venerdì 4 gennaio 2019

La Cassazione conferma l'ergastolo per l'assassino di Gelsomina Verde

Non ci sarà nessuna revisione della condanna all'ergastolo per Ugo De Lucia, il killer della camorra accusato di aver ucciso Gelsomina Verde, la ragazza napoletana di 22 anni torturata e bruciata nel 2004 nell'ambito delle violenze della faida di Scampia tra gli scissionistì e il clan Di Lauro. Lo ha deciso la Cassazione che ha dichiarato inammissibile il ricorso con il quale De Lucia sosteneva che «pentitì, non meglio identificati, lo scagionerebbero».
Gelsomina venne seviziata per costringerla a rivelare il nascondiglio di Enzo Notturno degli scissionistì. La ragazza non era in grado di fornire notizie: fu uccisa a colpi di pistola e bruciata nella sua auto. Per la Cassazione, il killer non ha «alcun documento o atto che possa richiamarsi al concetto di prova nuova limitandosi a lamentare l'esistenza di mere asserzioni prive di qualsiasi sostegno». Confermata l'ordinanza della Corte di Appello di Roma che il 31 maggio 2018 aveva detto no alla revisione della condanna emessa dalla Corte di Appello di Napoli il 19 aprile 2007.

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venerdì 6 aprile 2018

Camorra, blitz a Sant’Antimo, Casandrino e Grumo: 6 del clan Verde in manette

By Antonio Galluccio

SANT’ANTIMO – I Carabinieri fermano 6 personaggi ritenuti contigui al clan “Verde” operante nel napoletano.

I Carabinieri del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia di Giugliano in Campania dopo indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli hanno dato esecuzione a un decreto di fermo del PM emesso a carico di 6 indagati ritenuti contigui al clan dei “Verde” operante nella gestione degli affari illeciti nell’hinterland a Nord del capoluogo campano e alleato con i “Ranucci”.

I 6 indagati sono ritenuti responsabili di estorsione e di detenzione e di porto illegale di armi e ricettazione, reati aggravati dal metodo e da finalità mafiose.

Il provvedimento di fermo è stato emesso per la necessità di interrompere le attività criminose nei territori di Sant’Antimo, Grumo Nevano e Casandrino sottoposti al controllo delle citate organizzazioni e da soggetti ad esse alleati che da tempo sottoponevano a estorsione una società di noleggio veicoli per ottenere –con minacce di morte e senza pagare- vetture da usare nel corso di azioni criminali o per gli spostamenti del latitante Filippo RONGA, poi tratto in arresto il 12 gennaio a Formia e ferito dai Carabinieri perché aveva puntato una pistola contro uno dei militari che lo stavano catturando.

Le attività investigative hanno permesso di evidenziare la pericolosità degli indagati che, oltre a pianificare attentati, facevano uso di armi anche sparando per strada, incuranti del pericolo di colpire soggetti estranei a dinamiche criminali.

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giovedì 29 marzo 2018

Camorra, la mani di Zagaria su appalti Asl e soldi riciclati in Toscana: 5 arresti

In esecuzione di un provvedimento emesso dal gip di Firenze, nell’ambito di indagini coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia toscana, i finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Lucca hanno proceduto stamani, in Toscana e in Campania, all’esecuzione di 5 ordinanze di custodia cautelare, 50 perquisizioni e sequestri di beni, per circa 6 milioni di euro, nei confronti di 30 aziende, imprenditori contigui al clan dei casalesi e relativi prestanome, nonché di un funzionario pubblico corrotto, dirigente dell’Asl 3 di Napoli sud, con sede a Torre Annunziata (Napoli).

Le investigazioni, coordinate dal procuratore capo giuseppe Creazzo e dal sostituto procuratore Giulio Monferini, hanno evidenziato un gruppo criminale, basato in provincia di Lucca, che ruotava intorno agli imprenditori edili A. De Rosa, residente a Lucca, F.Piccolo, residente a Caserta, e L. Piccolo, residente a Montecarlo, i quali, utilizzando società con sede in Toscana e Campania, molte delle quali “apri e chiudi” ed intestate a prestanome, attraverso turbative d’asta attuate con “accordi di cartello”, si aggiudicavano oltre 50 commesse della Asl 3 di Napoli Sud, per lavori di somma urgenza e “cottimi fiduciari”, banditi per importi al di sotto di valori soglia oltre i quali sarebbe stato necessario imbastire formale gara di appalto.

In questo modo, l’invito a partecipare veniva sistematicamente effettuato ad imprese, riconducibili al sodalizio, le quali, a turno, risultavano aggiudicatarie dei lavori. Questi ultimi, pur risultando falsamente attestati come avvenuti, di fatto in gran parte non venivano eseguiti. A tale scopo, il sodalizio stabiliva consolidati rapporti corruttivi con S. Donnarumma, residente a Pimonte (Napoli), dirigente responsabile del “Servizio Tecnico Area Sud” della predetta Asl, il quale non solo aggiudicava l’appalto in violazione delle norme di trasparenza, correttezza e imparzialità, ma consentiva al sodalizio di conseguirne il pagamento pur in assenza di qualsivoglia esecuzione dei lavori.

Il gruppo criminale riusciva così, negli ultimi anni, ad incamerare illecitamente e “a costo zero” appalti per oltre 6 milioni di euro, che venivano riciclati nello svolgimento delle attività immobiliari del sodalizio – come l’acquisto, la ristrutturazione o la costruzione di edifici da parte di società del gruppo con sede in Provincia di Lucca (Opera Italia Srl, Fl Appalti Srl, Edil Tre Srl, O.l.c.a. Srls) e Grosseto (E.m. Appalti Srl), in tal modo inquinando l’economia legale e alterando le condizioni di concorrenza. Una parte dei profitti veniva inoltre trasferita e, all’occorrenza, monetizzata attraverso pagamenti di forniture fittizie alla società Edilizia Srl, con sede legale a Roma e base operativa a Casaluce (Caserta), di fatto diretta dall’imprenditore V.Ferri, residente a Frignano (Caserta), anch’egli destinatario di misura cautelare personale.  Quanto al pubblico ufficiale Donnarumma, quest’ultimo, a fronte dei favori resi all’organizzazione, otteneva denaro, la vendita di un appartamento ad un prezzo ampiamente sottostimato e altre utilità a favore di suoi familiari.

Ad alcuni tra i soggetti oggi arrestati viene inoltre contestata l’aggravante di aver agevolato la fazione Zagaria del clan dei casalesi, capeggiata dall’ex superlatitante Michele Zagaria, notoriamente radicata nel casertano (Casapesenna, San Cipriano D’Aversa, Trentola Ducenta, San Marcellino) e con ramificazioni in Toscana, nel Lazio e in Emilia Romagna, da sempre caratterizzata per il suo particolare attivismo nel mondo imprenditoriale e nel settore degli appalti pubblici. In particolare, Piccolo e De Rosa potevano considerarsi “a disposizione del clan” avendogli inoltre consentito, tramite un imprenditore campano considerato “a libro paga” della famiglia Zagaria, di aggiudicarsi diversi appalti della ASL 3 di Torre Annunziata.

Tra gli ulteriori appartenenti al sodalizio si evidenzia, infine, un Avvocato, indagato a piede libero ed esercente l’attività di consulente del lavoro con sedi a Salerno e a Follonica (Grosseto), il quale, consapevole della fittizietà dei lavori e della riconducibilità della aziende interessate ai suddetti soggetti, forniva loro servizi contabili e amministrativi, assicurando un’apparente regolarità delle attività imprenditoriali e della contabilità degli appalti. L’operazione è stata condotta sotto l’egida della Procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, in stretto collegamento investigativo con la Direzione distrettuale antimafia di Napoli e la Procura di Napoli Nord, la quale, nell’ambito di un distinto contesto di indagini, ha proceduto, con la Guardia di Finanza di Aversa, all’esecuzione di 34 misure cautelari personali

False fatture e riciclaggio nel settore edile: sgominata organizzazione dell’agro aversano

Al termine di una complessa attività investigativa, coordinata dalla Procura di Napoli Nord, i finanzieri del gruppo di Aversa hanno eseguito 34 ordinanze di misure cautelari – di cui 10 di custodia in carcere, 7 degli arresti domiciliari e 17 dell’obbligo di dimora – nonché sequestri preventivi di beni nella disponibilità degli indagati, per un valore di circa 35 milioni di euro, tra beni immobili, autoveicoli di lusso (una Ferrari, una Porsche Cayenne e due Range Rover), rapporti finanziari e quote societarie.

Le persone  destinatarie delle ordinanze – residenti tra Frignano, Villa di Briano, Casal di Principe, San Cipriano d’Aversa, San Marcellino, Casaluce ma anche fuori dalla Campania – sono accusate di aver costituito e/o di appartenere a due distinte associazioni criminali, con basi logistiche nell’Agro Aversano, specializzate: nella sistematica emissione di fatture per operazioni inesistenti relative alla fornitura di materiale edile; nel riciclaggio, autoriciclaggio e reimpiego in attività economiche dei connessi e cospicui proventi illeciti derivanti dall’attività criminale, utilizzando a tale scopo un gruppo di società “cartiere” intestate a compiacenti prestanome e altre società create al solo scopo di far circolare e riciclare i relativi flussi finanziari.

In carcere: Vincenzo Ferri, 38 anni, residente a Frignano; Guglielmo Di Mauro, 45, residente a Frignano; Vincenzo Cacciapuoti, residente a Frignano; Salvatore Dell’Imperio, 34, residente a Villa di Briano; Raffaele Capaccio, 28, residente a Frignano; Nicola Madonna, 36, residente a Casal di Principe; Nicola Liccardo, 34, residente a Casaluce; Marcellino Santagata, 36, residente a Casaluce; Gaetano Marzano, 54, di Napoli; Carlo Stabile, 55, residente a Cancello ed Arnone. Ai domiciliari: Saverio Di Tella, 40, residente a Villa di Briano; Matteo Dell’Imperio, 64, residente a Villa di Briano; Ludovico Matteucci, 30, residente a Trentola Ducenta; Luigi Sabatino, 43, residente a Frignano; Alberto Di Mauro, 22, residente a Frignano; Alberto Di Mauro, 76, di Frignano; Luigi Zammariello, 45, residente a San Marcellino. Obbligo di dimora: Angelo Capaccio, 36, residente a Frignano; Angela Conte, 27, residente a Villa di Briano; Antonio Conte, 49, residente a Villa di Briano; Michele Conte, 28, residente a Villa di Briano; Vincenzo Diana, 36, residente a San Cipriano d’Aversa; Adriana Esposito, 34, residente a Trentola Ducenta; Giovanna Giglio, 28, residente a Casaluce; Antonio Laudante, 52, di Villa di Briano; Giuseppe Mainolfi, 43, residente a Casalnuovo; Ciro Pariota, 41, di Napoli; Virginia Ranieri, 24, , residente a Cineto Romano; Gennaro Silvestro, 25, residente a Casaluce; Giuseppe Spinosa, 53, residente a Casaluce; Teodosio Torero, 32 di Aversa; Salvatore Vatiero, 44, residente a Trentola Ducenta; Giuseppe Zaccariello, 40, residente a Villa Literno. Sequestrate le società: “Edilizia srl”, con sede legale a Roma e luogo di esercizio a Casaluce; “Edil Commercio srl”, con sede legale a Napoli; “Edil Mat srl”, con sede legale a Frignano; “Tecnica Costruzioni soc. coop. di produzione & lavoro”, con sede legale ad Altopasio (Lucca); “Sitec srl”, con sede legale a Frignano.

L’attività di indagine, espletata in coordinamento investigativo con le Direzioni distrettuali antimafia di Napoli e di Firenze, ha consentito di individuare 6 società “cartiere”, con sede a Roma e nelle province di Lucca e Caserta, che – secondo l’ipotesi accusatoria avvalorata dal gip – nel periodo 2009/2016, hanno emesso fatture per operazioni inesistenti, per oltre 100 milioni di euro, a favore di 643 imprese beneficiarie della frode ed effettivamente operanti nel settore edile nell’intero territorio nazionale, prevalentemente nella Regione Campania, ma anche nelle Marche, in Toscana, Emilia Romagna, Lazio ed Umbria.

L’emissione delle misure cautelari costituisce il risultato di un’articolata indagine che ha consentito, anche con il supporto di attività tecniche di intercettazione, di delineare compiutamente le strutture associative e di individuare il modus operandi delle stesse e i diversi ruoli e responsabilità in capo a ciascun sodale. E’ così emerso dall’attività investigativa che le società edili, dislocate in diverse province italiane, per simulare l’effettività delle operazioni commerciali, pagavano il corrispettivo, tramite bonifici bancari, alle società “cartiere” riconducibili ai promotori delle due associazioni criminali, che di contro emettevano le false fatture di vendita.

Successivamente le “cartiere” rimettevano le intere somme ricevute su conti correnti intestati ad altre ditte/società di comodo, le quali le trasferivano ulteriormente, mediante operazioni di giroconto e ricariche di carte “Postepay Evolution”, ai numerosi sodali addetti alle operazioni di prelievo. Tutto il contante prelevato, secondo la ricostruzione accusatoria, veniva poi consegnato ai promotori delle organizzazioni tramite alcuni referenti, veri e propri “capi squadra” del riciclaggio. I promotori, trattenuta una percentuale di guadagno per il “servizio” criminale reso (dal 12% al 22% dell’imponibile delle fatture emesse), restituivano sempre in contanti la restante parte agli imprenditori che avevano disposto i bonifici iniziali.

Tale complesso metodo di ripulitura del denaro è stato agevolato anche dalla connivenza di un  funzionario infedele dell’istituto bancario dove erano stati accesi i conti correnti di tutte le cartiere, il quale, pur essendo a conoscenza dell’origine illecita delle risorse finanziarie, prestava la propria autorizzazione all’effettuazione di operazioni non in linea con le corrette procedure bancarie, aderendo agli ordini direttamente impartiti, anche telefonicamente, dai sodali ed astenendosi, di conseguenza, anche dalla dovuta segnalazione delle operazioni ai fini della normativa antiriciclaggio.

Attraverso tale sistema fraudolento le società beneficiarie ed utilizzatrici delle fatture false hanno usufruito degli indebiti risparmi d’imposta derivanti dalla contabilizzazione di costi fittizi nonché della relativa Iva a credito, potendo inoltre disporre di fondi neri costituiti dal denaro liquido, per la parte a loro restituita in maniera non tracciata. La svolta investigativa è stata poi possibile anche grazie all’individuazione di un ufficio amministrativo occulto in cui venivano pianificate le operazioni e gestito l’intero flusso documentale e finanziario. In questo locale avveniva quotidianamente lo scambio del denaro tra i “capi squadra”, i vertici dell’organizzazione e gli imprenditori utilizzatori delle fatture false che avevano disposto a monte i bonifici. La perquisizione della sede occulta ha quindi consentito di sottoporre a sequestro copiosa documentazione contabile ed extracontabile, copia delle fatture false emesse, nonché circa 110 mila euro di denaro contante, cristallizzando, di fatto, l’intero impianto accusatorio.

L’analisi della documentazione e le indagini finanziarie hanno consentito, infine, di accertare come i due gruppi criminali individuati fossero in grado di riciclare, attraverso vorticosi giri di prelievi, ricariche “Postepay” e “Postagiro”, di oltre 200 mila euro al giorno.  Infine, dall’esito degli approfondimenti fiscali effettuati, sono stati contestati alle organizzazioni criminali proventi illeciti per oltre 13.500.000 euro e un’Iva evasa per oltre 25 milioni euro.

Il filone toscano e l’appalto all’Asl 3 di Napoli Sud – Esiste, inoltre, un filone toscano dell’indagine. Dalle investigazioni, coordinate dal procuratore capo Giuseppe Creazzo e dal sostituto procuratore Giulio Monferini, è emerso che l’organizzazione criminale con base nell’agro aversano emetteva fatture false o costituiva aziende fittizie in modo da aggiudicarsi gli appalti pubblici raggirando le norme in materia. Il gruppo si sarebbe aggiudicato oltre 50 commesse della Asl 3 di Napoli Sud, per lavori di somma urgenza e “cottimi fiduciari”, banditi per importi al di sotto di valori soglia oltre i quali sarebbe stato necessario imbastire formale gara di appalto. In questo modo, l’invito a partecipare veniva sistematicamente effettuato ad imprese, riconducibili al sodalizio, le quali, a turno, risultavano aggiudicatarie dei lavori. Le opere però non venivano realizzate e il denaro derivante dagli appalti veniva distribuito tra i membri del gruppo malavitoso. Alcune delle persone arrestate sono ritenute affiliate alla cosca mafiosa dei casalesi “fazione Michele Zagaria”, notoriamente radicata nel casertano (Casapesenna, San Cipriano D’Aversa, Trentola Ducenta, San Marcellino) e con ramificazioni in Toscana, nel Lazio e in Emilia Romagna, da sempre caratterizzata per il suo particolare attivismo nel mondo imprenditoriale e nel settore degli appalti pubblici.

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Scoperta piazza di spaccio “al femminile”: arrestate due donne

TORRE DEL GRECO – Una piazza di spaccio “al femminile” è stata scoperta, nel pomeriggio di ieri, dagli agenti del Commissariato di P.S. Torre del Greco.

Nell’ambito di uno specifico servizio nella città corallina, volto al contrasto del dilagante fenomeno dello spaccio di stupefacenti, in Piazza Colomba,  i poliziotti hanno intercettato un’autovettura Renault Megan, a bordo della quale vi erano tre donne. Al controllo di polizia, Felicia Magliulo, di 49 anni, conducente del veicolo, ha subito manifestato uno stato di agitazione, tanto da insospettire i poliziotti.

L’intuizione infatti, si è tramutata subito in realtà quando, all’interno dell’abitacolo, è stato rinvenuto un sacchetto contenente immondizia e 3 panetti di hashish, del peso di oltre 300 grammi. All’interno del vano portaoggetti del bracciolo, posto tra i due sedili anteriori, inoltre, è stato rinvenuto e sequestrato anche un bilancino di precisione.

Inutile il tentativo della donna di disfarsi di un involucro, nascosto nel reggiseno, contenente cocaina utile al confezionamento di almeno 7 dosi. Nel corso di una perquisizione presso le abitazioni delle donne, gli agenti hanno rinvenuto e sequestrato, in casa di Anna Pepe, di 38 anni, materiale utile al confezionamento della droga.

Magliulo e Pepe sono state arrestate, perché responsabili, in concorso tra loro, del reato di detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente; la terza donna che era in loro compagnia è stata rilasciata, così come disposto dall’A.G. Dopo una nottata trascorsa ai domiciliari le due donne saranno giudicate con rito per direttissima.

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venerdì 23 marzo 2018

Camorra e ‘Ndrangheta a Roma: 19 arresti per armi e droga

Armi e cocaina. 19 arresti (16 in carcere, 3 ai domiciliari) tra Roma e Napoli e 44 perquisizioni ad opera di 200 carabinieri che sono intervenuti con elicotteri e l’aiuto delle unità cinofile. Sono finiti nel mirino dei carabinieri due gruppi criminali, uno a connotazione camorristica e l’altro che si avvaleva della collaborazione di esponenti della ‘ndrangheta. Entrambi operavano a Roma. Le accuse sono, a vario titolo, di associazione finalizzata al traffico illecito di cocaina, aggravata dall’uso delle armi.

Tra i fermati c’è anche una donna e alcune persone di origine albanese. A due delle persone in carcere viene contestato il reato di lesioni gravi, commesse con arma da fuoco e con modalità mafiose. Le perquisizioni sono state effettuate a carico di soggetti risultanti gravitare nell’orbita dei due gruppi criminali, per lo più residenti nel quartiere romano di San Basilio, ma anche a Napoli, Nettuno e paesi limitrofi a Roma. Si tratta di pusher, vedette e vari galoppini delle associazioni colpite dall’operazione dei carabinieri di via In Selci e della Procura antimafia capitolina.

L’indagine, condotta dai carabinieri del nucleo investigativo di Roma, avrebbe accertato l’operatività di due distinte organizzazioni criminali, entrambe armate e dedite al narcotraffico, in stretta sinergia tra loro, di cui una di tipo mafioso a connotazione camorristica, capeggiata dai fratelli Salvatore e Genny Esposito, figli di Luigi detto “Nacchella”, e l’altra con a capo Vincenzo Polito, che si avvaleva della collaborazione di esponenti delle cosche di ‘ndrangheta della provincia di Reggio Calabria, le famiglie Filippone e Gallico, presenti nella Capitale e che operavano tra San Basilio e il litorale. Tra i destinatari dell’ordinanza anche il noto Arben Zogu, di origini albanesi.

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lunedì 5 marzo 2018

Ritrovata Rosa Di Domenico: la ragazzina di Sant'Antimo sta tornando a casa

«Ritrovata Rosa, la ragazza di 15 anni scomparsa dal Napoletano a maggio. Ha parlato con la madre e ha detto che sta bene e sta rientrando a casa. Lo comunica la famiglia a #chilhavisto». L’annuncio arriva dalla pagina Facebook della nota trasmissione televisiva.
La ragazzina scomparsa dallo scorso maggio sta quindi per riabbracciare i genitori che da mesi e mesi, disperati e affranti, lanciavano accorati appelli sui social e tramite la trasmissione della Rai. Il rientro a casa di Rosa è atteso per oggi pomeriggio con un volo decollato da Ankara. 

La ragazza si è presentata alle autorità giudiziarie di Istanbul e sono partiti i contatti con l’Italia, grazie all’ufficiale di collegamento di Ankara con la mobile di Napoli. Da mesi gli uomini di via Medina, sotto il coordinamento del capo della Mobile Luigi Rinella avevano indicato la Turchia come il possibile luogo in cui poteva trovarsi la ragazzina di Sant’Antimo. Indicazioni che hanno spinto la Di Domenico a mostrarsi alle autorità giudiziarie del paese per chiedere di ritornare a casa. Oggi la minore verrà ascoltata sia dagli uomini della Mobile di Napoli sia dal pm della Procura di Napoli nord, sotto il coordinamento del procuratore Francesco Greco.

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mercoledì 24 gennaio 2018

Camorra, scacco ai “senatori” del clan Moccia: 45 arresti

A conclusione di indagini coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, gli agenti del centro operativo Dia, della squadra mobile partenopea e del nucleo investigativo dei carabinieri di Castello di Cisterna, anche con l’ausilio della Guardia di Finanza, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 45 persone. I destinatari della misura restrittiva sono gravemente indiziati, a vario titolo, dei reati di associazione mafiosa, detenzione di armi comuni e da guerra e relative munizioni, plurimi episodi di estorsione aggravata, riciclaggio di ingenti somme di denaro.

Si tratta di una complessa attività investigativa finalizzata a ricostruire gli assetti dell’associazione di stampo camorristico nota come “clan Moccia”, radicata, in ampie aree della provincia di Napoli (Afragola, Casoria, Arzano, Frattamaggiore, Frattaminore, Cardito, Crispano e Caivano, Acerra) e nel Lazio, a partire dal 2011 e fino ai tempi più recenti.

L’attività è stata svolta mediante il ricorso a indagini tecniche con il contemporaneo monitoraggio di colloqui in carcere ed il conseguente sequestro di alcuni manoscritti inviati da soggetti detenuti ai propri fiduciari liberi nonché con il contributo di vari collaboratori di giustizia. In particolare, è stato ricostruito il gruppo di vertice del clan Moccia, cui hanno preso parte Anna Mazza, deceduta, Luigi Moccia, Teresa Moccia, Filippo Iazzetta, oltre a persone fiduciarie della dirigenza del sodalizio, i cosiddetti “senatori” affidatari delle direttive impartite da quest’ultimi e dei resoconti destinati agli stessi, ossia Salvatore Caputo, deceduto, Domenico Liberti, Mario Luongo, Pasquale Puzio e Antonio Senese.

Le indagini tecniche, oltre a portare alla luce i profondi contrasti esistenti tra alcuni dei “senatori”, hanno confermato la rilevanza del ruolo assunto da Modestino Pellino, già sorvegliato speciale obbligatoriamente domiciliato a Nettuno (Roma), e soppresso il 24 luglio 2012, subordinato solo a quello del capo indiscusso dell’associazione, Luigi Moccia, già sottoposto a libertà vigilata a Roma, dove aveva da tempo trasferito i propri interessi.
Sono state ricostruite la più recente conformazione del clan Moccia, le responsabilità del suo vertice assoluto, dei dirigenti e dei relativi referenti sul territorio, le modalità di comunicazione tra gli affiliati, anche detenuti, la capillare attività estorsiva, l’imposizione delle forniture per commesse pubbliche e private, la ripartizione tra i sodali, liberi e detenuti, degli illeciti profitti conseguiti tramite le precedenti attività, le infiltrazioni del sodalizio negli apparati investigativi.
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