mercoledì 8 dicembre 2010

“Città di Partenope”: prosegue l'iniziativa sulla raccolta differenziata

NAPOLI (6 dicembre) - L’emergenza rifiuti corre anche sul web. Ma stavolta on line non ci sono le immagini di turisti che scattano foto ai cumuli di immondizia o i tanti sacchetti disseminati in strada.

Città di Partenope (progetto ideato dal pubblicitario Claudio Agrelli) nei giorni scorsi ha lanciato attraverso il proprio sistema di democrazia diretta (primo sistema di e-democracy telematica attivo in Campania) un quesito che potrà essere votato da tutti coloro che si collegano al sito www.comunedipartenope.it.

Sono già centinaia i cittadini che stanno affollando le urne virtuali di “Città di Partenope” per rispondere alla domanda: “Saresti d’accordo nel proporre al Comune di Napoli un passaggio di deleghe alle Municipalità in materia di raccolta differenziata, cosicché la pianificazione e il controllo del processo venga decentrato ad organi più vicini ai cittadini?”. Ad oggi l’87% è favorevole e il 13% è contrario.

L’obiettivo è quello di sensibilizzare ancor più l’opinione pubblica sulla questione rifiuti.

Pronto ad assumersi l’onere e a coinvolgere gli altri colleghi il presidente della prima municipalità, Fabio Chiosi. Al termine della votazione, Città di Partenope sottoporrà al Comune e ai principali candidati della nuova amministrazione i termini della proposta. L’adesione è libera e tutti possono iscriversi per votare, naturalmente dopo aver firmato il codice etico della città, un decalogo di regole del vivere civile. Partenope è una città virtuale che sempre più vuol incidere su quella reale e lo fa affiancando alle denunce soluzioni concrete che porta avanti con tenacia, come nel caso della battaglia per la riqualificazione della Galleria Umberto I, oggi sorvegliata dalla Polizia Municipale e presente nel recente censimento del FAI “I Luoghi del Cuore” come monumento più votato in Campania e tra i primi in Italia.
http://www.ilmattino.it/

Politica e affari dietro l'emergenza rifiuti

Scritto da: Prof. Amato Lamberti 

L'emergenza rifiuti non è solo il frutto di incapacità degli amministratori o di pressioni del crimine organizzato. Il problema rifiuti potrebbe essere affrontato in modo semplice e razionale, vale a dire fissando regole chiare per il conferimento differenziato dei rifiuti da parte dei cittadini e poi provvedere alla raccolta porta a porta e, infine, al conferimento delle frazioni differenziate alle aziende o agli impianti di trattamento e riutilizzo. Semplice, facile e chiaro. In tutto il mondo civile funziona così e nonostante l'aumento dei rifiuti non si registrano problemi. Da noi no, perchè la logica è quella di arrivare al risultato moltiplicando però le occasioni di affari per il maggior numro possibile di persone, comprese le organizzazioni criminali. Ma a fare affari sono innanzitutto politici e amministratori che gestiscono politicamente (spartitoriamente) le strategie di soluzione del problema, la moltiplicazione dei passaggi della massa dei rifiuti, l'assunzione di sempre nuovo personale quasi sempre inutile. l'acquisto di sempre nuovi automezzi, la distribuzione degli appalti, dei subappalti, dei noli a freddo e a caldo, la concessione di consulenze ed incarichi per studi, monitoraggi, pubblicità, rapporti con giornali e televisioni, che servono solo a rinforzare l'immagine e a consolidare le clientele. Certo fanno affari anche gli imprenditori e i professionisti amici di politici e amministratori. Fanno affare i tecnici, i funzionari di partito, gli addetti alle segreterie degli amministratori, i parenti, le amanti e tutto il sottobosco che vive di rapporti con la politica. La soluzione del problema, siano i rifiuti, gli ospedali, le bonifiche, le strade, è l'ultima cosa. Più si prolunga l'emergenza e più gira la giostra dove molti tentano di farsi almeno un giro.


Un Procuratore della Repubblica e settemila processi

Articolo di Giustizia, pubblicato giovedì 25 novembre 2010 in Olanda.
[NRC Handelsblad]
Ad un Pubblico Ministero in Sicilia manca tutto. Codici, computer, giudici. I politici corrotti sono i primi a notare le conseguenze di una buona amministrazione della giustizia.
Per un attimo il giudice Elisabetta Mazza e il Procuratore Capo della Repubblica Calogero Ferrotti hanno dimenticato le loro preoccupazioni sulla demolizione del Diritto nel sud Italia. Davanti a loro è seduta la maestra d’asilo in pensione Rosaria Pignato. La sua rabbia riempie con facilità l’immensa sala del Palazzo di Giustizia di Enna, una piccola città di provincia in Sicilia.
 Vestita con un abito rosso e scarpe rosse testimonia dietro occhiali da sole colorati contro il comandante di polizia del suo paese. Ogni mercoledì mattina verso le sette e mezza questo La Martino appariva al mercato e riempiva borse di plastica di banane, sedani, patate, arance e lattuga. Il suo assistente caricava il raccolto nel portabagagli e lui partiva senza pagare, come se fosse normale. Quell’uomo ha uno stipendio. Deve pagare come ogni cittadino, grida la Pignato nell’aula di tribunale con le due gabbie per gli accusati vuote.
Il giudice Mazza, presidente del collegio penale (35 anni e da sei in servizio), nasconde la sua risata dietro il palmo della mano quando apprende che la maestra d’asilo nel 2006 ha addirittura filmato di nascosto il comandante per raccogliere prove contro di lui. Qui in Sicilia non ho mai incontrato un cittadino così coraggioso, dice il Procuratore Capo Ferrotti (67 anni), dopo la seduta.
Coraggio e perseveranza non mancano nemmeno a Ferrotti e Mazza. Da un mese e mezzo Ferrotti è il solo pm a Enna. I suoi quattro sostituti sono partiti e non sono stati rimpiazzati. Durante la seduta viene ripetutamente chiamato all’esterno per emergenze. Il processo nel frattempo si ferma. Da solo deve giudicare e gestire i settemila casi che gli si presentano annualmente. Alla sera e nel fine settimana prepara i processi. Mi sento come in un ospedale senza medici, dice lui. Quando se ne va via tardi la sera spegne lui stesso le luci del Palazzo di Giustizia e chiude a chiave la porta.
La situazione di Ferrotti è caratteristica dello stato abominevole del Pubblico Ministero nel Sud dell’Italia a partire da più o meno tre anni a questa parte. Il 30-40% percento delle posizioni sono vacanti. Nei tribunali più piccoli qualche volta si arriva perfino al 75-80%. I successi che vengono ottenuti contro la mafia sono solo da attribuirsi all’enorme sforzo lavorativo e professionalità di quelli che sono rimasti al loro posto, dice Ferrotti.
Dopo la seduta, il giudice Mazza spiega che lei deve fare a meno di cinque dei suoi dieci colleghi. Ha 440 processi da gestire personalmente. Per spiegare il degrado della giustizia fa vedere la camera di consiglio. Ci sono cinque diversi tipi di sedie intorno al tavolo, la più moderna delle quali risale agli anni ‘60. Il computer non ha la tastiera, né la stampante e la connessione internet. La serie di libri in cui viene annualmente raccolta la giurisprudenza si ferma al 1994. Questo è, guarda caso, l’anno in cui Silvio Berlusconi è entrato in politica, ma lei non vuole dir nulla sul premier e la sua inarrestabile lotta contro il potere giudiziario. Semplicemente paga di tasca propria i nuovi codici e i nuovi CD di giurisprudenza.
Mediamente mancano nel Sud Italia il 20% dei giudici che ci dovrebbero essere. Mazza: lo Stato conta sul nostro impegno extra, sulla nostra disponibilità a lavorare durante il fine settimana. Ma se non riceviamo aiuto velocemente dovremo fermarci, perché lo stesso giudice non può fare contemporanemente sia l’inchiesta che il processo. Questo è il momento peggiore da molti anni.
Le conseguenze si possono immaginare. Per la fretta vengono commessi più errori di forma dai Pubblici Ministeri. I processi si protraggono per anni. Nella cittadina di Enna l’anno scorso sono andati in prescrizione il 20 percento dei processi penali, anche a causa di leggi che hanno accorciato i termini della prescrizione. I cittadini perdono fiducia nella giustizia, perché riescono ad ottenerla con sempre maggiore difficoltà. Le aziende straniere non investono più, perché non sanno né quando né se il loro investimento renderà, dice Mazza.
Ad Enna un processo di primo grado dura mediamente tre anni e tre mesi ma ci sono anche molti valori sopra questa media e ci vogliono anni prima che un processo abbia inizio. Se un’azienda fallita ti deve dei soldi, qui fai meglio a vendere la casa o a chiedere un mutuo perché non ottieni che un massimo del 40% con anni di ritardo, sempre che tu ottenga qualcosa, dice l’avvocato Alessandro Messina. Le compagnie di assicurazioni speculano, secondo lui, su questo tipo di situazioni. Ti offrono il 20% di quanto hai diritto dopo un danno. Sanno che la vittima deve per forza accettare, perché altrimenti è costretta a trascinare il caso per anni. Messina dice che la politica fa mancare i mezzi di proposito, in modo da indebolire la giustizia. I politici corrotti sarebbero i primi a pagare le conseguenze negative di un buon funzionamento della giustizia.
Quando Ferrotti l’anno scorso, per protesta contro il degrado della giustizia, ha minacciato di andarsene in pensione, il Ministro della Giustizia Angelo Alfano, anch’egli siciliano, ha risposto: se “Se il Procuratore Capo non se la sente più di darsi da fare in una situazione di emergenza, può anche andare a godersi la sua pensione”. Ferrotti è rimasto e ha continuato a lottare: un capitano non lascia la nave prima che affondi.
Grazie alle azioni di protesta dei cittadini e dell’ordine dei magistrati il prossimo aprile gli verranno assegnati tre giovani neolaureati in legge. Ma la causa della mancanza strutturale di pm nel Sud Italia non è risolta. Dal 2007 una legge proibisce ufficialmente che i neolaureati vengano nominati procuratori o giudici. È solo stata fatta un’eccezione per questo caso.
Prima del 2007 i posti vacanti venivano sempre assegnati a giovani perché i magistrati con esperienza non sono attratti dall’idea di andare al lavorare al Sud. Chi lo fa, prova ad andarsene dopo il termine minimo di tre anni.
Qui chiaramente non è New York, spiega il giudice Mazza. Ad Enna fino all’anno scorso non c’era nemmeno un cinema. Il carico di lavoro in Sicilia, Calabria, Puglia e Campania è inoltre molto più alto che nel Nord Italia. Ed i rischi sono maggiori in questa zona controllata dalla mafia nonostante non vi siano più state uccisioni di magistrati negli ultimi 15 anni.
Secondo Ferrotti, che nella stampa nazionale è da qualche tempo decritto come un superman, la crisi della giustizia in una zona come quella del Sud Italia è funesta per la fiducia nello Stato. Se qualcuno fa pascolare le sue pecore sulla tua terra, qui conviene rivolgersi al boss mafioso locale invece che al giudice, dice anche il giornalista José Trovato, che lavora qui ed a causa di minacce di morte è scortato dalla polizia.
La ex-maestra d’asilo, la Pignato, non si lascia scoraggiare. Ha dovuto aspettare quattro anni per la prima udienza e ne passeranno degli altri prima della sentenza definitiva. Ma qualche soddisfazione se l’è tolta. Il comandante di polizia corrotto è stato mandato in pensione prima del tempo. Al Capo Procuratore per ora non viene invece concesso nessun riposo.
Riforme della giustizia sono urgentemente necessarie. Meno della metà degli italiani ha fiducia nel sistema giudiziario del proprio Paese, secondo le ricerche sulla fiducia degli italiani nelle istituzioni. Molti sostengono gli attacchi al potere giudiziario del premier Berlusconi perché non si sentono protetti. Il premier ha già una volta definito i magistrati una razza degenerata. I magistrati hanno in parte di che rimproverarsi per la critica. Ci sono quelli che battono la fiacca e quelli che rifiutano di accettare gli incarichi nel Sud, dove la mafia è forte.
Ma la giustizia soffre soprattutto di problemi strutturali che la politica non si occupa di risolvere. Troppi delitti devono essere gestiti dal giudice penale con la conseguenza che la macchina si ingolfa. Si può fare un processo solo dopo che un giudice, spesso dopo anni, ha stabilito la sua necessità e la causa penale può effettivamente iniziare con nuovi giudici, diversi dal primo.
I ritardi sono perciò enormi. Ogni tanto c’è una riforma. Nessun governo degli ultimi 15 anni ha però apportato mezzi e modifiche procedurali necessari a sveltire il corso della giustizia.
[Articolo originale "Eén officier van justitie en zevenduizend rechtszaken" di Bas Mesters]

Il patrimonio artistico italiano, più unico che raro, riguarda tutti

[The Guardian]

La ricca storia del paese è vitale per tutti tranne che per il governo di Berlusconi, ora in pericolo. Non sarebbe ora di istituire un Fondo Internazionale?
Proteggere il patrimonio artistico è un problema di tutti. Eppure si pensa ancora che sia un problema nazionale. Questo è un atteggiamento miope e pericoloso: nel momento in cui l’economia internazionale fa fatica a riprendersi e diversi paesi affrontano la crisi in modo diverso, i lavori d’arte e di architettura sono a rischio ovunque.
Il tragico crollo della Casa dei Gladiatori a Pompei e lo sciopero degli impiegati museali italiani contro i tagli della finanziaria evidenziano una potenziale catastrofe nel cuore culturale dell’Europa. Dal XVI secolo innumerevoli viaggiatori hanno compiuto il loro pellegrinaggio in Italia per abbeverarsi alla fonte dell’eccellenza artistica. Il patrimonio culturale del Paese, dagli antichi templi greci agli affreschi di Giotto e Michelangelo, è a dir poco impressionante per la sua ricchezza e nessuno può affermare che queste meraviglie abbiano un valore puramente nazionale.
Eppure la brutale politica nei confronti dei beni culturali del governo Berlusconi – che sta compiendo ciò che molti temono che il nostro governo potrebbe fare qui ai nostri musei, se non peggio – mette in pericolo il prezioso tessuto della nazione.
Cosa si deve fare? Noi non possiamo fare nulla di certo, visto che, per quanto ne sappia, non ci sono istituzioni che possano intervenire. Il Fondo Artistico svolge un ottimo lavoro nel proteggere l’arte britannica, il Fondo Nazionale tutela i monumenti e il paesaggio inglese, ma entrambi non servono a nulla in questo contesto. Altri paesi sono ugualmente provinciali riguardo alla loro eredità culturale, che i francesi chiamano il “patrimonio” nazionale.
Allora i britannici amanti dell’arte come possono aiutare i musei italiani? Qualcuno ha qualche suggerimento? Un’eccezione a questo provincialismo è stato lo sforzo internazionale per salvare Venezia. Britannici entusiasti come John Julius Norwich e i fondatori di “Venezia in pericolo” hanno giocato un ruolo molto importante nel sostenere la città che sta affondando.
Adesso a Venezia le facciate di molti edifici centrali sono coperte da enormi cartelloni pubblicitari, visto che degli sponsor privati pagano per i restauri e i lavori di costruzione. A me stanno troppo a cuore i tesori italiani per usarli come merce di scambio politico. Se gli sponsor privati o degli investimenti possono avere un ruolo, come a Venezia, questo va bene. Le pubblicità che coprono i palazzi non piacciono a “Venezia in pericolo”, ma sicuramente sono meglio dei crolli, no?
C’è bisogno di una globalizzazione delle iniziative artistiche, come un Fondo Mondiale d’Arte o un Fondo Internazionale. Non ci può essere ripresa economica se si guarda solo agli interessi personali, né è possibile proteggere la grande arte in questo modo.
[Articolo originale "Italy's arts heritage is in a class, not a world, of its own" di Jonathan Jones]

Pompei versa in condizioni molto gravi
[NRC Handelsblad]

Il crollo della casa dei gladiatori a Pompei causa una mozione di sfiducia in Italia.
La colpa del degrado di Pompei viene imputata al premier Berlusconi. Eric Moormann, professore emerito di Archeologia Classica, non sarebbe sorpreso qualora si verificassero nuovi crolli.
Il premier Berlusconi, già perseguitato da scandali, ha un ulteriore problema ora che l’opposizione ha annunciato una mozione di sfiducia in Parlamento contro il suo ministro della Cultura, Sandro Bondi. Il motivo è il crollo di un edificio usato per i gladiatori a Pompei, la città romana sepolta nell’anno 79 D.C. da un’eruzione del Vesuvio.
La posizione di Berlusconi sembra precaria. Il suo ex alleato, il Presidente della Camera Gianfranco Fini, domenica gli ha chiesto di dimettersi. Il partito di Fini, che tuttora sostiene il governo Berlusconi, martedì ha votato con l’opposizione contro una proposta di legge del governo e . Fini potrebbe far cadere il ministro per dimostrare il suo potere.
Bondi continua a rifiutare di dimettersi nonostante sia stato costretto ad ammettere che altri edifici di Pompei stanno per crollare.
La situazione a Pompei è molto grave, afferma Eric Moormann, professore emerito di Archeologia Classica all’Università Radboud di Nimega. Il problema è che nel corso degli ultimi duecentocinquanta anni si è scavato troppo, mentre allo stesso tempo non ci sono soldi per la conservazione dei monumenti, la maggior parte dei quali versano in condizioni deplorevoli. “Non mi sorprenderebbe se ne crollassero degli altri”.
Il crollo dell’edificio ha causato molta emozione e rabbia in Italia. Moormann: “Un collega napoletano mi ha mandato un messaggio spiegandomi che il Ministero della Cultura la scorsa settimana ha stanziato trenta milioni di euro da usare per nuovi scavi ad Ercolano, la cittadina sepolta sotto fango e lava dalla stessa eruzione del 79 D.C. Questi milioni sono ancora una volta sottratti al bilancio per la conservazione archeologica. I lavori sono affidati a terzi, nemmeno al proprio servizio archeologico. Il mio collega sceglie le parole con cura, ma tra le righe leggo che come al solito è stata una questione di affari tra amici.”
Due anni fa il governo dichiarò lo stato di emergenza per Pompei, classificata patrimonio mondiale dall’Unesco. Molti affreschi sono già rovinati e migliaia di pietre sono cadute dai muri.
Il Presidente Giorgio Napolitano ha definito il crollo dell’edificio una vergogna per l’Italia. Secondo l’opposizione i tagli dell’attuale governo sarebbero la causa della mancanza di manutenzione.
Ma secondo Moormann il degrado di Pompei non è solo colpa di Berlusconi. L’edificio sarebbe potuto crollare anche dieci anni fa. Non è servito che il suo governo abbia ulteriormente ridotto il budget ma il problema esiste da tempo. L’Italia ha una così enorme quantità di tesori artistici da preservare che farlo sarebbe impossibile persino per il Paese più ricco del mondo, figuriamoci per uno con problemi finanziari.
L’edificio dei gladiatori, una cosiddetta ‘schola’, è crollata sabato scorso probabilmente perchèé le fondamenta del complesso erano state danneggiate da infiltrazioni d’acqua. Non è una casa, ma una palestra in un atrio colonnato. Era l’unica del suo genere ad essere sopravvissuta dall’antichità, quindi una grande perdita.
Nel 2008 un commissario speciale avrebbe dovuto investire 57 milioni in manutenzione. Molti casi per i quali il governo Berlusconi ha dichiarato lo stato di emergenza sono sotto inchiesta a causa di sospetta corruzione. Da allora si sono susseguiti tre commissari speciali, spiega Moormann, che hanno sostituito un direttore considerato molto capace dai suoi colleghi. “Non sono in grado di dire se è stato fatto qualcosa di buono con quei soldi, quando ci sono stato in primavera alcune cose erano state riparate mentre altre erano malridotte come prima. Il ristorante era però stato ristrutturato, chiaramente spendendo un sacco di soldi. Con circa due milioni di visitatori all’anno, Pompei è una delle principali attrazioni in Italia ma i soldi che vengono guadagnati lì devono essere consegnati al Ministero, quindi non si arriva da nessuna parte.” “Il deplorevole stato in cui versa Pompei non è solo colpa di Berlusconi”.
[Articolo originale "'Toestand Pompeï is zeer ernstig'" di Ron Rijghard]

sabato 27 novembre 2010

Marinella, il re delle cravatte: immondizia, che vergogna con i nobili inglesi


di Maria Chiara Aulisio

NAPOLI (24 novembre) - Una serata da dimenticare. Parola di Maurizio Marinella. A Londra per annunciare l’apertura del suo nuovo negozio il 30 marzo nel cuore di New Bond Street, la strada del lusso e della moda, tra Mayfair e Piccadilly, il re delle cravatte si ritrova, ancora una volta e suo malgrado, immerso in una «montagna» di munnezza. La prospettiva sembrava allettante, anzi lo era: una cena di gala a San Katherine Docks, in casa di lord David Mellor, politico, avvocato, musicologo, nel ’90 consigliere privato di Margaret Thatcher e già esponente nel Gabinetto di John Major come primo segretario al Tesoro. 

Occasione da non perdere per più di una ragione, non ultima quella che sua moglie Penelope, giovane nobildonna inglese, è già al lavoro per l’organizzazione delle Olimpiadi di Londra del 2012, dove Marinella potrebbe ben rappresentare il meglio dell’artigianato, dell’eleganza e della tradizione partenopea. Un incontro conviviale al quale era atteso anche Carlo d’Inghilterra. Peccato che non ci sia stato neppure il tempo di sedersi a tavola. «Marinella? From Naples? Are you submerged by garbage, isn’t it? Unbelievable». 

Che tradotto vuol dire: è vero che siete strapieni di rifiuti? «Ebbene sì, cari signori, ne abbiamo fino al collo e la situazione non è destinata a migliorare». Ecco, allora, la cronaca di una cena da incubo. Le domande arrivano insieme con l’antipasto, il disagio e l’umiliazione del re delle cravatte si taglia a fette: «A dire la verità provo anche a cambiare argomento ma mi rendo subito conto che è inutile. Tutti chiedono la stessa cosa - sottolinea sconfortato - tutti vogliono sapere da me come è possibile che una città si riduca così». 

E siccome non riescono proprio a credere a quel che dice Marinella, che parla di «inefficenza», «camorra», «illegalità», «inciviltà», insistono con le domande. Tra una portata e l’altra prende la parola la signora De Beers, quella dei diamanti per intenderci, capostipite di una delle famiglie più ricche della terra, pronta a mettere sotto torchio anche lei il povero Marinella sempre più avvilito. «Possibile che voi buttiate la spazzatura nei contenitori e nessuno la raccolga?» Risposta: «Possibile». «Possibile che i topi passeggino indisturbati sui cumuli di rifiuti?» Risposta: «Possibile». 


«Possibile che i vostri governanti assistano a questo scempio senza far nulla?» Risposta: «Sì, è possibile». E giù un’altra sfilza di curiosità, ambientali e sanitarie, da soddisfare sulla pelle di Marinella. Insomma, una serataccia in piena regola, ben oltre le previsioni. «Peggio. Roba da non credere. Quando sono andato via ero avvilitissimo. Io che speravo di poter raccontare la mia Napoli, quella della tradizione, dell’eleganza, della cultura... Avrei voluto parlare del nostro patrimonio artistico, delle bellezze naturali che abbiamo a disposizione. Invece niente, è stato un fuoco di fila...». 

Ma nonostante tutto Marinella non molla, anche se qualche segno di cedimento comincia ad avvertirlo anche lui di fronte allo scempio quotidiano, ad un disastro che si perpetua ormai da troppo tempo: «Mio nonno, quando avevo otto anni, mi disse che era importante che io restassi a Napoli perché questa città, con Parigi e Vienna, sarebbe stata una delle tre grandi capitali europee. Oggi è difficile crederci. E anche io che sono un napoletano ”tosto”, caro nonno, comincio a non farcela proprio più»

sabato 20 novembre 2010

Gli italiani scommettono sullo zafferano contro il papavero in Afghanistan

Articolo di , pubblicato lunedì 25 ottobre 2010 in Francia.

Promuovere la cultura dello zafferano per sostituire il papavero : questa è la sfida che vogliono lanciare i soldati italiani in Afghanistan. Nella regione di Herat, controllata dagli italiani, sono state già distribuite alle popolazioni locali sessanta tonnellate di bulbi di zafferano. In tutta la regione, sono stati piantati duemila ettari di terreno mentre i campi di papavero sono passati in cinque anni da 2000 a meno di 500 ettari. Nei pressi di Ghurian, circa 480 donne riunite all’interno di una cooperativa, si preparano a raccogliere i preziosi pistilli del fiore viola. Lo zafferano assicura loro un reddito di 9000 dollari all’anno per ettaro, tre volte più del papavero.
Bisogna dire che i talebani e i trafficanti di droga non vedono di buon occhio la sua diffusione. In una valle isolata, sono stati incendiati due camion che trasportavano bulbi e i conducenti assassinati. In alcune zone l’esercito italiano assicura le consegne in elicottero. “Lo zafferano rappresenta il futuro dell’Afghanistan”, dichiara l’alto rappresentante dell’ONU Staffan de Mistura. Al salone delle Biodiversità che si svolge a Torino, alcuni soldati del primo reggimento di artiglieria da montagna, da poco rientrati da Herat, per spiegare la loro iniziativa hanno aperto uno stand molto visitato. “Questo progetto è fondamentale per lo sviluppo di questo paese”, afferma il tenente Silvia Guberti, coordinatrice del progetto per le donne afghane.

Preso il boss Iovine, duro colpo ai Casalesi

CASAL DI PRINCIPE. Un duro colpo alla camorra è stato sferrato nel pomeriggio dalla Polizia. Il boss super latitante del clan dei casalesi, Antonio Iovine detto ‘o ninno, è stato catturato dalla Squadra Mobile di Napoli a Casal di Principe in Via Cavour. La notizia è stata battuta dall'Ansa. Secondo la principale agenzia di stampa nazionale, Antonio Iovine non ha opposto resistenza quando i poliziotti della squadra mobile di Napoli, di Caserta e del Servizio centrale operativo lo hanno immobilizzato. Secondo quanto si apprende da fonti investigative, il boss del clan dei Casalesi - al vertice assieme a Michele Zagaria - e' stato arrestato in un'abitazione di Casal di Principe appartenente ad una persona che lui frequentava. All'abitazione gli investigatori sono arrivati grazie ad un complesso lavoro fatto di pedinamenti e di accertamenti sulle persone piu' vicine al boss. Antonio Iovine era latitante da 14 anni. Condannato all'ergastolo nel 2008 nel maxi processo Spartacus. Era lui fino ad oggi il capo del clan dei Casalesi. Era inserito nell'elenco dei 30 piu' pericolosi latitanti d'Italia, assieme - tra gli altri - a Matteo Messina Denaro, numero uno di Cosa Nostra; Michele Zagaria, dei Casalesi; gli 'ndranghetisti Sebastiano Pelle e Domenico Condello; il bandito Attilio Cubeddu, coinvolto nel sequestro Soffiantini e fuggito nel 1997 dal carcere dove era detenuto. (fonte: Ansa)

Antonio, «'o ninno», era il prediletto del boss Sandokan (Francesco Schiavione ), quindi il «tigrotto» della camorra su cui Schiavione contava di più. Antonio Iovine era insomma il «delfino» dei Casalesi. Una serie incrociata di fidanzamenti testimonia i legami tra i due: la figlia di Antonio Iovine , Filomena (Milly) si è fidanzata con Ivano Schiavone, figlio di Sandokan; la figlia della sorella di Iovine, Filomena Fontana, si è unita con Paolo Schiavone, figlio di Cicciariello; la figlia di Rosanna De Novellis e di Carmine Iovine, anche lei Filomena (Filly) è infine stata fidanzata con Carmine Schiavone, un altro figlio di Sandokan.

IL SODALIZIO CON ZAGARIA - Antonio Iovine è legato da un patto di ferro e di amicizia a Michele Zagaria, l'altro superlatitante dei Casalesi.

SAN CIPRIANO, UN BORGO PER DUE BOSS: IOVINE E ZAGARIA - A San Cipriano ha la sua origine anche la famiglia Bardellino che ha avuto in Antonio il suo «leader maximo» e proprio da lui e dal suo amico Mario Jovine, i due hanno imparato come scalare i vertici della malavita e a evitare la polizia anche se a volte — per dimostrare la propria potenza — si facevano vedere a spasso per le strade del paese. Entrambi sono nati a San Cipriano, il centro nel quale nel 1988 venne assaltata la caserma dei carabinieri perché i militari avevano avuto «l’ardire» di arrestare un ragazzo durante la festa patronale. San Cipriano è collegato a Casal di Principe e a Casapesenna. I tre centri casertani non hanno soluzione di continuità tanto che negli anni Trenta ne si fece un solo Comune: Albanova.

CALCESTRTUZZO E COCAINA - Zagaria proviene da una famiglia di imprenditori edili, uno dei fratelli è il titolare di una ditta affermata ancor prima della sua entrata nei clan. E proprio il cemento è stata la leva della sua escalation: Tav, controllo della vendita del calcestruzzo, e, ma solo all’inizio, traffico di rifiuti tossici e pericolosi. Iovine e Bardellino avevano aperto la strada del Sud America per il traffico della cocaina, Zagaria e Iovine l’hanno fatta diventare un’autostrada. Bardellino e Iovine avevano inventato una «cupola» che ha fatto definire la camorra casalese «cosa nostra napoletana»; Zagaria e Iovine hanno fatto diventare l’organizzazione una grande multinazionale.

UNITI DA SCHIAVONE - Tutti e due legati a Francesco Schiavone che per anni è stato il parafulmine delle inchieste proprio perché ha sempre amato partecipare direttamente alle azioni. Così sono riusciti a mimetizzarsi evitando vendette, attentati, omicidi nel territorio di residenza. Tutti i loro reati avvenivano lontano da casa: persone sciolte nell’acido, traditori fatti sparire nei pilastri di cemento, avversari liquidati a suon di mitraglietta.

GLI APPALTI PUBBLICI - Appalti pubblici e speculazione hanno fatto guadagnare cifre da capogiro. Solo per i Regi Lagni sono stati spesi mille miliardi delle vecchie lire (arrivati dai fondi del terremoto). Con tanti soldi l’orizzonte si è allargato alla Spagna, alla Francia e poi all’est Europeo dove prima in Cechia e Slovacchia, poi in Romania, Bulgaria, Romania. Qui i casalesi hanno riciclato masse ingenti di denaro. Hanno tanti soldi le organizzazioni di Iovine e Zagaria da non costituire un problema se qualcuno chiedeva loro 20 milioni di euro per comprare la Lazio.

L'INVETTIVA DI ROBERTO SAVIANO - Antonio Iovine è tra i boss della camorra di cui racconta Roberto Saviano nel libro Gomorra. Nel settembre 2006, dal palco di una manifestazione organizzata in piazza, proprio a Casal di Principe, accusò pubblicamente i boss. Facendo i nomi: «Michele Zagaria e Antonio Iovine, avete rovinato questa terra, andatevene». Dopo quest'invettiva, l'autore di Gomorra ricevette le minacce dalla camorra che oggi lo obbligano a vivere scortato.

articolo tratto da corriere.it - 17/11/2010

sabato 13 novembre 2010

Fiancheggiatori di Setola, 1.500 euro al mese per i 'covi'

GIUGLIANO. Mille e Cinquecento euro al mese per mettere a disposizione casa e viveri a uno dei latitanti piu' pericolosi degli ultimi dieci anni, Giuseppe Setola, e ai suoi affiliati. Tanto pagava il clan dei Casalesi alle cinque donne arrestate questa mattina dai carabinieri di Caserta per favoreggiamento aggravato alla camorra del gruppo Setola. Oltre a loro sono finiti in carcere anche altri fiancheggiatori del clan. 

In tutto sono 13 persone. Si tratta di Francesco Cerullo, 50 anni di Casal di Principe, Paolo de Crescenzo, 28 anni di Castelvolturno, Michele Paone, 38 anni di Casal di Principe, Nunzio Sauchelli, 37 anni di Castelvolturno, Giuseppe Alioto di 68 anni di Giugliano in Campania e la figlia Luminista di 29 anni, Antonietta La Perutra, 29 e Anna Maffeo di 39, entrambe di Piscinola, Assunta Piccolo di 45 anni di Qualiano, Raffaele Tamburrino, 41 anni di San Marcellino, Anna Maria Segno di 33 anni di Castelvolturno, Massimo Alfiero di 38 anni di Casal di Principe e Giuseppe Guerra di 42 anni di San Marcellino. 

Le indagini sono nate dal ritrovamento di una sorta di arsenale in villette di Varcaturo, sul litorale domitio, il 30 settembre del 2008, giorno della cattura di Oreste Spagnuolo, Alessandro Cirillo e Giovanni Letizia, componenti del gruppo di fuoco del killer Giuseppe Setola responsabile della strage degli immigrati a Castelvoturno del 18 settembre dello stesso anno. Non solo. Gli inquirenti si sono basati anche sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia: Emilio Di Caterino, Spagnulo, Salvatore Fasano, Giovanni Mola, Giuseppe Gagliardi, Luigi e Francesco Diana. Questi hanno ricostruito gli spostamenti degli affiliati. 

L'accusa per i 13 arrestati e' quella di aver fornito ospitalita' in diverse circostanze a Setola, Letizia, Cirillo e Spagnuolo che utilizzavano appartamenti intestati in maniera fittizia agli indagati; di aver favorito la disponibilita' di abitazioni in cui si tenevano riunioni tra gli affiliati e di essersi intestati mezzi che utilizzava il gruppo di fuoco. Sauchelli, Paone, Guerra, De Crescenzo e Alfiero sono accusati di aver custodito armi (3 fucili d'assalto, 2 kalashnikov, un fucile a pompa, 7 pistole semiautomatiche, tutti con munizionamento) che appartenevano a Setola e ai suoi. Stando alla ricostruzione dei carabinieri, "o'cecato" subito dopo la fuga dall'ospedale di Pavia nell'aprile del 2008 venne ospitato in appartamenti intestati a Pasquale e Luminista. Nei mesi successivi, si sarebbe reso responsabile di 18 omicidi.

Ischia, il mistero delle bollicine in fondo al mare

ISCHIA (9 novembre) - L’ombelico del mondo per la ricerca scientifica si trova in uno spicchio di costa ischitana. È un piccolo habitat - unico - che si trova a pochi metri di profondità, sulla parete settentrionale del Castello Aragonese, sul quale si sta riversando l’attenzione planetaria dei media di settore. 

Motivo? È proprio qui che si indagano gli scenari futuri della vita sulla terra, sempre più stretta nella morsa dei gas-serra con effetti di lunga durata ancora tutti da esplorare. C’è un fenomeno, in particolare, la cosiddetta «acidificazione degli oceani», che è la spia più eloquente dei mutamenti in atto: è causata dalle crescenti emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera che, come è noto, vengono assorbite in gran parte dagli oceani.

I ricercatori del Laboratorio di Ecologia del benthos di Ischia, legata alla Stazione zoologica Anton Dohrn di Napoli, hanno scoperto di recente che il sito ideale per questi studi si trova appunto nell’isola verde: è qui che si assiste infatti, grazie ai fenomeni di vulcanesimo secondario, alla fuoriuscita di anidride carbonica, una vera e propria bolgia di getto continuo di bollicine di gas a soli quattro metri sotto la superficie che, contrariamente ad altri luoghi analoghi, sono a temperatura ambiente, non caldi e privi di composti solforati che potrebbero essere dannosi per gli organismi marini.

Insomma è una location perfetta, pubblicizzata sulla prestigiosa rivista Nature qualche tempo fa, a corollario della «collaborazione tra la Stazione zoologica e altri istituti, quali le università di Plymouth, Cnrs di Parigi, Bar-ilan (Israele), di East Anglia in Gran Bretagna, e quella di Napoli-Caserta», come ha sottolineato la biologa marina Maria Cristina Buia, che lavora da anni proprio a Ischia, a margine di un meeting promosso l’altra sera dal Circolo Georges Sadoul, per il ciclo di incontri «Conoscere Ischia, per governarla». 

Da quel primo articolo su Nature, l’isola verde è entrata nella vetrina globale della scienza: prima la Bbc inglese, poi la televisione Cbc del Canada; quindi, nei mesi scorsi, National Geographic che sta per pubblicare l’inchiesta entro l’anno; e infine, sabato scorso, il Times, sono i protagonisti di una corsa informativa nello svelare i segreti di questa peculiarità ischitana. Va ricordato che in pratica la sovrabbondanza della Co2, ovvero l’anidride carbonica, provoca una serie di reazioni chimiche nell’acqua di mare, facendo calare il valore del Ph - che è l’indicatore di acidità - sotto la soglia normale che è di otto punti. 

Le predizioni per il 2100 dicono che il nostro mare sarà a quota 7,8, un numero che, per gli scienziati, non significa nulla di buono, e fa temere il peggio per il destino degli ambienti marini. «Il sito del Castello Aragonese - spiega la dottoressa Buia - rappresenta un primo esempio di laboratorio naturale in cui studiare tali effetti su ecosistemi ed organismi superficiali. La sua importanza, comunque è legata al fatto che il gradiente di “acidificazione” che le emissioni provocano comprende anche il famigerato valore 7.8 ipotizzato per la fine del secolo». Come dire, dunque, che il futuro è già qui. 

«Altri studi sono in corso sia sulle singole specie, sia sul sistema a Posidonia - aggiunge la studiosa - per individuare le risposte strutturali, funzionali e molecolari all’aumento dell’acidità. In generale si può già affermare che gli effetti osservati riguardano naturalmente una diminuzione della biodiversità totale». 

Ciro Cenatiempo

Carriera al silicone

Articolo di , pubblicato sabato 6 novembre 2010 in Svezia.

Forse la letteratura riuscirà ad opporre resistenza alla “tettificazione” dell’Italia.

Il regalo più gradito dalla gran parte delle ragazzine italiane dopo l’esame di maturità è un paio di seni siliconati. Sempre più spesso i genitori esaudiscono i desideri delle loro figlie. Infatti, con dei seni siliconati si può fare molta strada in Italia. Possono essere utilissimi per la foto da allegare al proprio curriculum, ad esempio. E agli esami universitari – quasi sempre orali – con quegli insegnanti noti per “squadrare le ragazze”. Ma, più di tutto, un bel paio di seni siliconati possono portare una giovane donna fino in paradiso. Cioè in tivù.
Molti conoscono ormai il formato standard della televisione italiana: un anziano in giacca e cravatta circondato da uno sciame di donnette mezze nude. L’abbiamo visto recentemente nel fantastico documentario di Erik Gandini, “Videocracy”. Lo stesso anno, nel 2009, è uscito un corto documentario per la tivù fatto da tre giornalisti italiani, “Il corpo delle donne”, ovvero il montaggio di scene di programmi diversi durante un giorno qualsiasi. Cose che si fanno vedere all’ora in cui i bambini tornano da scuola. Cose che si guardano all’ora di cena, con la famiglia riunita in cucina davanti alla tivù. Cose con le quali la mia nonna italiana di 91 anni si addormenta la sera seduta in poltrona.
In realtà sono cose viste e straviste, messe da parte con sdegno insieme a un sospiro di rassegnazione. Quando però le si guarda così, compresse come ne “Il corpo delle donne”, c’è da star male. Alcuni esempi presi dal film:
una ragazza stretta in un vestito succinto viene rinchiusa in una gabbia trasparente sotto un tavolo, in funzione di gamba dello stesso; un conduttore dà uno scappellotto a una valletta e commenta: “non c’hai neanche il cervello”; una donna con addosso solo un paio di mutandine penzola da un gancio per prosciutti e riceve il marchio di approvazione sul sedere.
Dov’è finita la resistenza? Le donne italiane non sono certo famose per essere delle mammolette. Nonostante negli anni ’70 il movimento femminile fosse forte e vitale, a definirsi femministe oggi sono in pochissime. Chi prova ad indignarsi nei confronti dell’immagine della donna sui media viene subito etichettato come noioso moralista. Delle invidiose, ecco. È per questo che anche donne meno giovani ricorrono oggi ad un po’ di “lifting”. Serie giornaliste televisive con nasi miniaturizzati, labbra giganti e lineamenti del volto stirati al massimo.
Forse la resistenza verrà dalla letteratura? In primavera è uscito l’eccellente romanzo “Acciaio”, che tratta di due bellissime ragazzine tredicenni e di ciò che succede quando i riflettori dei maschi si dirigono verso i loro fiorenti corpi. Il romanzo ha vinto il prestigioso premio Campiello e l’evento è stato trasmesso in tivù. Quando la giovane scrittrice, Silvia Avallone, stava per ricevere il premio, il conduttore Bruno Vespa ha cominciato a gridare al cameraman: “Prego inquadrare lo spettacolare decolleté della signorina”.
È inevitabile provare nostalgia per la leggendaria attrice Anna Magnani, che durante le riprese del film di Pasolini ”Mamma Roma”, al momento del trucco per una scena, sbottò: “Lasciamele tutte le rughe, non me ne togliere nemmeno una, che ci ho messo una vita a farmele!”

sabato 6 novembre 2010

Camorra, tangenti sui controlli anti-abusivismo: 4 vigili urbani arrestati

NAPOLI (3 novembre) - Sono 50 le persone arrestate stamane dalla polizia, nell'ambito di una inchiesta della Dda di Napoli nei confronti di capi e gregari del clan Lo Russo. Tra questi ci sono quattro appartenenti alla polizia municipale del Comune di Napoli, accusati di corruzione.
I Lo Russo controllano i traffici illeciti in una vasta zona della periferia nord di Napoli, tra i quartieri Piscinola, Miano, Chiaiano e Marianella. Tra le attività del clan, la gestione di una piazza di spaccio della droga nel rione Don Guanella, una serie di episodi di usura ed estorsione contro imprenditori e privati cittadini, il controllo di attività di abusivismo edilizio a Miano e Piscinola. 

Il decreto di sequestro preventivo disposto dalla Dda nei confronti di alcuni degli indagati include beni per oltre 60 milioni di euro, tra cui una settantina di immobili, oltre 30 società, 76 tra auto e moto e un centinaio di conti correnti bancari.

L'indagine. Un capitolo dell'ordinanza di custodia cautelare, emessa dal gip Federica Colucci su richiesta dei pm Sergio Amato e Francesco Valentini, è dedicato alle tangenti sui fabbricati abusivi e alla corruzione di vigili urbani e dipendenti comunali in genere. «Regista» dell'operazione era Gaetano Tipaldi, arrestato questa mattina; Antonio De Alfieri teneva invece i contatti tra il clan e i pubblici ufficiali. I vigili arrestati con l'accusa di corruzione sono Ciro Pellino, Ciro Pierri, Marcello Scuteri e l'ufficiale Antonio Fusco, tutti e quattro in servizio alla territoriale e non nell'antiabusivismo. Per questi ultimi, scrive il gip, «si può ipotizzare un rapporto di dipendenza quasi organica» dal clan, «legata all'intera attività amministrativa nel settore e non al singolo atto dell'ufficio. Si assiste - scrive ancora il giudice - alla completa sostituzione del clan all'apparato statuale, anche nei settori più propriamente amministrativi». 

Grazie alle intercettazioni telefoniche è stato anche possibile ricostruire come, a causa di contrasti tra i vigili corrotti e gli affiliati al clan sul denaro proveniente dalle tangenti, in alcuni casi gli abusi edilizi sono stati scoperti e i responsabili hanno protestato con i vertici del gruppo criminale, chiedendo la restituzione delle somme versate. Da parte loro, i Lo Russo rassicuravano sull'esito finale delle vicende giudiziarie spiegando che verbali e denunce erano la prassi, ma l'obiettivo di realizzare l'abuso sarebbe stato comunque raggiunto: «Abbiamo fatto le costruzioni, hanno avuto un verbale e quattro violazioni: stanno ad abitare dentro, belli in grazia di Dio e tutte cose... ogni violazione che tu hai è normale che più soldi devi dare all'avvocato....hai capito o no? Comunque non ti preoccupare, fai fare a me». Il clan era anche al corrente della composizione delle pattuglie di vigili dell'antiabusivismo e dei loro itinerari; più volte gli affiliati rassicurano i muratori, preoccupati perchè hanno visto in giro un'auto della polizia municipale, spiegando che a bordo si trovano persone amiche e che le vetture non sono dirette ai cantieri.

venerdì 29 ottobre 2010

La gioventù senza lavoro italiana vuole sfuggire alla ‘gerontocrazia’

I giornali italiani, i blog e i social network abbondano di frustrazioni che i giovani italiani incontrano nel cercare uno stage o un lavoro decente nel proprio Paese.

Durante un recente incontro con i giovani del partito, Silvio Berlusconi ha dato loro il consiglio di cuore di non essere ossessionati dallavoro fisso e soprattutto di guardare oltre i confini italiani. E’ stata una raccomandazione degna di nota del premier 74enne. Soprattutto proprio ora che sempre più italiani sembra stiano suonando l’allarme per la massa di giovani istruiti che lascia l’Italia e fugge all’estero in cerca di un futuro migliore.

I giornali italiani, i blog e i social network sono pieni delle frustrazioni che i giovani italiani incontrano nel cercare uno stage o un lavoro decente nel proprio Paese. Quasi il 30% dei giovani tra i 15 e i 29 anni non ha lavoro. Quelli che riescono a trovare lavoro, devono farlo con rapporti di servizio temporanei e spesso sottopagati. E che dire degli italiani tra i 30 e i 34 anni? Quasi un terzo vive – spesso spinto dal bisogno – ancora dai genitori, tre volte di più che all’inizio degli anni ‘80.

La gerontocrazia
Perché? Perché in misura crescente i giovani sono diventati vittime di ciò che gli italiani chiamano ‘gerontocrazia’, l’amministrazione dei vecchi. Dal punto di vista politico ed economico tutto sembra essere messo esclusivamente al servizio degli italiani anziani, mentre l’Italia spende relativamente poco per abitazioni, disoccupazione e asili, che sono di interesse cruciale per i giovani italiani che vogliono iniziare una carriera.
In Italia – la settima economia del mondo e la quarta in Europa –  per i giovani italiani gioca oltrettutto un fattore che complicaulteriormente le cose: le famiglie d’appartenenza e le conoscenze sono più importanti per le possibilità di carriera che le capacità personali. La conseguenza: l’Italia “tradisce” le future generazioni, scrivono per esempio Tito Boeri e Vincenzo Galasso nel loro libro ‘Contro i giovani’.
Il manifesto
Si tratta della stessa lamentela che si legge in un manifesto di lotta che da qualche tempo fa furore su internet. Nel cosiddetto ‘Manifesto degli espatriati’ i giovani italiani chiamano alla raccolta di firme per ‘porre fine alla gerontocrazia che tiene l’Italia nella sua morsa’. In modo che i giovani italiani non siano più costretti ad abbandonare ‘la loro amata terra’.
Che spesso non sia una passeggiata, si può chiaramente dedurre dall’esperienza dei giovani italiani che la giornalista Claudia Cucchiarato ha raccolto nel suo libro ‘Vivo altrove’. Si tratta di storie degne di nota a proposito di emigranti italiani giovani e spaesati, come un insegnante italiana che si guadagna da vivere come cantante a Barcellona, un avvocato che vive a L’Aia, o un veterinario che ha iniziato a lavorare come cameriere a Londra.
La nostalgia di casa
Ma forse l’osservazione migliore sulla tendenza del giovane italiano verso ‘l’Italia’ è quella del 34enne Giovanni Chirichella, un manager nelle risorse umane di Milano che attualmente lavora in Texas a Houston: ‘il tuo DNA, tu stesso, quello che respiri, tutto ciò che mangi è legato alla città dove sei nato. Molti italiani in tutto il mondo in realtà soffrono di nostalgia per il resto della loro vita’, dice Chirichella nella rivista americana Time, che questa settimana dedica un ampio speciale all’esodo dei giovani italiani.
Qualcuno prova dopo una breve e buona carriera all’estero a fare comunque ritorno in Italia. Ma il successo deve essere minimo,questo e’ quanto si ricava dalle interviste nel Time, ma soprattutto dal blog ‘Giovani talenti’, del 34enne Sergio Nava, che riserva attenzione ai suoi compagni di generazione ‘in fuga’, sul canale italiano Radio 24.

Arriva Cantone: Tutti in piazza contro la camorra

GIUGLIANO. Una città stretta intorno a Raffaele Cantone simbolo della lotta alla camorra. Ieri mattina è stata una giornata particolare per Giugliano, che ha voluto far sentire forte il suo e no alla criminalità organizzata.Durante la manifestazione anticamorra promossa dal comitato civico “Contro le mafie”. E lo ha fatto esprimendo pubblicamente il suo appoggio al magistrato giuglianese che da anni sta lottando a suon di arresti di criminali legati ai vari clan della camorra, in primis quello dei Casalesi. Un messaggio forte e chiaro quello lanciato da piazza Matteotti dai tanti studenti delle scuole elementari e medie che, insieme ai loro docenti, ieri hanno riempito il centro storico. Gli alunni delle scuole Impastato, Cante, Basile, Fratelli Maristi, Minzoni, licei e scuole elementari di Qualiano, Marano e Calvizzano, chi con striscioni, chi con manifesti scritti a penna, si sono presentati alle 9.30 in piazza Matteotti. «Tutti sanno che sono profondamente legato a questa città, del resto nonostante lavori a Roma abito ancora qui - ha detto l’ex pm antimafia, da anni sotto scorta poiché minacciato dai clan è sempre difficile parlare di camorra, soprattutto in questo paese dove sembra che questa parola non si possa pronunciare. Invece la camorra esiste, si sente e si vede. In via Sant’Anna c’è una lapide che ricorda la morte di una ragazza ammazzata dalla criminalità. Anche lì non si è usata la parola camorra, quasi come se ci fosse paura anche solo di scriverlo. Vedere tutte queste persone in piazza che gridano liberamente, in modo spontaneo il proprio no alla camorra è una cosa stupenda». Molto apprezzato dal pubblico anche l’intervento di Raffaele Del Giudice, direttore regionale di Legambiente, che ha sottolineato la difficile situazione dal punto di vista ambientale in cui si trova non solo Giugliano ma l’intera provincia di Napoli. Tantissimi bambini in piazza, tanti anche gli adulti, pochi, pochissimi invece i giovani. Si contavano sulle dita delle mani anche esponenti dell’amministrazione comunale. Tranne qualche esponente della minoranza, in particolare del Pd, in piazza c’era un vuoto politico. La mattinata è trascorsa tra la lettura di alcuni passi del libro “Solo per giustizia”, accompagnati dalla chitarra di Raffaele Cardone, e l’esibizione sul palco dei Bidonvillarik. «E’ stata una mattinata per ringraziare Cantone che nonostante viva sotto scorta, in questi anni ha continuato a portare tra le scuole ed i luoghi di cultura il proprio messaggio di giustizia - hanno affermato gli iscritti al movimento civico ‘Contro le mafie’ - ringraziamo tutti quelli che mantengono questa fiamma viva, una fiamma che parla di legalità, di amore».

sabato 23 ottobre 2010

I clan in ascesa – Come la mafia conquista il mondo

[Der Spiegel]
Che sia Spiesen-Elversberg, Caracas oppure Toronto, la mafia è dappertutto. Nessun paese al mondo è risparmiato dall’egemonia delle holdings criminali. L’esperto di clan Francesco Forgione ha svelato le rotte commerciali e i luoghi di residenza dei boss e in nessun altro luogo sono altrettanto presenti quanto in Germania.
L’assassinio di un uomo rettto era fissato per domenica 5 settembre 2010. In tarda serata Angelo Vassallo, sindaco di Pollica, la “perla del Cilento” sul Mar Tirreno, guidava la sua Audi verso casa. Poco prima dell’arrivo nella zona Acciaroli alcuni sconosciuti hanno fatto fermare l’auto. Vassallo non ha fatto in tempo a tirare il freno a mano, che uno degli aggressori ha aperto il fuoco a distanza ravvicinata. Otto dei nove proiettili hanno colpito il bersaglio, attraversando il collo, l’orecchio, la mandibola, la spalla e il torace della vittima. Uno ha colpito dritto al cuore.
Vassallo era benvoluto, era conosciuto per il suo impegno nella tutela dell’ambiente e per la sua incorruttibilità, si batteva per un turismo ecosostenibile e responsabile nella regione. Appena due settimane prima della sua morte sembra aver cacciato personalmente alcuni spacciatori dalla zona del porto di Acciaroli, che secondo i testimoni avevano portato grandi quantità di sostanze stupefacenti via mare in città. Vassallo aveva fatto appello urgente alla polizia di pattugliare più frequentemente per porre fine all’incubo.
Le sue preghiere sono state ascoltate, ma a quanto pare dalle persone sbagliate. Nonostante la mancanza di prove il procuratore antimafia di Salerno ritiene probabile che l’omicidio in strada sia stato una vendetta della camorra, che in Campania controlla non solo il commercio di droga, ma anche gli interessi sul settore immobiliare e sui contratti di costruzione nel Parco Nazionale del Cilento, che attira molti turisti. In Italia, il caso ha suscitato clamore e indignazione tra politici di ogni colore. In Germania invece la risposta dei media è stata disattesa, come sempre quando la mafia non uccide proprio davanti alla sua porta di casa.

Niente sangue, niente mafia
“Finché il sangue non scorre per le strade, nessuno crede alla mafia”, si lamenta Francesco Forgione, l’ex capo della commissione parlamentare anti-mafia sotto il governo Prodi. “La morte di Vassallo mi fa arrabbiare, mostra che la società non ha ancora sviluppato sufficienti anticorpi contro la criminalità organizzata e che le autorità lo hanno lasciato solo”. Forgione – riccioli scuri, la barba brizzolata di tre giorni, occhiali dalla linea sobria – vive nel suo appartamento mansardato a Roma, da cui si gode una magnifica vista sulla città. Sorseggia con indifferenza un espresso calabrese molto forte e sospira profondamente.
“Anche le autorità tedesche hanno chiuso gli occhi di fronte alla realtà, finché la strage di Duisburg nell’agosto del 2007 non ha risvegliato bruscamente tutti “. Già nel gennaio del 2000 la polizia investigativa federale redasse un rapporto molto dettagliato sulle attività della mafia calabrese a Duisburg dal titolo “Analisi: San Luca”. Un’ eccellente e completa sintesi delle attività illegali della ‘Ndrangheta, ma priva di conseguenze. Il problema è stato recepito come essenzialmente italiano, fino a quando ci si è ritrovati con i sei cadaveri stesi a terra davanti al ristorante «Da Bruno». “All’improvviso è diventato anche un problema tedesco”, dice Forgione tamburellando con la punta delle dita sul tavolo davanti a sè.
Duisburg è situata in un luogo strategicamente favorevole, sul confine tra Belgio e Paesi Bassi, il principale punto di accesso per la cocaina in Europa. “Quest’omicidio plurimo non è avvenuto per una faida tra clan rivali”, ha detto Forgione. Non è un caso che quasi tutti i sospettati siano stati arrestati ad Amsterdam. Inoltre, in occasione dell’arresto di Giuseppe Nirta nel novembre 2008, sono stati ritrovati un milione di euro in contanti. No, il massacro nel Nord Reno-Westfalia sarebbe stata “solo un’altra fase della guerra per il controllo del traffico internazionale di stupefacenti e armi”, ritiene l’esperto.
“La Germania è la meglio colonizzata”
“Duisburg ha svelato un problema fondamentale, quello dell’ipocrisia”, dice Forgione. “Il denaro della mafia viene portato in giro per il mondo, sempre sperando che la mafia stia lontana dal proprio territorio. Ma non è così che funziona”. Prima i mafiosi seguivano i flussi migratori, ora sono loro ad attrarre i flussi finanziari: “Dobbiamo cercare il crimine organizzato là dove non si vede”, dice il cinquantenne.
Se la Germania ora è il paese più attraente per la mafia in Europa? “No, ma è quello meglio colonizzato. La tecnica di indagine dovrebbe tener conto di questo: “non dobbiamo indagare solo calabresi o siciliani in Germania, ma anche i notai tedeschi e gli avvocati che lavorano per loro – tutti cittadini rispettabili e prestanome che prendono parte al riciclaggio di denaro sporco tramite reinvestimenti.”
Inoltre si starebbe vagliando, almeno a livello di Unione Europea, di introdurre finalmente tecniche e strumenti investigativi comunitari, ma anche leggi. Secondo Forgione si riscontra presso le autorità in tutta Europa – a parte i casi di complicità e corruzione – una sorta di ottusità, una tendenza a minimizzare il fenomeno mafioso. Che siano il Canada, il Messico o il Venezuela, nessun paese è risparmiato da quella che Forgione chiama la “segreta colonizzazione del mondo che dura da decenni”.
Da 25 anni questo comunista vecchio stampo, giornalista, sociologo, politico e docente universitario lotta contro le onorate società che sono diventate da tempo holdings operanti a livello internazionale, con celebri avvocati, consulenti economici eccellenti, attrezzature altamente tecnologiche e strutture di comunicazione moderne.
“La mafia non ha ideologia”
Nel suo libro “Mafia Export” Forgione descrive in modo dettagliato e competente, come Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e Camorra realizzino circa 130 miliardi di euro l’anno. Come ne investano circa la metà in contrabbando, traffico di droga ed armi così come negli stipendi dei loro “dipendenti” e nel sostegno di “collaboratorii” detenuti. E di come poi immmetta il restante 50 per cento nell’economia legale, ripulendo i soldi come le lenzuola di una vergine siciliana.
Così la spagnola Costa del Sol è stata ribattezzata da tempo “Cosca del Sol “o” Costa Nostra “, dai mafiosi calabresi e siciliani che qui investono massicciamente, per lo più indisturbati, nei settori del turismo, della gastronomia, dell’industria alimentare e del traffico di droga. Secondo Forgione non c’è stato grosso carico di droga dal Sudamerica o dall’Africa negli ultimi 15 anni ” che sia giunto in Europa senza passare dalla Spagna”. Si arriverebbe addirittura alla collusione tra i vari gruppi italiani per mantenere stabile il prezzo delle importazioni.
Sulla base della storia di Aldo Miccichè, ex deputato della Democrazia Cristiana (DC), che un tempo ha vissuto in Venezuela, Forgione dimostra come la politica, l’industria farmaceutica e la criminalità organizzata imponga i suoi comuni interessi anche a migliaia di chilometri di distanza. Pare che Miccichè abbia contattato tramite un intermediario il braccio destro del premier Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri. “Se parliamo con Dell’Utri, vuol dire che siamo nel salone di Berlusconi, in modo da afferrare lui” dice il politico, secondo il verbale di intercettazione.
“Il senatore Dell’Utri è sicuramente una delle figure più inquietanti per quel che riguarda la collaborazione della nuova destra con la mafia”, dice Forgione. Le persone politicamente influenti in Italia si dividono in due schieramenti: coloro che sono contro la mafia e quelli che da essa vengono nutriti e incoraggiati. E’ vero, ma come sempre nella storia di due secoli dei clan “la mafia non ha ideologia, non è né di destra né di sinistra, cerca il collegamento con il potere e lo utilizza. Non importa chi siede al comando”
“Comprare tutto quel che si trova”
Forgione racconta nel suo libro piccoli aneddoti di mafiosi che a Norimberga mettono le loro armi nel microonde di una pizzeria prima di incontrare lì i loro colleghi. Ma anche grosse storie di potenti trafficanti di armi, di traffici senza scrupoli di beni di sussidio e di ingenti somme, che ogni giorno vengono guadagnati in tutto il mondo con traffici sporchi per poi essere riciclati. Anche ai cambiamenti storici i clan reagiscono in modo flessibile. Perciò operazioni di intercettazione di inquirenti italiani immediatamente dopo la caduta del muro di Berlino rivelarono che boss di tutti i gruppi diedero all’unisono ordine alla loro gente “comprate tutto quello che trovate”. Inoltre non è un segreto che i capoccia abbiano approfittato massicciamente della crisi finanziaria.
Al momento la ‘Ndrangheta calabrese è considerata un modello di gruppo che agisce in modo globale. Indifferentemente da dove si insedia riproduce sempre lo stesso modello criminale, però non esporta solo criminali, ma anche il suo concetto culturale più primitivo. A Duisburg si è scoperta sul retro una stanza attrezzata con 13 sedie che veniva utilizzata per le riunioni, il numero tradizionale delle ‘ndrine che compongono l’unità organizzativa “locale”. Accanto al corpo del diciottenne Tommaso V. è stata ritrovata un’immaginetta sacra di quelle usate nei riti iniziatici dell’Arcangelo San Michele. Era stato annesso alla mafia poco prima della strage. “Un rito arcaico che crea un’identità”, ritiene Forgione.
Cosa fa infuriare i boss
L’autore non solo ha srotolato gli atti delle indagini e restituito il contenuto dei verbali di intercettazione. Ha riprodotto una lista completa dei membri della mafia arrestati all’estero dal 2000 e si è impegnato a tracciare la diffusione in Germania di tutti i clan di ‘Ndrangheta, Cosa Nostra e Camorra. “Ho una tale, folle passione per le carte”, dice quasi scusandosi Forgione. Fedele al motto “so dove vivi”, ha fatto una meticolosa sintesi dei paesi del mondo in cui i clan sono attivi e delle rotte commerciali che usano. Una sorta di topografia della mafia, che presso i boss suscita verosimilmente poco entusiasmo, ma i cui membri approfittano del mito del bandito moderno, in fuga, ipermobile e nebuloso.
Se ha paura? Forgione accosta le sopracciglia corrucciato. L’esperto di mafia non vuole proprio parlare della sua situazione di sicurezza, lo sente un argomento inutile e poco serio. Dal 1995, la prima volta in cui è stato minacciato esplicitamente, è sotto protezione personale. Ma: “nessuno che lotti seriamente contro la mafia vuole essere proclamato eroe”, ha detto riluttante Forgione.
Nonostante tutto è fiero dei successi degli ultimi anni. I numerosi successi investigativi e gli arresti sarebbero stati possibili solo grazie a leggi specifiche per la protezione di testimoni e con le intercettazioni telefoniche. “Potevamo confiscare anche più beni di proprietà mafiosa, qualcosa che fa davvero infuriare i boss”, dice Forgione. Ma questo potrebbe cambiare presto. A fine anno è stata approvata una legge che consente allo Stato di vendere i beni confiscati e la terra. “Chi acquista una casa di Totò Riina, se non uno dei suoi prestanome?”, chiede l’esperto di mafia. “Nessun’altro oserebbe.”
Il più grande regalo di Berlusconi alla mafia
“Ogni volta che le misure repressive adottate diventano efficaci, arriva il governo e cambia di nuovo le leggi”, si lamenta Forgione. Il regalo più grande del Premier Berlusconi alla mafia sono dunque le nuove disposizioni fiscali. Queste permettono di reintrodurre in Italia i soldi parcheggiati all’estero in forma anonima, pagando per questo solo il cinque per cento della somma a titolo di penale. “Con l’aiuto dello Stato quindi il denaro proveniente dai paradisi fiscali viene ripulito una volta di più e tutto questo restando impuniti”, si indigna Forgione.
E’ incomprensibile il motivo per cui il mondo dopo gli attacchi dell’11 Settembre 2001 abbia potuto rafforzare congiuntamente le misure di sicurezza, mentre nella lotta alla mafia non si è potuto fare niente di simile, che del resto a livello globale è organizzata bene quanto Al-Quaida. Per l’esperto di mafia il diritto alla libertà individuale riveste un ruolo marginale. In nome di una maggiore trasparenza egli chiede l’abolizione del segreto bancario e la creazione di una banca dati centrale internazionale sui movimenti dei conti correnti. E’ uno scandalo che prima del summit del G-8 a L’Aquila nel 2009 non si sia fatto neanche lo sforzo di costituire una lista nera dei paradisi fiscali internazionali. L’intercettazione telefonica è uno dei più importanti strumenti di investigazione e dovrebbe essere tutelata dalla legge.
“Nella lotta alla mafia c’è bisogno di passione e di una morale rigorosa”, Forgione ne è convinto. “Ma a volte anche un calabrese testardo aiuta”.