sabato 31 gennaio 2009

Sele, tre autorità di bacino per un fiume. E il Po, dieci volte più lungo? Una sola

In questo post vi è l’ennesimo esempio della gestione della cosa pubblica in un’ottica clientelare, che guarda caso avviene in Campania. Ciò non esclude che nel resto d’Italia le cose vadano in maniera analoga ma quanto meno non si superano i limiti della decenza come in questo caso.

SALERNO — Provate a immaginarveli, i due fiumi. Uno, il Po, è lungo 652 chilometri e ha un bacino che interessa ben otto regioni. L'altro, il Sele, di chilometri prima di gettarsi in mare ne deve percorrere appena 65, e in quanto a competenza è affare che interessa solo la Campania e la Basilicata. A immaginarli così come sono, tra i due non c'è ovviamente paragone. E invece, a spulciare tra leggi regionali, delibere, decreti e documenti vari, si scopre che occuparsi del Sele è una rogna che quelli del Po manco se la sognano. E sì, ché mentre per gestire il più importante fiume italiano è sufficiente una sola autorità di bacino, per il Sele — dieci volte più piccolo — ne servono addirittura tre. Una per sponda («Autorità di bacino destra Sele» e «Autorità di bacino sinistra Sele») e un'altra a collegare tutti, l'«Autorità di bacino interregionale del fiume Sele».

La storia, per chi in parte se la ricorda, ha un suo antefatto. È il gennaio di un anno fa, e in un provvedimento emesso nell'ambito di un'inchiesta su presunti concorsi truccati (quella che passerà alle cronache come l'indagine sul «sistema Udeur»), il giudice per le indagini preliminari di Santa Maria Capua Vetere solleva il caso. Scrive, Francesco Chiaromonte, che il secondo fiume della Campania e del Sud ha una particolarità. Come ogni fiume, il Sele ha due sponde.

E, come può accadere solo in Campania, ha un ente per ogni riva con il compito di gestire il corrispondente bacino. Le ragioni? «Francamente inimmaginabili», chiosa il gip. O forse no, visto che i due enti «svolgono autonomi concorsi e gare d'appalto per le ragioni più varie». Insomma, c'è il doppio dei posti. Quel che il giudice non sa (o, meglio, che è affare estraneo alle richieste su cui si deve pronunciare) è che le authority in realtà sono tre. Ci sono quelle di destra e di sinistra (l'ultimo è l'ente dove un ingegnere bocciato perché «troppo ignorante » verrà poi riciclato come geometra), ma c'è — soprattutto — l'autorità di bacino interregionale. Che ha un suo senso, per carità, dal momento che il bacino idrografico del Sele è questione che interessa anche la Basilicata. Ma che — messa accanto alle altre — fa un totale di tre authority per un solo fiume. Un po' troppo, se si pensa che per il Po ne basta una sola, seppur di rilievo nazionale. E che ci sia qualcosa che non vada lo conferma lo stesso assessore all'Ambiente della Regione Campania Walter Ganapini: «Tre autorità di bacino mi sembrano un'esagerazione, una è più che sufficiente ». L'ipotesi era quella di un accorpamento che salvaguardasse tutte le professionalità (beninteso, è il numero di enti a far discutere, non la capacità di chi ci lavora): il caso è finito all'attenzione del Ministero dell'Ambiente che sta riorganizzando il settore, già pronti i tagli. La storia delle tre autorità di bacino per un solo fiume è un racconto che parte quattordici anni fa e attraversa le giunte regionali d'ogni colore, dal centrodestra al centrosinistra. La motivazione ufficiale della loro creazione è l'«ottica di distribuzione provinciale », cioè quella di affidare ad ogni ente un bacino di competenza. «Ma la storia è tutt'altra», spiega Walter Ganapini, uno che almeno ha il coraggio di dire ciò che tutti all'interno delle autorità sussurrano ma che nessuno è disposto ad ammettere. E cioè che — come sospettava quel giudice un anno fa — la moltiplicazione delle authority risponde a una «logica clientelare».

Così, tanto per fare un esempio, è sufficiente andarsi a rileggere le linee guida alla base dei progetti stralcio di tutte e tre le autorità. L'obiettivo primario — ovviamente — è la tutela delle acque del fiume. Ognuno per la sua competenza. Ora, come si faccia a tutelare solo una parte di acqua che poi si mescola con l'altra confluendo nello stesso fiume è concetto che non viene spiegato in alcun documento: e non dev'essere cosa da poco, se lo stesso assessorato all'Ambiente reputa «decisamente più opportuna» una gestione unificata. Cioè un solo ente. Un solo ente, tra l'altro, consentirebbe anche un significativo «risparmio di risorse». E sì, perché queste strutture, ovviamente, costano. E i costi, nel caso del fiume Sele, sono moltiplicati per tre. L'«Autorità di bacino sinistra Sele», nel 2008, ha sottoscritto tre consulenze ed erogato fondi ad altri 45 esperti di cui si è avvalsa: una spesa complessiva di 183.330 euro e 41 centesimi, con compensi che arrivano fino ai 26.910 euro riconosciuti con la «determina » numero 89/2008 a un'ingegnera che s'è occupata del «rischio idraulico». Sull'altra sponda del fiume, di consulenze pubbliche non c'è traccia. C'è invece un appalto — relativo al «Piano stralcio per la tutela della costa» — assegnato il 31 maggio 2007 a un'associazione temporanea di imprese composta da Vams ingegneria srl, Cspan srl e Progettazioni integrate srl. Un altro bando da 185.000 euro («Aggiornamento del vigente piano stralcio per l'assetto idrogeologico del territorio») doveva scadere il 21 aprile 2008. A chi cercasse informazioni sul sito ufficiale dell'autorità di bacino, risulterà invece ancora attivo. I consulenti, ovviamente, li utilizza anche l'autorità interregionale. E, a seconda dell'esperienza e della competenza necessarie per i singoli incarichi, si avvale di professionisti diversi. Ci sono i junior, che guadagnano 150 euro ogni ventiquattr'ore e lavorano 156 giorni, per un totale di 23.000 euro. E ci sono i senior, che ovviamente costano di più. Quanto? Lo rivela un decreto del 28 marzo 2007 che ha come oggetto proprio la «nomina dei consulenti senior »: percepiscono 250 euro (cioè più o meno mezzo milione di lire del vecchio conio) al giorno, per un totale di 13.000 euro in 52 giorni, tetto massimo di permanenza. I contratti specificano che si tratta di un «incarico occasionale» (le consulenze lo sono per loro natura), ma non escludono espressamente che se ne possa ottenere un altro successivamente. Soldi per le authority arrivano anche dai fondi europei attraverso la linea di co-finanziamento del programma comunitario Life. Solo che — in questo caso — non sempre i progetti hanno il via libera. E così accade ad esempio che, quando l'autorità di bacino interregionale elabora il «Progetto trota» e stima in 620.000 euro i fondi necessari al suo finanziamento, dall'altro lato rispondano picche. Con tanto di (diplomatica?) motivazione ufficiale: «Mancanza di fondi».

http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/economia/2009/14-gennaio-2009/sele-tre-autorita-bacino-un-fiume--150896915346.shtml

mercoledì 28 gennaio 2009

Sulla democrazia in Italia

Articolo tratto da "L'Express" - Francia
Ne “L’Italia sul filo del rasoio”, Marc Lazar ritorna sulla storia di un paese intrappolato nelle sue contraddizioni, un’eredità che spiega lo stato attuale della democrazia in Italia, fra cambiamento e conservatorismo. Intervista.

Strana Italia, che ispira così tanta letteratura sugli sbalzi d’umore della sua democrazia, sulla sua cronica instabilità, sulla sua “patologia” politica e ora sul “ritorno del fascismo”… Nel suo ultimo libro, “L’Italia sul filo del rasoio” (edito in Italia da Rizzoli, N.d.T.), Marc Lazar, professore a Science-Po (Istituto di Studi Politici di Parigi, NdT) e alla Luiss (Roma), spiega, in un gioco di andate e ritorni fra passato e presente, le recenti evoluzioni della democrazia italiana, nella quale il cambiamento si radica nella continuità.
Lei esplora, nel suo libro, un’Italia sul filo del rasoio, che stupisce, inquieta, disturba, molto più complicata in ogni caso di quanto non sembri, e che trae la sua modernità, in fondo, da ingredienti immutabili… Cominciamo proprio dal terzo ritorno agli affari (pubblici N.d.T.) di Silvio Berlusconi, che all’estero a volte abbiamo fatto fatica a spiegarci!
Ci sono innanzitutto ragioni congiunturali, soprattutto l’impopolarità del governo Prodi, eletto per un pugno di voti nel 2006, cosa che gli è valsa l’ostilità di quasi metà del paese. Lo schieramento al potere non ha cessato di mettere in evidenza le sue sempiterne divisioni di fronte alle telecamere, dal mattino alla sera, riflettendo la propria incapacità di prendere decisioni, provocando delusione… E poi, da un punto di vista più strutturale, c’è in Italia un’ossessione berlusconiana. Ormai sono quindici anni, ed oltre se accederà alla presidenza della Repubblica, che Berlusconi è nella vita politica, domina la scena pubblica…
E che incarna con ingegnosità quella che lei definisce “la modernizzazione tradizionale”, conciliando, nella sua persona, tutte “le” Italie
Berlusconi riesce stabilmente a mettere in pratica un ossimoro, una cosa ed il suo contrario, come un Giano. Da un lato fa riferimento alla modernità: il liberalismo, un tempo, la critica della funzione pubblica, l’arricchimento, l’individualismo, il riferimento continuo alla modernizzazione delle istituzioni… Dall’altro, si appella alla tradizione: la Chiesa (anche se trasgredisce non pochi precetti religiosi!); la famiglia; la solidarietà o la compassione sociale… sa parlare a un paese in preda al nervosismo… Questa è “la modernizzazione tradizionale”, senza dubbio in linea con quella degli Italiani che vogliono cambiare tutto restando fedeli alle loro tradizioni, svilupparsi ma senza aprirsi troppo al mondo, produrre di più ma senza accogliere troppi immigrati, essere protetti ma senza risentire troppo del peso dello Stato… Nel suo nuovo partito di centro destra, il Popolo delle Libertà (PDL), Berlusconi riesce a riunire, ideologicamente e sul piano dell’organizzazione, diversi orientamenti: il suo stesso partito, Forza Italia, gli ex-fascisti più o meno redenti, i liberali, i conservatori, qualche ex-socialista, il Nord con la Lega Nord, il Sud perché il PDL è piuttosto meridionalizzato… Cristallizza sulla sua persona una forma di unità. Unità che quindi è fragile, perché non ha che Berlusconi come direttore dei lavori, come grande artigiano politico.

Quando, dall’altra parte, l’opposizione appare molto indebolita…
Infatti. Quando è stato creato, nel 2007, il nuovo Partito Democratico (PD) partiva da tre principi: rispondere alla crisi italiana ed europea della sinistra; rispondere alla crisi di fiducia della società verso i partiti; semplificare la vita politica italiana aiutando a creare un nuovo bipolarismo – nuovo, ma che ci fa pensare alla coesistenza, negli anni settanta, di due giganti, la Democrazia Cristiana ed il PCI. Ora, per il PD, le elezioni sono arrivate troppo presto. Il risultato in sé stesso non è stato pessimo [33,2% dei voti], ha superato persino la somma dei due partiti che lo compongono, i Democratici di Sinistra, eredi degli ex-comunisti, e la Margherita. Ma oggi il PD soffre una crisi di identità, una crisi di strategia (bisogna affrontare senza tregua Berlusconi o fare un’opposizione responsabile?) e una crisi di leadership: Walter Veltroni è molto contestato… In base ai suoi risultati alle elezioni europee, la sua sorte rischia di essere chiusa per sempre. Ora, in Italia come nella sinistra francese, questa questione è determinante. Perché dall’altra parte, c’è un leader. La sinistra italiana è, oltretutto, di una timidezza sorprendente: da anni si attende che faccia delle riforme su alcune questioni sociali, i Pacs, per esempio. Non osa. Il PD ha paura della Chiesa.

C’è, dall’altra parte, un leader. Che ha addirittura creato e impresso nella società il proprio concetto, il berlusconismo.
Sì, la destra è sul punto di imporre una nuova egemonia culturale, la sua, questa associazione di valori fra modernità a tradizione. E questa è una rottura: fino ad ora la sinistra, in Italia come in Francia, è stata politicamente minoritaria ma culturalmente dominante. Oggi, di fronte al vuoto della sinistra, Berlusconi sta per vincere la battaglia dei valori ed imporre uno stile, rompendo con il lato benpensante della vecchia classe politica. Parlare in modo crudo, diretto, spesso volgare, circondarsi di donne provocanti dalle sconvolgenti scollature… Berlusconi può dire che dorme tre ore per notte e passa tre ore a fare l’amore… Il berlusconismo rischia di sopravvivere a Berlusconi.

Ci sono dei limiti al potere di Berlusconi?
Visto dalla Francia, si pensa che Berlusconi sia onnipotente e che ci sia la minaccia di una dittatura. In realtà esistono molti contro-poteri: la Costituzione, le forme stesse della democrazia italiana e dello stato di diritto incarnato dal Presidente della Repubblica. Giorgio Napoletano, come i suoi predecessori, non cessa di richiamare alle regole della Costituzione, e Berlusconi non può trasgredirle come vuole. E poi non è solo: fra i suoi alleati, Gianfranco Fini, il Presidente della Camera dei deputati, ha dissentito a più riprese, in questi giorni. Anche la Lega Nord cura anzitutto gli interessi del nord. Berlusconi deve fare delle mediazioni. Inoltre, la vita associativa è molto forte e si sa che può provocare una potente mobilitazione di piazza, poiché una parte della società resta ferocemente contraria a Berlusconi. Berlusconi ha molto potere, ma l’Italia non è una dittatura. E’ un paese che, per la sua storia e per il suo passato politico, si caratterizza per la tentazione permanente allo scontro, in una sorta di guerra civile, e per la ricerca continua di mediazioni. In Italia, come dice lo storico Sergio Romano, non c’è mai un vero vincitore né un vero vinto.
articolo originale

martedì 27 gennaio 2009

La camorra non è la criminalità organizzata...

La presentazione della candidatura dell'on.Cesaro alla presidenza della provincia di Napoli, effettuata in pompa magna in un albergo cittadino, penso che abbia lasciato esterefatti almeno i cittadini "consapevoli" di S.Antimo, Casandrino, Grumo Nevano, Mondragone, Casal di Principe, S.Cipriano d'Aversa, cioè quelli che per esperienza personale conoscono attività, amicizie, frequentazioni, colleganze d'affari, del candidato presidente e dei suoi illustri presentatori, l'on.Landolfi e l'on.Cosentino. Non credo che si sia mai vista una cosa simile, in nessuna parte d'Italia, nella ormai lunga storia della Repubblica; anzi, nella storia dell'Italia unita. Un politico in odore ormai marcescente di collegamenti con la camorra, presentato ad una carica istituzionale da due politici anch'essi da decenni in odore fortemente putrescente di collegamenti organici con la camorra dell'area aversana, con la benedizione di una ministra forse ignara ma sicuramente connivente e di altri onorevoli perfettamente a loro agio, nonostante la conoscenza dei personaggi. In sala il gotha dell'imprenditoria e dei professionisti in affari almeno da quarantanni con la camorra di Napoli, dell'area nolana, dell'area vesuviana,dell'area torrese stabiese, dell'area giuglianese. Non mancavano però imprenditori e professionisti,soprattutto medici, ingegneri,avvocati,del casertano e dell'agro pompeiano,sarnese, nocerino.Spero che la Direzione Investigativa Antimafia abbia provveduto a filmare la riunione e a registrare le presenze perchè l'impressione è che tutti fossero lì per prenotare un posto al tavolo del banchetto che in pompa magna veniva annunciato. Fa meraviglia che nessun quotidiano italiano, non dico cittadino, abbia notato l'eccezionalità dell'evento nel quale la camorra la faceva da padrona. Non vorrei che fosse l'effetto, sicuramente non voluto dall'autore, di Gomorra, dove i camorristi hanno la faccia dei delinquenti e degli assassini. La camorra non è la criminalità organizzata, ma è fatta da persone che usano i delinquenti per creare le situazioni migliori per gli affari loro e dei loro sodali. Per raggiungere i loro scopi devono sedere in Parlamento, nei Consigli regionali, provinciali e comunali, devono fare i Sindaci,i Presidenti di provincia, i Presidenti di Comunità Montane,gli Assessori, i Sottosegretari e magari anche i Ministri. Naturalmente senza sdegnare ogni sorta di incarico del sottobosco politico. Quando Ciancimino fu candidato Sindaco a Palermo, la mafia non partecipò platealmente, con i suoi onorevoli più chiacchierati, alla sua presentazione come candidato. Imprenditori e professionisti collusi, conniventi e sostenitori organizzarono cene ed incontri, come sicuramente faranno tutti questi (io me li sono segnati e vi darò riscontro delle iniziative. Qualcuna potrei anche anticiparvela,per quanto riguarda la sede),ma non si affollarono alla presentazione politica ufficiale. In Campania è diverso e posso darne personale testimonianza: la camorra partecipa in prima persona per dare il segnale chiaro del suo interesse a partecipare e a riscuotere.
Prof. Amato Lamberti

domenica 25 gennaio 2009

Gomorra sulla RAI? No di Gasparri


Maurizio Gasparri contrario a trasmettere in tv il film di Matteo Garrone. Perché? «Credo sia opportuno interrogarsi su quale sia la ricaduta sulle masse di alcuni messaggi veicolati da certe narrazioni come Romanzo Criminale, Gomorra e Il Padrino». Gasparri, intervistato a «KlausCondicio» ha manifestato qualche dubbio sull’opportunità che la Rai acquisti i diritti del film di Matteo Garrone ispirato al bestseller di Saviano, recentemente escluso dalla corsa all’Oscar come miglior film straniero. «Leggevo in questi giorni dai giornali che i camorristi sono soliti sparare in faccia alle proprie vittime. Ebbene, in alcune scene di Gomorra si vedono queste cose. Alla fine c’è tutto un background di spostati che non oso immaginare quale messaggio potrebbero recepire. Certo, non dipende dal film, ma io ho sollevato un problema rimasto irrisolto. Nel cast di Gomorra hanno lavorato realmente dei delinquenti, tant’è che tre degli interpreti minori sono stati arrestati».
Sulla base di tale assunto l'ex ministro delle Comunicazioni ha formulato questa domanda, in forte odore di populismo à la carte. «Alla luce di quanto accaduto, pertanto, ho fatto una domanda a Saviano alla quale non ho ancora ricevuto risposta e che, per questo, rilancio. Perchè - spiega Gasparri - non devolve alle vittime della camorra una piccola quota dei diritti che ha incassato grazie al libro e al film per scusarsi simbolicamente dell’errore compiuto da quanti hanno assoldato a loro insaputa dei delinquenti tra gli attori? Io ho comprato il dvd e sono andato al cinema a vederlo, quindi una porzione infinitesimale dei miei soldi è andata al camorrista di turno. Io vorrei che una parte di questi proventi venisse restituita per una giusta causa. Ovviamente - conclude - Saviano non c’entra nulla, ma sarebbe bello se desse un segnale del genere»


Arzano. Il Tar conferma l’azzeramento per camorra dell’amministrazione di centrosinistra.

Il Tar ha respinto il ricorso dell'ex amministrazione comunale di centrosinistra guidata dal sindaco Nicola De Mare contro lo scioglimento del consiglio comunale per condizionamenti della camorra. Dopo quattro ore di camera di consiglio, i giudici hanno ritenuto infondate le motivazioni presentate dal collegio difensivo degli ex politici locali. Le motivazioni però verranno depositate in cancelleria soltanto tra qualche mese. L'unica cosa certa è che la commissione straordinaria presieduta dal prefetto Fausto Gianni continuerà a gestire il Comune fino all'anno prossimo, quando dalla primavera in poi la città ritornerà nuovamente alle urne alla prima tornata elettorale utile. «È un verdetto duro da mandare giù - dicono alcuni ex amministratori comunali - Siamo amareggiati perché convinti di avere gestito la città con legalità e trasparenza e nell'esclusivo interesse della collettività: la camorra non ha mai interferito nelle decisioni amministrative».
Ma il Tar è stato di opinione diversa. E sulla decisione dei giudici sono pesati come macigni probabilmente la gestione del cimitero consortile e l'urbanistica. Senza contare poi alcuni gravissimi episodi di natura criminale come l'attentato alla moglie dell'ex presidente del consiglio comunale, Elpidio Capasso, e il ferimento in piazza Cimmino del consigliere comunale Francesco Vitale. «Bisogna voltare pagina e lavorare per dare a questa città una classe politica idonea a progettare il rilancio - affermano alcuni esponenti della società civile che da qualche mese hanno dato vita a una associazione socio-culturale - Ormai è necessario chiudere con i vecchi nomi: ci vogliono giovani motivati, preparati e scevri da condizionamenti per un programma politico ambizioso che possa trasformarsi in un volano importante per consentire alla comunità di uscire dalla mediocrità attuale». Dalla commissione straordinaria, intanto, si aspetta la prima svolta vera per un nuovo corso. La triade di 007 inviata dalla prefettura ha iniziato un programma importante per la riqualificazione di molte strade e rioni cittadini. La commissione ha pure avviato le procedure per la definizione finalmente, dopo oltre 15 anni, delle pratiche di condono edilizio che giacevano negli uffici del Palazzo di piazza Cimmino. Anzi, per dare più celerità il prefetto Fausto Gianni ha azzerato tutti i gruppi di lavoro e si accinge a nominare nuovi tecnici per dare un impulso decisivo e definitivo all'enorme mole di lavoro e dare così risposte concrete a migliaia di cittadini. Ma non basta. C'è molto altro da fare, a cominciare dalla sicurezza. Arzano è una città invivibile: la gente non si sente più sicura. Chi cammina per strada ha sempre il timore di incappare nel malvivente di turno pronto a rapinarlo.

venerdì 23 gennaio 2009

Roberto saviano e il sistema dei favori

Quello che segue è un articolo che Roberto Saviano ha pubblicato su Repubblica prendendo spunto dalle recenti vicende della politica napoletana. C'è da riflettere sul serio, fare un favore per riceverne uno è il SISTEMA che è la regola a Napoli e dintorni. Nel libro di Saviano, Gomorra, i camorristi chiamano la loro organizzazione o' sistema. Buona lettura
Così recita l'articolo:
"La cosa enormemente tragica che emerge in questi giorni è che nessuno dei coinvolti delle inchieste napoletane aveva la percezione dell'errore, tantomeno del crimine. Come dire ognuno degli imputati andava a dormire sereno. Perché, come si vede dalle carte processuali, gli accordi non si reggevano su mazzette, ma sul semplice scambio di favori: far assumere cognati, dare una mano con la carriera, trovare una casa più bella a un costo ragionevole. Gli imprenditori e i politici sanno benissimo che nulla si ottiene in cambio di nulla, che per creare consenso bisogna concedere favori, e questo lo sanno anche gli elettori che votano spesso per averli, quei favori. Il problema è che purtroppo non è più solo la responsabilità del singolo imprenditore o politico quando è un intero sistema a funzionare in questo modo.
Oggi l'imprenditore si chiama Romeo, domani avrà un altro nome, ma il meccanismo non cambierà, e per agire non si farà altro che scambiare, proteggere, promettere di nuovo. Perché cosa potrà mai cambiare in una prassi, quando nessuno ci scorge più nulla di sbagliato o di anomalo. Che un simile do ut des sia di fatto corruzione è un concetto che moltissimi accoglierebbero con autentico stupore e indignazione. Ma come, protesterebbero, noi non abbiamo fatto niente di male!
E che tale corruzione non vada perseguitata soltanto dalla giustizia e condannata dall'etica civile, ma sia fonte di un male oggettivo, del funzionamento bloccato di un paese che dovrebbe essere fondato sui meccanismi di accesso e di concorrenza liberi, questo risulta ancora più difficile da cogliere e capire. La corruzione più grave che questa inchiesta svela sta nel mostrarci che persone di ogni livello, con talento o senza, con molta o scarsa professionalità, dovevano sottostare al gioco della protezione, della segnalazione, della spinta.
Non basta il merito, non basta l'impegno, e neanche la fortuna, per trovare un lavoro. La condizione necessaria è rientrare in uno scambio di favori. In passato l'incapace trovava lavoro se raccomandato. Oggi anche la persona di talento non può farne a meno, della protezione. E ogni appalto comporta automaticamente un'apertura di assunzioni con cui sistemare i raccomandati nuovi.
Non credo sia il tempo di convincere qualcuno a cambiare idea politica, o a pensare di mutare voto. Non credo sia il tempo di cercare affannosamente il nuovo o il meno peggio sino a quando si andrà incontro a una nuova delusione. Ma sono convinto che la cosa peggiore sia attaccarsi al triste cinismo italiano per il quale tutto è comunque marcio e non esistono innocenti perché in un modo o nell'altro tutti sono colpevoli. Bisogna aspettare come andranno i processi, stabilire le responsabilità dei singoli. Però esiste un piano su cui è possibile pronunciarsi subito. Come si legge nei titoli di coda del film di Francesco Rosi "Le mani sulla città": "I nomi sono di fantasia ma la realtà che li ha prodotti è fedele".
Indipendentemente dalle future condanne o assoluzioni, queste inchieste della magistratura napoletana, abruzzese e toscana dimostrano una prassi che difficilmente un politico - di qualsiasi colore - oggi potrà eludere. Non importa se un cittadino voti a destra o a sinistra, quel che bisogna chiedergli oggi è esclusivamente di pretendere che non sia più così. Non credo siano soltanto gli elettori di centrosinistra a non poterne più di essere rappresentati da persone disposte sempre e soltanto al compromesso. La percezione che il paese stia affondando la hanno tutti, da destra a sinistra, da nord a sud. E come in ogni momento di crisi, dovrebbero scaturirne delle risorse capaci di risollevarlo. Il tepore del "tutto è perduto" lentamente dovrebbe trasformarsi nella rovente forza reattiva che domanda, esige, cambia le cose. Oggi, fra queste, la questione della legalità viene prima di ogni altra.
L'imprenditoria criminale in questi anni si è alleata con il centrosinistra e con il centrodestra. Le mafie si sono unite nel nome degli affari, mentre tutto il resto è risultato sempre più spaccato. Loro hanno rinnovato i loro vertici, mentre ogni altra sfera di potere è rimasta in mano ai vecchi. Loro sono l'immagine vigorosa, espansiva, dinamica dell'Italia e per non soccombere alla loro proliferazione bisogna essere capaci di mobilitare altrettante energie, ma sane, forti, mirate al bene comune. Idee che uniscano la morale al business, le idee nuove ai talenti.
Ho ricevuto l'invito a parlare con i futuri amministratori del Pd, così come l'invito dell'on del Pdl Granata ad andare a parlare a Palermo con i giovani del suo partito. Credo sia necessario il confronto con tutti e non permettere strumentalizzazioni. Le organizzazioni criminali amano la politica quando questa è tutta identica e pronta a farsi comprare. Quando la politica si accontenta di razzolare nell'esistente e rinuncia a farsi progetto e guida. Vogliono che si consideri l'ambito politico uno spazio vuoto e insignificante, buono solo per ricavarne qualche vantaggio. E a loro come a tutti quelli che usano la politica per fini personali, fa comodo che questa visione venga condivisa dai cittadini, sia pure con tristezza e rassegnazione.
La politica non è il mio mestiere, non mi saprei immaginare come politico, ma è come narratore che osserva le dinamiche della realtà che ho creduto giusto non sottrarmi a una richiesta di dialogo su come affrontare il problema dell'illegalità e della criminalità organizzata. Il centrosinistra si è creduto per troppo tempo immune dalla collusione quando spesso è stato utilizzato e cooptato in modo massiccio dal sistema criminale o di malaffare puro e semplice, specie in Campania e in Calabria. Ma nemmeno gli elettori del centrodestra sono felici di sapere i loro rappresentanti collusi con le imprese criminali o impegnati in altri modi a ricavare vantaggi personali. Non penso nemmeno che la parte maggiore creda davvero che sia in atto un complotto della magistratura. Si può essere elettori di centrodestra e avere lo stesso desiderio di fare piazza pulita delle collusioni, dei compromessi, di un paese che si regge su conoscenze e raccomandazioni.
Credo che sia giunto il tempo di svegliarsi dai sonni di comodo, dalle pie menzogne raccontate per conforto, così come è tempo massimo di non volersela cavare con qualche pezza, quale piccola epurazione e qualche nome nuovo che corrisponda a un rinnovamento di facciata. Non ne rimane molto, se ce n'è ancora. Per nessuno. Chi si crede salvo, perché oggi la sua parte non è stata toccata dalla bufera, non fa che illudersi. Per quel che bisogna fare, forse non bastano nemmeno i politici, neppure (laddove esistessero) i migliori. In una fase di crisi come quella in cui ci troviamo, diviene compito di tutti esigere e promuovere un cambiamento.
Svegliarsi. Assumersi le proprie responsabilità. Fare pressione. È compito dei cittadini, degli elettori. Ognuno secondo la sua idea politica, ma secondo una richiesta sola: che si cominci a fare sul serio, già da domani."

giovedì 22 gennaio 2009

Pizzini on line

CASERTA — Il boss Giuseppe Setola chattava con i suoi complici e con la moglie. La scoperta è stata fatta quasi per caso durante l'esame del materiale sequestrato dopo l'arresto del boss dell'ala stragista del clan dei casalesi. Uno degli investigatori, esaminando il contenuto del computer che veniva usato da Giuseppe Setola, ha notato che la foto che lo ritraeva in uno dei sui covi (che era stata distribuita persino ai giornali come un autoritratto del killer e come tale pubblicata) in realtà era stata usata come «certificazione» per i messaggi spediti dal killer ai suoi complici e realizzata attraverso una web cam.
Un fatto assolutamente singolare. Ad un primo esame non è stata trovata traccia dei messaggi (alcuni sistemi di messaggeria sono difficilissimi da intercettare e una volta spediti non restano nella memoria del computer), almeno per ora, ma la foto che ritraeva Setola in uno dei suoi covi è stata utilizzata un numero notevole di volte, proprio quando si invia una immagine per «certificare» un messaggio.
Incuriositi dalla scoperta i carabinieri si sono messi a spulciare tra le intercettazioni ambientali e telefoniche e hanno visto che tra le tante ce n'è una, effettuata nella casa di Monteruscello dove il capoclan aveva pasteggiato ad aragosta con i suoi complici alla fine di settembre dello scorso anno, nella quale si sente dire proprio da Setola, «ma da qui si può chattare?» Tra i tanti gestori ce ne sono alcuni che forniscono alle forze di polizia i dati in tempi reali e quindi sono facilmente ed immediatamente identificabili e rintracciabili, altri che invece forniscono dati e tabulati dei collegamenti solo dopo un notevole lasso di tempo, troppo lungo per essere utile all'individuazione delle utenze di partenza e di arrivo. Il «pizzino elettronico» per mandare messaggi ai complici è una assoluta novità nelle indagini sulla criminalità organizzata. Finora, infatti, i capibanda aveva usato carta e penna per mandare i propri messaggi, oggi Setola sembra essere il primo ad avere inventato un sistema elettronico. Di sicuro lui chattava con la moglie, Stefania Martinelli, e con i suoi complici. Ora si tratta di verificare se, come pare, attraverso il computer siano partiti ordini.
«La cosa non ha una grande importanza dal punto di vista probatorio — spiega uno degli investigatori impegnato nelle indagini — in quanto ci sono le dichiarazioni dei pentiti, intercettazioni e testimonianze che incastrano Setola ai diciotto omicidi che gli vengono attribuiti». Nonostante questa affermazione il computer del boss è stato spedito a esperti del settore per esaminare, memoria, hard disk e tracce nel sistema di messaggeria utilizzato per chattare. Qualunque sistema sia stato usato per inviare messaggi, per i tecnici, sarà solo questione di tempo per decriptarle e verificare se le foto siano state adoperate anche nascondere messaggi, cosa facilmente attuabile attraverso comuni programmi installati su tutti i computer. «L'unico sistema per cancellare i dati sensibili su un computer— conclude l'investigatore — è quello di "trapanare" vale a dire distruggere fisicamente la memoria, altrimenti tutto è recuperabile ». Intanto questa mattina nel Tribunale di Santa Maria Capua Vetere dovrebbe svolgersi la prima udienza di un processo a carico del capo dell'ala stragista, un dibattimento che difficilmente dovrebbe svolgersi in quanto Setola è stato rinchiuso in regime di massima sicurezza e ben difficilmente dovrebbe essere trasferito nel Casertano per partecipare al dibattimento, che dovrebbe essere rinviato quasi immediatamente.

http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/cronaca/2009/21-gennaio-2009/setola-dava-ordini-complici-chat-line-pizzini-elettronici-suo-gruppo-fuoco--150917429635.shtml

domenica 18 gennaio 2009

Giugliano: tra Napoli e il casertano, la città crocevia degli affari (malaffare)

Nel «tempio del male», propaggine di tutta la rappresentazione mediatica dell’inferno, anche la storica tomba di Scipione l’Africano non trova pace. Nella Liternum sul lago Patria, oasi di scavi antichi, ricordo di ozi romani e colture non ancora contaminate da mefitiche discariche, il cemento abusivo avanza. I pilastri scheletrici, destinati a trasformarsi in nove appartamenti di 1800 metri quadri, sono caduti sotto i colpi di tre ruspe. A pochi metri, la tomba di quel generale romano che 2192 anni fa venne qui e volle essere sepolto qui. «Ingrata patria non avrai le mie ossa», ma quei resti rischiano ogni giorno di essere inghiottiti dal cemento abusivo. Dici Giugliano, parli di una città. Con i suoi 114 mila abitanti, è l’agglomerato urbano più popolato d’Italia tra quelli non capoluogo di provincia. Un record strappato nel 2004 a Monza, promossa capoluogo di provincia della Brianza. Un concentrato di case e problemi antichi. Nella storia giuglianese, una volta campagna di rinomate colture di mela annurca, poi di kiwi, cachi e ogni ben di Dio prima dei guasti provocati dall’enorme discarica di Taverna del Re, aneddoti e prevaricazioni di guappi e camorristi sullo sfondo del controllo dei prezzi al mercato ortofrutticolo. Storie di ieri, dell’immediato dopoguerra. Poi, alle famiglie Sciorio e Maisto subentrarono i Mallardo, dopo una guerra spietata. I pentiti raccontano che, nei rapporti malavitosi con la confinante area casertana, i Maisto guardavano con simpatia ad Antonio Bardellino. Quando prevalsero i Mallardo, intrecciarono invece relazioni con Francesco Bidognetti. E ne appoggiarono gli affari nel traffico di rifiuti illeciti. Rapporti di buon vicinato criminale e armonia, anche quando i Mallardo, dall’altra parte del loro territorio, si strinsero in un accordo strategico con i Licciardi di Secondigliano e i Contini del centro storico. Napoli città. Nacque l’Alleanza di Secondigliano, detta anche la Nuova mafia campana. Galeotte furono anche le parentele: Francesco Mallardo, Eduardo Contini e Patrizio Bosti suo luogotenente sposarono tre sorelle, diventando anche cognati. Stabilità del clan giuglianese, garanzia sia per i gruppi della camorra metropolitana napoletana sia per i Casalesi. E qui, infatti, lavorano aziende edilizie legate ai clan casertani, ma anche soci indiretti dei Mallardo. E non potrebbe essere altrimenti, in un’area dove la realizzazione di immobili abusivi, a volte anche di strutture albeghiere e ristoranti prive di licenze, è un grosso affare. A maggio scorso, 23 vigili urbani della sezione antiabusivismo di Giugliano furono accusati di connivenze con proprietari e costruttori di case abusive. Tra loro, già 18 sono stati giudicati con il rito abbreviato e condannati a pene tra i 4 e i 12 anni. Ma la «Giugliano fantasma», che di invisibile ha solo la definizione, è alla portata di tutti gli occhi. A nord, nell’area di lago Patria. Via Rannola era il Bengodi di 30 appartamenti e 16 ville prive di licenza edilizia. Il loro valore era stimato in 30 milioni di euro. Giri per l’area costiera a Varcaturo e Licola, trovi improbabili hotel a tre e quattro stelle, pretenziosi ristoranti. Villini a schiera. Spesso paradiso di latitanti. Qui trovarono alcuni affiliati del clan Amato di Scampia a Napoli, quello dei cosiddetti scissionisti o spagnoli avversari dei Di Lauro. Più avanti, a ridosso di Monterusciello, arrestarono tre belve del gruppo di fuoco dei Casalesi: Alessandro Cirillo, Oreste Spagnuolo e Giovanni Letizia. Eppure, la grande Giugliano dai due santi protettori (san Giuliano e la Madonna della Pace), è stata scelta per trasferirvi la sede della Nato. E i proprietari di villini fittano da tempo agli americani, con buoni guadagni. Che ne sanno, loro, stranieri, se vivono in case abusive? La nuova amministrazione di centro-destra, presieduta dal sindaco Giovanni Pianese, ha approvato un piano di abbattimenti di immobili abusivi affidato alla società «Italrecuperi» di Battipaglia: più di 900 immobili non condonabili da buttare giù. Una città nella città. Solo le prime 10 rimozioni costano 700 mila euro. Si è cominciato dal villino a tre piani vicino la tomba di Scipione l’Africano. Parte l’operazione legalità ed esplodono le proteste. In via Indipendenza è nato il «comitato antiabbattimenti». Le adesioni sono già 500, tra gli occupanti dei 10 mila vani abusivi. Avvocati, manifesti, proteste, manifestazioni. Monta il fronte di chi vive in una casa senza licenza. Parlano tutti di «stato di necessità», per prezzi di immobili di soli 60 metri quadri saliti a 300 mila euro. L’assessore Roberto Castelluccio, autore del piano di abbattimenti, è assediato. Si appoggia al progetto «Mistrals», controllo satellitare sugli edifici nei 94 chilometri quadri del territorio comunale. Una lotta difficile, tra anni di incuria, lassismo e connivenze.          

 

 

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sabato 17 gennaio 2009

Le voci shock dei killer di Gomorra:"Uccidiamoli e beviamoci un caffè"



SANTA MARIA CAPUA VETERE (Caserta) - "Li dobbiamo uccidere, hai capito? Na botta 'nfaccia". Spietati ordini in dialetto, ma anche risate, voci che intonano canzoni neomelodiche. E poi gli spari dei mitra, colonna sonora dell'ultima strage portata a termine. Sono il contenuto di un'intercettazione ambientale che inchioda il boss camorrista Giuseppe Setola, arrestato tre giorni fa. "Li dobbiamo levare di mezzo, hai capito? Na botta 'nfaccia, vai". Voci gutturali. Parole tronche. Il ghigno della distrazione e l'eccitazione dei giustizieri di mafia. Adrenalina e analfabetismo, bestemmie e insulti. In testa hanno soprattutto le femmine (le proprie) e il sangue (dei nemici). Un manifesto di bestialità casalese. Ecco quale lingua parlano Giuseppe Setola e il suo commando di fuoco, mentre stanno per uccidere. Eccoli cantare, un attimo prima di seminare sangue e terrore. E ridere. Gli assassini intonano gorgheggi da neomelodici. La goliardia galleggia nell'auto sotto intercettazione, mentre i criminali impugnano sotto i giubbotti pistole e kalashnikov e coprono in auto i pochi metri dalle loro case verso i nemici, diretti come schegge sui bersagli e le loro famiglie da massacrare. Abbandonati ai sedili, i killer guidati dal capostragista di Casal di Principe biascicano lamenti da innamorati, musica stampata su cd quasi clandestini. "Tu sì zucchero per me, doce doce doce". E poi, arrivati a destinazione, sparano. Una pioggia di fuoco. Potente. Incessante. Centosette colpi di semiautomatiche e di un kalashnikov. Ma sono raffiche che lo Stato ascolta quasi in diretta. È impossibile fermare quel branco per tempo. Resta però la prova schiacciante. Oltre venti interminabili minuti di intercettazione. Un documento choc. Un supporto di straordinario valore probatorio. Che resterà nelle pagine dell'antimafia di Napoli. E da stamane diventa indizio schiacciante. Integrato all'ordinanza di custodia, per duplice tentato omicidio, che sarà contestata proprio oggi, nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, a Giuseppe Setola e ai suoi sicari, dai pubblici ministeri Alessandro Milita e Cesare Sirignano, con il procuratore antimafia Franco Roberti.
Il sonoro della violenza cieca è targato "FO 25", numero in codice della captazione eseguita dai carabinieri del casertano, coordinati dal colonnello Carmelo Burgio. In quel file c'è il racconto audio del fuoco esploso dai sicari a 360 gradi contro finestre, abitazioni e gente inerme. La missione è sterminare i nemici. Regia criminale ed esecuzione di Giuseppe Setola, il terrorista del gotha mafioso di Casal di Principe, il trentottenne e pericoloso capobranco, lucida follia criminale al servizio "politico" dei padrini più imprendibili di lui. Solo che questo "film" si ascolta in diretta dalle viscere di un impero mafioso. È Gomorra, ben oltre il lungometraggio del mancato Oscar. Questo è un film senza immagini, senza sceneggiatura, né aggiustamenti dettati dal cast. Ma si imprime: pura verità nel suo divenire criminale. La registrazione è in mano alla Procura di Napoli che ha firmato la cattura del boss. L'intercettazione racconta in diretta due tentati omicidi. I centosette colpi, canzoni intonate dai killer e il tempo persino per concedersi un caffè. Il tutto condito da recriminazioni e volgarità contro i due bersagli che sono sfuggiti al loro grilletto. È l'ultimo raid firmato da Setola, quasi un mese prima della sua resa a un'imponente caccia all'uomo. Si tratta del duplice agguato di Trentola Ducenta, nel casertano. È il 12 dicembre scorso, sono le 22. Le due spedizioni punitive vengono messe a segno a distanza di pochi secondi, sempre nel cuore del paese di Trentola, lo stesso sgarrupato paese dove - venti giorni più tardi - si scoprirà il covo di Setola, quella topaia di via Cottolengo in cui Setola si rifugia con la moglie, che si è trascinata lì con la sua shopping Louis Vuitton, gioielli, profumi e 17mila euro in contanti, un basso dal quale il boss riesce a fuggire calandosi nelle fogne e strisciando nella melma. La sera del 12, dunque. Setola si sente ancora spavaldo e imprendibile. Escono armati di almeno quattro armi. A terra, tanti bossoli: tracce di un fucile mitragliatore calibro 7.62, tipo AK 47, di una pistola calibro 9 per 21 ed un'altra semiautomatica calibro 9 corto. La follia criminale si concentra contro due nemici, Salvatore Orabona e Pietro Falcone. Il primo, vanno a colpirlo in via Caravaggio. Il secondo, a pochi minuti di auto, in via Vittorio Afieri. Entrambi sono "colpevoli", agli occhi del capobranco, di non aver versato parte delle tangenti raccolte sul territorio nella cassa di Setola. Non lo riconoscono come il plenipotenziario del padrino Bidognetti, oggi in carcere. In azione, c'è un commando di cinque o sei uomini. Due auto portano i killer, una delle quali è la Lancia Y sotto intercettazione. Il viaggio raccontato da "loro", dai sicari, è un sonoro raggelante. "Ma noi quando arriviamo là sopra, chi vogliamo trovare?". L'altro risponde: "Ci vuole una botta in faccia. Dobbiamo uccidere a tutti e due". Passano pochi minuti, cantano. Poi arrivano in via Caravaggio. Si fanno avanti Granato e Barbato, due dei killer. Ma il trucco di attrarre fuori del portone Orabona con un vassoio di dolci e una bottiglia di spumante non funziona. Allora quelli sparano come pazzi. Le vittime si richiudono in casa, chiamano il 113. E i killer si scatenano. "Cornuto vieni fuori", gridano. "Dai esci cornuto, che uomo sei". E ancora: "Mannaggia ora ho finito il caricatore e adesso ho soltanto la 38". Insulti alla moglie, bestemmie. "Lo dobbiamo appicciare anche di notte", gli appicchiamo il fuoco. Risulterà poi, la perfetta coincidenza logica e temporale tra questa registrazione e l'intercettazione simmetrica, stavolta telefonica, del raid così come l'ha vissuta la mancata vittima, Orabona. Che parla al cellulare con l'amico Peppe e si sfoga: "Hai capito? Quel cornuto è venuto a citofonare con una guantiera di paste e la bottiglia di champagne. Ma io l'ho visto, e dietro a lui c'era Peppe Setola, c'era Cascione. Hanno sparato come i pazzi, io mi sono salvato perché tenevo il pigiama e mi stavo cambiando, ma se io già mi ero messo la camicia e mi affacciavo, ero morto". A sparare, attestano anche i pm, c'è infatti Setola con il mitragliatore, Peppe 'a puttana. E poi: Giuseppe Barbato detto Peppe 'o Cascione; Raffaele Granata; Angelo Rucco, Angioletto o Chiattone. E i pm sospettano anche di Paolo Gargiulo, ovvero Calimero: un nome segnato in rosso perché era il fedelissimo che parlò, senza sapere di essere captato, dei cinquanta chili di tritolo in possesso del gruppo Setola. Era Gomorra quando sfidava lo Stato, con cento colpi in diretta.

mercoledì 14 gennaio 2009

OSCAR, GOMORRA ESCLUSO DALLA CORSA


WASHINGTON -Il film italiano 'Gomorra' di Matteo Garrone è stato escluso agli Oscar dalle nove pellicole ancora in lizza per il miglior film straniero. La Academy ha annunciato le nove pellicole che hanno superato la pre-selezione iniziale e il film tratto dal romanzo omonimo di Roberto Saviano (candidato ufficiale dell'Italia alla competizione) non è stato incluso. La Academy prevede per il miglior film straniero un meccanismo diverso da quello delle altre categorie. I 67 film inizialmente in gara sono stati ridotti oggi da una commissione a nove titoli. La seconda fase scatterà il 22 gennaio quando sarà annunciata la cinquina finale dei film stranieri ancora in lizza per la famosa statuetta, insieme alle cinquine selezionate in tutte le altre categorie. La lista dei nove film scelti dalla commissione comprende: 'Revanche' (Austria), 'The Necessities of Life' (Canada), 'The Class' (Francia), 'The Baader Meinhof Complex' (Germania), 'Valzer con Bashir' (Israele), 'Departures' (Giappone), 'Tear This Heart Out' (Messico), 'Everlastings Moments' (Svezia), '3 Monkeys' (Turchia). I nove film sono stati selezionati con un meccanismo complesso: sei pellicole sono state scelte attraverso il voto di alcune centinaia di membri della Academy dislocati a Los Angeles (si tratta solo di una parte dei membri della Academy) mentre altre tre sono state designate da una commissione speciale, il Foreign Language Film Award Executive Committee. Da notare che tra i nove film selezionati figura anche la pellicola d'animazione israeliana 'Valzer con Bashir' che ha già conquistato domenica il premio dei Golden Globe riservato al miglior film straniero. Anche ai Golden Globe era in lizza 'Gomorra', già premiatissimo in altre competizioni, e la sconfitta subita ad opera del film israeliano aveva indotto alcuni esperti a previsioni pessimiste sulle possibilità di successo di 'Gomorra' agli Oscar. Le previsioni pessimiste si sono avverate puntualmente: il film italiano non ha superato neanche la pre-selezione finale tra le 67 pellicole in lizza nella categoria della miglior pellicola in lingua straniera. Dopo l'annuncio delle nomination il 22 gennaio, la cerimonia di consegna degli Oscar si svolgerà il 22 febbraio al Teatro Kodak di Los Angeles.
Notizia Ansa

sabato 10 gennaio 2009

Arrestati per...Gomorra

Dal set alla realtà il passo è stato breve e così Giovanni Venosa, Salvatore Fabbricino, e Bernardino Terracciano, tutti attori di 'Gomorra', sono finiti in carcere. E per loro le accuse tirano in ballo proprio la camorra. Si tratta di protagonisti del film tratto dal libro di Roberto Saviano, al centro di una serie di operazioni condotte dalle forze dell'ordine impegnate nella lotta contro la camorra. L'ultimo in ordine di tempo è stato Giovanni Venosa. Nel film era un capo zona. 'Qui ci sono troppe tarantelle, qui comando io'', fu una delle sue battute nel film. E infatti, proprio perché comandava lui, condannò a morte due ragazzini che volevano fare i camorristi senza prendere ordini da lui. Nella vita? Droga e pizzo, le accuse. Due mesi fa fu arrestato. I carabinieri fecero irruzione nella sua abitazione perché, secondo indagini e riscontri dei pentiti, era ritenuto uno spacciatore. Il pregiudicato fu comunque indagato come 'delinquente abituale' e condannato a due anni di casa lavoro, a Modena. Pochi giorni fa una 'licenza premio', così Venosa è tornato nel Casertano e ha iniziato a 'lavorare' chiedendo il pizzo. Insieme a Marcello D'Angelo, altro pregiudicato della zona, con numerosi precedenti penali, aveva messo su un'attività estorsiva ai danni di commercianti della zona, costretti a versare la 'rata di Natale' per le casse del clan. Prima di Venosa c'erano stati altri arresti, sempre tra gli attori di Gomorra. Si tratta di Salvatore Fabbricino. La sua seconda storia si consuma a Scampia, il quartiere delle 'vele' e della faida tra il clan Di Lauro e gli scissionisti, raccontata anche nel film. Fabbricino è uno dei tanti 'guaglioni' di camorra che compaiono nelle scene girate proprio all'interno delle 'vele'. Nella realtà uno dei suoi fratelli è stato ammazzato proprio dalla faida ed un altro deve scontare 25 anni di carcere. A Scampia Fabbricino è comparso nelle telecamere di Matteo Garrone, regista di 'Gomorra' ma anche in quelle dei carabinieri che per mesi hanno filmato i movimenti che avvenivano nelle piazze di spaccio del quartiere. Quelle immagini poi sono state fatte vedere al pentito Antonio Prestieri che ha indicato Fabbricino come suo 'dipendente'. In manette è finito anche Bernardino Terracciano, nel film 'Zi Bernardino'. In Gomorra era un boss della camorra, nella realtà è accusato di essere un appartenente al clan dei Casalesi: lo scorso ottobre fu tra i sette arrestati, affiliati e pregiudicati, ritenuti appartenenti al 'gruppo di fuoco' dei Casalesi, capeggiato dal latitante Giuseppe Setola, già sfuggito più volte alla cattura da parte delle forze dell'ordine.