzardo, traffico e vendita di armi, riciclaggio, illecita concorrenza, commessi dai partecipi del sodalizio denominato clan dei casalesi su tutto il territorio casertano e nazionale''. Ecco che cosa ha raccontato di lei a verbale Marianna Piccolo, sorella del collaboratore di giustizia Raffaele: ''Dopo che fu resa pubblica la collaborazione di mio fratello Raffaele, la Cantiello venne presso la mia abitazione ubicata alla via Lecce di Casal di Principe; mi disse di non accettare la protezione, perche' il clan non ha mai toccato le donne. In quella occasione mi disse anche che lei provvedeva a consegnare gli stipendi alle famiglie dei familiari degli affiliati del clan che erano carcerati e se io avessi avuto bisogno di denaro potevo rivolgermi a lei direttamente. Io gia' conoscevo Maria Pia come una donna del clan dei casalesi, in pratica era noto che lei provvedeva alla consegna degli stipendi ai familiari degli affiliati, anche se non ha mai consegnato alla mia famiglia soldi''. ''Voglio aggiungere inoltre - emerge ancora - che era noto il ruolo della Cantiello a Casal di Principe, infatti una volta e per l'esattezza circa due anni fa la incontrai nel negozio di abbigliamento di Casale posto al Corso Umberto denominato Gian Glo': io ero intenta ad acquistare regolarmente una camicia per mio fratello Raffaele pagandola tranquillamente, mentre ho visto che la stessa prelevo' un pantalone ed una maglietta da quel negozio e testualmente invece di pagare disse:voi sapete che io non pago, mettete tutto sul conto di mio marito. La stessa prima di andare via a bordo della sua Mercedes grigia e prima di uscire dal negozio testualmente mi disse: Maria', che fai, paghi pure tu? Ma e' per te o per tuo fratello? Io le risposi che era per mio fratello e la stessa mi disse testualmente: se e' per tuo fratello non devi pagare, e si allontano'. Io pagai 199 euro in contanti per la camicia e andai via''.
www.internapoli.it
04/06/2010 - CASERTA. Né silenziosa, né riservata, né remissiva o acquiescente. Una camorrista vera, dicono di lei. Più del marito Pasquale, più dei parenti di Casal di Principe dai quali - sin da bambina - ha appreso l’arte della minaccia e del sopruso. Porta un cognome ingombrante, così come ingombrante è il suo stato di famiglia: si chiama Schiavone, come il capo del clan dei Casalesi, di cui è nipote; e come il primo pentito dello stesso clan, del quale è la figlia. È lei, Maria Rosaria, 41 anni, il vero capo della colonna pontina. È l’avanguardia combattente, raccontano i collaboratori di giustizia, di quel nucleo di estorsori che quindici anni fa si è accampato tra Latina e Roma, stringendo utilissime alleanze con la mala locale: i Casamassima, i loro amici «zingari» e usurai, le propaggini della banda della Magliana. La sua storia criminale è raccontata, per riassunto, nell’ordinanza di custodia cautelare del gip romano Sante Spinaci, che ne ha disposto l’arresto per estorsione aggravata e favoreggiamento della camorra, provvedimento eseguito due settimane fa. Ed è la storia di una donna di malavita, prepotente e violenta, più simile alle consorelle della tradizione napoletana o marcianisana, che non alle parenti di Casal di Principe. Vincenzo Buono è stato per anni il prestanome e uomo di fiducia di Maria Rosaria Schiavone e del marito Pasquale Noviello. Arrestato dopo una sparatoria a Cisterna, ha iniziato a collaborare con la pm romana Maria Monteleone. Ha raccontato di essere stato «arruolato in piazza al bar», accolto nella villa di Nettuno della coppia - dove Noviello è stato arrestato dopo due anni di latitanza - e retribuito con 150 euro per incendiare l’auto del parrucchiere della donna. Aveva avuto l’ardire di farsi pagare la messa in piega. «Rosaria è come un uomo - ha detto ancora Buono - si occupa anche di pulire le armi», precisando che Noviello e la moglie si sono subito presentati a lui come appartenenti alla famiglia Schiavone, proprio quella di Casale: un marchio che, da solo, vale più di un mitra. E ai due non mancava neppure quello. «La Schiavone formulò minacce di morte nei confronti del Cascone (il proprietario di un pub vittima di minacce estorsive, ndr), poi seguite dalla partecipazione all’attività preparatoria al fatto di sangue», e cioè pedinamenti e sopralluogo. In più occasioni ha fatto anche da staffetta e da specchiettista: «La notte dell’agguato in danno del Cascone, la Schiavone unitamente a Noviello e a Ravese (un altro uomo del gruppo, ndr) vengono controllati dai carabinieri di Aprilia e nella circostanza la donna finge di essere incinta e chiede di essere trasportata all’ospedale per un malore in modo da ostacolare ogni possibile controllo nell’immediatezza da parte dei carabinieri». Una volta aveva anche accompagnato il marito e Michele De Leo, un altro «aiutante», a incendiare un cantiere navale. Rosaria Schiavone andava a prelevare denaro dai commercianti e a prendere generi alimentari senza pagare. Con Noviello «si interessava anche della raccolta dei rifiuti solidi urbani di Latina, in relazione alla quale veniva pagato denaro che Noviello raccoglieva servendosi di uno zingaro». «Era informata di tutto - sintetizzano i pentiti laziali - erano tutti una combriccola. La Schiavone condivide tutto con il marito, lei teneva voce in capitolo nella casa e lei aveva vissuto tutta la vicenda delle macchine». Da Raffaele Piccolo, uno degli ultimi collaboratori di giustizia casalesi e fino allo scorso anno uomo di fiducia di Nicola Schiavone, il figlio di Francesco-Sandokan attuale reggente del clan, i dettagli più interni al ruolo delle donna nell’organizzazione. Nel verbale del 12 novembre del 2009, ha riferito che, sin da quando era entrato nel clan (tra il 1995 e il 1996), aveva avuto modo di avere notizie dei Noviello e di Maria Rosaria Schiavone. Sapeva che i Noviello sono «prestanome e faccendieri» della famiglia Schiavone e che la coppia aveva più volte ospitato e nascosto Francesco Schiavone-Sandokan, favorendone la latitanza fino al suo arresto, l’11 luglio nel 1998. «In considerazione dei rapporti stretti e di parentela tra gli Schiavone e i Noviello - gli appartenenti al clan dei Casalesi, sia affiliati che capi zona sapevano che, quando si nominavano i Noviello, si doveva fare un passo indietro». Non si dovevano toccare «perché facevano capo direttamente a Francesco Schiavone-Sandokan, che era intervenuto a proteggere la Maria Rosaria Schiavone da rappresaglie di altri appartenenti al clan». Figlia di pentito ma anche nipote e fedelissima gregaria, e per questo utile alla causa. Almeno fino a due settimane fa.
Rosaria Capacchione
Il Mattino il 03/06/2010
«Dammi il pub o ti stacco la testa con la motosega»
La forza in un marchio, quel temibilissimo richiamo ai Casalesi che fa paura in Campania, figurarsi in zone quasi indenni da organiche e strutturate presenze mafiose. Una forza intimidatoria accresciuta in maniera esponenziale dai modi violenti, dalla pratica delle armi e delle minacce, dal ricorso a un linguaggio pauroso al quale seguivano fatti altrettanto paurosi. «Lo sai chi sono io?» dicevano alle vittime. E facevano seguire il cognome, Schiavone, a indicare un’appartenenza e un’affiliazione quanto meno vantata per intimorire commercianti e imprenditori di Latina, Cisterna, Nettuno, Anzio. Nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal gip romano Sante Spinaci ne è raccolto un breve saggio. È nella descrizione della condotta criminale di Maria Rosaria Schiavone, del marito Pasquale Noviello e degli «affiliati» Francesco Gara, Enzo Buono Enzo e Agostino Ravese, in relazione all’estorsione in danno di Fracesco Cascone. La combriccola voleva impossessarsi del ristorante l’Oasi, a Cisterna di Latina, gestito da Cascone dal quale pretendevano le chiavi del locale. Le minacce furono rivolte alla moglie del titolare, Filomena D’Antuono, che fu anche schiaffeggiata e colpita al volto con un pugno. «Tu fai una brutta fine», le avevano detto. E riferendosi al marito, avevano aggiunto: «Piglio la motosega, lo taglio in due, gli taglio la testa e ci piscio dentro, lo sparo in testa, dove sta a mare? Vado e lo squarto». La firma?: «Lo sai chi sono io? Io sono Pasquale Noviello della famiglia Schiavone».
Rosaria Capacchione
Il Mattino il 03/06/2010

NAPOLI (11 giugno) - Circa 80 persone, in prevalenza donne, hanno accerchiato e minacciato i poliziotti in servizio di controllo all'interno del ''Parco Verde'' di Caivano (Napoli), colpevoli, con la loro presenza, di impedire lo spaccio della droga e altre attività deliquenziali.
Una donna, Vania Schiavoni, di 29 anni, è stata arrestata con l'accusa di minacce, resistenza e lesioni a pubblico ufficiale e denunciata, in stato di libertà, per oltraggio. La rivolta è scattata quando i poliziotti hanno fermato il conducente di un'autovettura e di un ciclomotore per un controllo, uno dei quali risultato familiare di Vania Schiavoni.
«Noi dobbiamo vivere, abbiamo i figli e non prendiamo uno stipendio», hanno gridato i rivoltosi agli agenti che, grazie all'ausilio di altre pattuglie giunte sul posto, hanno potuto evitare il peggio. Dopo l'arresto della donna, un gruppo di sue conoscenti, tutte donne, a bordo di auto e scooter, hanno raggiunto il commissariato di polizia di Afragola (Napoli) dove hanno minacciato gli agenti in servizio.
Due donne, una pluripregiudicata e la moglie di un pluripregiudicato recentemente arrestato per detenzione e spaccio di droga, sono state denunciate in stato di libertà. Processata con rito direttissimo, Vania Schiavoni è stata condannata a sei mesi di reclusione, con la sospensione condizionale della pena. Due degli agenti hanno riportato contusioni guaribili in pochi giorni.
www.ilmattino.it

mercoledì 2 giugno 2010

Bertolaso: «L'emergenza rifiuti non è risolta»

«L’emergenza non è risolta». Parola di Bertolaso. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, ammette che la “questione rifiuti in Campania non è ancora chiusa” e che, tra non molto, la regione potrebbe ripiombare nella stessa situazione di due anni fa.
Appena sei mesi fa lo stesso Bertolaso, insieme al premier Berlusconi, annunciavano la “chiusura dell’emergenza”, ma oggi si ammette che “effettivamente, la crisi rifiuti non è risolta del tutto”. Secondo il capo della protezione civile «basterebbe un intoppo, anche minimo, per far inceppare quella delicata e complessa macchina che è il ciclo dei rifiuti». Bertolaso sceglie questa linea per rispondere alle critiche dell’eurodeputata olandese Judith Merkeis che, nei giorni scorsi, aveva criticato l’apertura della discarica di Terzigno nel Parco Nazionale del Vesuvio. «La Merkeis – dice Bertolaso – evidentemente non conosce bene la realtà campana e arriva con pregiudizi che ci si può permettere venendo da altri Paesi europei che non conoscono e che non hanno sofferto qui i napoletani e i campani». La discarica di Terzigno, sarebbe quindi “necessaria per scongiurare il ritorno dell’emergenza”. «Ma – prosegue il capo della Protezione civile – in Campania serve un piano serio di raccolta differenziata. Quello che abbiamo fatto, ha solo aperto la strada. Questa regione – conclude – ha ancora molto cammino da fare».
E su questa vicenda si scatenano subito le polemiche degli ambientalisti e di esponenti del centro sinistra, che accusano Bertolaso e il Governo di “aver strumentalizzato l’emergenza rifiuti per fini elettorali”, di utilizzare lo scudo dell’emergenza a seconda delle necessità e degli interessi, “proprio come hanno fatto i precedenti governi locali e centrali”. Intanto la chiusura della seconda linea dell’inceneritore di Acerra rischia di creare ulteriori tensioni nel beneventano. L’amministrazione sannita, infatti, protesta per l’ipotesi di raddoppiare i rifiuti provenienti da fuori provincia e diretti alla discarica di Sant’Arcangelo Trimonte. La legge impone che ogni provincia debba essere autonoma nella gestione dei rifiuti. Sarebbe proprio la mancanza di “autonomia provinciale” a far piombare l’incubo di un ritorno all’emergenza.

www.internapoli.it

Campania, le spiagge negate




di Salvo Sapio
NAPOLI (29 maggio) - Immaginate duemila metri di spiaggia, magari quelli dove l’anno scorso vi godevate la tintarella con tanto di tuffo rinfrescante. Non ci sono più. È come se quei duemila metri la Campania li avesse perduti, aggiungendoli agli 81 chilometri non balneabili censiti lo scorso anno.

Secondo le rilevazioni dell’Arpac le coste che affacciano su acque inquinate passano da 81 a 83 chilometri; maglia nera a Caserta come nel 2009 (più della metà del litorale è impraticabile), benino Salerno (off limits 15 chilometri sui 222 totali), malata cronica la costa napoletana che vede «cancellati» altri 3 chilometri di costa (quasi 40 inquinati su 245 totali).

«Se si pensa - denuncia Legambiente - che un chilometro di spiaggia balneabile e adeguatamente attrezzata può garantire un fatturato annuo variabile da 2 a 4 milioni di euro, solo nell’ultimo anno si stima in almeno 164 milioni di euro il mancato guadagno per l’economia turistica della Campania».






Napoli
Tre le zone del litorale partenopeo che non sono balneabili secondo i parametri dei prelievi Arpac (per un totale di 2284 metri). L’agenzia ambientale verifica se nell’acqua ci sono sostanze che ne comprovano l’inquinamento da scarichi: a Napoli i valori sono schizzati per le acque antistanti piazza Nazario Sauro, per quelle al largo dei bacini Sebin a San Giovanni a Teduccio e per quelle di Pietrarsa. Conferma per la zona orientale, in via di guarigione Bagnoli. Quest’anno il divieto di balneazione per inquinamento delle acque non c’è, scatta quello automatico per aree portuali o vincolate (appunto una parte di Bagnoli, Nisida, Porto Paone, la zona intorno Capo Posillipo, Mergellina, Santa Lucia, Molosiglio). Non limpida ma considerata balneabile l’acqua al largo del Tricarico a Bagnoli, di palazzo Donn’Anna a Posillipo e del lido «mappatella» alla rotonda Diaz. Marechiaro (nomen omen) si conferma il punto con l’acqua più pulita della città.

L’area domiziana-flegrea
Oltre tredici i chilometri di costa che si affacciano su acqua non balneabili. La maglia nera va a Pozzuoli che su 13 punti di rilevazione ne ha 8 inquinati. Si salvano l’ex colonia Italsider, il lido Napoli, il lido Augusto, il lido del Pino. Varcaturo e Licola non stanno meglio, anzi. L’inquinamento è totale, con buona pace degli sforzi dei balneatori. Un po’ meglio sta Bacoli che vede classificata non balneabile l’intera Spiaggia Romana.

La costa vesuviana
Portici, Ercolano, Torre del Greco e Torre Annunziata non hanno alcun punto balneabile. Una striscia di mare sporco (oltre diciotto chilometri) per cui si fa fatica a rassegnarsi.

La penisola sorrentina
Città di confine tra le due aree, Castellammare paga l’inquinamento che arriva dal nord (con cinque spiagge off limits) valori accettabili nell’area del Cral militare-Corderia e all’altezza del Famous beach. Dopo un paio di curve pare un altro mondo. In totale tutte le coste della penisola sorrentina si affacciano su mare pulito con l’eccezione di 698 metri (211 a Vico Equense con i Bagni di Scraio; 262 a Sorrento con Marina Grande e Apreda-Aprea; 104 a Massa Lubrense con Marina di Lobra; 212 a Sant’Agnello con Punta Sant’Elia). A Massa Lubrense i problemi cominciarono lo scorso anno con i guasti al depuratore.

Le isole
Pulita Capri, pulita Procida, una sola macchiolina (478 metri di spiaggia) a Ischia con la costa della Fundera a Lacco Ameno che è stata dichiarata non balneabile.