sabato 27 marzo 2010

I soldi sporchi dei boss ripuliti col cemento

GIUGLIANO. Erano le province di Roma e Latina e le localita' turistiche di Scalea, Olbia e Ischia, le localita' scelte dagli esponenti del clan Mallardo arrestati nell'ambito dell'indagine condotta dalla Dda di Napoli per costruire complessi abitativi, alberghi e centri turistici insediati in zone prestigiose dal punto di vista paesaggistico e ambientale. L'organizzazione criminale, sfruttando anche accordi con il clan dei Casalesi nella fazione di Francesco Bidognetti, effettuava tutte le operazioni attraverso due holding imprenditoriali, una gestita dai fratelli Dell'Aquila e l'altra da Carmine Maisto e Domenico Petito. Entrambe le societa', utilizzando dei prestanome collegati a esponenti dei Mallardo, hanno effettuato numerose e importanti operazioni immobiliari, permettendo cosi' agli esponenti del clan di riciclare denaro proveniente da attivita' illecite. In questo modo l'organizzazione ha superato i confini della Campania, estendendo la propria influenza nel Lazio, in Emilia Romagna e nelle altre regioni del sud, investendo sempre in zone prestigiose dal punto di vista paesaggistico-ambientale. "L'operazione - spiega il coordinatore della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, Alessandro Pennasilico - serve per dimostrare ancora una volta che pensare alla criminalita' organizzata confinata in una regione e' una pura illusione. Si tratta di uno dei maggiori sequestri compiuti in Italia nell'ultimo periodo ed e' frutto della sinergia tra la polizia e la magistratura". In alcuni casi l'organizzazione trasferiva immobili da una societa' all'altra prima di rimetterli sul mercato. Questa operazione serviva a occultare meglio l'effettivo responsabile dell'investimento e l'accesso a finanziamenti bancari. Proprio partendo da conti correnti sospetti e utilizzando intercettazioni telefoniche e ambientali, oltre alle rivelazioni dei collaboratori di giustizia, le forze dell'ordine sono riuscite a sgominare il sodalizio criminale. Uno degli arrestati, Antonio Pirozzi, ha dichiarato al fisco solo 2.900 euro all'anno dal 1999 al 2009. "Ancora una volta - precisa il procuratore della Repubblica di Napoli, Giandomenico Lepore - siamo riusciti ad aggredire il patrimonio del clan Mallardo. Ora speriamo di poter riutilizzare al piu' presto i beni sequestrati per finalita' sociali". Il nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Roma sta proseguendo le indagini per individuare altri conti correnti riconducibili agli arrestati e che sono tutti in forte attivo. Tra i beni sequestrati Ferrari e imbarcazioni di lusso. Giuseppe Dell'Aquila, latitante, e' considerato uno dei capi del clan che e' vicino alla cosiddetta "Alleanza di Secodigliano" (fonte Agi)L'operazione. E' durata diverse ore l'operazione che ha visto all’opera Guardia di Finanza di Roma e Polizia di Stato. Alla fine è stata smantellata una organizzazione camorristica operante nel Lazio, Campania , Calabria e Sardegna. Sotto chiave terreni, appartamenti, società, imbarcazioni, auto, moto e rapporti bancari per un ammontare complessivo di oltre 400 milioni di euro. Settantasette i soggetti denunciati di cui 12 arrestati per associazione a delinquere di stampo mafioso.In campo 500 uomini tra Guardia di Finanza e Polizia di Stato. L'indagine, durata quasi due anni, ha permesso di rilevare due holding imprenditoriali, operanti prevalentemente nel settore dell'edilizia, nelle Province di Roma, Latina e Napoli, gestite, direttamente o attraverso prestanome, da soggetti collegati al clan camorristico Mallardo operante sul territorio del comune di Giugliano in Campania , inserito nel cartello criminale denominato Alleanza di Secondigliano. 12 sono i provvedimenti restrittivi in corso di esecuzione a carico di altrettanti personaggi ritenuti responsabili di associazione per delinquere di stampo camorristico finalizzata al controllo di attivita' economiche ed al riciclaggio e reimpiego di capitali di provenienza illecita. Sequestrate anche le aree ex Desco di Terracina e Madonna delle Grazie di Fondi, nonche' l'Hotel Orizzonte ed il centro commerciale Orizzonte di Giugliano in Campania. 74 persone risultano indagate: ad essi sono stati sequestrati beni immobili anche nelle province di Roma e Latina oltre che in alcune zone della Campania, non solo in provincia di Napoli ma anche nel casertano. In carcere sono finiti i fratelli Giovanni e Domenico Dell'Aquila mentre manca all'appello un altro fratello, il boss Giuseppe Dell’Aquila, alias “Peppe 'o ciuccio”, latitante dal 2002 ed uno dei pezzi da novanta del clan Mallardo di Giugliano. I due fratelli sono stati arrestati questa mattina a Formia con altre nove persone, ritenuti i presunti componenti di una organizzazione che nel sud Pontino ha riciclato, attraverso investimenti fittizi, un ingente quantitativo di danaro proveniente dall’attività illecita che il clan camorristico svolge in Campania. Clan del quale Giuseppe Dell'Aquila è ritenuto dai magistrati della DDA di Napoli il leader indiscusso. Ecco l'elenco dei 74 indagati. (In ordine alfabetico) Abbate Andrea, nato a Giugliano in Campania nel '59; Abbate Vincenzo, nato a Giugliano in Campania nel '47; Abbruzzese Alessandro, nato a Napoli nell' '81; Abbruzzese Antonietta, nata a Napoli nell '85; Abbruzzese Ciro, nato a Napoli nell' '83; Abbruzzese Giovanni, nato a Napoli nell' '80; Baggetta Maria, nata a Napoli nell' '81; Banincasa Fortunata, nata a Napoli nel '59; Cappuccio Carlo, nato ad Agnone nel '54; Cardone Giuseppe, nato a Villaricca nel '67; Carlino Maria Teresa, nata a Napoli nell '80; Carlino Olimpia, nata a Napoli nel '78; Carlino Raffaele, nato a Napoli nel '50; Cecere Domenico, nato a Melito nel '60; Chiariello Giulia, nata a Mugnano nel '71; Ciotola Alessandro, nato a nell' '87; Ciotola Gennaro, nato a Napoli nel '62; Ciotola Riccardo, nato a Napoli nel '67; Ciotola Silvana, nata a Napoli nel '67; D'Alterio Claudia, nata a Napoli nel '79; D'Alterio Emilio, nato a Napoli nel '51; D'Alterio Paola, nata a Napoli nell' '83; D'Alterio Rosa, nata a Giugliano in Campania nel '63; Dell'Aquila Raffaele, nato a Mugnano nell' '86; Dell'Aquila Raffaele, nato a Mugnano nell' '88; Dell'Aquila Domenico, nato a Giugliano in Campania nel '65; Dell'Aquila Giovanni, nato a Giugliano in Campania nel '59; Dell'Aquila Giuseppe, nato a Giugliano in Campania nel '62; Dell'Aquila Pietro Paolo, nato a Giugliano in Campania nel '67; Delle Cave Gennaro Antonio, nato ad Afragola nel '71; Di Cicco Giovanni, nato a Giugliano in Campania nel '56; Di Gioia Francesco, nato a Giugliano in Campania nel '46; Di Nardo Rosa, nata a Giugliano in Campania nel '49; Ferraro Patrizia nata a Giugliano in Campania nel '67; Gallucci Vincenzo, nata a Napoli nel '72; Hrybowicz Anna Czeslawa, nata in Polonia nel '74; Iannone Antonio, nato a Napoli nel '69; Imperiale Annunziata, nata a Castellammare di Stabia nel '73; Imperiale Raffaele, nato a Castellammare di Stabia nel '76; Maglione Vincenza nata a Mugnano nel '71; Maisto Antonio, nato a Napoli nell' '80; Maisto Carmine, nato a Napoli nel '57; Maisto Massimo, nato a Napoli nel'82; Mancinelli Gioacchino nato a Napoli nell' '86; Marasca Francesca nata a Napoli nell' '83; Marino Nicola, nato a Giugliano in Campania ne '44; Marrone Domenico, nato a Qualiano, nel '66; Micillo Francesco Paolo, nato a Giugliano in Campania nel '54; Milione Gennaro nato a Napoli nel '72; Milione Teresa Paola, nata a Napoli nel '74; Morrone Lino, nato a Pertosa nel '50; Natale Enrica Maria, nata a Genzano di Lucania nel '48; Panico Francesco, nato a Napoli nel '75; Pascarella Clemente, nato a Caserta nel '47; Pascarella Gaetano. nato a Caserta nel '73; Pasquariello Angelina, nata a San Nicola la strada nel '47; Petito Domenico nato a villaricca nel '66; Pezone Anna nata a Villaricca nel '62; Piazza Gennaro nato a Napoli nel 75; Pirozzi Antonio nato a Mugnano nel '72; Pirozzi Antonio nato a Mugnano nel '71; Pirozzi Emilia, nata a Mugnano nel '69; Pirozzi Francesco nato a Giugliano nel '72; Pirozzi Giuseppe nato a Giugliano nel '44; Ruopolo Gerardo nato a Somma Vesuviana nel '63; Ruoppolo Valentina nata a Napoli nel '73; Santonicola Antonio nato a Mugnano nel '80; Sepe Federico nato a Melito nel '76; Spinosa Clementina nata a Napoli nel '73; Tesona Giovanna nata a Giugliano nel '69; Tramontano Guido nato a Napoli nel '60; Veneruso Renato nato a Napoli nel '64; Vivard Silvana nata a Napoli nel '52; Zito Antonietta nata ad Acerra nel '74.

Dossier sul voto inquinato

NAPOLI. I lavoratori dei rifiuti, gli ex detenuti, Pomigliano. Sono alcuni dei terreni sui quali si gioca in maniera scorretta la partita elettorale, secondo la denuncia fatta ieri da "Federazione della sinistra". Un dossier sul "voto inquinato", che riguarda entrambi gli schieramenti principali. Dice il candidato presidente Paolo Ferrero: "Spesso c'è una rappresentazione teatrale dello scontro, che copre un trasversalismo degli affari". Il simbolo di tutto ciò è nei punti di contatto fra le società che hanno operato tanto per la centrale di Sparanise, oggetto delle indagini sui casalesi e su Nicola Cosentino, quanto per quella di Salerno, dove è invece indagato Enzo De Luca, leader del centrosinistra.
Ad ogni modo Tommaso Sodano, ex senatore, ha messo in fila alcuni casi. Scena prima: Caserta, consorzio per i rifiuti. Il direttore Antonio Scialdone ha la moglie candidata, Michela Pontillo, con la "Lista Caldoro", distribuisce assunzioni e promozioni nonostante il suo mandato sia scaduto, e chiede esplicitamente il voto ad alcuni dipendenti. Si tratta di quei lavoratori che, non vedendosi erogati gli stipendi, hanno provocato di recente una nuova fiammata sul fronte della crisi rifiuti, costringendo Berlusconi e Gianni Letta a turare la falla col contributo della Regione. Scena due: Pomigliano.
Il sindaco uscente, Pd, ha firmato una convenzione, per alcuni interventi urbanistici, con una ditta non ancora dotata della liberatoria antimafia della Prefettura. Inoltre "nei comitati del Pd si raccolgono curricula di giovani a cui si promettono interessamenti per Fiat, Alenia, o Enam e Gori". Scena terza: la Regione dell'ex compagno Corrado Gabriele: "Dai suoi uffici è uscito un bando per il possibile inserimento di ex detenuti, occorre lasciare e-mail e telefono". Scena quarta: Scafati. Il Pasquale Aliberti, Pdl, ha la moglie candidata, Monica Paolino: "Enormi manifesti ovunque, che nessuno rimuove, mentre ancora non sono stati assegnati gli spazi sui tabelloni regolamentari".
È guerra di cartelloni anche a Maddaloni. L'ex sottosegretario Gaetano Pascarella, Pd, segnala che quello di Antonio Caturano, candidato alla Provincia, era stato rimosso perché abusivo dal commissario prefettizio che regge il Comune, ma "dopo qualche giorno è stato nuovamente riposizionato".
Dalle ipotesi di voto di scambio al voto comprato, tema sollevato da Enzo De Luca, per 50 euro a persona. "Per la verità la crisi si sente anche qui - dice Sodano - in alcune realtà il prezzo scende fino a 20". Ma la cifra generalmente è quella: 50 euro. Ci sono però anche i pacchetti: a Scampìa come a Cavalleggeri Aosta nei parchi va molto il piano famiglia, 150 euro per tutti. La compravendita passa spesso attraverso la semplice apertura di un comitato: al responsabile che si offre arriva un finanziamento, in genere 10000 euro, per materiale elettorale o attacchinaggio, poi questi soldi vengono spesi autonomamente, spesso senza che il candidato sappia nulla ufficialmente. Racconta ad esempio Carmine Malinconico, ex presidente della Municipalità di Scampìa: "Si sono viste anche delle cene improvvisate, presso gazebo di alcuni candidati, come Schiano e Pisacane. Il tutto concluso con i commensali che tornavano a casa con buste piene di alimentari. Sono meccanismi che non comportano per forza la conoscenza del fatto da parte del candidato, sono gli intermediari territoriali che decidono come agire". Comunque la Digos ha aperto una indagine, su Scampìa e non solo.
Meccanismo e prezzo sono grosso modo gli stessi in tutta l'area dei comuni a nord di Napoli, ma anche nella zona vesuviana. Stefano Buono, consigliere uscente di Italia dei valori, ha chiesto controlli al prefetto Alessandro Pansa. A Pansa è arrivato un appello anche da Bianca D'Angelo, candidata Pdl, che riferisce di voci secondo cui "la sinistra sta militarmente preparando agguerriti rappresentanti di lista per presidiare i seggi elettorali". I Verdi ci mettono del loro: "Chiederemo di disporre l'impossibilità di voto per rappresentanti che vengono da fuori Campania", dice Francesco Borrelli. Campagna avvelenata. Forse anche frutto della impossibilità della politica di entrare in quartieri dove il buon vecchio pacco di pasta può valere più della promessa di un lavoro. Succede anche nel centro di Napoli: ai Quartieri spagnoli e al Pallonetto circola voce che a fine settimana ci sarà una Pasqua anticipata, un bel carico di uova di cioccolata, rivestite di azzurro, e accompagnate da un santino che non sarà certo quello di un giocatore di Mazzarri.
ROBERTO FUCCILLO
La Repubblica.it 24/03/10
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NAPOLI (26 marzo) - Blitz della Digos ieri mattina nei locali della tipografia Acm di Acerra dove vengono stampate le schede elettorali. E le forze dell’ordine, sempre nell’ambito delle indagini sul voto di scambio, hanno svolto anche alcuni sopralluoghi nella zona di Secondigliano.

L’iniziativa della squadra guidata dal primo dirigente Antonio Sbordone è partita dopo il racconto al Mattino di un disoccupato: l’uomo ha spiegato di aver lavorato a nero in un’azienda dove si stampa il materiale necessario per il voto. E lo stesso disoccupato, che ha dei precedenti penali, nelle prime ore del mattino ha ricontattato il giornale per spiegare che tutti i dipendenti irregolari erano stati lasciati a casa dall’impresa dopo la pubblicazione della nostra inchiesta.
Il prefetto di Napoli, Alessandro Pansa, dal canto suo, ha disposto una serie di controlli da svolgere in collaborazione con la Digos e l’ispettorato del lavoro. Dopo il sopralluogo di ieri mattina non sono state accertate irregolarità: nello stabilimento di Acerra erano presenti una ventina di persone, tutte con un regolare contratto di lavoro. Gli accertamenti continuano e la Digos ha già redatto un’informativa da inviare in Procura dove nei giorni scorsi è già stato aperto un fascicolo sul cosiddetto voto di scambio.
«Martedì un parente dei proprietari mi ha chiamato - aveva raccontato al Mattino il pregiudicato - ha chiesto ”Tu quanti voti porti?” E io, contando la mia famiglia, ho risposto ”Quattro”. Ma non bastavano. Mi è stato consegnato un blocchetto. L’ho dovuto riempire con i nomi di parenti e amici indicando anche la residenza e il seggio dove andranno a votare. Se in quei seggi non uscirà il numero di voti previsti, sapranno che non ho obbedito e il posto di lavoro, anche se precario, sarà a rischio. In ogni caso io ho già perso ogni speranza».
E l’uomo ha anche mostrato il blocchetto in questione. Il lavoratore in nero ha anche sostenuto che è estremamente facile far uscire delle schede. E infatti ne ha consegnata una al Mattino. In questo modo sarebbe possibile farla vidimare con la complicità degli scrutatori segnalati dai partiti per poi scrivere il nome del candidato prescelto e affidarla a un elettore che, dopo averla inserita nell’urna, ne porterebbe fuori una bianca in maniera da far andare avanti il sistema all’infinito. Un sistema semplice per comprare i voti correndo relativamente pochi rischi. Ma l’amministratrice della società che gestisce lo stabilimento dell’Acm Spa, Maria Rosaria Barile, che non ha voluto rilasciare interviste, sostiene: «da noi non ci sono mai stati lavoratori in nero e ci sono controlli incredibili».
È il poligrafico dello Stato ad affidare ad alcune società il compito di stampare le schede: dall’azienda di Acerra ne usciranno un milione e settecentomila che saranno poi distribuite in 84 Comuni. E tutto il lavoro si svolge sotto lo stretto controllo della prefettura.
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NAPOLI (25 marzo) - Voti in cambio di denaro o - come recita il codice, con prosa decisamente più formale - «di altre utilità». Certificati elettorali che entrano a far parte di veri e propri dossier per schedare gli elettori. E, per finire, il sempre fiorente racket dei manifesti.

C’è tutto questo, ed altro ancora, nella informativa di polizia trasmessa in Procura, a Napoli. L’ombra lunga del sospetto comincia a prendere corpo negli atti degli investigatori, e a poche ore dal voto la corsa alla preferenza spinge ancora qualcuno a mercanteggiare, a offrire somme di denaro in cambio della agognata preferenza. Il sistema del rastrellamento dei certificati elettorali prelevati «a garanzia» della promessa di voto è un dato sul quale dovranno lavorare ora gli inquirenti.
Un mercato fiorente, a quanto pare, in alcune zone della città. Le regionali in Campania rischiano di passare alla storia come uno dei momenti più torbidi della vita democratica. La Digos della Questura di Napoli è al lavoro perché ciò non accada. E tuttavia dalle zone a rischio, quelle che l’inchiesta del «Mattino» ha indicato come gli epicentri del fenomeno del voto di scambio, continuano a giungere segnalazioni inquietanti.
Ieri mattina in alcuni condomini di Secondigliano c’è stato un gran movimento di galoppini elettorali. Il porta a porta della campagna elettorale combattuta con promesse di somme di denaro è continuato. Con una sola differenza rispetto alle modalità già note e denunciate dal nostro giornale: la «tariffa» del voto sarebbe infatti lievitata fino a 75 euro.
Che il fenomeno sia più esteso di quanto si possa credere, investendo anche persone insospettabili, lo dimostra anche un’altra voce che circola con insistenza in queste ultime ore: qualche insospettabile professionista avrebbe messo a disposizione di alcuni candidati la propria mailing list, offrendo - in cambio di una cifra che varia dai 1000 ai 2000 euro - la disponibilità a contattare i propri dipendenti o i propri clienti per fare campagna elettorale. Da Portici, dove si sono addensati altri sospetti, quelli di un presunto racket sul mercato delle affissioni elettorali, fa sentire la propria voce il sindaco Enzo Cuomo.
«Non ho notizie di questo fenomeno - dichiara - Durante le comunali il clan Vollaro diede ordine ai suoi uomini di girare per i negozi ordinando di non votare per me. Ho denunciato tutto un anno fa, e spero che l’inchiesta vada avanti. Fino alla fine della campagna elettorale, comunque, ho dato disposizione alla polizia municipale di intensificare i controlli per strada dove si fa affissione elettorale».
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domenica 21 marzo 2010

OPERAZIONE PANDORA ALL’UNIVERSITÀ PARTHENOPE

di Red. Uni. Parthenope 2010
Antonio Quintavalle, comandante del Gico della Guardia di Finanza di Napoli è un uomo tutto d’un pezzo. Traspare, dalla voce tranquilla e pacata la Sua professionalità e salta subito all’occhio che i suoi gradi se li sia conquistati sul campo. Il fascino della divisa attrae la platea dei giovanissimi cronisti in erba, che ascoltano affascinati la descrizione minuziosa dell’Operazione Pandora. Il Colonnello Quintavalle parla del clan camorristico Gallo-Limelli-Vangone, sgominato il 20 gennaio scorso dal Gico della Guardia di Finanza e dai carabinieri del Ros. Il Clan gestiva un traffico internazionale di droga, riciclava denaro sporco e estorceva denaro a centinaia di imprenditori e commercianti napoletani. Il quartier generale era all’interno dei comuni dell’hinterland napoletano, Boscotrecase, Boscoreale e Torre Annunziata, ma il fulcro era in provincia di Latina, dove viveva il capo clan Giuseppe Gallo. Molte le “quote rosa”, cioè le signore delle cosche, tra cui la madre del capo.
“La peculiarità della nostra azione – afferma Quintavalle - è stata l'individuazione dei canali di riciclaggio del denaro proveniente dal traffico di droga, che "ripuliti", venivano reinvestiti nel circuito legale. Nella fattispecie “Pandora” cioè nella ristorazione”.
L’operazione è stata quella che si definisce “caso di scuola” in quanto oltre ai fenomeni di traffico di stupefacenti, estorsione, il clan imponeva ai ristoratori le proprie forniture. Inoltre nodale la corruzione di pubblici funzionari del tribunale di Torre Annunziata che in cambio di pochi euro occultavano fascicoli riguardanti il capo clan, estrapolavano fonti di prova e addirittura le contraffacevano. Tutto ciò grazie a delle intercettazioni telefoniche. Grosso clamore anche per il coinvolgimento di uno psichiatra, Adolfo Ferraro che aveva diagnosticato a Giuseppe Gallo l’incapacità di intendere e di volere per la quale il boss percepiva una pensione di 699 €.
Si evince dall’operazione Pandora che c’è un giro di compravendita di case: tutto ciò è normale? “Noi, sfruttando le nostre banche dati, ci rendiamo conto che nel momento in cui un individuo che non ha reddito, lavoro, risulta intestatario di un immobile. Se non riesce a dimostrare che ha avuto un’eredità, il bene gli viene sequestrato. Questo l’hanno capito anche i malviventi quindi si assiste alla corsa al “prestanome”. Infatti grazie alle intercettazioni telefoniche siamo venuti a conoscenza di un giro di cosiddetti “Testa di legno”che fa da filtro tra l’organizzazione criminale e il bene immobile”.
Per rientrare in possesso dei beni spesso le organizzazione criminali ricorrono ai notai, i colletti bianchi, quasi come se ci fosse una serie di livelli imprenditoriali. “I consulenti finanziari servono a far fruttare i soldi del clan nei settori in cui si investe. Ad esempio per i Casalesi il settore è il calcestruzzo, per Pandora le ristorazioni. Si specializzano e addirittura de-localizzano gli acquisti verso il nord d’Italia ed all’estero”.
Gallo-Limelli-Vangone: chi sono costoro? “Fanno parte di una “Famiglia” storica dell’area vesuviana. Nella nostra realtà i nomi sono ricorrenti. Si chiamano più o meno tutti allo stesso modo. Ci tocca spesso indagare e capire prima per quale clan si sta investigando. Famiglie che hanno una radice storica. Ad esempio a Caserta la criminalità è piramidale. A Napoli, i vari gruppi criminali sono satelliti di uno più potente. Quando c’è un indebolimento strutturale, gli altri clan, come avvoltoi, cercano di subentrare, di appropriarsi dell’area criminale. Si assiste così a continue faide, alla mercializzazione di gruppi criminali che si contrastano gli uni con gli altri”.
60 persone arrestate 5 ricerche ancora in corso “Al momento 4 dei cinque latitanti sono stati arrestati: manca ancora all’appello una sudamericana che pare si nasconda in Spagna, che è per i Gallo una zona di stoccaggio; infatti, il clan ha soggetti di origini vesuviani che lavoravano in quella zona proprio come se fossero in una multinazionale”.
Napoli-Latina-Salerno? “E’ questa un’area di principali ramificazione criminale dove i camorristi risiedono in ville con piscina. Abbiamo effettuato sequestri imponenti”.
I beni che vengono sequestrati che fine fanno? Lo Stato ne ha benefici o vengono restituiti poi a queste persone? “Quando arriva la sentenza definitiva per la confisca, le autovetture sequestrate possono essere utilizzate per le attività di P.G. Le macchine hanno un costo e poter usufruire di alcune di grossa cilindrata è un vantaggio poiché ci consente di non “dare nell’occhio”. La classica Punto nera ci etichetta come “sbirro”. Quando le autovetture non vengono utilizzate sono vendute all’asta o distrutte. Per quanto riguarda le società, viene nominato un amministratore dal GIP e quindi vengono gestite dallo Stato. Gli immobili comportano costi di manutenzione, quindi vengono affidati ad enti no-profit, onlus, spesso però sono in completo abbandono perché non si trovano acquirenti, ma c’è anche il pericolo che tramite l’asta torni nelle mani della camorra. C’è comunque un disegno di legge per venderli facendo accertamenti antimafia.
E’ da poco stato istituito un Fondo Unico di Giustizia: i soldi sequestrati ad esempio con Tangentopoli, vennero congelati su libretti infruttiferi. Oggi i soldi sul fondo unico di giustizia fruttano poiché si può attingere per comprare ad esempio le fotocopiatrici agli organi dello stato”. Quanto conta il lavoro di squadra tra la guardia di finanza e gli altri corpi, ad esempio i carabinieri piuttosto che la polizia? “Questo si chiama coordinamento, cioè lavoro di squadra; dietro i C.C. la P.S. e la G.F. ci sono degli uomini. Quindi si uniscono le forze: la competenza di un corpo va ad aiutare la deficienza di un altro corpo. Il lavoro di squadra è fondamentale, perché spesso le intercettazioni contemporanee richieste da più forze di polizia portano a fare lo stesso lavoro e il coordinamento fa evitare doppi inutili sforzi”.
Quali sono le tempistiche dell’estradizione? “Numerosi sono i latitanti nell’area Schengen, ed attraverso la coordinazione e collaborazione proficua con la polizia di questi stati l’estradizione risulta abbastanza veloce, quantificata in pochi mesi. Al di fuori di quest’area, ad esempio Regno Unito che ha negoziato alcuni opt-out legislativi, l’iter è un po’ più lento”.
Alla luce delle nuove norme in materia di cooperazioni giudiziarie e di polizia nell’ambito europeo, quali sono gli strumenti che dovrebbero essere introdotti per facilitare il vostro lavoro? “Posso dire di essere soddisfatto della cooperazione con gli altri paesi. Anche se le altre forze di polizia hanno un approccio diverso con la criminalità. Ad esempio, l’Olanda ha un budget di spesa entro il quale possono lavorare. Appena questo viene a mancare, chiudono il caso indipendentemente se hanno ottenuto delle prove, tipo lavoro a progetto. Il futuro della lotta al mondo criminale è la trans-nazionalità dei reati, indagine a specchio, cioè un reato che inizia in uno stato e finisce in un altro, in questo contesto, attraverso l'intensa collaborazione con gli organismi investigativi degli altri Paesi, si fornisce agli Organi Giudiziari un contributo nel delineare le architetture delle economie illegali”.
A cura di E. Simonetti

www.bigol.net

sabato 13 marzo 2010

Faida Scampia, dal boss Cosimo Di Lauro 300mila euro alla famiglia di Gelsomina

NAPOLI (11 marzo) - Sembra un’ammissione di colpa ma (almeno formalmente) non lo è. Sembra il primo passo verso una richiesta di patteggiamento, ultima chance per sfuggire all’ergastolo, ma potrebbe non essere così. Eppure, Cosimo Di Lauro ha staccato un assegno di trecentomila euro per la famiglia di Gelsomina Verde, la ragazza torturata, uccisa e carbonizzata nel pieno della faida di Scampia, la guerra tra i Di Lauro e gli scissionisti a cavallo tra 2004 e 2005.Cinque anni dopo quel delitto, il presunto mandante fa un passo in avanti. Condannato all’ergastolo, Cosimo Di Lauro ha girato tramite i suoi legali trecentomila euro ai legali che assistono la famiglia della ragazza uccisa. È un risarcimento del danno, che non implica al momento un’ammissione di responsabilità penale per l’assassinio di Gelsomina Verde.Una mossa che almeno un risultato sembra averlo ottenuto: questa mattina, infatti, dinanzi alla prima Corte d’Assise d’Appello (presidente Romeres), la famiglia di Mina non dovrebbe costituirsi parte civile. Il resto sarà la cronaca di un dibattimento a senso unico, con Cosimo Di Lauro collegato in videoconferenza dal carcere bunker nel quale è detenuto al 41 bis, che proverà a difendersi dall’accusa di essere l’organizzatore del delitto di Mina. Dovrà rispondere alla testimonianza del pentito Pietro Esposito, che decise di collaborare con la giustizia proprio dopo aver accompagnato la ragazza all’appuntamento con i killer, svelando i particolari di un delitto scolpito nella galleria di orrori della faida per la droga. Una verità che va raccontata da un paio di premesse: Mina Verde era una ragazza estranea ai circuiti criminali, dedita al volontariato, priva di interessi illegali in un quartiere improvvisamente divorato dalla contrapposizione armata tra gruppi da sempre alleati; i genitori di Mina hanno seguito le udienze del processo di primo grado in assoluto isolamento, senza alcun sostegno istituzionale, pur essendo estrenei ad altre indagini e a vicende camorristiche. Resta una verità giudiziaria che da oggi deve essere valutata in appello: Mina Verde fu interrogata e torturata da parte di Ugo De Lucia (condannato in via definitiva all’ergastolo), all’epoca braccio destro di Cosimo Di Lauro, per conoscere il covo dei fratelli Notturno, tra i primi a passare dalla parte degli scissionisti, a ribellarsi alla famiglia Di Lauro. Era il 21 novembre del 2004, in un conflitto che fece registrare oltre sessanta omicidi in pochi mesi, destinato a riproporre pagine di violenza stile balcanico. Due mesi dopo quel delitto, arrivarono le manette per «Cosimino», uno dei dieci figli del padrino Paolo Di Lauro, per anni conosciuto come «Ciruzzo ’o milionario». La notizia del suo arresto fece il giro del mondo. Per ore, donne e uomini cercarono di ostacolare l’ingresso dei carabinieri nel famigerato «rione dei fiori», meglio conosciuto come «terzo mondo», con episodi di guerriglia metropolitana: furono staccati lavandini e water e furono gettati contro le auto dei carabinieri, poi vennero ingaggiati autentici corpo a corpo pur di difendere il numero uno della faida. La cui foto - impermeabile nero e capelli avvolti dietro la testa - è stata paragonata a quella di Brandon Lee del film «The crow», oltre a diventare cattiva icona da spedire da un telefonino all’altro di tanti adolescenti.Difeso dal penalista Vittorio Giaquinto, oggi Cosimo Di Lauro proverà a dimostrare la propria estraneità alle accuse, partendo proprio da un gesto spontaneo e apparentemente senza secondi fini: un assegno di trecentomila euro a confortare i genitori di una ragazza vittima di un’improvvisa fiammata di violenza. Una guerra scoppiata - secondo le indagini della Dda di Napoli - proprio per ordine di Cosimo Di Lauro, con l’obiettivo di ringiovanire la camorra, di svecchiare i ranghi creati con sapienza e diplomazia dal padre, per decenni a capo della più importante holding della droga d’Europa.
Napoli, la famiglia di Gelsomina Verde: «Con soldi del boss fonderemo associazione»
NAPOLI (12 marzo) - Non c’era il Comune, non c’erano altri esponenti degli enti locali. Assenti fasce tricolori, associazioni di volontariato, onlus, corporazioni professionali. Per tutta la durata del processo, c’erano solo i genitori, a chiedere giustizia, ad attendere risposte. Delitto di Gelsomina Verde, riflettori rigorosamente spenti, alla prima udienza del processo d’appello. Isolati per anni, i parenti della ragazza uccisa nel corso della faida di Scampia, hanno deciso di non costituirsi parte civile, dopo aver ricevuto un assegno di trecentomila euro da parte di Cosimo Di Lauro, imputato come mandante del delitto. Scelta insindacabile - va chiarito - in un processo nel quale Cosimo Di Lauro continua a protestare la propria innocenza, al di là dei soldi versati in questi giorni. Denaro pulito, fanno capire i legali dell’imputato, frutto di un indennizzo assicurativo, dopo un incidente stradale subìto quando Cosimo Di Lauro era minorenne. Soldi girati alla famiglia della vittima, che vuole ora utilizzarli per la realizzazione di un’associazione di volontariato che si chiamerà «Un progetto per la vita», che riproponga il martirio della giovane Mina e che dia continuità all’attenzione per le fasce più deboli, che da sempre anima i componenti della famiglia Verde. Sarà un’istituzione in grado di offrire un sorriso a chi è in difficoltà - lasciano intendere i familiari della vittima - nel solco delle attività che impegnarono la giovane vita di Mina.Intanto, aula vuota ieri mattina in assise appello: scenario che spinge il capo della Dda Sandro Pennasilico a riflettere sull’importanza della partecipazione corale, della presenza della società civile, specie in processi tanto delicati. Spiega il procuratore aggiunto Pennasilico: «In vicende tanto gravi e delicate ci sono aspetti personali che richiederebbero il sostegno ai familiari delle vittime. Non entro nel merito della scelta dei parenti della ragazza uccisa durante la faida - chiarisce il procuratore aggiunto -, anzi credo che il loro tributo umano meriti rispetto e discrezione; eppure in quell’aula, in quel processo doveva essere presente lo Stato in tutte le sue componenti. Non solo il pm, dunque, non solo la Corte d’assise: penso allo Stato come istituzioni locali, associazioni, gruppi professionali, che non può lasciare soli i parenti delle vittime». Prima corte d’assise d’appello, presidente Romeres, si parte da una condanna all’ergastolo per Cosimo Di Lauro, indicato nel corso delle indagini (condotte dai pm Stefania Castaldi, Luigi Alberto Cannavale e Giovanni Corona) come il mandante della brutale esecuzione della ventiduenne. Bella, estranea al crimine, dedita al volontariato, Mina Verde fu uccisa la notte tra il 21 e il 22 novembre da Ugo De Lucia, braccio destro di Cosimo Di Lauro, a sua volta condannato in via definitiva all’ergastolo. La fine di Mina fa imbarazzo solo a raccontarla: i killer puntavano al covo dei fratelli Notturno, protagonisti della sanguinaria scissione. La ragazza venne interrogata, torturata, uccisa e data alle fiamme. Fu l’apice di una guerra spietata che non esitò ad accanirsi su donne, anziani e persone estranee al crimine. Difeso dai penalisti Vittorio Giaquinto e Saverio Senese, Cosimo Di Lauro ha sempre protestato la propria innocenza, ma un mese prima dell’inizio del processo d’appello si è fatto avanti: e ha staccato un assegno di trecentomila euro a titolo di risarcimento del danno a favore della famiglia (rappresentata in questi anni dall’avvocato Liana Nesta), che lascia così il processo, rinunciando a costituirsi parte civile. Si torna in aula il prossimo 26 marzo, a discutere sull’attendibilità delle accuse del pentito Pietro Esposito (quello che consegnò Mina ai carnefici), sulla tenuta delle accuse della Dda di Napoli e su quant’altro è entrato nel fascicolo giudiziario. Restano fuori dall’aula, la testimonianza dei parenti di Mina, il sogno di riscatto di un nucleo familiare che ora chiede silenzio, che ora parte dal «progetto per la vita», primo passo per mantenere vivo il sorriso di Mina.

ABUSI QUOTIDIANI DI CRONACA O DI OPINIONE?

di Red. Uni. Parthenope 2010
L’abusivismo in Campania è una vera è propria piaga sociale. Criminalità organizzate, imprenditori-speculatori edili e politici corrotti, si arricchiscono alle spalle dei poveri cittadini e dei molti imprenditori onesti. Alcuni di questi si rassegnano al proprio destino, altri protestano a viva voce per i propri diritti. Ma i giornali, come ne parlano? Sfogliando alcuni quotidiani, risulta difficile trovare articoli che parlano esplicitamente di questo problema. Su “Il Mattino” si parla della manifestazione contro l’abbattimento delle abitazioni abusive degli abtianti di Ischia. Un articolo di cronaca ben scritto, spiega ogni avvenimento. Accanto c’è la notizia che, Franco Regine, sindaco di Forio, parla delle difficoltà economiche in cui versa il comune, proprio a causa di questi abbattimenti. Non un accenno di opinione di quanto sia giusto o sbagliato l’abusivismo, nessuna spiegazione della legge attuata. Il discorso non cambia sul “ROMA” grande quotidiano di cronaca, ma non per questo esentato da opinioni . A pagina 2, il quotidiano riporta la notizia sul “piano casa”, elaborato dalla giunta comunale, respinto dal consiglio regionale. Il piano casa servirebbe anche a combattere l’abusivismo edilizio, ma vengono riportati solo i litigi tra politici di quella o quell’altra fazione. Sul “GIORNALE DI NAPOLI”, la notizia di esercizi commerciali, sequestrati dalla Polizia Municipale(bar, gazebo) perché privi di licenza per vendere cibi e bevande. In un giornalismo sempre più di opinione, in cui lo sport la fa da padrone, laddove c’è bisogno di critiche forti, il mondo dell’informazione si limita al racconto di pettegolezzi( sesso, strane frequentazioni e quant’ altro), drammi familiari, calamità naturali e omicidi. C’è da dire che il mondo dell’editoria versa in pessime condizioni, per questo risulta più conveniente, per un quotidiano; attirare verso se il maggior numero di lettori.
A cura di Paolo Vecchione

domenica 7 marzo 2010

Soldi dal clan ai reclusi di Poggioreale: ogni mese bonifici per oltre un milione

NAPOLI (6 marzo) - A conti fatti sono 520 euro al mese per ogni detenuto, per un totale di un milione 352mila euro: è una cifra stratosferica quella che si ottiene calcolando la movimentazione di denaro che entra nel carcere di Poggioreale. Un fiume di denaro che regolarmente entra negli otto padiglioni di Poggioreale in occasione dei 600 colloqui che si tengono ogni giorno: allora è aperto l’ufficio Bollettario, dove i parenti dei detenuti posssono versare nell’arco di un mese sui depositi di conto corrente intestati ai carcerati fino a 520 euro al giorno.Sempre facendo due conti ogni recluso ha a disposizione un tetto massimo di circa 17 euro al giorno. Come si spiega allora una movimentazione record di denaro? Il sospetto è che si tratti di compensi per affiliati ai clan camorristici.

HAMSIK E NAPOLI NEL NUOVO SPOT “NIKE”

Dopo Rooney, Pato, Aguero, Cristiano Ronaldo, Ronaldinho, Ibrahimovic e Ribery, stavolta è il campione azzurro Marek Hamsik a prestare volto e fisico per pubblicizzare il noto marchio sportivo Nike. Girato per essere diffuso in Slovacchia, terra d’origine dell’atleta, lo spot, però, sembra più un inno alle bellezze della città di Napoli, attraverso le quali Hamsik suda e corre, avvolto in un k-way, naturalmente, di colore azzurro. Non paesaggi consueti a dire il vero: infatti, manca il sole, in genere prerogativa della città. Piuttosto, c’è ovunque una nebbia umida ad ingrigire la scene, che però, nonostante tutto, appaiono come di consueto mozzafiato. Nel tempo di appena un minuto, infatti, da una straordinaria veduta del Golfo, passiamo ad attraversare, insieme al campione, i vicoli della città, con gli immancabili panni stesi, il lungomare, fino ad arrivare a scalare con gran fatica le pendici del Vesuvio, che portano al cratere. Qui, cappuccio nero in testa e braccia al cielo, Hamsik urla e ascolta l’eco della sua voce. Il riferimento è palese: 22 anni appena, ma Marek, come Rocky, ha già compiuto la sua scalata verso il successo.
A cura di A. Capolongo